SOMMARIO: In questo suo intervento alla Conferenza Internazionale sui Diritti Umani, l'autore analizza, anche alla luce della ormai trentennale teoria e pratica del Partito radicale, il legame tra democrazia e diritti della persona e delle minoranze. Individua nei Paesi dell'Europa Centrale ed Orientale il "luogo propulsore" per una "grande offensiva di diritto", per il superamento del principio di non-ingerenza. Ritiene infatti che "coloro che sanno che cosa significhi essere abbandonati alla dittatura in nome della non ingerenza sono quelli che oggi hanno la possibilità di guidare la battaglia per affermare gli uguali diritti di tutti".
(Conferenza Internazionale sui Diritti Umani, Leningrado, 1-4 settembre 1990)
Care amiche, cari amici,
permettetemi di dirlo: una conferenza come questa, qui, in Unione Sovietica - se leggiamo - il presente alla luce di un passato durato fino a ieri, e forse non ancora del tutto concluso - appare un segno prezioso dei tempi. Tanto piu' prezioso per noi del Partito radicale transnazionale e voglio in particolare rivolgere gratitudine e stima al Sindaco Anatoly Sobchak e agli altri deputati che l'hanno resa possibile - perché essa par quasi simboleggiare il motivo costitutivo stesso della proposta e della speranza che cerchiamo di incarnare, ossia del nostro volerci costituire in partito trasnazionale: giacché è in se stessa testimonianza dell'idea che i fondamentali diritti umani non possono e non devono conoscere confini, vanno difesi comunque e dovunque, a pari titolo, senza distinzione fra stato e stato, senza ipocritamente fermarsi di fronte alle "specificità" o alle indipendenze nazionali usate come paraventi dietro i quali massacrare i diritti delle persone.
Le straordinarie trasformazioni avvenute qui ad Est, e di cui questa conferenza è un segno, attestano che avevamo ben ragione quando - essendo, come siamo stati per tre decenni, un partito dei diritti civili e della nonviolenza in Italia - rifiutavamo l'idea, che tanti apertamente o di fatto professavano, che per l'Unione Sovietica e per gli altri paesi comunisti non valessero i criteri "occidentali", buoni per noi, quanto ai diritti della persona, giacché quei paesi erano "diversi"; avevano fatto scelte "diverse", che noi avremmo dovuto rispettare; e avevamo ragione quando rifiutavamo l'idea che, in nome della specificità e indipendenza nazionale di quei paesi, e in nome del principio di non ingerenza nei loro affari interni, non potessimo esigere per i loro cittadini lo stesso rispetto dei diritti che esigevamo a casa nostra.
Per parte nostra, abbiamo sempre teorizzato e, per quanto ci è stato possibile, praticato non solo il diritto, ma anche il dovere di ingerenza. In Italia per trent'anni siamo stati un raggruppamento minoritario, si', ma che con la forza della nonviolenza, con i referendum popolari, con la presenza nel parlamento italiano e in quello europeo ha consentito il manifestarsi di maggioranze sociali che hanno cambiato il volto dell'Italia quanto ai diritti civili: dalla legge sul divorzio al riconoscimento dell'obiezione di coscienza, alle battaglie sulla giustizia e sul carcere. Intanto - molti di voi certo lo ricordano - anche quando in occidente era poco di moda, ripetutamente militanti e dirigenti radicali portavano la testimonianza nonviolenta, manifestando, facendosi arrestare ed espellere, nei luoghi d'Europa, e soprattutto nei paesi comunisti, ove diritti e libertà erano calpestati e violati. E per lunghi anni abbiamo dato corpo alla nostra concezione del dovere di ingerenza in nome del diritto assegnando c
ome priorità alla nostra azione, anche in Italia, la lotta contro lo sterminio per fame di milioni di persone nel Terzo Mondo, ossia contro la negazione radicale del diritto primo, fondamento di ogni altro, il diritto alla vita. Su questo terreno è nata la nostra decisione di trasformare profondamente la natura e il modo d'essere del nostro partito. A determinarla è stata proprio questa concezione dell'indivisibilità dei diritti umani; e insieme la consapevolezza che molti dei massimi problemi del mondo di oggi - dalla salvezza dell'ambiente, al governo della macroeconomia mondiale fino alle questioni della pace - non possono essere affrontati seriamente all'interno dei singoli stati nazionali, o sulla scala di grandezza degli stati nazionali, bensi' richiedono istituzioni di diritto e democrazia, nonché strumenti di azione politica, sovranazionali e transnazionali. Cosi', per cominciare a rispondere a quella che consideriamo un'esigenza vitale del mondo attuale, il Partito radicale ha cancellato se stesso c
ome partito italiano e si è trasformato - ha intrapreso la propria trasformazione - in partito transnazionale. Cio' significa che non è piu' una forza politica concorrente, anche sul terreno elettorale, in nessun paese e neppure in Italia, con i partiti nazionali. Si propone invece come un'Internazionale gandhianamente nonviolenta in cui possono ritrovarsi cittadini di tutti i paesi, iscritti o meno a un partito nazionale, in comune interessati a una battaglia e alla costituzione di una parte politica transnazionale per la democrazia e per il diritto sovranazionali. In questa nuova forma già siamo presenti, con significativi nuclei di iscritti, in molti paesi, tra cui in particolare l'Unione Sovietica.
Come è evidente, il terreno forse decisivo su cui si misura la nostra scommessa politica è la sorte della trasformazione democratica e della creazione dello stato di diritto nei paesi che escono dal totalitarismo comunista, a partire dall'Unione Sovietica. Proprio perché la democrazia qui sta nascendo, con una forte carica di tensioni e di tensione ideale, e non è diventata una routine, in molti aspetti degenerata nella negazione dei propri stessi principi, come spesso accade in occidente, essa è insieme ricca di potenzialità straordinarie ed esposta a rischi molto gravi.
Non è un paradosso affermare che proprio qui, in questi paesi, oggi sta la capitale, intesa come luogo propulsore, della democrazia nel mondo.
E' stato il rivolgimento avvenuto in quest'area che ha riportato in primo piano ovunque - come da decenni non accadeva - i valori e gli ideali della democrazia, del diritto. Per questo, dalla direzione che prenderà il processo in corso dipenderanno in gran parte le sorti della democrazia mondiale.
Proprio il nodo drammatico, in Unione Sovietica come in Yugoslavia, ma anche altrove, del rapporto fra il momento della trasformazione democratica e quello della liberazione delle nazionalità ed etnie oppresse delinea il quadro di una straordinaria occasione che puo' essere colta, o di un pericolo oscuro che altrimenti avanza. Il pericolo, innanzitutto, è quello che i sacrosanti movimenti di liberazione contro una cosi' lunga e spietata oppressione del diritto all'identità nazionale precipitino in conflitti interetnici che potrebbero travolgere la democrazia nascente.
L'occasione invece è quella di prendere atto che la difficoltà stessa dell'intrico di questioni nazionali suggerisce la via maestra della creazione di realtà istituzionali federali sovranazionali che siano esse le supreme garanti dei diritti di ciascuno, e dunque anche delle identità e autonomie nazionali, regionali, etniche. E' questa la prospettiva per la quale noi proponiamo ai democratici europei, dell'Est come dell'Ovest, di unirsi nella battaglia per gli Stati Uniti d'Europa, intesi come unione federale delle democrazie europee, come luogo della comune, reciproca tutela dei diritti di tutti, e come strumento finalmente adeguato a consentire ai cittadini d'Europa di partecipare democraticamente al governo di un mondo rispetto a cui la dimensione dello stato nazionale è impotente.
E' proprio dal processo in corso qui, nell'Est europeo, che puo' giungere l'impulso determinante ad aprire questa pagina radicalmente nuova nella storia delle lotte per i diritti umani. Sarebbe una nuova tragedia che questa occasione fosse lasciata disperdere racchiudendo ancora una volta le speranze di democrazia e diritto nei limiti angusti degli stati nazionali, dando ancora una volta la priorità al principio di assoluta sovranità nazionale su quello di interdipendenza nella tutela dei diritti. Per questo, come radicali chiediamo, proponiamo coordinamento, iniziative comuni nei parlamenti come nelle piazze di ogni parte d'Europa.
Il medesimo tema - quello della superiorità dei diritti umani e della loro tutela rispetto alle barriere levate in nome della sovranità nazionale - è quello che si pone come centrale riguardo alla grande questione che probabilmente dominerà la storia futura: quella del rapporto fra Nord e Sud del mondo, della cui pericolosità esplosiva è emblematico quanto che avviene nel Golfo Persico.
Venuto meno il quarantennale equilibrio fondato sulla deterrenza reciproca tra le due superpotenze, la nuova minaccia è quella dell'assommarsi di una molteplicità di conflitti regionali controllati, anche tra paesi potentemente armati, e di una crescente conflittualità tra il Nord industriale ed il Terzo Mondo. L'unica alternativa ad una prospettiva del genere è quella di un unico equilibrio mondiale retto si' sull'intesa fra le potenze maggiori, ma in termini tali che questa intesa non si configuri, appunto, come l'alleanza del Nord contro il Sud.
Se questo è l'obiettivo, la sola strada forse percorribile è quella di una grande offensiva di diritto, volta a fondare, con le armi della nonviolenza, sul diritto - sul diritto internazionale, a partire dai diritti umani e civili delle persone, a partire dal diritto alla vita e ad una esistenza decente per tutti - il sistema delle relazioni internazionali.
Solo cosi', mettendo al servizio di questo disegno le enormi potenzialità economiche e tecnologiche della civiltà post-industriale, sarà possibile proporre istanze di legalità e di ordine internazionale senza che cio' appaia un'operazione a vantaggio dei ricchi e dei potenti.
Si dovrà e potrà, in questo quadro e in nome dei diritti umani, in nome della promozione insieme dello sviluppo economico e dei diritti umani fondamentali, sfidare le tante dittature che nel Terzo Mondo, al riparo dei principi di non ingerenza, sovranità e indipendenza nazionale, massacrano i diritti dei loro sudditi.
La salvezza, per tutti, è nel far trionfare il principio che i diritti della persona valgono per tutti e vanno difesi ugualmente e comunque. Ed è evidente quale debba essere il ruolo decisivo, per affermare una linea come questa, dei paesi di nuova e nascente democrazia dell'Europa Centrale e Orientale.
Coloro che sanno che cosa significhi essere abbandonati alla dittatura in nome della non ingerenza sono quelli che oggi hanno la possibilità di guidare la battaglia per affermare gli uguali diritti di tutti.
Questi sono l'oggetto e la proposta di lavoro comune che, per la pace e per una tutela sovranazionale dei diritti di tutti, sento di dovervi rivolgere a nome del Partito radicale transnazionale.