SOMMARIO: Nella sua relazione al Consiglio dell'ARCOD, Massimo Teodori ripercorre le tappe che hanno portato alla costituzione dell'Associazione Radicale per la Costituente Democratica e per la riforma della politica. La costruzione di un progetto comune tra Arcod, Forum, Indipendenti, Liberali per l'alternativa e Sinistra dei club.
(CONSIGLIO ARCOD del 20 LUGLIO 1991)
Quando abbiamo dato vita alla nostra associazione radicale, dapprima con il documento "Per la costituente democratica" presentato al congresso italiano del Partito Radicale del febbraio 1991, e poi con il congresso costitutivo dell'ARCOD del 20 aprile siamo partiti da alcuni presupposti. Primo, che questa è la stagione in cui è arrivato al pettine il nodo della riforma politica, in cui cioè la crisi del sistema politico-istituzionale è giunta al punto di rottura senza che sia dato conoscerne gli sbocchi. Secondo, che sia i comunisti che i socialisti ed anche i laici sono stati incapaci di autoriforma. Terzo, che per determinare la riforma è necessario un nuovo protagonista democratico senza il quale si corre il rischio di controriforma, cioè di involuzione del sistema. Quarto, che l'intervento dei radicali è necessario ed indispensabile in questo quadro e che, per avere una qualche efficacia, deve trattarsi di un intervento organizzato. L'ARCOD è sorta su tali basi tentando di individuare interlocutori, di p
recisare obiettivi concreti, di delineare percorsi ed apprestare strumenti.
In pochi mesi il cammino che abbiamo compiuto è stato assai intenso. Il 15 febbraio presentavamo il documento "Per una Costituente Democratica" al congresso radicale che raccoglieva molte centinaia di firme; il 16 marzo abbiamo tenuto una assemblea a Roma in cui si ponevano le basi per la struttura associativa; il 20 aprile si teneva il congresso costitutivo dell'ARCOD che diveniva un luogo di autorevolissimi interventi, Claudio Martelli, Giorgio Napolitano, Rino Formica e Marco Pannella, con il confronto nella nostra sede delle grandi questioni di riforma istituzionale ed elettorale. Il 28 maggio si teneva al residence di Ripetta di Roma il convegno "Per una Costituente Democratica", promosso formalmente dalla nostra associazione, insieme con il Forum dei Democratici di Alfredo Biondi e Severo Giannini, la Sinistra dei club di Toni Muzi Falconi e Paolo D'Anselmi, il Club Liberale per l'alternativa di Antonio Baslini, Raffaello Morelli e Giuseppe Benedetto, e gli Indipendenti per la riforma di Ada Becchi e
Sergio De Julio: un convegno di grande spessore con una qualificatissima partecipazione, anche nella tavola rotonda finale con Martinazzoli, Biondi, D'Alema e Pannella. Proprio da quell'incontro emergevano nuove convergenze e divergenze politiche sulle questioni cruciali delle riforme istituzionali ed elettorali. Alcune settimane dopo, in un seminario dei cinque gruppi, noi radicali dell'ARCOD potevamo mettere a punto una puntuale piattaforma riformatrice istituzionale ed elettorale su cui proseguire insieme ad un raggruppamento più omogeneo e più vasto di quello originariamente ipotizzato.
Con un intenso lavoro di proiezione e ricerca esterna ai cinque gruppi promotori, alla fine di giugno potevamo pubblicare il manifesto intitolato "Oltre il referendum, dinanzi alla crisi dello Stato e delle istituzioni, un appello dei democratici per la riforma della politica", sottoscritto da alcune centinaia di personalità tra cui un autentico gotha, inedito in tale misura, di esponenti democratici e liberaldemocratici, da Ernesto Galli della Loggia a Marcello Pera, da Giorgio Bocca a Mario Pirani, da Nicola Matteucci a Geno Pampaloni, da Massimo Severo Giannini ad Angelo Panebianco, da Gianfranco Pasquino a Giacomo Marramao. Purtroppo l'appello, come del resto il convegno di Ripetta, cadeva durante lo sciopero dei giornalisti e in coincidenza con la macroesternazione del Presidente della Repubblica, per cui era drasticamente ridotta la visibilità sulla stampa ma non per questo ne era declassato il valore che resta tuttora di grande potenziale per un eventuale opportuno uso in future iniziative.
Tutte queste iniziative nel giro relativamente breve di pochi mesi, hanno puntualmente corrisposto agli orientamenti politici ed ai deliberati assunti nel nostro congresso del 20 aprile realizzando così sul terreno concreto dell'associazione politica, di specifiche iniziative e di azioni mirate le decisioni che, in tal senso, non sono rimaste vuote parole e retoriche enunciazioni. Quello che mi preme sottolineare è come l'ARCOD in questi mesi non sia stata utilizzata come una sigla per una qualche ragione politicistica, ma al contrario abbia prodotto per così dire, politica facendo corrispondere alle volontà dichiarate la puntuale realizzazione. E' perciò che, probabilmente il peso politico di quel che, da soli o in combinazioni con altri gruppi abbiamo realizzato, è di gran lunga maggiore dell'eco che se ne è avuto e della visibilità acquisita.
Anche sul piano associativo il bilancio si presenta positivo. Ad oggi risultano circa 400 associati di cui i tre quarti iscritti al PR e l'altro quarto di diversa provenienza. E ciò nonostante che non vi siano state particolari campagne di iscrizione nè una circolazione di informazione attraverso i canali di partito. Sul piano finanziario, l'autofinanziamento di quote e contributi ha raggiunto i 29 milioni circa, tutti già impiegati per iniziative politiche a cui hanno dovuto contribuire altri soggetti.
Il partito Radicale non ha contribuito con una sola lira alle finanze dell'ARCOD ed alle relative iniziative
La responsabilità ed il merito di una tale concreta operosità vanno innanzitutto a Gianfranco Spadaccia, autorevole segretario della nostra associazione che ha consentito di portare a compimento con sicurezza ed equilibrio i nostri programmi, senza tuttavia dimenticare il continuo ed indefesso impegno di Peppino Calderisi, la brillante carica vitale di Giovanni Negri, il sostegno ed il consiglio che mai sono venuti meno di Bruno Zevi e Lorenzo Strik Lievers nonché l'opera per assicurare continuità ed attuazione dei deliberati del tesoriere Christian Rocca.
Che cos'è mutato nella situazione politica in questi mesi e quali sono gli elementi nuovi, in generale e per quel che riguarda gli obiettivi politici dei radicali riformatori quali noi siamo, associati nell'ARCOD?
Il referendum del 9 giugno con il carattere simbolico che è venuto assumendo, e con il clamoroso risultato ottenuto quanto a partecipazione al voto, ha trasformato una vaga sensazione, spesso declamata, in una constatazione empiricamente misurabile: l'essere cioè presente nella pubblica opinione una diffusissima volontà di manifestarsi e di pesare in maniera antipartitocratica indipendentemente dalle occasioni specifiche.
Mi pare che tale risultato del referendum, da una parte, smentisca l'indifferenza talvolta invocata sulla questione della riforma della politica e, dall'altra, confermi che la difficoltà per i riformatori stia tutta nell'individuare gli strumenti attraverso cui aggregare nel consenso un sentimento diffuso. Ancora una volta, come ai tempi del divorzio, il referendum, offrendo una possibilità di aggregazione e di espressione al di fuori dei normali canali elettoral-partitici, si è riproposto come insostituibile leva di riforma in una situazione nella quale tutti i tentativi di autoriforma della politica e dei partiti, se pur siano mai stati tentati, sono falliti.
Del resto in questi travagliati mesi, nonostante le convulse esternazioni presidenziali, è divenuta ormai una costante la pressoché totale incapacità di autoriforma della politica. A lungo abbiamo discusso nelle nostre precedenti riunioni come tutti tentativi di riforma aggregativa e trasformativa tentati dai partiti tradizionali si siano interrotti o abbiano clamorosamente fallito: quello dei socialisti fino al 1987, dei laici nelle elezioni europee e infine quello dei comunisti al momento del cambiamento del nome.
Avevamo sperato e tentato che proprio sulla riforma della politica, in particolare sulle questioni istituzionali ed elettorali potesse in qualche modo instaurarsi un dialogo aperto con il PDS, riaprendo quel processo di costituente democratica che si era interrotto nel momento stesso del congresso di fondazione del partito della quercia. La speranza in una siffatta prospettiva, prima ancora che auspicio era un dovere per chi, come noi, continua a ritenere che la condizione essenziale della riforma della politica è l'instaurarsi di quella democrazia dell'alternanza che, evidentemente ha bisogno della formazione di uno schieramento democratico in grado di fronteggiare quello moderato, attualmente aggregato, bon gré mal gré, intorno alla Democrazia Cristiana. Ma le cose in questi mesi hanno dimostrato l'infondatezza di una tale speranza e la inanità di tali tentativi, almeno nell'ambito del progetto di costituente democratica che avrebbe presupposto la diretta partecipazione del PDS.
Anche il nuovo PDS, nelle sue posizioni ufficiali sulle questioni istituzionali ed elettorali, ripropone e ricalca schemi tradizionali assai lontani dai nostri e, più in generale, non pare avere alcuna concreta volontà di riaprire il processo costituente con forze, gruppi e individui che rappresentino tradizioni politiche e culturali effettivamente diverse e quindi suscettibili di dialogare al di fuori dello schema da "compagni di strada". I rapporti tradizionali tra forze cosiddette socialiste, nell'ambito dei vecchi schemi dell'internazionale socialista, paiono occupare tutto l'orizzonte pidiessino. In tal senso a me pare che l'ipotesi, presente al momento di costituzione dell'ARCOD, di riapertura della costituente democratica con il PDS, sia definitivamente tramontata, almeno nei termini di coinvolgimento diretto del partito già comunista.
Di contro invece le posizioni vigorosamente espresse da Claudio Martelli nel congresso del PSI con la chiara impostazione antipartitocratica e la proposizione di uno schema di riforma facente perno su un sistema elettorale compatibile con il presidenzialismo nell'ambito di un sistema all'americana, ha aperto spiragli di possibile dialogo con i socialisti non sulla base di formule di schieramenti e di alleanze ma sul terreno degli obiettivi che ci sono propri. Certo, non c'è da farsi illusioni: quello di Martelli è un discorso che non coinvolge il PSI ma propone un punto di riferimento che per il momento è, nel PSI, isolato ed anche fortemente contrastato dalla stessa leadership di Craxi oltre che del corpo molle doroteo, d'apparato e di potere, del PSI.
Nel complesso, dunque, i partiti laici e di sinistra non aprono processi di riforma. Ma anche in sede istituzionale la situazione non è meno chiusa. Nonostante gli assalti del presidente della Repubblica ed indipendentemente dalle modalità in cui sono stati portati e del loro travalicamento degli argini costituzionali, riforme istituzionali non si mettono in cammino non solo per quel che riguarda il merito ma anche nell'individuazione delle adeguate procedure di cambiamento. Per quanto poi si riferisce alla trasformazione dei sistemi elettorali, che per noi hanno sempre costituito e costituiscono il punto di attacco al regime consolidatosi attraverso la proporzionalpartitocrazia (riprendendo un termine inventato con grande lucidità di pensiero ben trent'anni or sono da Giuseppe Maranini) l'orizzonte è ancora più oscuro. Tutti partiti, o quasi tutti, sono pronti a pseudoriforme elettorali che, nonostante le diversità dei progetti, hanno tutte il sapore della controriforma. Oggi non sappiamo se e quale di ques
te proposte riuscirà a passare nei prossimi mesi: ma certo è che sia che prevalga la riforma delle circoscrizioni con il collegio unico nazionale della DC, sia che venga introdotta qualche clausola di sbarramento come vuole il PSI, sia che prevalga il pasticcio del PDS, andremo esattamente nella direzione opposta a quella che noi riteniamo indispensabile al fine non di mutare il sistema elettorale in sè ma di usare la leva della legge elettorale per provocare la riforma nei partiti, e del sistema nel suo complesso al fine di favorire la formazione di alcuni grandi schieramenti secondo opzioni politico-ideali.
Ci eravamo dati l'obiettivo di arrivare ad una costituente democratica sulla base di una piattaforma di riforma della politica. Come abbiamo già detto, il dialogo con i partiti non ha proceduto, anzi si può dichiarare chiuso il processo di riapertura della fase costituente del PDS. Si sono invece sviluppati i rapporti, il dialogo, la collaborazione, e l'individuazione di una piattaforma politica di riforma con i quattro gruppi insieme a cui abbiamo organizzato in questi mesi il convegno di Ripetta ed il manifesto appello.
Pur nella fatica quotidiana di un collaborazione tra diversi, il dialogo si è sviluppato. Del resto il dialogo, se vuole essere creativo non può che essere dialogo tra diversi, per provenienza ideale e politica, per base culturale, per metodo di azione. A me pare che abbiamo fatto dei grandi passi avanti, redigendo e sottoscrivendo due documenti politici puntuali, l'uno alla fine del convegno di Ripetta e l'altro che va sotto il nome di manifesto-appello, in cui i cardini della nostra posizione sono stati recepiti e poi rilanciati in nome comune dei cinque gruppi proponenti: Arcod, Forum, Indipendenti, Liberali per l'alternativa e Sinistra dei club. Con questi nostri partners ci siamo trovati d'accordo su alcune questioni essenziali: a) i partiti come centro della crisi; b) la riforma elettorale uninominale-maggioritaria; c) l'apertura al presidenzialismo sotto condizione di accoppiamento con la riforma elettorale; d) necessità di formare un polo politico dei democratici, senza altra aggettivazione.
I nostri interlocutori rappresentano cose diverse l'uno dall'altro. Forum raccoglie prestigiose personalità sopratutto dell'area laica ma non ha dietro un gruppo organizzato. La sinistra dei club è un coordinamento di una ventina di gruppi territoriali di persone che pur gravitando fino ad ora nell'area pidiessina, in parte non sono entrate nel nuovo partito. Rappresentano una piccola realtà organizzata anche se labilmente dato il carattere confederale del coordinamento che fa capo a Toni Muzi Falconi. I liberali per l'alternativa sono piuttosto un parte di una corrente interna al PLI da sempre sensibile all'obiettivo del rassemblement laico per l'alternativa. Dietro la sigla degli Indipendenti per la riforma, infine c'è essenzialmente l'attuale presidente del gruppo degli indipendenti di sinistra alla Camera, Ada Becchi, con alcuni suoi colleghi, in una forma quasi individuale pur se significativa per il ruolo parlamentare che la Becchi ricopre.
Complessivamente si tratta di una realtà molto fragile che ha fatto qualche passo avanti sulla linea della confluenza in un unico progetto politico che proprio in questi giorni è suscettibile di procedere o di disintegrarsi. La questione di fronte all'ARCOD è se andare avanti, date queste premesse, oppure se constatare che non vi sono le condizioni per realizzare un progetto di azione politica in maniera non velleitaria fungendo da polo centripeto. Gli obiettivi comuni dei cinque gruppi sono: a) la creazione di un'unico strumento politico a partire dai cinque gruppi con la denominazione di LEGA dei DEMOCRATICI; b) una nuova promozione dei referendum sulla legge elettorale del senato e sull'elezione maggioritaria dei consigli comunali, riprendendo le proposte già bocciate dalla corte costituzionale insieme eventualmente ad un altro referendum di significato antipartitocratico; c) l'avviamento di un processo di articolazione locale della lega dei democratici con l'auspicata progressiva confluenza dei cinque
gruppi in un'unica struttura associativa.
Si tratta di un progetto ambiziosissimo: ma è anche l'unico che consentirebbe di essere adeguatamente presenti sulla scena influendo sulla riforma della politica tentando di non esserlo in maniera non velleitaria. Noi senza la forza dei partiti, senza la forza dell'opinione organizzata nei mass media, senza il prestigio di leaders carismatici, senza i mezzi finanziari ed organizzativi faremmo solo del bla bla bla riformatore se non tentassimo di percorrere, a partire da quel poco o tanto che rappresentiamo, la strada di dotarci di uno strumento adeguato.
Ognuno di noi è percorso da dubbi sulla possibilità di farcela: di essere cioè capaci di dar corpo a quelle forme organizzate che valutiamo essere il minimo indispensabile.
Per conto mio posso dire che qualsiasi decisione si prenderà, essa non potrà avere come base che la forza dell'ARCOD e la nostra capacità di far crescere e consolidare il nucleo ed il potenziale dei radicali per la riforma che rappresenterebbero il motore principale della LEGA e del relativo progetto referendario. Senza i radicali dell'ARCOD, di quelli che vi sono oggi e di quelli che dovranno essere coinvolti attraverso l'ARCOD, non si può fare affidamento su altri se non come gruppi ed alleanze aggiuntive al nucleo radicale. Che lo si accetti o meno, questa è oggi la reale situazione.
Rivolgo un'invito a questo consiglio affinchè prenda coscienza di questo punto cruciale e dia indicazioni a proposito. Qui non dovremo dare soltanto opinione ma proporre valutazioni ed offrire coinvolgimenti relativi alla nostra possibilità di farcela.
In questa situazione si sono inserite le dimissioni di Gianfranco Spadaccia. Ognuno di voi ha ricevuto la lettera di dimissioni che ora rileggo nella sua integralità. Anche per noi le dimissioni di Gianfranco sono state improvvise ed un colpo duro. Non occorra che qui ripeta come per tutti noi la presenza di Gianfranco è stata - e rimane - indispensabile. Io non voglio dare interpretazioni delle ragioni di queste dimissioni. Non mi occupo e non ci dobbiamo occupare qui delle dimissioni dal consiglio federale del Partito radicale, contenute contestualmente nell'unica lettera che è stata indirizzata anche a me, mentre mi auguro e dobbiamo tutti augurarci che nelle sedi appropriate del Partito, tale atto di certo intrapreso non a cuor leggero, trovi adeguata valutazione senza essere dismesse magari con il silenzio. Quanto a noi ARCOD, posso solo motivatamente affermare che le ragioni soggettive, personali ed interpersonali, a cui Gianfranco fa riferimento, non riguardano ciascuno e tutti quelli che hanno la
vorato insieme nell'ARCOD e nelle iniziative che hanno preso corpo dall'ARCOD. Non credo inoltre che vi siano ragioni politiche di dissenso fra tutti quelli che hanno condotto e realizzato le iniziative della riforma politica nella nostra associazione ed intorno ad essa. Ancora il giorno prima dell'invio delle dimissioni, quando ci erano state preannunziate, Gianfranco ha partecipato ad una riunione per mettere a punti i programmi di lavoro della Lega dei Democratici.
Questo è quanto avevo il dovere di relazionarvi. Certo è che il venir meno dell'impegno di Gianfranco costituisce un ulteriore problema ed un ulteriore elemento di fragilità di tutto il nostro operare. La mia personale opinione è che la maniera migliore per chiedere a Gianfranco di tornare in prima linea con noi qui, su queste lotte, è di andare avanti dimostrando che le ragioni generali, ideali, politiche per le quali ci siamo messi insieme al fine di colmare un vuoto politico radicale, sono più forti di qualsiasi conflitto, per doloroso e drammatico che sia, rispetto alla propria storia ed alla propria coscienza.