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Calderisi Giuseppe - 31 marzo 1991
1991. REFERENDUM?
di Giuseppe Calderisi

SOMMARIO: La sentenza della Corte Costituzionale non chiude affatto la questione di un sistema elettorale maggioritario e uninominale. E' anzi una battaglia che può essere rilanciata subito.

(Pubblicazione dell'ARCOD - Associazione radicale per la Costituente democratica - 31 marzo 1991)

La sciagurata sentenza della Corte Costituzionale ha bloccato il referendum sulla legge elettorale del Senato, che chiedeva di passare dalla proporzionale al sistema maggioritario e uninominale, e quello relativo alla legge elettorale comunale per l'estensione del sistema maggioritario a tutti i Comuni. Fino allo scoppio del conflitto nel Golfo, l'unica cieca preoccupazione della classe politica è stata quella di spazzare via questi referendum. E' stata così fatta fuori una grande occasione per riformare il sistema politico e dei partiti, una grande occasione per fornire uno sbocco democratico alla crescente disaffezione e rivolta antipartitocratica. Mentre una Babele politico-istituzionale segna la crisi della Repubblica, la prossima stagione politica rischia così di essere caratterizzata da uno scontro, molto pericoloso per la democrazia, tra la protesta impotente delle leghe, da una parte, e la sordità di un sistema politico logorato, dall'altra.

Senza la spinta dello strumento referendario, infatti, appare evidente l'incapacità dei partiti di autoriformarsi varando una autentica riforma elettorale, maggioritaria e uninominale. Anzi, c'è addirittura il rischio di una controriforma, stimolata dall'unico referendum residuo relativo alle preferenze.

Al riguardo occorre aprire una parentesi. Innanzitutto ricordiamo che radicali e laici che avevano copromosso gli altri due quesiti, si dissociarono da questa iniziativa referendaria, cercando invano di dissuadere gli altri promotori dal metterla in campo. Infatti il quesito sulle preferenze è assolutamente marginale rispetto alle esigenze di riforma elettorale (non tocca il meccanismo proporzionale) e, proprio per questo, ha costituito - come era stato facile prevedere - una comoda "scialuppa di salvataggio" per la Corte Costituzionale. Ma questo referendum è anche contraddittorio nei suoi effetti e quindi demagogico. Vuole combattere le degenerazioni correntizie, ma ha anche effetti controproducenti perchè facilita i "capilista" imposti dalle segreterie di partito e i candidati supportati da potentati economici e da grandi mass-media. Esso comporta una forte aumento delle spese elettorali e favorisce proprio coloro che si sono mossi in maggiore autonomia nei confronti dei rispettivi apparati partitocrat

ici (come gli stessi promotori dell'iniziativa referendaria). Insomma un referendum che, da solo, non potrebbe mai dar luogo ad uno scontro tra chi vuole una effettiva riforma elettorale e chi non la vuole.

Ma c'è di più. Come dicevamo, questo referendum sulle preferenze rischia di essere la culla di una bruttissima controriformetta o addirittura di spingere verso le elezioni anticipate. Nell'ambito della cosiddetta "verifica" si è a lungo parlato di una leggina volta ad impedire la consultazione attraverso un artificioso meccanismo: raddoppio del numero di collegi (con la conseguente introduzione di una soglia), capolista bloccato più una preferenza, lista nazionale bloccata decisa dalle segreterie di partito. Insomma una modifica che non solo non riformerebbe alcunchè, ma che accrescerebbe addirittura lo strapotere partitocratico.

Dopo l'approvazione da parte della Camera dell'emendamento Biondi-Negri per la riduzione a due delle preferenze (che potrebbe costituire una soluzione politica, se non giuridica, del referendum), il PSI ha invece lanciato la proposta di rinviare di un anno la consultazione referendaria abbinandola alle elezioni politiche del 1992. Un rinvio che costituirebbe un precedente inaccettabile e comporterebbe una modifica gravissima della stessa legge sul referendum: verrebbero infatti abbinate alle successive elezioni politiche anche i referendum promossi quattro o tre anni prima, e verrebbe confermato il divieto di avanzare richieste referendarie l'anno prima del termine della legislatura.

Difronte alla pericolosità di questo referendum - qualora non venga perseguita fino in fondo la strada delle due preferenze - la soluzione meno dannosa è proprio quella di far tenere la consultazione referendaria, per quanto poco appassionante, lasciando alla maturità degli elettori di stabilirne la sorte.

Chiarito tutto questo, rimane da capire come continuare a portare avanti la battaglia per la riforma elettorale maggioritaria e uninominale. Si tratta di una questione essenziale per la riforma della politica, un binario che deve correre parallelo a quello dell'iniziativa per la costituente del Partito Democratico.

Non si può non constatare che il tema della riforma elettorale, già da molti anni sul tappeto, ha fatto un salto enorme ed è entrato nell'agenda politica solo quando è stato portato avanti attraverso uno strumento forte come il referendum. E se la Corte Costituzionale ha bocciato i quesiti veramente significativi, ha però dovuto riconoscere la possibilità di referendum in materia elettorale, tracciandone in qualche modo il sentiero. Per quanto difficile e faticosa, va allora considerata nuovamente la strada del referendum, in particolare per quanto riguarda la legge elettorale del Senato. Occorre saperne creare le condizioni politiche e tecnico-giuridiche. Innanzitutto va evitato che si ripetano strumentalizzazioni - come quelle accadute nella passata campagna di raccolta delle firme - da parte di quanti aderivano ai referendum ma perseguivano, in realtà, obiettivi ben diversi da quelli dei quesiti, volendo giocare i referendum su un terreno di contrattazione tutto interno alla partitocrazia.

E' necessario portare con determinazione la battaglia nel Paese, valorizzando la semplicità e la forza del sistema maggioritario e uninominale all'anglosassone, e mettendo in risalto le contraddizioni delle stesse leghe, contrarie ad una riforma elettorale che semplifichi e riduca, tendenzialmente a due partiti, il sistema politico.

Il sistema elettorale che scaturisce dal referendum sul Senato - un sistema per 3/4 uninominale all'anglosassone e per 1/4 proporzionale - corrisponde proprio al sistema proposto da Dahrendorf e dalla Hansard School di Londra. Un fatto che va sottolineato e portato con forza nel dibattito politico.

La riproposizione dello strumento referendario per la riforma elettorale va poi abbinato ad una equilibrata disponibilità al dialogo e al confronto verso la proposta di elezione diretta del Capo dello Stato o del Premier, come già si iniziò a fare, del resto, ai tempi della Lega per l'uninominale nel 1986-1987. Con una condizione molto ferma e precisa: essa può essere realizzata solo se abbinata ad una riforma elettorale maggioritaria e uninominale; mai, invece, mantenendo il sistema proporzionale, perchè così si riprodurrebbe, pericolosamente, il sistema della Repubblica di Weimar. Chiedere di mantenere la proporzionale - come fa il PSI per continuare a godere la conseguente rendita di posizione - significa in realtà o non volere alcuna riforma o percorrere strade inaccettabili.

L'esperienza referendaria, anche se falcidiata dalla Corte Costituzionale, è stata comunque molto importante per la vasta aggregazione di forze, associazioni e persone di ogni orizzonte politico e culturale che ha saputo creare. Occorre però un salto di qualità affinchè si trasformi in un vero e proprio Movimento per la riforma.

Non bisogna perdersi nè nel referendum residuo sulle preferenze, nè nella richiesta di un dibattito parlamentare che, senza la forza politica assicurata dai referendum, rischierebbe solo di portare ad una controriforma. Occorre invece agire nel Paese sulla base dei contenuti dei quesiti bloccati dalla Corte, pronti a considerare nuovamente la strada del referendum. Una strada che, se non interverranno le elezioni anticipate, può essere intrapresa molto prima di quanto si creda. Infatti la legge sul referendum esclude il deposito delle richieste di referendum nell'anno solare che precede quello della scadenza naturale della legislatura. Ma lo consente nello stesso anno, purchè prima della convocazione dei comizi elettorali. Questo significa che le firme potrebbero essere raccolte nel periodo autunnale di quest'anno e depositate ai primi di gennaio del 1992 (affinchè i referendum si tengano nel 1993). Un'ipotesi - ribadiamo - difficile e faticosa, che va attentamente valutata. Certamente essa consentirebbe di

porre come tema dominante delle elezioni politiche del 1992 non una generica esigenza di riforma elettorale, ma una proposta ben precisa e forte di riforma del sistema politico e dei partiti.

Peppino Calderisi

 
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