di Marco TaradashSOMMARIO: Un mese dopo l'approvazione della Jervolino-Vassalli, Marco Taradash ha visitato questure, prefetture e carceri di quattro province (Milano, Como, Bergamo e Brescia) della regione italiana che nel 1989 ha fatto l'en plein dei record negativi, con risultati sconvolgenti.
(L'Espresso del 20 agosto 1990)
Questo è il resoconto di un viaggio di mezzo agosto nel quadrilatero delle istituzioni che devono attuare la legge Jervolino-Vassalli, la nuova legge sulla droga. Un rallie di cinque giorni attraverso quattro province lombarde, Milano, Como, Bergamo e Brescia, che ho compiuto come consigliere regionale della Lombardia, eletto nella lista degli antiproibizionisti sulla droga. Un percorso purgatoriale nella regione italiana che nel 1989 ha fatto l'en plein dei record negativi: il maggior numero di morti per overdose, di casi di Aids fra i tossicomani, di arresti e segnalazioni per spaccio, detenzione o consumo di droghe.
Ma la Lombardia ha anche le percentuali più alte di strutture sanitarie pubbliche e di comunità terapeutiche residenziali: nel 1989 hanno assistito 7709 dei circa 40 mila tossicodipendenti stimati nella regione. Ho visitato prefetture, questure, gli uffici dei Not -i servizi per la tossicodipendenza-, le carceri (e nelle carceri ho parlato a lungo col personale medico e con rappresentanze dei detenuti) per capire se e come queste strutture sono state investite dall'onda d'urto delle nuove norme che -puniscono anche il semplice consumatore. Ripeterò il giro fra tre mesi, quando saranno entrate a regime le strutture e anche, è facile prevederlo, le disfunzioni.
Ho incontrato uomini e donne che combattono con molta buona volontà contro le circolari esplicative, i decreti di attuazione, le carenze di personale, le falle nel coordinamento. Suppliscono col buon senso all'impossibilità di attuare da subito la legge, in qualche caso rischiano in prima persona. Perché fino ad ora, come vedremo, la Jervolino-Vassalli è, perfino in Lombardia, un cantiere in ritardo sui tempi di consegna. Un'altra delle grandi opere di Italia '90.
Bergamo. Prima tappa in prefettura. Mi riceve il dr. Aragno, capo di gabinetto del prefetto, che ha ricevuto la delega per le tossicodipendenze. Sono passate tre settimane dall'entrata in vigore della legge ma gli organi di polizia non sembrano spaccarsi la testa nella caccia ai consumatori. Le segnalazioni per detenzione di dose media giornaliera sono state, in tutta la provincia, appena 20, tutte per eroina, salvo un paio per cocaina. Gli esami chimici necessari per stabilire la quantità di principio attivo contenuta nella polvere sequestrata sono stati effettuati dal laboratorio di igiene e profilassi della Usl cittadina, e soltanto in un caso si superava la dose media giornaliera. Ma i colloqui col tossicomane segnalato imposti dalla legge inizieranno soltanto "fra qualche settimana". Apprendo infatti che gli assistenti sociali, 200 in tutta Italia, che la Jervolino-Vassalli attribuisce alle prefetture, non entreranno in organico prima di due anni. La legge prescrive il concorso, i tempi sono quelli. N
el frattempo che fare? Il prefetto ha distaccato a questo nuovo ufficio "a tempo pieno e con grandissimo sacrificio" del personale amministrativo: un archivista, una dattilografa, un funzionario. Si aspetta che il Not o la Usl mettano a disposizione lo staff medico. Sull'efficacia della legge il dr. Aragno è ottimista: "Avremo per la prima volta la possibilità di convincere questi ragazzi a seguire un trattamento terapeutico, a uscire dalla droga". In che modo? "Parlando".
Mi trasferisco in questura. Ho di fronte il capo della squadra mobile, la dottoressa Ventura. Con lei un giovanissimo vice, il dr. Fantini, che sembra appena uscito da un telefilm americano di quelli progressisti, del tipo "serve una mano, ragazzi?". Ha appena finito un corso di aggiornamento in cui è stata spiegata l'impostazione preventiva della legge. E' cambiato qualcosa nel loro lavoro? No, l'obiettivo resta il grande traffico, lo spacciatore. A luglio soltanto quattro segnalazioni al prefetto, tutte per eroina, sperando che servano allo scopo di prevenzione e recupero.
Andiamo allora a parlare con chi lavora sulla linea di fuoco del recupero, gli operatori del Not. Parlo con Laura Tidone, vicepresidente del Coordinamento regionale degli operatori sulle tossicodipendenze, e membro italiano di quell'equipe di dodici consulenti Cee che, alla vigilia del dibattito finale sulla legge, aveva dato qualche fastidio al Governo con un documento fortemente critico dell'impianto punizionista. "Perché non hanno voluto tenere conto della nostra stessa esperienza?" si chiede Tidone. "Anche la vecchia legge prevedeva l'invio forzoso del tossicomane al Not, e in certe regioni, come la nostra, è stato fatto. Risultato: nel 1989 soltanto 5 o 6 persone sulle 150 inviate dal magistrato hanno proseguito il trattamento, contro il 70% di quelle che lo iniziano spontaneamente". A Bergamo come nel resto della Lombardia i Not contesteranno, magari fino alla disobbedienza civile, gli articoli che prescrivono l'obbligo di riferire al prefetto sui trattamenti sanitari pregressi e il grado di adesione
al piano terapeutico obbligatorio.
Ed eccoci al carcere. Destinazione finale del consumatore di una dose media giornaliera di spinelli o di eroina qualora sfugga alla terapia o violi le sanzioni amministrative. Tappa immediata di chi, semplice consumatore, viene sorpreso con una dose superiore a quella media giornaliera. La legge prevede sezioni speciali, a vigilanza attenuata, per i tossicomani. Ma la visita al carcere di Bergamo, moderno, recente, uno dei fiori all'occhiello dell'amministrazione penitenziaria, induce subito a previsioni pessimistiche. Intanto il sovraffollamento: 246 detenuti, 29 detenute, 30 semiliberi in una struttura prevista per 180 persone. Metà dei maschi sono tossicodipendenti, quasi tutti sono dentro per reati di droga o connessi. Come realizzare il reparto speciale? Forse rinunciando alla sezione penale, quella per chi deve scontare lunghe pene, come mi spiega il comandante degli agenti di custodia. Ma questo potrebbe creare turbolenze, perché i detenuti interessati perderebbero la possibilità di lavoro esterno
e altri benefici. I detenuti che incontro mi fanno un'obiezione di fondo: è utile lasciare i tossici fra loro, a parlare di droga, a pensare di droga, o non è meglio lasciar sviluppare quei rapporti di solidarietà fra i carcerati che possono aiutare di più di un trattamento psicologico? Nel carcere di Bergamo la percentuale di sieropositivi è bassa, il 35%. Siamo molto al di sotto della media nazionale, ma i problemi restano gravi: mancano gli infermieri e soprattutto non c'è un infettivologo disposto a venire al carcere. E cosi' soltanto uno dei 40 sieropositivi fruisce del trattamento con AZT.
Brescia. Inizio dal carcere di Canton Mombello. E' una vecchia struttura, presa spesso di mira dalla unità sanitaria per le condizioni igieniche, tanto più difficile da gestire quando in un edificio pensato per 200 persone se ne stipano 298, come adesso (ma ha toccato punte di 500). Nell'androne centrale, su cui prospettano i lugubri gironi delle celle, galleggia un lezzo perenne di verdure marcite e sudore. Ci sono 155 detenuti tossicodipendenti, e di questi 88 sono sieropositivi. Anche qui, dunque, l'impossibilità di creare una struttura a parte, anche se il direttore, Carmelo Cantone, pensa di utilizzare una dipendenza del carcere, a Verziano, prevista pero' per una trentina di persone. Il dirigente sanitario, la dottoressa Squassina, è una persona dinamica: "Brescia è un'isola felice -dice- perché c'è una splendida collaborazione con l'ospedale". Anche qui pero' mancano gli infermieri, che sono 2 contro gli 8 necessari. Come in tutte le carceri ai detenuti in ingresso viene proposto l'esame del sangue
per l'Aids, che è facoltativo. Quasi tutti lo fanno. I detenuti sieropositivi vengono sottoposti a controlli periodici e, eventualmente, a trattamento con AZT. Brescia è all'avanguardia in questo campo, perché, nonostante i costi enormi della cura, già ne fruisce il 20% dei sieropositivi. Domando: "Entra la droga in carcere?". "Un po' ne entra, certo" risponde il direttore. Avete mai pensato a misure di profilassi interna, come la distribuzione di preservativi e di siringhe sterili?". Al ministero se ne è parlato ma, per quanto possa sembrare strano, il sesso in cella costituisce reato di atti osceni in luogo pubblico, e le siringhe stesse sono corpo di reato: "Sarebbe come legittimare atti contro la legge" dice il dr. Cantone. Ma cosa succederà con la nuova legge? Il comandante degli agenti di custodia è il più preoccupato: "Saranno guai, perché la popolazione carceraria è già ai limiti".
Anche a Brescia le segnalazioni al prefetto sono finora poche, trenta, e tutte per eroina. "Il nostro scopo resta quello di contrastare il grande traffico" conferma il questore di Brescia, dr. Plantone "e in questo settore abbiamo ottenuto anche di recente importanti risultati, col sequestro di grossi quantitativi di droga". Domando: "Quanto incidono sul mercato?". Il Questore sorride: "Molto poco".
"Il cruccio massimo di un prefetto è di non avere le strutture per fare ciò che si deve". Sono alla prefettura di Brescia e il viceprefetto dr. Giannuzzi mi informa che si è provveduto a distaccare 7-8 persone, sottraendole ad altri servizi quando rispetto alla pianta organica mancano già quaranta persone. Oggi la priorità è la legge sulla droga e cosi' ricircola una vecchia barzelletta: "Se un'industria di abbigliamento apre un nuovo reparto per fabbricare scarpe, acquista macchinari, materiale primo e assume operai; lo Stato cosa fa? Una circolare".
A Brescia c'è conflitto fra la prefettura e i Not. Il prefetto ha chiesto personale specializzato per i colloqui con le persone segnalate e ha ricevuto un netto rifiuto. "La nostra funzione terapeutica è incompatibile con quella giudiziaria di controllo. E' vero che il colloquio in prefettura è finalizzato alla cura, ma passa attraverso la valutazione del reato, che non ci deve riguardare". Cosi' Ruggero Massardi, lo psicologo responsabile del Not di Brescia. Uffici modernissimi, locali all'apparenza molto funzionali: "Solo che le stanze non sono insonorizzate, si sente a distanza di tre camere, e il segreto professionale non c'è più". Nel 1989 il Not ha seguito 360 persone e fornito consulenze ad altre 100; in più sono stati coinvolti nel piano di recupero 250 genitori. Se la media dei sieropositivi è del 60%, fra i nuovi tossicodipendenti è scesa al 50%, e forse questo è un primo effetto delle campagne anti-Aids. Secondo Massardi sarebbe utile la distribuzione di siringhe e preservativi, e d'altra part
e il piano nazionale sull'Aids lo prevede: "Manca pero' la volontà politica, c'è una delega di fatto alle Usl di responsabilità che sono della Regione". Secondo una stima attendibile l'80% dei tossicomani non si è mai rivolto al Not e gli operatori sono convinti che la nuova legge provocherà una drastica caduta di credibilità dei servizi pubblici e una diminuzione degli utenti.
Como. Sceneggiata stile Forcella sul lago dei Promessi Sposi. Nella provincia non esiste ancora un laboratorio pubblico in grado di misurare dei principi attivi contenuti nella dose sequestrata. La legge, che non consente di fare altrove le analisi, verrebbe vanificata. "Per fortuna -mi spiega il vicequestore dr. Latini- per fortuna ancora non ci è capitato di incontrare nessuno con la dose media giornaliera". Il prefetto Mario Palmiero conferma: nessuna segnalazione, neppure da parte dei carabinieri. E suggerisce un rimedio: affidare le analisi anche a laboratori privati, come è consentito alla magistratura.
Nel nuovissimo carcere di Como una sorpresa negativa: oltre l'80% dei detenuti tossicodipendenti (80 su 179) è sieropositivo e le analisi si fanno soltanto al momento dell'ingresso. Un giovane sieropositivo mi chiede di intervenire: è in carcere da un anno e quattro mesi, ha chiesto ripetutamente e invano di essere sottoposto a visita di controllo. Come lui moltissimi altri. E nessuno è trattato con Azt.
Milano. Nonostante ogni sforzo del direttore Pagano, il carcere di San Vittore resta la giungla di sempre. Capienza di 1086 detenuti, presenze che possono variare dalle 1590 di oggi e le 1725 di venti giorni prima. Ogni giorno entrano ed escono fra le 15 e le 20 persone. Con loro, e con i visitatori, entra in carcere di tutto. Tranne le siringhe. "Si iniettano di tutto, con qualsiasi strumento" dice il dr. Miedico, coordinatore sanitario. "Rubano le siringhe usate in infermeria, fingendo un malore per distrarre gli infermieri, ricavano un ago dalla punta di una penna a sfera". Miedico è pero' contrario alla distribuzione di siringhe all'interno di San Vittore: "Qui dentro viene venduta droga a prezzi altissimi, ma si spaccia di tutto, miscele di aspirina, raschiatura di muri, tutto. Se gli diamo le siringhe si metterebbero in vena qualsiasi cosa". Più della metà dei detenuti è tossicodipendente: centinaia e centinaia di persone, una parte delle quali ospitate in un reparto speciale di 150 posti, dove lavor
a una equipe specializzata di medici, psichiatri e assistenti sociali. Ma oggi sono in 240, ammucchiati nelle celle in attesa degli psicofarmaci necessari a superare le crisi di astinenza. "Tutte le notti sono liti per contenere il consumo dei medicinali" racconta il dr. Miedico. Lui sta per lasciare il carcere, dimissionario. "Con la droga ci sono troppi soldi in giro, e troppa corruzione. Fare qui il medico è diventato pericolosissimo. Alcuni detenuti sono protetti, escono di galera i grossi spacciatori e ci restano i poveri cristi".
Il 65-70% dei tossicodipendenti è sieropositivo, ma il numero dei nuovi detenuti che si sottopone ad analisi del sangue è minimo. A San Vittore essere sieropositivo non fa scattare la solidarietà degli altri, al contrario. Chi entra in carcere lo apprende presto e si comporta di conseguenza.
Sembra quasi una gita in campagna, allora, la visita dell'altro grande carcere milanese, quello di Opera. L'istituto è recente, ampio, si estende su 24 ettari, di cui 10 a verde, e ospita i detenuti condannati a pene definitive. Ad Opera c'è il centro clinico carcerario più moderno e meglio attrezzato d'Italia, forse -dicono qui- d'Europa. Cento posti letto, ma non funziona. Mancano gli infermieri. E allora periodicamente i medici mettono in funzione le apparecchiature, giusto per non far deteriorare le celle frigorifere e le batterie. Servirebbero 80 infermieri. Nel carcere ce ne sono due. Anzi uno solo, perché mentre parlo col dirigente sanitario arriva la notizia che un infermiere si è dimesso. Gli hanno offerto un posto in Arabia Saudita, 6 milioni al mese. Nonostante il rischio di guerra ha deciso di partire. Allora suppliscono gli agenti di custodia, come in tutte le carceri. Sono 16 ad Opera gli agenti infermierizzati.
Trattandosi di detenuti che scontano pene medie o lunghe la percentuale dei tossicodipendenti è più bassa che altrove: sono 190 su 560. I sieropositivi sono 86. Solo due sono trattati con Azt, ma il dirigente sanitario, Aldo Fabozzi, che ha appena finito un corso di aggiornamento a Roma, mi dice che presto sarà somministrato anche a una parte dei sieropositivi asintomatici.
Anche a Milano c'è guerriglia tra prefettura e Not. Poche le segnalazioni, una sessantina in tutto nel primo mese, nessun colloquio. Il prefetto aspetta psicologi e assistenti sociali. Il Not ha risposto picche. "Il compito del prefetto è di valutare una trasgressione e di evitarne di nuove" dice la dottoressa Aronica della Usl n.1 "mentre noi dobbiamo effettuare una diagnosi e avviare un piano di riabilitazione. Confondere i ruoli allontanerà ancora di più i ragazzi dai nostri servizi. Questo è già successo durante tutto il dibattito sulla legge: noi ci avevamo messo una vita a far capire che il Not serviva a fare un pezzo di strada insieme e non a schedare, e adesso siamo da capo. Perché se uno incappa nella segnalazione, noi siamo costretti a riferire al prefetto se ha già fatto uso dei servizi. E allora c'è rischio per i consumatori occasionali di essere classificati per sempre tossicodipendenti". Sulla questione del personale il prefetto ha ceduto. Su un altro punto no: vuole che i colloqui si svolga
no presso le Usl, per mostrare il volto umano delle istituzioni. "E' un errore gravissimo" dice Aronica. "La legge impone al prefetto di esercitare l'autorità. Lo faccia. La confusione dei ruoli fa più danno che altro. E per giunta non ci consente di stabilire se la legge funziona oppure no".