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Colombo Gherardo - 14 settembre 1991
(5) Antimafia? ANTIPROIBIZIONISMO!
GHERARDO COLOMBO, magistrato

SOMMARIO: »Stiamo molto attenti a non pensare che il problema 'mafia', che il problema 'criminalità organizzata', si possano risolvere soprattutto attraverso l'intervento del sistema penale, mediante l'intervento della magistratura e, più in generale, delle forze dell'ordine . »In linea di massima si tratta soprattutto di problemi che con l'intervento penale e con la repressione penale hanno molto poco a che vedere. Forse sarebbe più proficuo cercare di parlare con sociologi, con urbanisti, con medici, con esperti di amministrazione e così via . »Si perseguano non soltanto i piccoli spacciatori, ma si perseguono i piccoli detentori di sostanze stupefacenti, tra l'altro con dei costi antieconomici, altissimi per lo Stato ...»Si perseguono queste cose ingolfando completamente ed assolutamente i tribunali, al punto che non possono dedicarsi ad altro e si fa in modo di rendere oggettivamente, non lo so se con intenzione - ma facciamo senza intenzione - estremamente difficoltosa la possibilità di perseguire le co

se grosse .

(»Antiproibizionismo sulla droga e politica criminale contro la mafia dopo l'assassinio di Libero Grassi a Palermo - Atti della sessione speciale del Consiglio generale del Cora, Bologna, 14 settembre 1991)

Devo fare alcune premesse prima di entrare nel vivo della questione economica e della criminalità, premesse brevissime ma necessarie, perché io ho grande paura che si venga trascinati su un terreno estremamente pericoloso.

Questa sensazione abbastanza diffusa che i problemi drammatici che attanagliano la nostra società possano essere, alla fine, risolti attraverso l'intervento dell'apparato repressivo dello Stato, rischia di spostare leggermente tutti gli equilibri e soprattutto tutti i valori. Stiamo molto attenti a non pensare che il problema 'mafia', che il problema 'criminalità organizzata', si possano risolvere soprattutto attraverso l'intervento del sistema penale, mediante l'intervento della magistratura e, più in generale, delle forze dell'ordine. Non è lì che sta la chiave della soluzione perché l'intervento repressivo funziona e può funzionare, con risultati efficaci, solo quando esiste una diffusa normalità ed esistono deviazioni in qualche misura sporadiche. A me sembra che adesso non ci troviamo in questa situazione. Mi pare che esistano due o più ordinamenti sovrapposti, dei quali l'apparato istituzionale non è che uno, che deve misurarsi con questi altri ordinamenti extra o controistituzionali, tra i quali c'è l

a Mafia ma anche altre forme di criminalità organizzata altrettanto pericolose. Tutte le volte in cui si verifica una forte collusione tra queste altre criminalità e la Mafia, oppure tra queste altre criminalità tra di loro, allora si supera il livello di guardia e ci si deve chiedere qual è lo strumento attraverso il quale poter intervenire con una qualche produttività. In linea di massima si tratta soprattutto di problemi che con l'intervento penale e con la repressione penale hanno molto poco a che vedere. Forse sarebbe più proficuo cercare di parlare con sociologi, con urbanisti, con medici, con esperti di amministrazione e così via, perché la soluzione mi sembra che stia prima dell'intervento penale. Bisogna probabilmente cambiare mentalità. E' necessario, forse, andare per una strada che non sia quella che vede come massimi valori il profitto e l'individualità. Mi sembra che si risolva lì la questione, piuttosto che attraverso l'intervento del giudice. Tra l'altro, mettere al centro della possibile sol

uzione dei problemi della criminalità la magistratura, comporta un travisamento, per non dire un cambiamento in negativo, della stessa funzione di garanzia. Diceva Di Lello che dobbiamo prendere atto che la legge Rognoni-La Torre sta fallendo, ma io sono ben contento che la legge Rognoni-La Torre fallisca per quel che riguarda gli aspetti relativi alle misure di prevenzione, perché si tratta contemporaneamente di un fatto di civiltà, di un fatto di cultura e di un fatto di credibilità. Sono convinto - non soltanto per esigenze personali mie, di cultura, appunto, di modo di essere - che sia il caso di prendere delle misure serie sotto il profilo personale o patrimoniale soltanto quando ci sono delle prove e quindi di non consentire che misure di questo genere si basino esclusivamente su sospetti. Ma sono convinto anche che la gente la si tira dietro soltanto quando è convinta che l'intervento repressivo è giusto. E tutto quel che si basa sul sospetto, secondo me, puzza sempre di ingiustizia. Sono contento, qu

indi, che le misure di prevenzione non trovino che minimo spazio d'applicazione, soprattutto nelle zone a fortissima presenza mafiosa come la Sicilia, perché mi sembra che la strada sia un'altra anche nell'ambito della repressione penale.

Accennavo prima alla credibilità, questo è un altro problema che riguarda direttamente l'intervento repressivo. Cosa succede in questo Stato così strano e così fortemente schizofrenico? Si cerca di fare di tutto, da anni ormai, per abbattere la credibilità della magistratura. Tutte le volte in cui c'è qualche problema che va risolto, perché sta sotto gli occhi di tutti, si ricorre costantemente alla magistratura e allora diventa ancora più difficile riuscire ad intervenire in modo credibile attraverso la repressione penale.

Fatte queste premesse probabilmente, nonostante tutto, la via più immediata per cercare di contrastare i fenomeni criminali di maggior spessore è ancora, purtroppo, al momento, quella della repressione penale. Anche qui si devono fare delle scelte serie e non illusorie. Concordo pienamente con quanto diceva Di Lello a proposito della legge Russo Jervolino-Vassalli, perché la tendenza ormai costante dell'intervento legislativo in questo Stato - e la Russo Jervolino-Vassalli mi sembra l'esempio più clamoroso - è quella di cercare di andare a colpire le minutaglie, lasciando però perdere costantemente ed inequivocabilmente le cose grosse. A me sembra di fare qualche volta delle osservazioni assolutamente banali, però bisogna ricordarsi delle cose. Qual è la molla che spinge la devianza ad organizzarsi ed a farsi criminalità organizzata? La molla consiste in accumulo di ricchezze e di potere. Se fossimo da qualsiasi altra parte, se fossimo alla Fiat piuttosto che in uno studio di analisi di laboratorio, faremmo

un ragionamento semplicissimo: se la finalità cui tende un certo fenomeno è questa, vediamo di operare sulla finalità, vediamo di operare sul fine, vediamo di togliere interesse al comportamento deviante cercando di fare in modo che attraverso la deviazione non si acquisiscano potere e ricchezza. A me sembra che si stia facendo esattamente il contrario, che dell'accumulo delle ricchezze e dell'accumulo di potere non ci si interessi minimamente e ci si interessi, invece, delle modalità spicciole attraverso cui queste finalità vengono raggiunte. Succede quindi che si perseguano non soltanto i piccoli spacciatori, ma si perseguono i piccoli detentori di sostanze stupefacenti, tra l'altro con dei costi antieconomici, altissimi per lo Stato, perché ogni processo per 0,102 grammi di eroina che costerà venti, trenta, quarantamila lire, allo Stato costa qualche milione. Si perseguono queste cose ingolfando completamente ed assolutamente i tribunali, al punto che non possono dedicarsi ad altro e si fa in modo di rend

ere oggettivamente, non lo so se con intenzione - ma facciamo senza intenzione - estremamente difficoltosa la possibilità di perseguire le cose grosse.

Sul segreto bancario io non sono dell'idea che, inteso in senso stretto e tecnico, esso sia davvero un ostacolo alla investigazione prima e dopo, alla chiarezza dei rapporti economici. Secondo me ci sono tanti altri segreti che stanno prima del segreto bancario e sono quelli che consentono di coprire la titolarità dei beni, si tratti di denaro o di altro. Se non avessimo alcun segreto bancario anche al di fuori del processo penale - perché, oggettivamente, nel processo penale il segreto bancario non c'è - dovremmo misurarci con il segreto delle fiduciarie, con il segreto delle finanziarie, con il segreto dei commercialisti. Probabilmente è lì che bisogna riuscire a scardinare un sistema, ma è una cosa difficilissima perché probabilmente coinvolge, la criminalità spicciola, più o meno di tutti. Coinvolge, per esempio, l'evasione tributaria. Allora diventa molto difficile riuscire a chiarificare un aspetto la cui opacità serve alla stragrande maggioranza della gente. Secondo me si tratta sempre, comunque, di a

ndare a vedere gli interessi che sono dietro, senza pensare agli interessi della grossa criminalità, senza pensare soltanto e comunque agli interessi della Mafia, ma pensando anche agli interessi del commerciante che viene taglieggiato. Qualche volta questi fa il doppio gioco non soltanto perché ha paura delle intimidazioni mafiose, ma perché poi bene o male, in certa misura gli serve. Fa il doppio gioco perché l'essere taglieggiato dall'organizzazione criminale - che qui al nord non sempre è un'organizzazione mafiosa, qualche volta è banda di quartiere - gli corrisponde magari un pochino all'essere taglieggiato dall'apparato pubblico. Succede che il vigile urbano vada a fare la spesa gratis ai mercati, e così via. Però l'essere taglieggiato dall'apparato pubblico è una cosa che quasi conviene al taglieggiato.

Mi interessa sottolineare che nel nostro stato probabilmente, da una parte si fanno troppo poche distinzioni, 'mafia' diventa quasi tutto, dall'altra si creano troppe distinzioni e si confonde sostanzialmente il discorso ad un punto tale che l'intervento repressivo penale diventa quasi impossibile. Mi riferisco in particolare al riciclaggio, a quella fase della ripulitura, per poter reimmettere i capitali illeciti nel mercato lecito, che è anche la fase sostanzialmente più debole della catena che consente di giovarsi dei profitti che il reato produce. Dicevo all'inizio che è necessario colpire negli interessi patrimoniali e negli interessi di potere le organizzazioni criminali per rendere non più proficuo il crimine. Di fatto, sotto questo profilo, si sono operate delle distinzioni per cui alcuni reati possono produrre dei profitti penalmente perseguibili attraverso la normativa sul riciclaggio, mentre altri no. Soltanto quattro categorie di reati in Italia consentono di punire il riciclaggio dei loro profit

ti: traffico di droga, rapina aggravata, estorsione aggravata e sequestro di persona. Tutti gli altri reati che, naturalmente, sono destinati a produrre profitti sono esclusi. Sicché la corruzione, la concussione, la malversazione, tutti i reati contro la pubblica amministrazione e non soltanto quelli, tutti i reati ad eccezione di quei quattro non possono, normativamente, produrre profitti che siano recuperabili attraverso l'applicazione della normativa sul riciclaggio. Se la situazione è questa, a parte il fatto che tecnicamente diventa impossibile perseguire anche i profitti di quei quattro reati, penso che sia sostanzialmente impossibile riuscire ad incidere sul crimine attraverso un intervento che tarpi le ali ai profitti.

 
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