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Turone Sergio - 7 luglio 1990
D'accordo con Pannella - Ma non quando sbaglia
di Sergio Turone

SOMMARIO: [Lunghissimo intervento, su sette colonne, n.d.r.]. Quando Occhetto propose che il costituendo nuovo partito "si desse pure un nome nuovo", la proposta diede "credibilità" al disegno occhettiano. Ma subito intervennero critiche e ammonimenti, secondo i quali "il problema del nome dovrebbe essere affrontato solo al termine della fase costituente". A questa "forma di rimozione" si sono associati anche "autorevoli interlocutori esterni", tra i quali Marco Pannella. Questi si dichiarò favorevole a una "grande Federazione democratica" della quale avrebbe dovuto essere "promotore" il partito comunista "in quanto tale"; Federazione che dovrebbe poi trasformarsi in "partito democratico" all'anglosassone. La proposta Pannella, però, contempla tempi troppo lunghi: la soluzione alternativa da scegliere è pertanto il cambiamento del nome.

L'articolo di Pannella su l'"Unità" del 15 novembre fu un errore; migliore il secondo ("Unità", 13 giugno), al quale l'a. intende ora rispondere. Ne apprezza infatti le motivazioni, e sopratutto il fatto che vi sia abbandonata l'idea di "Federazione democratica". Riconosce tuttavia che l'abbandono di questa idea non esime da un "colpo di fantasia politica". E' d'accordo anche con Pannella quando questi sostiene che occorre rinviare a dopo la creazione del nuovo partito la decisione se valga davvero la pena affiliarlo all'Internazionale socialista (o, sempre secondo Pannella, se non convenga invece guardare alla Internazionale liberale...).

Il rinnovamento del PCI, secondo l'a. richiede tempi stretti sul piano politico, ma più lunghi sul piano culturale: lascia dunque perplessi il richiamo costante che Pannella fa a Gobetti e ai Rosselli, da sostituire a Gramsci. La sua "lettura ha prodotto effetti che non possono essere elimitati d'imperio". In generale, le osservazioni di Pannella paiono "condivisibili", ma Pannella finisce col sottovalutare "il dato fondamentale" e cioè che il partito comunista è "cambiato come è cambiato" e che la "rifondazione" non è un processo inadeguato, se non altro in ragione della sua indiscutibile "serietà". Alcuni "punti-cardine" cominciano a delinearsi: il riferimento costante al mondo del lavoro, il rifiuto dell'unità col PSI di oggi, il permanere del pluralismo tra "opzioni" diverse (liberalsocialismo, ortodossia marxista, ecc.)

In definitiva, "ritardare i tempi della fase costituente" alla ricerca della perfezione sarebbe un errore, come ci ricordano le vicende dell'unità sindacale del 1969.

(L'UNITA', 7 luglio 1990)

(Ritardare i tempi del nuovo partito per cercare la perfezione credo sia lo sbaglio peggiore che si possa commettere)

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Nel novembre scorso - quando Achille Occhetto aprì nel Pci la fase di svolta che il congresso di Bologna tradusse poi nell'impegno per la creazione di una forza politica nuova - l'elemento che diede alla proposta un'immediata credibilità fu l'esplicita ammissione della necessità che il costituendo partito si desse pure un nome nuovo.

Viceversa, ciò che fin dai primi giorni successivi ha cominciato a far oscillare il processo di svolta, e ad inserirvi elementi di incertezza, è stato il diffondersi di una diplomatica tendenza a considerare non primario, e in ogni caso non urgente, il problema del nome. Alcuni cominciarono a dire che prima doveva essere definito il programma, altri che la questione principale è quella della forma-partito. Lo slogan secondo cui il problema del nome dovrebbe essere affrontato solo al termine della fase costituente finì col diventare la boa di salvataggio che permise a tutti - alla maggioranza favorevole come alla minoranza contraria - di accantonare il problema più scottante, e perciò più significativo.

A quella forma di rimozione implicita si associarono - imprevedibilmente - anche autorevoli interlocutori esterni. Sull'"Unità" del 15 novembre 1989 apparve un'ampia lettera aperta di Pannella ad Occhetto. Marco Pannella, che anche in quell'occasione rivendicò la propria coerenza di liberale, non è certo sospettabile d'indulgenza verso il comunismo. Eppure, nel dare il suo apporto alla nascita della »Cosa , si espresse a favore di una grande "Federazione democratica", della quale avrebbe dovuto essere componente essenziale e promotore il partito comunista »in quanto tale , cioè partecipe col proprio nome. La "Federazione" auspicata allora da Pannella dovrebbe trasformarsi, nel giro di pochi anni prestabiliti, in un "Partito democratico" di stampo anglosassone: soltanto in quel momento, secondo tale disegno, il Pci dovrebbe rinunciare al proprio nome.

Ma dire »nel giro di pochi anni prestabiliti , in una fase storica di cambiamenti che procedono a ritmi di settimane e giorni, poco si concilia con la concretezza laica di cui Pannella è sempre assertore. E vero che la politica è l'arte di controllare gli eventi e concorrere a determinarli evitando di farsi travolgere dalla quotidianità. Tuttavia proprio lo stabilire scadenze lunghe, in momenti nei quali la storia ha assunto un incalzare torrentizio, significa pretendere una programmazione politica troppo astratta e dunque tale da non reggere alle spinte degli eventi.

E se salta la tesi pannelliana dei »pochi anni prestabiliti , durante i quali il Pci dovrebbe conservare il vecchio nome in frigorifero nell'attesa che la "Federazione" maturi fino a rendere possibile l'auspicato "Partito democratico" di stampo anglosassone, salta pure la tesi secondo cui la questione del nome non è la più urgente.

Chi mi conosce sa che, se di norma ritengo utile riflettere sulle proposte di Marco Pannella, anche per contestarle, ciò deriva da stretta contiguità culturale e da momenti di comune militanza politica, mai annullati dai pur frequenti e robusti dissensi. Credo che il suo articolo del 15 novembre, suggerito da profondi propositi innovativi, sia stato un errore, perché il rilievo sui »pochi anni prestabiliti e quello sull'inopportunità del cambiamento di nome hanno sicuramente favorito, contro le intenzioni del proponente, la tesi conservatrice.

Assai meglio argomentato mi è parso il più recente articolo di Pannella, pubblicato da questo giornale il 13 giugno scorso. Prima di propormi per una risposta ho lasciato passare qualche settimana, perché avrei giudicato interessante leggere la replica di qualche iscritto al Pci. Il colloquio fra »esterni , sul quotidiano del Pci, può rivelarsi produttivo solo se s'inserisce nel dibattito in corso nel partito e viceversa. Mi ha stupito che nessun esponente del Pci abbia risposto al nuovo intervento di Pannella, perché, se quello di novembre offriva proposte operative troppo dissonanti per consentire dialoghi fruttuosi, oggi Pannella svolge un discorso critico in cui c'è largo spazio di riflessione comune anche per chi dissenta dalle sue conclusioni.

Innanzi tutto, non insiste più sull'idea della "Federazione democratica". A me questa proposta aveva fatto venire in mente, per contraddittoria associazione d'idee, una frase di Paolo Ungari. C'è da risalire, hainoi, a trent'anni fa. Nel partito radicale di allora - quello di Carandini, di Pannunzio, di Ernesto Rossi - si discuteva se confluire o no nel Psi. L'allora giovanissimo Ungari, contrario, raccontò la storia di quel cuoco che si era specializzato nel cucinare un pasticcio di allodola e di cavallo. Mescolati in quali dosi? Dosi pari: un'allodola, un cavallo.

Al di là degli aspetti quantitativi, oggi un'ipotesi di "Federazione", vista come fase di passaggio verso la »Cosa , non regge perché, fra l'altro, non tiene conto dei singoli che ora non sono iscritti né al partito comunista né a quello radicale, e che potrebbero invece impegnarsi in un partito nuovo.

E' dunque importante che Marco Pannella abbia rinunciato all'idea di una transitoria "Federazione" in cui il Pci continuerebbe ad essere cavallo e il Pr allodola (magari con gli antiproibizionisti nella parte della quaglia, il movimento gay in quella del passero, eccetera). L'esponente radicale indica inoltre un rischio innegabile quando esprime il timore che tutta la fase costituente del nascituro partito ruoti attorno alla macchina organizzativa del Pci, finendo con l'accreditare nell'opinione pubblica la linea della rifondazione, anziché quella, dichiarata, della nascita di un partito nuovo. Caduta l'ipotesi pannelliana della "Federazione", rilanciata per altro in parte da Piero Fassino con la proposta di consentire ai Club l'adesione collettiva di tipo federativo, occorre in ogni caso trovare un colpo di fantasia politica perché i dibattiti preparatori del congresso costitutivo, da qui a gennaio, esprimano un pluralismo più ampio ed articolato rispetto al confronto, ormai francamente asfittico, tra quell

i del sì e quelli del no.

A me sembra che Pannella abbia ragione anche nel dissenso in merito all'adesione del futuro partito all'Internazionale socialista. Prima creiamolo, questo partito, e poi si deciderà se certe forme di affiliazione hanno ancora un senso. D'altronde, proprio nei giorni scorsi Occhetto è stato esplicito nell'escludere che la svolta in atto debba portare, in Italia, a forme di unità socialista come quella auspicata da Craxi. Peraltro, se Pannella, quando accenna in positivo all'Internazionale liberal-democratica, intende suggerire in alternativa un'adesione del partito nascituro a quell'organismo, penso che proponga una scelta altrettanto anacronistica. In un mondo nel quale i confini politici nazionali si vanno stemperando, i partiti affini dei vari paesi debbono cercare forme di cooperazione ben più incisive delle gloriose ma vecchie Internazionali di matrice ottocentesca.

Guardare ai secoli passati per cercarvi elementi d'ispirazione culturale - come quando Occhetto ha rivalutato i principi della Rivoluzione francese, cioè della sinistra pre-marxista - è utile. Guardarvi alla ricerca di moduli operativi adottabili nella prassi politica presente e futura sarebbe uno sbaglio.

Il processo in atto nel Pci ha una sua valenza culturale che necessariamente richiede tempi lunghi. Ma ha pure una valenza politica, la quale esige invece tempi brevi. Perciò i due canali di sviluppo non possono coincidere sul piano cronologico. La nascita del partito richiede che si fissino subito scadenze vicine e vincolanti. La sua evoluzione culturale dovrà ovviamente procedere senza limiti di tempo. Quando Pannella deplora che nella cultura comunista italiana una certa lettura di Gramsci abbia finito con l'annullare Piero Gobetti e i fratelli Rosselli, fa un rilievo che io condivido. Ma quella forzata lettura di Gramsci ha prodotto effetti che non possono essere eliminati d'imperio, né in sei mesi, né in sei anni. Per chi ha sempre militato nella sinistra senza mai avvertire le seduzioni del comunismo, aderire al nuovo partito non potrà essere un atto di fede; sarà una sorta di scommessa civica sulle capacità della cultura progressista di creare finalmente uno strumento politico attraverso il quale si p

ossa operare nella società evitando sia i miti sterili della catarsi rivoluzionaria, sia l'opportunismo spicciolo del potere immediato, nel quale, per esempio, è caduto il Psi dell'ultimo quindicennio.

Una per una, quasi tutte le critiche mosse da Pannella ai modi in cui è proceduta la fase costituente, dopo il congresso di Bologna, mi paiono condivisibili. Nel complesso però il discorso di Pannella finisce con l'apparirmi sbagliato, perché sottovaluta il dato fondamentale di questa vicenda politica. Il dato fondamentale è la scelta di un partito che arriva a mettersi in discussione fino a voler diventare una cosa diversa, e che a questa iniziativa davvero rivoluzionaria sta giungendo avendo subito soltanto perdite contenute.

Caro Marco, se diciotto mesi fa, qualche mago ci avesse predetto che in un anno e mezzo il Pci sarebbe cambiato come è cambiato (sia pure col concorso di vicende internazionali, e secondo moduli evolutivi non privi di fasi contraddittorie) avremmo creduto alla possibilità di una svolta così profonda? La sola cosa che non è cambiata è il nome. E perché non è cambiata? Probabilmente perché, forse a livello inconscio, tutti avvertono, tutti avvertiamo, che la trasformazione politica del Pci - una volta pagato quel prezzo così alto - sarà irreversibile davvero.

Anche la critica secondo cui quella che si prepara è più una rifondazione che la nascita di un partito nuovo perde buona parte del suo peso alla luce del giudizio sulle priorità del problema-nome. Ricordate quando, cinque o sei anni fa, Claudio Martelli, sulla base di argomentazioni non peregrine, sostenne la necessità che i partiti politici, compreso il suo, si »autoriformassero ? Tutti risero, perché le autoriforme proclamate a parole non possono che essere fasulle. Un'autoriforma accompagnata, invece, da un atto innovativo traumatico come il cambiamento del nome ha un avallo che le conferisce serietà. Proprio perché l'operazione è seria, il nome - lungi dall'essere un dato marginale o formalistico - coinvolge l'identità stessa del partito. E' un partito politico, che ogni giorno in mille maniere si sottopone al giudizio dell'opinione pubblica, non può restare a lungo con un'identità provvisoria e incerta.

Fra le reticenze e le diplomazie di questi mesi, alcuni punti-cardine cominciano a delinearsi. Quando Occhetto ricorda che il partito nascituro - senza dogmatismi di comodo né minuetti rituali d'omaggio alla classe operaia - avrà nel mondo del lavoro il principale punto di riferimento, fornisce un'indicazione che sembra ovvia ma che forse, a giudicare per esempio dagli interventi di Pannella, non lo è del tutto. Quando Massimo D'Alema rifiuta la tesi grossolana secondo cui la scelta riformista può solo portare alla prospettiva dell'unità col Psi, garantisce che nel partito nuovo ci saranno margini di movimento per tutti coloro che ritengono giusta la scelta fatta da Pietro Nenni nel 1956 contro i regimi comunisti (e in buona parte anche quella del 1962 col primo centro-sinistra) ma che nel Psi di oggi - partito di potere e di clientela quasi completamente assorbito da problemi di conservazione del potere stesso - non scorgono ancora un interlocutore politico. E perciò vedono l'alternativa di sinistra quale u

n traguardo necessario ma lontano.

Ci saranno poi, nel nascente partito, anche altre legittime opzioni: da quella che s'identifica nel riformismo socialdemocratico a quella che si farà tutrice dell'ortodossia marxista. Sarà proprio questo variegato pluralismo che - lo si voglia o no - darà uno »stampo anglosassone al costruendo partito. Per nessuno degli iscritti sarà »il migliore dei partiti possibile ; per ognuno potrà essere la sede in cui, fra dissensi e convergenze, confrontare opinioni, formulare proposte, sostenere linee strategiche.

Ritardare i tempi della fase costituente, con l'intento lodevole di creare un partito più vicino possibile alla perfezione, è lo sbaglio peggiore che si possa commettere. La storia e la politica non procedono mai per modelli di perfezione, ma sempre per balzi approssimativi. Quante volte abbiamo letto e detto, ad esempio, che l'unità d'Italia si sarebbe potuta fare molto meglio? Cavour e la Monarchia la fecero davvero maluccio. Però la fecero. E un'ottantina d'anni dopo venne anche la Repubblica. Pure questa bruttina, con tutti quei clericali a farle da padrini. Ma sempre meglio della monarchia sabauda e del fascismo.

Un esempio più recente è nella storia sindacale di vent'anni fa. Nelle lotte dell'autunno caldo 1969 si erano sicuramente create le condizioni di base per l'unità sindacale. Non sarebbe stata una unità globale, ecumenica, qualcuno avrebbe scelto di rimanerne fuori. Le dirigenze sindacali si proposero invece un traguardo di perfezione: vollero battersi per l'unità di tutti. Così finì col saltare anche quell'unità che sarebbe stata possibile. Fu perduta un'occasione irripetibile (che forse avrebbe anche anticipato ed agevolato la svolta ora in atto nel Pci).

Ho proceduto un po' per paradossi, consapevole di espormi al sarcasmo di cui Pannella sommerge coloro che accusa di »realismo . Il mio però è piuttosto relativismo, cioè diffidenza laica verso i modelli, assoluti. Occorrono doti di fantasia politica e coraggio anche per saper cogliere l'istante del rinnovamento quando la sgangherata spontaneità della storia lo offre.

 
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