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Pannella Marco - 14 settembre 1991
(11) Antimafia? ANTIPROIBIZIONISMO!
MARCO PANNELLA, presidente del Consiglio federale del Partito Radicale

SOMMARIO: »Non credo che oggi, nelle nostre società, nel nostro tempo, nella situazione politica e sociale data, si possa minimamente ritenere che esista un nesso fra il valore scientifico e ragionevole di una posizione e la sua candidatura ad essere vincente ... anzi, a volte accade che quanto più qualcosa è di per sé rivoluzionante, una novità scientificamente accertata ed acclarata, tanto più produce reazioni ed anticorpi di tipo contrario...il problema è di organizzare le idee, di organizzare le ragioni e di organizzare queste in obiettivi politici, dando un colpo mortale, se possibile a lunga scadenza, alla nozione del partito rappresentante gli individui che vi aderiscono o le ideologie delle idee, e non invece di associazione motivata su degli obiettivi contingenti e di congiuntura... questa cosa o è internazionale e internazionalista o altrimenti di fatto porterà, forse, anche addirittura ad illusori successi riformistici. Ma, invece, molto probabilmente, porterà anche il proseguire di sconfitte in t

ermini di diritto reale e di situazione sociale ... quando una legge pretende di togliere alla specie umana, anzi ad una specie animale, non il diritto, ma la facoltà di assumere quello che vuole, è aberrante, è folle, è tanto folle, è così evidente, che acceca, si è accecati da questa evidenza .

(»Antiproibizionismo sulla droga e politica criminale contro la mafia dopo l'assassinio di Libero Grassi a Palermo - Atti della sessione speciale del Consiglio generale del Cora, Bologna, 14 settembre 1991)

Sono grato a Rita e a Marco di avermi invitato a prender la parola. Non so bene a quale titolo, ma alcune cose le dirò. Non mi erano state assegnate comunicazioni da fare, non sono un esperto, uno studioso di questo né di altri problemi. Però, per quel che mi riguarda, mi pare non inutile ricordare alcune cose anche rispetto al metodo che si sceglie, che trovo assolutamente rispettabile, assolutamente da seguire, ma anche da circoscrivere nei suoi possibili effetti. C'è una cosa che vorrei ricordare - lo dico a me stesso non per formula stilistica ma perché me lo dimentico sempre -. Con una battaglia politica precisa, di due anni e mezzo, noi abbiamo ottenuto un fatto clamoroso nel '75: la depenalizzazione del consumo, che poi ha portato alla legislazione spagnola sull'onda della novità italiana e ha rilanciato per alcuni anni una diversa attenzione in Francia, in Svizzera, in Belgio e in alcuni altri luoghi europei. Con questo ricordo voglio dire che, sempre di più, io mi guarderei da un rischio, da alcuni

accenti che, mi pare, Luigi Manconi aveva. Non credo che oggi, nelle nostre società, nel nostro tempo, nella situazione politica e sociale data, si possa minimamente ritenere che esista un nesso fra il valore scientifico e ragionevole di una posizione e la sua candidatura ad essere vincente.

In questo c'è ancora, in fondo, quel tanto di illusione positivistica, progressista, borghese, che Franco Fortini per molti anni ha combattuto utilmente per tutti noi, per farci riflettere. Anzi, a volte accade che quanto più qualcosa è di per sé rivoluzionante, una novità scientificamente accertata ed acclarata, tanto più produce reazioni ed anticorpi di tipo contrario. Faccio un esempio - non perché voglio essere sgradevole a nessuno, ma perché è l'unico che ho a disposizione su questo - sui referendum. Si commette l'enorme errore di votare il referendum sulla Giustizia, sulla responsabilità civile del magistrato, all'ottanta per cento: la legge immediatamente successiva abolisce di fatto quel tanto di teorica responsabilità che c'era, con un atto normale e con il Presidente della repubblica che si affretta a sottoscriverlo. Ora non voglio sviluppare questo punto che fa il paio con un'altra fissazione che, mi pare, è alla base del lavoro del Partito Radicale da alcuni anni. Quello che caratterizza il nostr

o tempo è proprio il divorzio tra scienza e politica, fra coscienza e potere, è un divorzio più lungo, più drammatico, anche classico, accompagnerà sempre probabilmente la storia. Ma il divorzio fra scienza, cultura e politica del potere è la cifra di oggi. Nessuna cultura, come quella ambientalista, è oggi, ormai, egemone ed autosterilizzante: abbiamo dappertutto i consigli comunali, di tutto il mondo probabilmente. Hanno il loro intervento, le loro problematiche ecologiche e il fallimento totale avviene proprio su questo. Nemmeno i problemi di pace e di guerra, credo, sono oggi così tragicamente evidenti: la consapevolezza ecologica, se non ecologista, nel mondo si è diffusa, diventa addirittura senso comune - non buon senso - e in termini poi di realizzazione politica stiamo andando al macello, dalla piccola discarica comunale ai grandi problemi. Dobbiamo quindi guardarci da questo punto di vista e da qualsiasi illusione.

C'è un altro fatto ancora - per esempio la scelta che noi come partito abbiamo fatto e che si ripercuote anche in questo settore - che è quello di dire che il problema è di organizzare le idee, di organizzare le ragioni e di organizzare queste in obiettivi politici, dando un colpo mortale, se possibile a lunga scadenza, alla nozione del partito rappresentante gli individui che vi aderiscono o le ideologie delle idee, e non invece di associazione motivata su degli obiettivi contingenti e di congiuntura - che poi in ciascuno di noi possa avere la sua sistematicità o no è del tutto irrilevante. Per questo aggiungendo un altro ricordo, la ragionevolezza per esempio, o 'una ragionevolezza', ha portato per circa sette anni, nel primissimo Partito Radicale, alcuni di noi ad essere minoritari rispetto ai nostri massimi rappresentanti. Parlo degli Amici del Mondo, parlo anche di Leopoldo Piccardi ed altri i quali sostenevano che dovevamo tentare la via del divorzio relativamente ai matrimoni civili che allora erano l

'1,7%, perché questo la Chiesa l'avrebbe forse tollerato e permesso e poi, attraverso questa breccia, si poteva pensare di andare oltre. La nostra ragionevolezza, che si contrapponeva a questa, era di dire: dobbiamo riuscire a mutare il rapporto di forze esistenti, non tanto all'interno dell'ideologia della classe dirigente, che era tutta riformistica e antiriformatrice come oggi, solo che allora si sapeva che riformismo e riforma erano contrapposti nella nostra storia, c'erano i riformismi e i rivoluzionismi e poi c'era la posizione riformatrice che si cercava di affermare.

Occorreva appunto fidarsi o cercare di provocare un sommovimento delle opinioni, dell'opinione pubblica. Lo strumento della nonviolenza diveniva particolarmente significativo e moderno in quel momento perché era più realistico sperare che i matrimoni civili fossero coinvolti nella 'caduta' del matrimonio religioso che non l'inverso, perché avrebbe mobilitato poca gente. Quindi queste cinque proposte le ritengo utili, coraggiose, ci danno una base di lavoro politico, ma sicuramente non si fanno carico anche di quell'altra ragionevolezza, della quale parlavo, per la quale ci trovammo poi ad un certo punto, un po' contrapposti, nel fare proprio un disegno, un progetto di legge, che riguardava il divorzio per i matrimoni civili - e che Ugo La Malfa e altri speravano venisse fuori - e noi venimmo fuori con l'altra, con quello che accadde. Allora: come partito, intanto, cerchiamo forza in voi e in noi, quantitativa anche, per essere coerenti con una cosa che sempre tutti diciamo, tant'è vero che qui non ce la ripe

tiamo nemmeno: che questa cosa o è internazionale e internazionalista o altrimenti di fatto porterà, forse, anche addirittura ad illusori successi riformistici. Ma, invece, molto probabilmente, porterà anche il proseguire di sconfitte in termini di diritto reale e di situazione sociale.

Penso che in futuro noi dovremmo anche ridare corpo all'altra ragionevolezza con urgenza, non si elidono. Quando si ricorda che le leggi che in fondo vanno contro la natura, contro la storia, contro una società, commettono dei disastri anche rispetto alla legge. Quando, per esempio - io stesso ho tralasciato un po' di dire alcune cose - una legge che pretende di togliere alla specie umana, anzi ad una specie animale, non il diritto, ma la facoltà di assumere quello che vuole, è aberrante, è folle, è tanto folle, è così evidente, che acceca, si è accecati da questa evidenza. Così come io credo che anche qui, dal vostro contributo stamattina, è venuta una riproposizione di questo - questo tema, per esempio, è stato un punto di forza anche per il divorzio e l'aborto quando dicevamo: quando una legge, una pretesa, deve fare i conti con pratiche sociali di massa diverse, e il passare dei decenni ha dimostrato che questa legge provoca e facilita il suo contrario, proprio quello che vuole reprimere, questo dobbiamo

ricordarlo di più.

In concreto, e termino, vorrei suggerire altri punti. Non per oggi - poi stasera, oggi pomeriggio, avremo un dibattito per il CORA - ma credo che dobbiamo farci carico ragionevolmente di far passare gli altri argomenti, tutte cose scontate fra di noi che però vivono scontate. Cioè: è possibile che noi non riusciamo a trovare un contatto col sindacato, con i pensionati, non so con chi, dinanzi all'affermazione pacifica che il 70% o il 75% dei fatti di violenza contro le persone e contro il patrimonio sono la conseguenza non della droga, ma della legge? E' possibile che non possiamo trovare da parte dei medici, ma in quanto tali, con un dibattito serrato, la denuncia della offesa alla loro deontologia e alla loro stessa possibilità di essere tali, che passa attraverso questa legge, perché gli impedisce alcune terapie di trattamento? Abbiamo sempre le vie giudiziarie, le abbiamo sempre un po' percorse, ma poi abbiamo i tempi del nostro diritto. Io ho sentito di nuovo, stamane, ricordare dagli amici magistrati c

he ci hanno onorato del loro apporto, che il 70-80% del lavoro che oggi svolgono è connesso a questa legge e che questo significa rendere vieppiù impossibile il funzionamento della giustizia rispetto ai reati più gravi. Ma questo non c'è nemmeno da aggiungerlo, noi sappiamo che questo è un modo per riuscire oggettivamente, come si dice, ad impedire alla giustizia di funzionare su tutti i reati che Colombo citava - si poteva aggiungere il peculato che, però, per legge si è sempre più declassato rispetto agli anni '50.

Rispetto a questo per il medico, per il magistrato, il pronunciamento concreto, sia pure non di tono giacobino ideologico antiproibizionista, per il qui ed oggi, è cosa rinviabile? E' cosa da fare in modo non organizzato? Noi possiamo prescindere come Partito Radicale o come CORA dal costituirci in servizio perché questo diventi tecnicamente e subito possibile? E potremmo continuare, perché poi per la polizia è ancora di più, perché è così dovunque si va e si trova un poliziotto intelligente, nel senso che vuol capire come si trova. Certo tutto questo comporta probabilmente molto tempo.

Termino dicendo che, ancorché forse 'di sinistra', io mi assumo ancora la responsabilità della memoria. Rispetto al maxiprocesso siamo stati più che scettici, quindi non l'abbiamo sostenuto. Ma perché? In base alla nostra vecchia, antica convinzione di radicali - lenti e formiche, conosciuti come cicale - per la quale noi crediamo che il problema delle mafie si risolve, ad esempio, con una dimensione di piano decennale e non con l'illusione di riuscire a infliggere la 'sconfitta cocente'. Cutolo, il processo Tortora o il maxiprocesso: quando la struttura produce queste cose, e le riproduce immediatamente, l'eventuale vittoria processuale si traduce storicamente, lo stiamo vedendo, molto spesso nel suo contrario. Per noi il problema è quello di una politica decennale, ma da iniziare subito, di insediamento nel territorio, nella giustizia, nella polizia. Senza le illusioni di avere, di volta in volta, delle vittorie significative se si riesce con una legge a confermare una sentenza, o a fare una sentenza con u

na legge, quello che una sentenza non ha potuto fare. E credo che, anche su questo, noi ci troviamo in un mucchio di guai. Io sono molto scoraggiato sulla situazione politica in genere perché, naturalmente, succede per questa politica, come per il digiuno, che uno è costretto a fare i digiuni, e digiuni sempre più massacranti e gravi perché diventa una logica infernale, per realizzare alcune cose con la pratica della nonviolenza. Se si è pochi anche sulle altre forme di lotta e di lavoro politico poi si deve lavorare politicamente in un modo massacrante, come stiamo facendo cercando di raggiungere tutti gli eletti di tutti i parlamenti del mondo e anche dei parlamenti regionali, perché arrivino le proposte, i ragionamenti, la ragionevolezza antiproibizionista, perché tutto questo non sia un'isola. Questa è una cosa massacrante. Continuare a farla con duemila, tremila democratici che sottoscrivono l'azione, il tesseramento del Partito Radicale è questo, diventano azionisti in qualche misura di questo progetto

, credo che sia manifestamente impossibile. Andremo avanti ancora nel tentarlo, ma se uno crede, come per l'ecologia, che il problema è mondiale e poi si pone il problema di riuscire contemporaneamente a far votare dieci parlamenti o dieci stati all'Onu - magari dieci staterelli africani ci sono e sono disponibili - e si organizza, contemporaneamente, la stessa leggina ecologista o antiproibizionista, è chiaro che questa è una fatica di Sisifo.

Ed è forse anche un ripiegamento un po' anarcoide, individualistico anarcoide, perché in termini di moralità politica, di creatività, tutto questo è come edificare sulla sabbia. Potremmo, ma non lo credo, tornare alla vittoria del '75, che per me fu mezza vittoria, tant'è vero che dissi che non avrei votato quella legge, che però affermava un principio enorme di politica criminale diversa, una politica criminale che fosse tale soggettivamente. Poi accadde come per lo sterminio per fame nel mondo: si salvano un milione di persone e poi si è travolti. Si fa la depenalizzazione del consumo in Italia, si influenza la legislazione spagnola: e poi si è travolti.

 
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