Secondo tempo della Repubblicadi Roberto Di Giovan Paolo
SOMMARIO: Pannella si dice d'accordo con la "Discussione" che intende privilegiare una riflessione sul "secondo tempo della Repubblica", piuttosto che sulla "seconda Repubblica": e tuttavia ritiene che il vero problema (comunque, il "suo" problema) è quello di una repubblica divenuta, molto presto, "altra" da quella prevista dalla Costituzione. C'è dunque, semmai, "da conquistare la prima repubblica italiana". Valeva la pena, prosegue l'intervistatore, tutto il lavoro - o meglio il parlare -che si è fatto in dieci anni, di riforme costituzionali? Secondo Pannella, il vero problema del paese è quello di "rispettare le leggi", è cioé il problema dello "Stato di diritto", lo Stato della storia socialista-liberale, dell'antifascismo liberale...Per quanto riguarda la riforma delle leggi elettorali, dopo aver ricordato come negli anni '60 a Randolfo Pacciardi fosse impedito in pratica di esporre pubblicamente il suo progetto che era, in fondo, per la elezione "uninominale" del capo dello Stato, difende l'uninomina
le anche per il parlamento. Sostiene quindi la necessità di una organizzazione transnazionale dei partiti a livello europeo e respinge le tesi della sociologia cattolica sulla contrapposizione di "società civile" e "Stato". Alla domanda sul rapporto tra le segreterie dei partiti e l'uninominale, sostiene che il primo risultato di questo sistema sarebbe di costringere i partiti a non candidare più i loro funzionari, i "culi di piombo".
(LA DISCUSSIONE, 18 maggio 1991)
(Marco Pannella "La vera riforma è rispettare le leggi".
Costituzionali. Senza un nuovo sistema elettorale "è più facile che eleggano Pippo Baudo che Martinazzoli")
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"La Discussione" ha scelto di privilegiare una riflessione "sul secondo tempo della Repubblica" piuttosto che sulla "seconda Repubblica". E' una scelta di campo precisa. Che ne pensa?"
Mi pare anche più umile e più serio, invece di fare i millenaristi, e dire che è finita la prima repubblica e ora comincia la seconda... D'altronde è una solfa che sentiamo da tempo e in genere la ripetono le rane quando vogliono diventare buoi e poi scoppiano. Mi pare che sia molto positivo questo modo di affrontare la cosa da parte vostra, perché in genere quelli che adesso parlano di seconda Repubblica sono quelli che non stati all'altezza nemmeno della prima. Per quel che mi riguarda direi che il problema non è quello della prima o seconda repubblica, della prima o della seconda fase della repubblica, il mio problema è quello di una repubblica italiana che molto presto è divenuta sempre "altra" da quella prevista dalla Costituzione, e quindi per me, semmai, c'è da conquistare per davvero la prima repubblica costituzionale italiana.
"Sono dieci anni circa che si parla di riforme, c'è stata la Commissione Bozzi, c'è stata molta buona volontà all'inizio: la "grande riforma", i patti costituzionali, l'ingegneria costituzionale; c'è stato anche qualche "martire", per noi vale ricordare Ruffilli; ne valeva la pena? Soprattutto ora che siamo in una fase che più che costituente sembra elettorale?"
Intanto vorrei partire da un dato preciso, per esempio l'"arco costituzionale", che è stato a lungo sugli altari: chi era fuori era barbaro, straniero, traditore, delinquente. Noi ci abbiamo sempre tenuto a dire che non ne facevamo parte. Quando dico noi, intendo quella storia dell'antifascismo liberale, liberal-socialista, socialista-liberale, l'antifascismo degli Ernesto Rossi, degli Spinelli, dei Salvemini e io mi permetto di dire degli Sturzo, cioè di quegli Sturzo che erano contro il Concordato e che sono stati esuli anche dal mondo politico cattolico per quindici o vent'anni, come Ferrari ed altri. In realtà la vera e grande riforma che non si ottiene con un decreto è quella di rispettare la legge. Noi siamo passati dal rispetto della legalità fascista, cioè di una legalità feroce ma che era legalità, ad una democrazia che in realtà è una partitocrazia nella quale la caratteristica principale è il non rispetto delle leggi. Tanto è vero che si è parlato delle leggi scritte, poi delle leggi materiali e q
ueste leggi e Costituzione materiale, in realtà poi sono sempre state violate anch'esse. Quindi il problema per noi è quello dello stato di diritto e se lo stato di diritto viene o non viene dopo la partitocrazia. Sono più vicino a voi, che con umiltà dite una "seconda fase" della repubblica, che a coloro i quali vogliono riformare delle leggi che per ideologia, proprio loro poi non rispettano.
"Voi siete stati tra i primi, insieme ad altre forze politiche, a porre la questione del cambiamento della legge elettorale, che è una legge ordinaria. Non sarà che ci sono, più che problemi istituzionali, problemi politici? Negli altri paesi quando si cambia la legge elettorale c'è anche un ragionamento politico sul futuro, vuoi in senso autoritario, vedi De Gaulle, ma potrebbe essere anche in altro senso. Pensi che ci siano ancore le condizioni perché sulle leggi elettorali si arrivi a fare un ragionamento in cui nessuno si senta di essere escluso?"
Io vorrei ricordare questo, pur essendo su posizioni politiche di congiuntura opposte: quando si criminalizzò Piccardi con il fascismo della partitocrazia, era forse l'inizio degli anni Sessanta, Pacciardi non ebbe diritto a un solo secondo di televisione. Pacciardi era il Pacciardi della guerra di Spagna, il Pacciardi della resistenza, il Pacciardi della repubblica, il Pacciardi antifascista, il Pacciardi ministro della difesa, americano, eletto poi dagli anarchici di Carrara magari, ebbene noi immediatamente manifestammo davanti al Parlamento e andammo a fare una mezza occupazione della Rai perché ritenevamo che Pacciardi dovesse esprimersi. Io dissi che la differenza tra noi Partito radicale - eravamo cento iscritti - e Pacciardi, era che noi volevamo l'elezione dei deputati, dei senatori, dei sindaci e del presidente della Repubblica e del Consiglio col sistema uninominale secco, mentre Pacciardi voleva solo, in quel momento, la elezione del Presidente della Repubblica con quel sistema.
Quindi era la richiesta dall'inizio degli anni Sessanta, di un gruppo politico quantitativamente piccolo, però non dimentichiamo che già in quegli anni noi organizzavamo la lega per il divorzio, la lega per l'obiezione di coscienza e dopo tre o quattro anni sarebbero divenuto leggi. Eravamo soli come cani a livello organizzativo.
I comunisti mi accusavano di essere uno sporco anticomunista, e io dicevo: "che anticomunista sono se voglio l'uninominale? Voi e la Dc non dovreste essere quelli che lo temono di più!". In realtà erano quelli che la temevano di più, perché se era ed è indubbio che l'uninominale dovrebbe vedere una forte presenza di eletti di estrazione storica democristiana o di estrazione comunista però questo metodo manda all'aria i partiti completamente, ci capovolge; l'eletto, è lui che rappresenta il partito, è lui che governa il partito, all'anglosassone, non gli apparati. Ecco perché dico che il problema della riforma elettorale noi l'abbiamo posto in questi termini. Poi magari tutti ci girano attorno, come quelli che ci dicono, per esempio, che va bene l'uninominale ma se è a due turni "alla francese": ma così è peggio della proporzionale. Perché l'uninominale a due turni, "alla francese", in realtà consente anche la proliferazione di più partiti: "sensali", che fra un turno e l'altro finiscono poi per sopravvivere.
E difatti la Francia è piena di partiti e ci sono le coalizioni.
"Così richiama un altro problema però, che è quello dell'autoriforma dei partiti..."
All'autoriforma non ci credo. Noi siamo un partito che si autoriforma continuamente, ma perché? Noi che avevamo detto che nascevano per superarci e confluire in altri, nella nostra visione anglosassone, avevamo duemila iscritti, perché? Perché avevamo detto che il Partito radicale non si presentava alle elezioni comunali, e in Italia i comuni sono 8 mila, bene o male avremmo avuto uno o due dappertutto, quindi avremmo avuto almeno dieci iscritti in ogni comune nella speranza di fare i consiglieri, ecco gli 80 e i 100 mila iscritti. Invece abbiamo detto no perché volevamo serbare la capacità dell'autoriforma.
Non è un caso che noi possiamo parlare di riforma dello Stato, perché abbiamo sempre riformato noi stessi, e oggi con la riforma del nostro partito nel senso transnazionale e transpartitico anticipiamo di dieci o vent'anni quello che fatalmente dovranno fare anche gli altri, perché i partiti nazionali perderanno sempre di più ragione nell'Europa unita, se ci sarà, e i partiti saranno di grosso radicamento regionale, territoriale, locale o, quanto meno, europeo.
"Ma lei immagina davvero un segretario della Dc o del Pds che decide di essere transnazionale?"
Io ritengo che più si è forti più queste cose di possono osare. La verità è che spesso si è grossi e non grandi. Se questi partiti fossero grandi, oltre che grossi, l'avrebbero realizzata molto prima di noi questa riforma. Quello che voglio dire è che c'è un rischio dell'irenismo in politica come nella religione. Si vuole la rinascita morale riformando le leggi di Cesare. Io questa sciocchezza non l'ho mai fatta, sono sempre stato un anti-irenista, per questo sono contro le teologie e le ideologie della liberazione e della violenza, perché presumo un certo irenismo di fondo: possibile che Cesare sia garanzia per Dio o per la coscienza o per le cose sacre? Questa per me è una vera bestemmia.
Se noi ci muoviamo nel campo di Cesare, questa è la lezione di religiosità laica che credo noi abbiamo dato a noi stessi e pratichiamo, è una bestemmia attendere o volere che Cesare con le sue spade e con i suoi carabinieri garantisca che le nostre coscienze non ci facciano peccare, in un modo o nell'altro, grazie alla forza della legge.
Noi diciamo, da politici seri e responsabili, che per le leggi elettorali basta essere nemmeno il 51 per cento del Parlamento ma il 51 per cento dei votanti. Gli uomini di rinnovamento, in genere, sono quelli che hanno dietro un grosso background di tradizione e la tradizione anglosassone è l'unica che non ha prodotto mostri; ha prodotto crimini come ognuno di noi può produrne, ma mentre la tradizione proporzionalistica continentale europea ha prodotto i fascismi, i nazismi, i comunismi, la partitocrazia, lì è indubbio che da secoli la democrazia anglosassone - piena com'è la vita di ciascuno di noi di difetti, di crimini, di errori - non ha prodotto però questi mostri storici.
Io credo che l'umiltà dovrebbe farci dire che i veri rinnovatori sono quelli che sanno scegliere la solidità di quello che la tradizione ti consegna di più forte.
"Quali sono le prospettive che lei vede concretamente per le riforme istituzionali nei prossimi mesi?"
Ancora una volta vedo l'epoca della predicazione e i radicali sanno bene che le predicazioni vere si fanno "in partibus infidelium"... Nella scuola liberal-socialista, socialista-liberale, laica, nostra, il problema di paese reale e paese legale e di società civile e di Stato per noi è una bestemmia che ci viene dalla cultura del mondo cattolico italiano - non dal cattolicesimo - e del mondo socialista italiano. Perché la concezione dello Stato e una concezione del diritto, non tedesca ma piuttosto anglosassone, cioè la democrazia come procedura, non tollerano questa contrapposizione scema o fessa, che però dilaga. Non è che con i referendum si sia espressa la società civile... no, con i referendum si è espresso il popolo.
"Ma questa parte della società civile che avrebbe piacere al cambiamento, che vuole rappresentare i suoi interessi, e quella parte della politica che lo vuole fare, che speranze hanno...?"
Prima che Segni commettesse un errore storico, che adesso poi è superato, noi avevamo la maggioranza assoluta dei parlamentari italiani che aveva aderito alla lega per l'uninominale secca anglosassone che abbiamo costituito cinque anni fa; purtroppo nell'87 c'è stata una scissione, a favore dei due turni - procedura che io aborro peggio dell'attuale sistema - e per due anni siamo stati lontani; poi grazie al referendum ci siamo riunificati perché come è noto il referendum sul Senato era per il sistema a un turno anglosassone, corretto per un quarto con la proporzionale pura. Naturalmente la Corte costituzionale, che è una corte partitocratica che difende gli interessi di congiuntura da sempre e che non ha giudicato la costituzionalità dei referendum - l'ha detto lei stessa, che erano poco chiari, poco univoci, tutte cose che non riguardano la Costituzione, al massimo riguardavano la Corte di cassazione, ma questa è una veccia storia - l'ha "fatto fuori".
Il vero guaio è che la partitocrazia, come la dittatura, non consente di conoscere al popolo. La partitocrazia è una cosa che è venuta dopo la dittatura, ed è al suo posto: ha sofisticato l'informazione, mentre la dittatura, in modo massiccio, la negava. Quindi certo, se tu pensi che noi siamo per l'uninominale da vent'anni e non sono riuscito a vedere un solo dibattito nella televisione italiana sull'uninominale, questo succede solo con il fascismo e con la partitocrazia.
"Ma con l'uninominale non c'è troppo controllo nella scelta dei candidati? Come scioglierebbe il problema, per esempio, dell'influenza delle segreterie?"
Anche qui il discorso è ben lungo perché una cosa è in Inghilterra, un'altra cosa in America, un'altra cosa in Canada; ognuno ha il suo specifico, ma la prima garanzia è questa: è che le segreterie di partito non potrebbero mai permettersi di candidare dei burocrati, dei "culi di piombo" di partito, della gente impopolare come adesso... per questo io sono contro quell'altro referendum, nel senso che per me più riduci le preferenze e più aumenti la forza dei segretari di partito. Non è un caso che vogliono abolire le preferenze; se dipendesse dai segretari di partito - tutti, dal liberale al Pds - accetterebbero perché il segretario di partito stabilisce le liste... Nell'uninominale non si può permettere questo lusso; il rischio dell'uninominale è il nobilitato; è la persona che diventa forte nel proprio sistema un po' patriarcale o tribale, ma se tu pensi che in Italia noi abbiamo fra le 800 mila e le 950 mila persone che dipendono dal partito... tutto questo salterebbe via, bisognerebbe riconvertirlo, bisog
nerebbe farli assumere in quote speciali come gli invalidi dai ministeri.
Comunque il nostro punto sistematico c'è: nelle grandi città vorremmo l'elezione dei sindaci e dei consiglieri comunali con il metodo uninominale, in modo che ognuno... si presenti per quello che è, niente più liste; nei piccoli centri al di sotto dei 50 mila o sotto i centomila, l'elezione diretta del sindaco; uninominale per senatori, deputati; e poi siamo bicameralisti anche se si potrebbe avere il Senato come il senato americano, il senato delle regioni; e poi ancora è elezione del Presidente della Repubblica o del Consiglio - questo dipende dall'assetto che avremo - ma la cosa importante è però il sistema elettorale sennò viene eletto Pippo Baudo e non Martinazzoli.