Relazione di Sergio D'Elia al III^ Congresso italiano del Partito Radicale - Roma 14-17 febbraio 1991
SOMMARIO: Nella relazione l'autore richiama le attività del Partito radicale nel 1990 in Italia sul fronte del carcere e la necessità di affrontare la questione dell'ergastolo e del voto ai detenuti; aderisce alla proposta degli abolizionisti di depenalizzare i comportamenti che non costituiscano un torto reale per il gruppo sociale e di togliere allo stato il ruolo di interposizione tra la vittima e l'autore del reato; descrive il carcere come luogo possibile della regola per i detenuti che sanno convertire in speranza e in forza quello che del carcere può nutrire solo disperazione.
Sul fronte della giustizia, del diritto e dei diritti dei detenuti, il Partito radicale, nel 1990, in Italia, ad attività e strutture praticamente azzerate, ha voluto comunque assicurare ed organizzare una difesa: dall'indulto alla legge Gozzini, il Partito Radicale ha dato voce, ha nutrito le speranze, ha fatto sentire le ragioni dei detenuti, che per questo, in molti, coi loro famigliari, si sono iscritti.
Dall'organizzazione dell'invio di telegrammi al Presidente del Senato, quando la legge di indulto era stata insabbiata, alle manifestazioni davanti al Senato; dall'esposto-denuncia alla Procura della Repubblica di Roma, inoltrato dalla Fondazione Tortora e dal Partito radicale sulla falsificazione dei dati e dei risultati della legge Gozzini, alla battaglia sugli emendamenti in Parlamento all'organizzazione della lotta nonviolenta - gli scioperi della fame, durissimi, e delle lavorazioni - nelle carceri per la difesa della legge Gozzini; da Radio radicale che ha svolto un ruolo decisivo di informazione e di comunicazione delle lotte e degli obiettivi delle lotte nelle carceri (con una appendice di questa campagna che dobbiamo assicurare che è quella della legalizzazione della FM), alla tribuna politica alla TV di Marco Pannella quasi interamente dedicata alla iniziativa e al dar voce alle ragioni dei detenuti: qualcosa è stato fatto.
E' stato cancellato il congelamento per cinque anni della legge Gozzini; è stata inoltre stabilita la non retroattività delle nuove norme che regolano i termini di pena da espiare per la semilibertà, i permessi, il lavoro all'esterno del carcere. Il nostro obiettivo rimane sempre, comunque, quello della bocciatura del decreto: perchè la legge penitenziaria risulta strutturalmente e definitivamente stravolta: l'innalzamento dei termini per poter d'ora in avanti usufruire delle misure alternative determinano un doppio regime carcerario e disegnano un carcere più cupo e disperante; è poi inaccettabile, pericolosissima, la norma sull'accertamento della pericolosità sociale dei condannati per gravi reati che rischiano di essere esclusi oggettivamente dai benefici, in quanto l'accertamento prevede non tanto - come sarebbe corretto - l'acquisizione di elementi che provino l'esistenza di collegamenti con la criminalità organizzata ma la cessazione di tali collegamenti, che può essere difficile da accertare se non im
possibile proprio in quanto e nel caso tali collegamenti non sussistano.
Il Parlamento il 20 dicembre ha approvato l'indulto: si è rivelato un atto di clemenza come tanti, mentre i detenuti chiedevano un atto riparatore delle disparità provocate dall'entrata in vigore del nuovo codice nei confronti dei condannati col vecchio rito; eppure, molti sono usciti, anche io, e con un certo disagio da parte mia, non solo per lo sconvolgimento di certi ritmi - la riflessione, la elaborazione ed il giusto riposo - che la galera, la quale (se) può essere "regola" e quindi libertà al massimo grado, può assicurare, ma anche un certo disagio per il partito radicale, per lo sconvolgimento del suo indirizzario, chè moltissimi dei 3.000 a cui, all'inizio dell'anno, abbiamo inviato un postel per l'iscrizione risultano scarcerati e non hanno lasciato indirizzo.
Se qualche benpensante (o malpensante), può ritenere che con l'indulto noi abbiamo contribuito a rimettere in circolazione dei criminali, noi potremmo vantare, invece, di aver riconsegnato alla società qualche radicale in più, dei nonviolenti, forse rispettosi della legge, grazie anche all'esempio di quest'anno dato nella lotta nonviolenta delle carceri; oppure potremmo considerare che abbiamo perso degli iscritti per il '91, visto che non riusciamo a raggiungerli per posta.
Quelli che sono rimasti, quelli che per la prima volta si sono iscritti quest'anno - ad oggi, sono 90, ma vi sono anche 6 ex-detenuti, 20 familiari di detenuti, ma anche 130 detenuti che hanno inviato una quota parziale di iscrizione - si iscrivono, certo, per la difesa, ancora, della legge penitenziaria, ma anche per la revisione dei tetti pena, inattuali, l'ergastolo senza speranza, i trentanni che sono fuori dal tempo in una società dell'informazione (mentre in Europa la media dei massimali di pena varia dai 10 ai ventanni); per l'abolizione delle pene accessorie inesistenti in altri paesi se non come sanzioni autonome, come l'interdizione dai pubblici uffici, per il diritto di voto ai detenuti (per dire che se il problema è il carcere come rieducazione, allora è da masochisti negare il diritto di voto, propedeutico, fondamentale per la vita democratica, mentre conquistare alla democrazia i condannati dovrebbe essere un interesse della legge, prima e più di chi l'ha trasgredita ...).
Ma il fatto è che occorre andare avanti, la stessa legge Gozzini, alla luce di altri ordinamenti europei e della dottrina giuridica più avanzata, dell'abolizionismo, mostra già l'urgenza di un superamento: occorre superare quella concezione espiativa, premiale, indulgenziale tipica di un sistema inquisitorio, totalitario che è proprio anche della legge Gozzini: la stessa Costituzione attribuisce al carcere e alla pena una funzione "rieducativa" e "risocializzante" che non riesce ad assolvere: perchè è una funzione paradossale, quella di educare alla libertà attraverso un sistema di obblighi, di veti, di luoghi e misure di privazione della libertà; permane un controsenso che non riesce a superare il carcere quale milieu criminogeno: il carcere rimane la migliore scuola del delitto e i detenuti quelle persone che quando stanno dentro fanno di tutto per uscire e quando sono fuori fanno di tutto per rientrare.
Dobbiamo cominciare ad avere, secondo la dottrina abolizionista, secondo quanto ci dice Marie Andrèe Bertrand, "una visione minimalista della repressione penale, cioè un controllo repressivo che si applichi ai soli comportamenti che costituiscono un reale pericolo sociale e a proposito dei quali gli altri controlli si siano rivelati inefficaci", ripensare radicalmente il carcere e - magari - trasformarlo, letteralmente e semplicemente, in una "maison d'arret", luogo della società dove il cittadino non è detenuto preventivamente e all'infinito, ma fermato, privato della libertà per il più breve tempo possibile e per i reati più gravi.
Per il resto depenalizzare, sottrarre al diritto penale tutti i crimini senza vittime ma anche i delitti che non costituiscono un torto reale al gruppo sociale: vi è la legge penale sulla droga che persegue comportamenti individuali come delitti senza che vi sia la vittima che non sia lo stesso autore del delitto; noi abbiamo ancora nel nostro codice i delitti cosiddetti contro la personalità dello stato, per cui un brigatista armato può essere, per lo stesso fatto, perseguito per detenzione di armi, banda armata, associazione sovversiva, insurrezione armata, finalità di terrorismo.
E' chiaro che leggi non sono il Diritto e che questa proliferazione di leggi penali (fatte da politici e non da tecnici) - non solo quelle d'emergenza ma anche quelle normali su comportamenti che sempre di più sono considerati reato - non fanno nessuna legge, è la legge della giungla che fa vittime non solo tra gli abitanti della giungla e, tra essi, i più deboli, gli emarginati, i più poveri, ma anche fa strage di diritto e rende impossibile l'amministrazione della giustizia.
Ma dobbiamo immaginare una soluzione più radicale, una grande riforma nel diritto penale, come è proposta dagli abolizionisti, che è, ad esempio, quella di togliere allo stato questo ruolo di supplenza, di terzietà, di presa a carico di tanti conflitti, di interposizione tra la vittima e l'aggressore presunto: intervento che deresponsabilizza tutti, la vittima, l'aggressore, lo stato stesso; quindi conviene ritornare - come dice Marie Andrèe Bertrand - a soluzioni più conviviali, più solidali, più comunitarie a proposito dei conflitti di varia natura: riparazioni, restrizioni, risarcimenti, attività di pubblica utilità (nel caso di un interesse pubblico direttamente toccato), si rivelano convenienti a livello delle risorse dello stato e degli individui, confortanti per le parti che non si sentono più estranee nelle trattative di propri affari.
Intanto, dobbiamo, possiamo immaginare o prendere atto del carcere, come luogo possibile della regola, anche per coloro che sono detenuti e si sono iscritti al Partito radicale e che in carcere si iscrivono anche perchè hanno saputo crescere, quindi mutare, perchè sanno convertire - poche persone lo sanno fare - in speranza e in forza quello che del carcere invece potrebbe nutrire solo disperazione. Come Concutelli e Andraous, anche quest'anno iscritti al PR, che del carcere hanno conosciuto forse il momento più cupo e disperante: i cosiddetti braccetti della morte.
Concutelli in una lettera a Marco Pannella così spiega le ragioni dell'adesione al Pr: "Una scelta nonviolenta, specie in chi, come me, ha praticato e propugnato la lotta armata, deve, per essere consapevole e definitiva, venir maturata nel tempo e nel dolore: l'agire, necessariamente lento, dei due fattori di cui sopra, nonchè una sorta di fobia-pudore, generata dai negativi trascorsi, verso quanto di "corporativo" temevo, a torto, potesse individuarsi in una adesione dettata dalle contingenze pressanti e anguste, mi ha impedito di iscrivermi al partito, nonostante il giovamento e la riflessione indotti dai frequenti incontri con compagni assidui sul fronte carcerario...".
L'iscrizione di Concutelli ha suscitato scandalo, anche nel partito, alcuni hanno scritto che se c'era Concutelli, allora no, loro non potevano starci. Io credo che la iscrizione di Concutelli, proprio in quanto è di Concutelli, il capo militare di Ordine Nuovo, l'assassino di Occorsio, ha tanto più valore, il suo ritorno alla democrazia, alla nonviolenza sono una conquista tanto più grande in quanto si tratta di Concutelli: se no, di chi dovremmo occuparci, se non di quelli come lui, chi dovremmo convincere, conquistare: dove sarebbe la difficoltà, se no? sarebbe semplice per quelli già acquisiti! Ma, forse, è vero, non dovremmo occuparci di Concutelli, comunicare la sua iscrizione come un successo del Partito radicale e della democrazia, dovremmo occuparci di quelli considerati comunemente già acquisiti, democratici come Forlani, Craxi, Spadolini... e conquistarli alla democrazia.
Già nella sua scelta di iscriversi al Partito radicale, in quanto sufficientemente pubblica e personalmente motivata, forse possiamo considerare un certo "successo", nel senso proprio di ciò che è già avvenuto, conquistato. Con l'iscrizione al Partito radicale, Concutelli non approda ma parte da una sponda che è luogo di democrazia, tolleranza e nonviolenza, stato di diritto e amore per la legalità.
E ancora, Vincenzo Andraous: "La mia scelta di nonviolenza scaturisce da riflessioni e da continui confronti con me stesso e con l'interlocutore, che accetta di farlo con onestà, ho ritrovato molto di me, anche grazie al Partito radicale, in ciò che egli porta avanti, nella sua debolezza... la sua grande forza". Questo è ora Vincenzo Andraous, ergastolano, assassino pure lui, ora scrive poesie, ne ha inviata una al congresso.
Così Andraous, Concutelli, ma ci sono anche Sergio Segio, Alberto Franceschini, e tutti coloro, iscritti al Partito radicale per i quali il passaggio dalla violenza alla nonviolenza non ha significato assolutamente il passaggio all'indifferenza o il ripiegamento nel privato o in valori privati, ma bensì, nella più viva e piena continuità con la parte nobile e migliore del proprio passato, che è l'onestà, l'integrità delle proprie opzioni politiche e personali, l'espressione di una rinnovata onestà, integrità, moralità e creatività politiche; con loro, ma anche per i condannati all'ergastolo o a lunghe pene, ma anche per gli altri, io credo noi dobbiamo immaginare il carcere e il loro essere detenuti, come luogo e soggetti possibili della "regola", potendo il carcere offrire il massimo di libertà e di socialità - a noi, liberi cittadini, sconosciute! - se quel tempo e quello spazio vengono convertiti, "regolati" dalla riflessione, dalla elaborazione, col metodo del lavoro comune, nella disciplina di sè, nella
speranza, nella consapevolezza, nella responsabilità di "essere parte", Partito radicale, parte di una "società per azioni" - democratiche, nonviolente, a difesa del diritto e della vita.
Considero la libertà - autentica! - e l'esempio che loro possono offrire a noi, con il loro essere, in carcere, grazie ad esso, Partito radicale, partito della regola, che ha il suo "ordine", e quindi la sua "regola", che solo il carcere, come potrebbe essere il convento, può offrire.