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Volpe Giuseppe - 24 ottobre 1991
GLADIO: LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE
Parere "pro veritate" sulla legittimità costituzionale dell'organizzazione clandestina STAY BEHIND GLADI0 del Prof. Giuseppe Volpe, Ordinario di Diritto Costituzionale nell'Università di Pisa.

SOMMARIO: Il parere "pro veritate" sulla legittimità costituzionale dell'organizzazione clandestina STAY BEHIND-GLADIO richiesto dal deputato radicale Roberto Cicciomessere al Professor Giuseppe Volpe, Ordinario di Diritto Costituzionale nell'Università di Pisa. Il parere è stato inviato al Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo e le stragi, Libero Gualtieri, per cui risulta acquisito agli atti della Commissione.

Il professor Volpe afferma la illegittimità costituzionale dell'operazione GLADIO per violazione dei seguenti articoli della Costituzione italiana: 80 (Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono atbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi); 72, comma 4· (La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi); 87, comma 8· (Il Presidente della Repubblica [...] Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l'autorizzazione delle Camere).

Per sanare questa illegittimità, Il professor Volpe indica il ricorso alla Corte Costituzionale per conflitto di attribuzione fra i poteri dello Stato sollevabile da parte di ognuna delle due Camere e/o dal Presidente della Repubblica nei confronti del Governo.

Ritiene invece infondati i dubbi di legittimità costituzionale sollevati con riferimento ai seguenti articoli della Costituzione italiana: 18, comma 2· (Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare); 52, comma 3· (L'ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica); 97, comma 1· (I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione).

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Parere "pro veritate" sulla legittimità costituzionale dell'organizzazione clandestina STAY BEHIND GLADI0 del Prof. Giuseppe Volpe, Ordinario di Diritto Costituzionale nell'Università di Pisa.

1. Con lettera dell'aprile 1991 mi viene richiesto di esprimere un parere pro veritate sulla legittimità costituzionale dell'organizzazione in oggetto, con particolare riferimento alle disposizioni costituzionali degli artt. 80 e 87 che disciplinano la ratifica dei trattati internazionali, nonché sotto altri profili rispettivamente dell'art. 18 e degli artt. 52 e 97 della Costituzione.

Preliminarmente, mi corre l'obbligo di dar conto che, per la conoscenza dei fatti posti a base delle argomentazioni giuridiche, mi sono avvalso oltre che degli atti e dei documenti specificamente citati nel corso del Parere delle seguenti Relazioni:

a) Presidenza del Consiglio dei Ministri, L'Operazione "Gladio", febbraio 1991.

b) Presidenza della Commissione parlamentare di inchiesta sul terrorismo in Italia, Il cosiddetto Sid parallelo Operazione Gladio, s.d. (ma pervenuta nel maggio 1991); nonché della sentenza depositata il 10 ottobre 1991, con la quale il G.I. di Venezia ha dichiarato la propria incompetenza nel procedimento penale n. 1/8 AG.I.

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2. L'accordo 28 novembre 1956 raggiunto fra il Servizio Informazioni Italiano (SIFAR) ed il Servizio Informazioni USA (CIA) relativo all'organizzazione ed all'attività della Rete Clandestina Post Occupazione Stay Behind Italo-Statunitense impone innanzitutto di stabilire se esso ricada sotto la previsione dell'art. 80 della Costituzione ("le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi"); in caso affermativo, se i procedimenti di stipula, di entrata in vigore e di attuazione, nonché il contenuto dell'Accordo siano compatibili con la sopra riportata disposizione costituzionale.

In proposito è stato da più parti sostenuto (v. tra gli altri, il Parere dell'Avvocato Generale dello Stato reso alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 7 gennaio 1991 da cui sono tratte le citazioni che seguono) che l'Accordo in questione "non è un trattato internazionale, ma costituisce esecuzione ed attuazione del Trattato NATO approvato con legge n. 465/49", con la conseguenza che "non era perciò necessario, né era possibile, data la segretezza che doveva circondare l'operazione, sottoporre l'accordo ad approvazione del Parlamento in applicazione dell'art. 80 Cost.".

La tesi che configura l'Accordo Stay Behind (denominato a livello nazionale "Operazione Gladio") come atto convenzionale di mera esecuzione o applicazione di un trattato internazionale già approvato dal Parlamento (nella specie, del Trattato del Nord Atlantico sottoscritto a Washington il 4 aprile 1949 ed autorizzato per la ratifica con legge 1 agosto 1949 n. 465) non può essere condivisa per le ragioni che di seguito si espongono.

Del citato Trattato (comunemente denominato "Trattato NATO") viene richiamato, con riferimento precipuo all'Accordo Stay Behind, l'art. 3, il quale ha per oggetto la questione della capacità delle parti contraenti di resistere ad un attacco armato, stabilendo che:

"Allo scopo di meglio raggiungere gli obiettivi di questo trattato, le parti manterranno e svilupperanno la loro capacità individuale e collettiva di resistenza ad un attacco armato, agendo sia individualmente che congiuntamente, in modo continuo ed effettivo mediante lo sviluppo delle loro risorse e prestandosi reciproca assistenza".

Significativamente nella Relazione di maggioranza alla Camera dell'on. Ambrosini (Relazione 2a Commissione esteri 8 luglio 1949 doc. 608/A, riportato in "Le leggi", 1949, 688 ss.) l'art. 3 del Trattato è rubricato sotto "Potenziamento della capacità a resistere alle aggressioni" e sul suo contenuto viene affermato che:

"riguarda le misure preventive che le parti debbono cominciare a prendere nella previsione generica della eventualità di un attacco armato contro alcuna di esse..

...si afferma così il principio dell'autodifesa e del mutuo aiuto e l'obbligo per le Parti di sviluppare all'uopo i propri mezzi per essere in grado di difendersi e di prestare aiuto agli altri".

Nella medesima Relazione si precisa che:

"l'art. 3 non specifica in che misura ciascuna Parte deve provvedere a sviluppare i propri mezzi per mantenere ed accrescere la propria capacità di resistenza ad un attacco armato. La determinazione di quest'obbligo dipenderà, come mette in rilievo la relazione della Commissione degli Esteri del Senato americano, da un insieme di fattori naturalmente diversi per le varie Parti" (le sottolineature sono dell'autore del presente parere).

Sul delicato tema della prevenzione contro eventuali attacchi armati ritorna, sotto il profilo organizzativo, l'art. 9 dello stesso Trattato Nato, il quale stabilisce che:

"Con la presente disposizione le parti istituiscono un Consiglio in seno al quale ciascuna di esse sarà rappresentata, che avrà il compito di esaminare le questioni relative all'applicazione del presente trattato.

Tale Consiglio dovrà essere organizzato in modo da potersi riunire rapidamente in qualsiasi momento. Il Consiglio istituirà quegli organi ausiliari che si renderanno necessari, e in particolare, costituirà immediatamente un Comitato di difesa che raccomanderà le misure per l'applicazione degli articoli 3 e 5".

In sostanza, la riportata disposizione demanda espressamente al Comitato di difesa (a cui partecipano i Ministri della difesa dei Paesi contraenti) di predisporre prioritariamente anche le misure per l'applicazione del sopra menzionato art. 3 del Trattato. In effetti, come venne posto in luce già nella citata Relazione Ambrosini alla Camera, le previsioni troppo generiche, a "maglie larghe", dell'art. 3 in questione necessitano intrinsecamente di interventi specificativi degli organi istituiti dal Trattato prima che ad esse possa essere data concreta attuazione nei e tra i diversi Paesi aderenti alla Nato.

Per quanto riguarda infine l'attuazione interna del Trattato deve essere ricordato il principio generale posto dall'art. 11 del medesimo, per il quale:

"Il presente trattato sarà ratificato e le disposizioni in esso contenute applicate dalle parti in conformità delle loro rispettive procedure costituzionali".

***

3. Delineati i parametri normativi di riferimento (rispetto ai quali l'Accordo Stay Behind si porrebbe in funzione esecutiva attuativa), occorre procedere all'analisi dei contenuti sostanziali e dei profili procedimentali del predetto Accordo (esaminato nel testo inviato il 28 febbraio 1991 dal Presidente del Consiglio al Presidente della Commissione d'inchiesta sul terrorismo e le stragi); il documento è dattiloscritto su carta bianca senza intestazioni e senza nomi dei sottoscrittori: sulla autenticità del documento v. le dichiarazioni dell'on. Andreotti rese nella sua qualità di Presidente del Consiglio dei Ministri al Senato della Repubblica nella seduta pomeridiana del 25 luglio 1991, (pagg. 42 e segg. del Resoconto Stenografico 558a seduta pubblica X legislatura).

Parti stipulatrici dell'Accordo risultano i Servizi di informazione italiano e statunitense (lo stesso S.M. Difesa italiano sembrerebbe essere stato compiutamente edotto dell'Accordo e delle strutture in base ad esso realizzate soltanto nel 1959: cfr. il Documento Sifar 6.3.1972, a firma dei coll. Serravalle e Fortunato); l'oggetto di esso è costituito dalla "collaborazione nell'organizzazione, nell'addestramento e nell'attività operativa del complesso clandestino post occupazione (stay behind) italo statunitense progettato per entrare in attività nel caso di occupazione del territorio italiano da una aggressione nemica diretta contro la sicurezza delle potenze NATO".

In altri termini, il predetto "complesso clandestino italo-statunitense", preventivamente organizzato ed addestrato, era destinato ad entrare in azione nell'ipotesi che, in connessione con un attacco nemico rivolto contro la sicurezza delle "potenze" appartenenti alla Nato, venisse occupato il territorio dell'Italia.

All'interrogativo se la peculiare fattispecie e la specifica finalità dell'Accordo Stay Behind siano sostanzialmente riconducibili all'interno di quelle più generali contemplate dall'art. 3 del Trattato Nato si può rispondere affermativamente.

Infatti la predisposizione di una rete clandestina destinata ad operare in un territorio occupato da potenze nemiche dei Paesi Nato costituisce oggettivamente una possibile misura preventiva per la resistenza contro l'eventualità di un attacco armato nemico e si inscrive nella finalità di potenziamento della capacità di resistere alle aggressioni di cui al cit. art. 3 del Trattato.

Siffatta oggettiva connessione non appare di per sé inficiata né dal rilievo che l'Accordo non contiene alcun testuale riferimento al trattato Nato e tantomeno alla sua presunta norma base (l'art. 3) né dall'ulteriore rilievo che l'Accordo è intervenuto non già tra l'Italia ed i Paesi riuniti nella Nato, bensì tra l'Italia ed una singola "potenza" Nato, gli Stati Uniti d'America.

Il primo rilievo può essere considerato meramente formale e pertanto superabile riflettendo sulla portata sostanziale delle finalità dell'Accordo; il secondo rilievo non regge alla considerazione che la formulazione dell'art. 3 del Trattato Nato nella sua genericità consente alle parti di agire per la sua attuazione in modo variamente congiunto e persino in modo individuale.

***

4. L'estraneità dell'Accordo Stay Behind al Trattato NATO si coglie invece pienamente valutando il procedimento relativo alla sua stipulazione ed entrata in vigore alla luce della disposizione dell'art. 9 del Trattato medesimo, la quale riserva espressamente al Comitato di difesa, organo ausiliario, del Consiglio NATO di raccomandare le misure necessarie per l'applicazione dell'art. 3.

Al contrario l'Accordo in questione a quanto a tutt'oggi risulta è stato raggiunto e stipulato esclusivamente dai Servizi Informazioni di Italia ed USA (SIFAR e CIA), in assenza di alcun intervento del predetto Comitato di difesa (composto come già detto dai Ministri della Difesa dei Paesi aderenti alla Nato).

Pertanto sotto il profilo procedimentale l'Accordo non può essere ricondotto nella previsione dell'art. 9 del Trattato nella parte in cui disciplina le modalità di applicazione dell'art. 3 del medesimo; d'altra parte esso risulta stipulato in violazione del principio generale sancito dall'art. 11 del Trattato Nato, il quale stabilisce che le disposizioni contenute nel Trattato stesso saranno applicate dalle parti in conformità delle loro rispettive procedure costituzionali (sul punto, si ritornerà comunque più avanti).

In definitiva, anche se l'Accordo Stay Behind per il suo scopo ed il suo contenuto può essere astrattamente inquadrabile tra le misure di attuazione dell'art. 3 del Trattato Nato, tuttavia, valutando anche sotto il profilo soggettivo i concreti procedimenti seguiti per la sua stipula e messa in vigore, esso appare del tutto estraneo alle previsioni contemplate dal medesimo Trattato Nato e alle loro prestabilite modalità di applicazione e attuazione.

In proposito, è importante sottolineare che siffatta ricostruzione trova pieno conforto nelle già citate dichiarazioni rese al Senato nella seduta del 25 luglio 1991 dal Presidente del Consiglio in carica:

"Vorrei al riguardo far rilevare ai firmatari della mozione che dinanzi alla Camera dei deputati, 1'11 gennaio scorso, ebbi a sottolineare che (cito sempre testualmente) 'questa struttura chiamata Gladio, istituita da un accordo bilaterale sottoscritto da due Paesi appartenenti all'Alleanza Atlantica, era e rimase esclusivamente nazionale: le sue attività, però, vennero, con il passare degli anni, ad essere sempre più programmate e coordinate in ambito NATO'".

E' questa l'autorevole conferma politica di quanto è emerso dall'analisi giuridica: l'istituzione della struttura clandestina Stay Behind Gladio è avvenuta attraverso un accordo bilaterale concluso dai Servizi informativi italo statunitensi (non dai "due Paesi", ossia dai Governi dei due Paesi); pertanto, anche se astrattamente inquadrabile nelle misure di cui all'art. 3 del Trattato Nato, la predetta struttura è stata istituita e realizzata al di fuori delle procedure stabilite dal medesimo Trattato negli artt. 9 e 11 (sul successivo inserimento in ambito Nato delle attività di "Gladio" v. infra, par. 8).

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5. Dalla conclusione appena raggiunta deriva che l'Accordo SIFAR CIA del 28.11.1956 contrariamente a quanto sostenuto nel cit. Parere dell'Avvocatura Generale dello Stato non può essere tecnicamente configurato come atto di esecuzione-attuazione del Trattato NATO, con l'ulteriore conseguenza che la stipula e la pratica messa in vigore di esso debbano essere valutati sotto il profilo strettamente costituzionale innanzitutto alla luce delle disposizioni del già citato art. 80 della Costituzione, nonché dell'art. 87 della medesima, nella parte in cui attribuisce al Presidente della Repubblica di ratificare i trattati internazionali, previa, quando occorra, l'autorizzazione delle Camere (8· comma).

Dall'art. 80 Cost. emerge il principio della necessità che la Camera autorizzi con legge la ratifica (spettante al Presidente della Repubblica) dei trattati internazionali che: a) sono di natura politica; b) prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari; c) importano variazioni del territorio; d) importano oneri alle finanze; e) importano modificazioni di leggi.

Per i trattati che non rientrano nelle cinque categorie sopra menzionate non soltanto non è richiesta la preventiva autorizzazione legislativa delle Camere per la ratifica, ma contrariamente a quanto è previsto dal citato art. 87, 8· comma, Cost. sull'indefettibile potere presidenziale di ratifica è invalsa la prassi di stipulare accordi "in forma semplificata", conclusi e perfezionati, cioè, da semplice sottoscrizione apposta dai rappresentanti del Governo e quindi "messi in vigore" ed eseguiti senza neppure la ratifica presidenziale (prassi divenuta ius quo utimur ed in diversi modi e misure giustificata in giurisprudenza e in dottrina).

Nella fattispecie ad agire "in rappresentanza" del Governo italiano sono stati i Responsabili del Servizio di informazione (SIFAR); sulla effettiva conoscenza da parte dei vertici del Governo dell'avvio della Rete clandestina in questione, v. infra, par. 10.

E' necessario pertanto in primo luogo verificare se l'Accordo Stay Behind 28.11.1956 una volta esclusa la sua natura di atto esecutivo ed attuativo di un Trattato già approvato rientri per il suo contenuto in una delle categorie di trattati per le quali l'art. 80 Cost. impone la partecipazione del Parlamento alla loro formazione attraverso la legge di autorizzazione alla ratifica (escludendo, pertanto, la possibilità e la legittimità di qualsiasi procedimento di esecuzione "in forma semplificata").

Sotto un triplice profilo l'Accordo in questione, quale risultante dal testo sopra citato al par. 3, evoca le categorie di cui al cit. art. 80 Cost..

In primo luogo esso risulta un trattato di "natura politica", secondo la definizione che di tale formula (tipico concetto indeterminato ed elastico) forniscono comunemente gli interpreti più autorevoli:"qualunque trattato che abbia una diretta e manifesta rilevanza per tutta la comunità statale o per il funzionamento dello Stato apparato, o che comunque comporti vincoli che incidono in maniera non trascurabile sulla politica estera della Repubblica" e che quindi impegni "durevolmente la politica estera di uno Stato di fronte agli altri Stati" (v. C. MORTATI, Istituzioni dir. pubbl., 9 ed., II, Padova, 1976, 683 ss.; A. CASSESE, in Commentario della Costituzione a cura di G. Branca, artt. 76 82, Bologna Roma, 1979, pagg. 161 e segg., anche per la rassegna delle opinioni in materia).

In tale contesto, sulla scia di precise indicazioni provenienti dai lavori dell'Assemblea costituente, sono stati considerati esempi di trattati di natura politica gli accordi di collaborazione militare (alleanze), nonché di cooperazione in materia tecnico militare (concessione di basi).

L'applicazione di siffatti criteri (che dovrebbero, quanto meno, condizionare la decisione del Governo di attivare o meno il procedimento di autorizzazione legislativo alla ratifica) all'Accordo Stay Behind consente di configurarlo come trattato di "natura politica".

Sotto il profilo della "rilevanza per la comunità statale e/o per il funzionamento dello Stato apparato', è sufficiente rammentare l'oggettiva e straordinaria incidenza sull'interesse fondamentale della sicurezza nazionale intrinseca nella predisposizione, organizzazione ed attività di una "rete" italo statunitense addestrata per operare, sia pure in determinate circostanze, nei campi dell'Informazione, del Sabotaggio, dell'Evasione e fuga, della Guerriglia e della Propaganda; ed ancora, l'analoga incidenza sul funzionamento degli apparati e delle strategie militari dello Stato intrinseca nelle scelte relative alla localizzazione di basi iniziali e di riserva della predetta "rete" nel territorio italiano (considerando, inoltre, gli impegni di ospitalità nelle predette basi assunti a favore di missioni dei Servizi informativi USA, sia a fini di ordinario addestramento che per eventuali direzioni operative comuni).

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6. Va da sé che le vitali esigenze di segretezza imposte ineludibilmente dall'oggetto dell'Accordo (organizzazione ed attività di una rete clandestina) avrebbero dovuto limitare l'intervento (sia la discussione che la decisione) del Parlamento al significato politico dell'Accordo e non certamente alle sue modalità applicative (cfr. in proposito, M. FRANCHINI, M. SEGNI e C. DELL'ACQUA, in "Il trattato segreto", Padova, 1990, rispettivamente a pag, 301 e segg., 336 e segg. e 228 segg. che rammentano distinzioni analoghe in numerosi casi, tra cui gli accordi ITALIA USA sul c.d. Scudo stellare SDI, 1984; sull'installazione delle basi dei missili Jupiter, 1959; sulla base navale nell'isola La Maddalena, 1972).

Sarebbero risultati in tal modo equilibratamente bilanciati principi ed interessi astrattamente confliggenti che pure trovano rispettivamente sostegno nella Costituzione: quello per cui l'esposizione di qualsiasi vincolo all'esercizio della sovranità dello Stato debba (al di fuori della fattispecie dell'art. 11 Cost.) trovare fondamento nella specifica deliberazione legislativa del Parlamento rappresentante il popolo (art. 1 Cost.) e quello per cui la stessa sicurezza dello Stato (intesa innanzitutto come tutela della sua esistenza, integrità, unità ed indipendenza, art. 5 Cost.) impongono in determinate ipotesi persino nei confronti del Parlamento la segretezza circa l'attività anche militare dello Stato.

Quest'ultimo principio è stato esattamente argomentato dalla disposizione dell'art. 82, 2· comma della Costituzione (circa i limiti del potere di indagine delle stesse Commissioni parlamentari di inchiesta), dagli orientamenti della giurisprudenza costituzionale (soprattutto dalla fondamentale sentenza, in materia, 24 maggio 1977 n. 86) e dalla costante normativa sul segreto di Stato.

Tale normativa era costituita, al tempo in cui venne stipulato l'Accordo 28 novembre 1956, dal R.D. 11.7.1941 n. 1161, il cui art. 1 e relativo Allegato vietavano la divulgazione di una serie di notizie relative a materie di carattere militare; dal R.D. 24.9.1931 n. 1256 che escludeva dalla pubblicazione i decreti "la cui pubblicità potrebbe nuocere agli interessi dello Stato" (art. 7); nonché dalle disposizioni del codice penale disciplinanti sotto molteplici profili il segreto di Stato e militare (artt. 256 263: in particolare, l'art. 256, 2· comma, stabilisce che "fra le notizie che debbono rimanere segrete nell'interesse politico dello Stato sono comprese quelle contenute in atti del Governo, da esso non pubblicati per ragioni d'ordine politico, interno o internazionale"; v. anche l'art. 257: "notizie che nell'interesse della sicurezza dello Stato, o comunque, nell'interesse politico, interno o internazionale, dello Stato debbono rimanere segrete").

Successivamente, come è noto, la tutela delle predette esigenze di segretezza è stata ridisciplinata dalla legge 24.10.1977 n. 801, in particolare dall'art. 12.

D'altro canto, le esigenze di pubblicità e trasparenza della azione dei pubblici poteri risultano anch'esse connaturate (come evidenzia il cit. Parere dell'Avv. Generale dello Stato) a principi sanciti dalla Costituzione, specie negli artt. 1 sulla sovranità popolare; 3, 2· comma, sulla partecipazione popolare all'organizzazione del Paese; 94, sulla responsabilità politica del Governo nei confronti del Parlamento; 97, sull'imparzialità della P.A. (ed hanno trovato successive e significative attuazioni con la legge 2.12.1984 n. 839 e il T.U. 28.12.1985 n. 1092 sulla pubblicazione degli atti normativi, ivi compresi tutti gli atti e accordi internazionali, v. art. 13 del T.U.; nonché nella recente legge 7.8. 1990 n. 241).

Pertanto la necessità di reperire un equilibrio tra segretazione governativa e controllo politico del parlamento ex art. 80 della Costituzione (e tra riservatezza e pubblicità dell'attività amministrativa) avrebbe imposto, da una parte, di riservare alle Camere la decisione politica sull'esistenza e sull'oggetto dell'Accordo, dall'altra, di sottrarre ad esse la conoscenza delle clausole dell'Accordo relative agli spetti tecnico operativi e militari (attuabili per mezzo di atti e misure amministrative).

Concludendo, per quanto riguarda il profilo relativo alle categorie di trattati contemplate dall'art. 80 Cost., l'Accordo Stay Behind comporta altresì "oneri alle finanze", come inequivocabilmente risulta dai numerosi impegni assunti da parte del Servizio Informazione Italiano contemplati nel par. 3 del predetto Accordo, sub a, in particolare ai punti nn. 2, 3, 5, 7, 9 e 10; pertanto, anche sotto questo profilo, rientra nelle categorie dei trattati per i quali l'art. 80 Cost. prevede l'autorizzazione legislativa alla ratifica.

L'Accordo comporta infine "modificazioni di legge"; esattamente della legge 1 agosto 1949 n. 465, che rende esecutivo ed autorizza la ratifica del Trattato Nato 4.4.1949, in quanto come già detto modifica le procedure da essa contemplate per l'applicazione dell'art. 3 del Trattato (se a questa disposizione si vuole ricondurre il contenuto dell'Accordo).

In proposito, vale la pena di riepilogare che a quanto risulta l'Accordo è stato concluso ed eseguito direttamente tra e dai Servizi Informativi, in assenza quanto meno delle misure raccomandate dal Comitato di difesa (art. 9 del Trattato), dell'autorizzazione legislativa delle Camere e della ratifica del Presidente della Repubblica (art. 80 Cost. e art. 11 del Trattato): se ne deduce l'illegittimità per violazione degli artt. 9 e ll del Trattato NATO nonché l'incostituzionalità per violazione degli artt, 80, 72, 4· comma e 87, 8· comma della Costituzione (i primi due sulla riserva di legge "assembleare" per l'autorizzazione alla ratifica ed il terzo sul potere presidenziale di ratifica dei trattati internazionali).

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7. Il giudizio di incostituzionalità e di illegittimità sopra formulato nei confronti dell'Accordo in esame non appare suscettibile di mutamente per effetto delle considerazioni relative, da un parte, agli eventi che hanno preceduto la stipula dell'Accordo e dall'altra, a quelli che ad essa sono succeduti; anzi trova conferma in tali eventi.

Risulta innanzitutto dalla stessa intitolazione dell'Accordo 28.11.1956 che si tratta di "rielaborazione" (restatement) di accordi già esistenti fra i Servizi Informativi italiano ed USA relativi alla organizzazione ed alla attività della rete clandestina post occupazione Stay Behind (v. in tal senso anche il primo documento inviato dal presidente del Consiglio alla citata Commissione parlamentare d'inchiesta il 24.10.1990).

In effetti già 1'8 ottobre 1951 il direttore dei Servizi informativi italiani inviava al Capo di S.M. Difesa un "promemoria" intitolato "Organizzazione informativa operativa nel territorio nazionale suscettibile di occupazione nemica", in cui si sottolineava l'esigenza che in caso di occupazione del territorio nazionale fosse già predisposta una rete di resistenza.

Significativamente emerge nel predetto "Promemoria" l'affermazione che lo SHAPE (il Supremo organismo militare in Europa della NATO) "ha finora considerato il problema solo teoricamente riservandosi di chiedere agli Stati Maggiori nazionali quanto sarà stato da essi predisposto, allo scopo di coordinare, e per quanto, sarà possibile, standardizzare le applicazioni, assumendone la direzione superiore".

Il sostanziale disinteresse e quindi l'estraneità degli organismi NATO alle iniziative in questione, sia dei Paesi aderenti alla NATO che di quelli non aderenti, trova ulteriore conferma nell'"Appunto" 23 novembre 1959 dello S.M. Difesa Servizio Informazione FF.AA. avente ad oggetto "Rapporti tra il Servizio Italiano ed i Servizi Collegati in merito ai programmi S/B" e che costituisce una sorta di riepilogo di quanto fino allora avvenuto.

In tale "Appunto" si legge delle offerte di collaborazione e delle relative pressioni per accordi in materia di S/B esercitate in concorrenza dai Servizi Inglesi ed USA nei confronti di quelli Italiani e della sostanziale preferenza accordata da questi agli USA; in particolare, sotto la data del "28 novembre 1956" testualmente risulta:

"Sulla base dei precedenti accordi che hanno condotto al finanziamento di oltre 300 milioni di lire da parte del Servizio Americano per la costruzione della Base Operativo Addestrativa in Sardegna, il Servizio Italiano e il Servizio Americano stipulano una 'rielaborazione degli accordi fra il Servizio Informazioni Italiano ed il Servizio Informazione Americano relativo all'organizzazione ed alla attività della rete clandestina S/B Italo Statunitense"'. In definitiva, dall'analisi degli avvenimenti che hanno preceduto l'Accordo Sifar Cia 28.11.1956 emergono i seguenti oggettivi elementi: a) precedenti accordi tra i Servizi informativi italiani e statunitensi avevano addirittura già condotto al finanziamento per la costruzione di una base operativa della rete clandestina post occupazione; b) l'estraneità degli organismi militari della NATO alle predette iniziative ed accordi, ivi compresa "la rielaborazione" del 28.11.1956, tutti conclusi "in esclusiva" tra i menzionati Servizi informativi. I riscontrati eleme

nti, lungi dall'inficiarle, suffragano le conclusioni già raggiunte circa la non inquadrabilità dell'Accordo o degli accordi in questione nell'ambito della esecuzione o attuazione del Trattato NATO e quindi, circa la dimostrata illegittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 80 e 87 della Costituzione.

***

8. Analoghe considerazioni debbono essere svolte per quanto riguarda gli eventi successivi alla stipula dell'Accordo 28 novembre 1956.

E' stato sostenuto (v. in particolare il già citato Parere dell'Avvocatura Generale dello Stato, pag. 15) che:

"l'inserimento nella organizzazione NATO del complesso clandestino Stay Behind in italiano Gladio , a quanto sembra strutturato in modo simile ad omologhe organizzazioni di altri paesi dell'Europa occidentale, avvenne del resto immediatamente con l'ammissione del rappresentante italiano ai lavori del Comitato Clandestino di pianificazione e di coordinamento (1959) con l'ammissione dell'Italia al Comitato Clandestino Alleato (1964), con l'indirizzo, anche alle autorità militari italiane, delle direttive SHAPE per la guerra non ortodossa"; (cfr. altresì le già citate dichiarazioni del Presidente del Consiglio nella seduta del Senato 25.7.1991).

La configurazione dei predetti elementi come prova dell'"inserimento in ambito NATO" della struttura S/B Gladio non può essere condivisa.

L'ammissione a partire dal marzo 1959 (circa 2 anni e mezzo dopo l'"ultimo" Accordo S/B 28.11.1956) e su richiesta della Francia del Capo dell'Ufficio R del Sifar a partecipare ai lavori del Comitato Clandestino di Pianificazione - Clandestine Planning Committee (C.P.C.) può interpretarsi infatti come l'indice di un raggiunto coordinamento di alcune attività dei Servizi Italiani con un organismo, il C.P.C., sicuramente operante nell'ambito dello SHAPE e quindi della NATO, ma non costituisce una confluenza o inserimento della struttura S/B Gladio nell'organizzazione della Nato (compito fondamentale del C.P.C. è coordinare attraverso l'emanazione di direttive, l'attività informativa "offensiva" in caso di guerra, con particolare riguardo ai territori eventualmente occupati dal nemico). Si veda in proposito l'Appunto 9.2.1959 del Sifar Ufficio D a firma col. Viggiani in cui si afferma che:

"sarebbe opportuno che il Servizio fosse presente in tal Comitato, non fosse altro per seguirne l'attività"; ed ancora l'Appunto SID 16.1.1969 ("Direttive di Saceur per la Guerra non ortodossa") in cui si precisa che

"Il Servizio ha contatti con il citato Comitato (CPC) per quanto concerne la trattazione di operazioni clandestine speciali in appoggio alle operazioni di Saceur, in guerra" e viene confermata "la competenza delle Autorità Nazionali alla pianificazione e alla condotta della guerra non ortodossa nei territori controllati dal nemico", pur nell'ambito del coordinamento degli organi Nato.

Non diverso significato assume l'ammissione del SIFAR (su invito di un generale tedesco, presidente pro tempore) al Comitato Clandestino Alleato) Allied Clandestine Committee A.C.C. a partire dall'aprile del 1964 (oltre sette anni dopo l'ultimo Accordo S/B del 28.11.1956). Anche in questo caso la partecipazione italiana rappresenta soltanto un meccanismo di collaborazione e di coordinamento di alcune attività del Servizio informativo italiano con quelle di altri Paesi aderenti alla Nato (ma anche non appartenenti ad esso); in particolare, si tratta delle attività relative alla predisposizione di reti di evasione e fuga (a cui è preposto l'A.C.C., che risulta emanazione del C.P.C. e, tramite questo, collegato allo SHAPE); vedi l'Appunto SIFAR Ufficio R del 17.1.1964.

Anche la circostanza che, a partire dal 1969 e con aggiornamenti periodici, tramite il C.P.C., venissero da SHAPE diramate anche ai servizi informativi italiani le direttive SACEUR per la conduzione della guerra non ortodossa (v., in particolare, l'Appunto 6.3.1972 del Sifar, firmato coll. Serravalle e Fortunato) documenta la progressiva accentuazione della programmazione e coordinamento funzionali in ambito NATO delle attività del Servizio Informativo nazionale. Tutto ciò non può essere, però, definito equivocamente e con evidente salto logico come un inserimento o una confluenza sul piano organizzativo della rete clandestina S/B Gladio nelle strutture dell'Alleanza atlantica. L'inserimento che, stante la bilateralità di S/B Gladio, non avrebbe potuto essere deciso unilateralmente dal nostro Governo o dai nostri Servizi Informativi, avrebbe dovuto quanto meno registrare un preventivo accordo con la parte statunitense (vale la pena di notare come da un Documento fornito il 20.5.1991 al Procuratore della

Repubblica di Roma dal Segretario Generale della Presidenza della Repubblica emerge che anche in Germania l'organizzazione Stay Behind costituiva una "precipua organizzazione" del Servizio di informazione nazionale BND e non "una parte integrante della Nato").

***

9. La predetta essenziale distinzione tra coordinamento funzionale in ambito NATO ed inserimento organizzativo completamente "nazionale" della struttura Gladio emerge testualmente dal Documento 1 giugno 1959 dell'Ufficio R Sezione SAD del Servizio Informazione FF.AA. intitolato "Le "forze speciali" de Sifar e l'operazione "Gladio"", che "si propone lo scopo di puntualizzare la situazione del programma comune per l'operazione GLADIO".

Il Documento esordisce affermando che:

"L'eventualità di una situazione di emergenza che coinvolge, in tutto o in parte, i territori dei Paesi della NATO ad opera dei sovvertimenti interni o di forze militari di invasione è da tempo oggetto di studio e di conseguenti predisposizioni, alcune sul piano NATO, altre sul piano nazionale".

Il Documento registra, quindi, separatamente le predisposizioni "sul piano NATO" e quelle "sul piano nazionale".

Tra le prime viene inserita la partecipazione del SIFAR all'attività del C.P.C., mentre le intese e gli accordi tra i Servizi Informativi italo statunitensi per la realizzazione di Stay Behind Gladio (ivi compreso l'Accordo 26.11.1956) vengono registrate esclusivamente tra le iniziative e le predisposizioni "sul piano nazionale".

In proposito viene affermato che l'Accordo 28.11.1956 "stabilisce gli impegni dei due Servizi per la organizzazione e la condotta dell'Operazione comune" ed è basato, da parte statunitense, sul presupposto che "i piani dello Stato Maggiore della Difesa italiano prevedano l'attuazione di tutti gli sforzi per mantenere l'isola della Sardegna" dove è situata la base dell'Operazione.

Da parte sua, il Servizio Informazioni USA ha ulteriormente precisato, in data 7 ottobre 1957, che il suo appoggio alla base "è considerato nei piani di guerra degli Stati Uniti d'America".

Emerge, pertanto, che gli unici specifici riferimenti strategici dell'Operazione S/B, lungi dal ricondursi sul piano NATO, si rinvengono nei rispettivi piani militari dell'Italia e degli USA.

Dal medesimo Documento si trae anche l'affermazione in verità appena accennata e piuttosto vaga che le predisposizioni "Gladio" riguardano "i territori e le popolazioni che dovessero malauguratamente conoscere" non solo "l'occupazione", ma anche "il sovvertimento" e che le predisposizioni stesse sono volte a tutelare non solo l'integrità del territorio, ma anche quella dell'"autorità legittima dello Stato". Tali affermazioni, per quanto generiche ed ambigue, hanno indotto alcuni a ritenere che le finalità dell'Operazione in questione non si risolvessero interamente nell'azione di prevenzione contro eventuali attacchi e/o occupazioni territoriali nemiche ma contemplassero anche quella contro eventuali sovvertimenti interni: ipotesi che, se trovasse puntuali verifiche, allontanerebbe ancor più anche sul piano dei contenuti e degli scopi gli accordi e le reti S/B dalle precise finalità dell'art. 3 del Trattato NATO (v., infra, par. 12).

In ogni caso, a voler tralasciare la predetta ipotesi (per mancanza allo stato di sufficienti dati asseverativi), resta confermato che anche per gli "eventi" successivi all'Accordo Sifar Cia 28.11.1956 bisogna radicalmente escludere che essi siano valsi a ricondurre sotto l'organizzazione e la direzione della Nato la struttura clandestina S/B Gladio.

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10. L'incostituzionalità, con riferimento agli artt. 80, 72, 4· comma e 87, 8· comma, del citato Accordo 28.11.1956 impone di esaminare (sempre sotto il profilo strettamente costituzionale) il problema della sua concreta giustiziabilità e dei mezzi all'uopo utilizzabili.

Come innanzi è stato sottolineato, l'Accordo in questione è caratterizzato dalla anomala circostanza di essere stato stipulato e sottoscritto dai Servizi Informativi e quindi di essere eseguito senza l'intervento di alcun atto formalizzante, sia esso riconducibile ad una fonte secondaria amministrativa (decreto di ratifica del Capo dello Stato c.d. procedura in forma semplificata) oppure ad una fonte primaria (legge di autorizzazione alla ratifica). Consegue da ciò l'illegittimità e l'invalidità (secondo alcuni v. M. FRANCHINI, cit. p. 320, la radicale nullità per assoluta carenza di potere) di una attività amministrativa che eludendo completamente sia il controllo parlamentare che quello del Capo dello Stato contemporaneamente si configura come fonte direttamente creativa di obblighi internazionali, mezzo di recepimento di essi nell'ordinamento interno atto di esecuzione e misura pratica di attuazione degli stessi.

Risulta, comunque, che quanto meno dell'Accordo del 1956 e della struttura clandestina da esso scaturita e/o ufficializzata fossero a conoscenza (poiché in quale misura "indottrinati" dal Servizio informativo), anche se non tutti, gran parte dei Presidenti del Consiglio e dei Ministri della Difesa che dalla predetta data si sono succeduti nelle diverse compagini governative (è quanto risulta dai documenti del SIFAR e poi del SISMI relativi all"'indottrinamento", secondo prassi, dei Presidenti del Consiglio dei Ministri, dei Ministri della Difesa e dei Capi di SS.MM. questi ultimi ufficialmente "indottrinati" dal 1959).

Particolarmente significative sono in proposito le dichiarazioni rese alla Commissione parlamentare di inchiesta sul terrorismo in Italia nella seduta del 5 dicembre 1990 dall'on. P.E. Taviani, Ministro della Difesa dall'agosto del 1953 al luglio del 1958, dalle quali risulta (in part., cartelle 19 e 20 del Resoconto) che dell'Accordo Sifar Cia 28.11.1956 erano sicuramente informati il Presidente del Consiglio (on. Segni) ed il Ministro degli Esteri (on. Martino); questi, in particolare, consultati "alcuni giuristi", concluse che il predetto Accordo non doveva essere sottoposto alle Camere, trattandosi di "accordi interservizi"; di tale conclusione sembra fossero al corrente anche il Presidente della Repubblica (Gronchi) ed il Vicepresidente del Consiglio (Saragat).

Sulla base di tali premesse circa la natura degli atti e dei comportamenti, il mezzo esperibile nel nostro sistema per consentire l'accertamento della conformità costituzionale delle procedure seguite per la stipulazione del citato Accordo 28.11.1956 (ed eventualmente di altri analoghi precedenti) è quello del conflitto di attribuzione fra i poteri dello Stato ai sensi dell'art. 134, 2· comma, Cost..

Il conflitto potrebbe essere sollevato innanzi alla Corte Costituzionale sia dal Parlamento, rectius da ognuna delle due Camere attraverso i rispettivi Presidenti sia dal Capo dello Stato nei confronti del Governo, siccome unico organo responsabile di una procedura lesiva al contempo delle competenze costituzionali sia delle Camere che del Capo dello Stato in materia di autorizzazione e ratifica dei trattati internazionali (neppure può essere esclusa a priori l'ipotesi di una messa in stato di accusa di singoli Ministri e Presidenti del Consiglio, anche se cessati dalla carica, qualora fossero ravvisabili nell'esercizio delle loro funzioni reati previsti dall'art. 96 Cost. nel testo modificato dall'art. 9 della 1. cost. n. 1/1989).

La giustiziabilità dell'Accordo in questione attraverso il conflitto di attribuzione e la conseguente decisione dei giudici costituzionali potrebbero, tuttavia, essere considerate ipotesi ormai meramente teoriche (tenendo anche presente che all'Accordo in questione non è applicabile l'art. 46 della Convenzione di Vienna stipulata successivamente, nel 1969, e recepita dall'Italia nel 1974, che sancisce in determinati casi l'invalidità sul piano internazionale di un Accordo concluso da uno Stato violando una disposizione del suo diritto interno sulla competenza a stipulare trattati).

In data 27 novembre 1990, infatti, il Governo "ha disposto la soppressione dell'operazione Gladio e lo scioglimento di tutta l'organizzazione ad esso connessa" (v. la Relazione predisposta dal Presidente della citata Commissione Parlamentare d'inchiesta sul terrorismo, pag. 45, nonché la lettera 23.11.1990 del Presidente del Consiglio al Ministro della Difesa).

Se la predetta disposizione governativa significasse come in effetti sembra il completo disimpegno dell'Italia dall'Accordo 28.11.1956, questo avrebbe per il futuro esaurito i propri effetti; perdurano, invece, in ogni caso gli effetti tuttora validi che l'Accordo ha prodotto anteriormente alla data del 27 novembre 1990.

Proprio in tale persistenza degli effetti già prodotti e nel conseguente intervento di farli invalidare ed annullare ex tunc, siccome illegittimi, si radicherebbe l'attuale e concreto interesse a ricorrere per conflitto di attribuzione di quei poteri (le due Camere ed il Capo dello Stato) che dalla incostituzionale procedura di stipula dell'Accordo hanno subito una lesione delle proprie competenze.

In altri termini, il ricorso in questione appare perfettamente idoneo ancor'oggi a realizzare utilmente lo scopo di provocare attraverso la pronuncia della Corte Costituzionale l'annullamento, in quanto illegittimo e l'eliminazione giuridica ex tunc dell'Accordo Sifar Cia 28.11.1956, nonché dei suoi già prodotti e perduranti effetti (accordo ed effetti che da nessuno e sotto nessun profilo sono stati finora invalidati).

Ovviamente restano fermi i poteri dell'autorità giudiziaria ordinaria ed amministrativa, rispettivamente, di disapplicare ed annullare all'occorrenza gli atti amministrativi (normativi e non) che costituiscono diretta attuazione dell'Accordo eventualmente invalidato dalla Corte Costituzionale.

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11. Come è noto, nei confronti dell'Accordo 28 novembre 1956 e dell'organizzazione da esso scaturita sono stati sollevati dubbi di legittimità costituzionale sotto ulteriori profili. In particolare è stato sostenuto che la predetta organizzazione per le sue caratteristiche (segretezza, militarizzazione, ecc.) ricadesse nel divieto posto dall'art. 18, 2· comma, della Costituzione; inoltre si è dubitato che la possibilità di utilizzare la medesima organizzazione anche nel caso di eventuali conflitti interni contrastasse specificamente con l'ispirazione democratica (art. 52, 3· comma) e, più in generale, con il dovere di imparzialità (art. 97, 1· comma) prescritti dalla Costituzione alle Forze Armate.

Siffatti rilievi, appaiono, tuttavia, privi di fondamento.

Concordemente dottrina e giurisprudenza traggono dalla ratio storica e sistematica e dalla lettera dell'art. 18 la giusta convinzione che la disposizione costituzionale configura la libertà di associazione come sfera di autonomia dei privati e fondamentale proiezione della libertà individuale, rimettendo all'esclusiva disponibilità dei cittadini, liberamente associati, il momento formativo, le finalità e l'organizzazione del gruppo (cfr. per tutti, A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali, Parte speciale, II, 1988, 333 ss., anche per riferimenti giurisprudenziali).

Non si può oggettivamente affermare che la predetta "disponibilità" da parte dei cittadini si riscontri nell'organizzazione S/B Gladio, in modo che questa possa essere definita come una "libera associazione di cittadini".

Al contrario, l'organizzazione qui esaminata si configura come un organo dell'Autorità Militare sia per le sue modalità di costituzione (avvenuta ad opera del Servizio Informativo delle FF.AA.), sia per l'inserimento in essa degli aderenti (realizzato attraverso attività di selezione e reclutamento effettuate da organi appartenenti alle FF.AA.), sia per l'assetto organizzativo (determinato completamente da organi militari dello Stato) sia per il fine pubblico e generale perseguito (resistenza in caso di occupazione del territorio nazionale ad opera di aggressione nemica).

Si deve, pertanto, concludere nel senso dell'inapplicabilità ratione materiae dell'art. 18 della Costituzione e dei suoi divieti all'organizzazione S/B Gladio e, quindi, per l'insussistenza sotto questo profilo dei dubbi di legittimità costituzionale sollevati nei confronti dell'Accordo 28.11.1956, in quanto istitutivo della predetta organizzazione.

***

12.Analoga conclusione si raggiunge anche con riferimento ai rilievi mossi sotto il profilo degli artt. 52 e 97 della Costituzione sopra menzionati.

L'utilizzabilità da parte dell'Autorità militare e governativa dell'organizzazione S/B Gladio per la definizione di conflitti interni appare estranea alla ratio ed alla lettera dell'Accordo bilaterale 28.11.1956 concluso tra i Servizi informativi italiano e statunitense a quanto risulta mai in seguito modificato e/o ampliato rispetto ai suoi scopi originari; si pronuncia in tal senso il citato Appunto 6.3. 1972 del Sifar, firmato coll. Serravalle e Fortunato, il quale esclude esplicitamente "la possibilità di utilizzazione dell'organizzazione "Gladio" in caso di sovvertimenti interni (cui è stato fatto cenno nel 1959...) non prevista dallo Statuto della "Gladio" e non suffragata da direttive o piani NATO...e pertanto, da non considerare mai più tra gli scopi dell'operazione in questione" (pur tuttavia nel documento si ammette che nell'aprile 1966 è stata "condotta una esercitazione di "insorgenza e controinsorgenza in ambito nazionale e, comunque, per soli quadri").

Come già detto, è nel citato Documento 1 giugno 1959 dell'Ufficio R Sezione SAD del SIFAR (intitolato Le "Forze speciali" del Sifar e l'operazione "Gladio") che vengono adoperate formule ("sovvertimenti"... "gravi offese all'autorità legittima dello Stato") dalle quali è sembrato potersi evincere l'utilizzabilità della struttura in questione anche ai fini di soluzione di conflitti interni civili (con il conseguente schieramento delle FF.AA. in favore di alcuna delle parti in contesa interna, in dispregio dei doveri imposti dagli artt. 52 e 97 Cost.). Analogo convincimento è stato tratto anche dalla circostanza che nella struttura "Gladio" sarebbe stata inglobata anche la ex formazione partigiana "Osoppo" già operante in Friuli e trasformata in Unità di Pronto Impiego (UPI), come sembra emergere dall'Appunto Sifar 6.3.1972 siglato Serravalle e Fortunato sopra citato. L'ipotesi dell'impiego di "Gladio" a fini "interni" è delineata nettamente nella sentenza di incompetenza del G.I. di Venezia depositata il

10 ottobre 1991 nel procedimento penale n. 1/8 AG.I.

Tuttavia, per un verso, è stata sottolineata la genericità e l'ambiguità delle predette formule, come è testimoniato proprio dalla circostanza che esse si sono potute plausibilmente interpretare anche nel senso della "utilizzazione della organizzazione per contrastare il violento sovvertimento dell'ordine costituzionale e democratico, ad opera, sia pure di elementi interni, ma in occasione di una situazione di guerra ed in appoggio di forze militari nemiche di invasione" (v. il già citato Parere dell'Avvocatura Generale dello Stato, pag. 11); in altri termini, attribuendo ad esse un significato compatibile con i principi costituzionali.

D'altra parte (ed è la considerazione decisiva) qualsiasi asserita utilizzazione della struttura de qua per finalità diverse da quelle contemplate nell'Accordo italo statunitense 28.11.1956 implica eventualmente l'illegittimità dei comportamenti e le responsabilità anche penali in ipotesi di coloro che siffatta utilizzazione avrebbero realizzato e/o consentito; ma tutto ciò non comporta l'illegittimità costituzionale dell'Accordo e dell'organizzazione da esso a suo tempo scaturita sotto il profilo degli artt. 52 e 97.

Siffatta conclusione vale anche nei confronti del presunto uso dell'organizzazione Gladio sia per l'attuazione di piani segreti predisposti nel 1964 dal Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri sia, più recentemente, per il presunto assolvimento di compiti informativi interni nel settore dell'antiterrorismo, del crimine organizzato e della sicurezza industriale nonché della lotta contro la mafia e la droga, in violazione delle competenze ormai spettanti esclusivamente al SISMI e al SISDE in forza della legge 24.10.1977 n. 801; v. sul punto la nota indirizzata il 23.11.1990 dal Pres. del Consiglio al Ministro della Difesa.

In sostanza, dalle "deviazioni" riscontrabili nelle concrete attività di un organo e dalla sua sopravvenuta illegittimità non si può inferire anche l'illegittimità della sua costituzione e delle sue fonti istitutive.

Va da sé che l'attuazione della riforma dei Servizi segreti varata con la cit. legge n. 801/1977 non avrebbe dovuto consentire l'ulteriore autonoma sopravvivenza della struttura Gladio bensì il suo completo assorbimento nei nuovi Servizi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della predetta legge, secondo le modalità previste dall'art. 10.

Dalla sopra citata lettera del Presidente del Consiglio 23.11.1990 emerge la circostanza che il Comitato Esecutivo per i servizi di informazione e di sicurezza (CESIS), posto alle dirette dipendenze del Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 31. n. 801/1977), non aveva mai avuto informative sulla Rete "Gladio" (che venne sciolta effettivamente come già detto quattro giorni dopo la menzionata lettera del Presidente del Consiglio dei Ministri al Ministro della Difesa).

Siffatta "illegittima sopravvivenza" ove confermata porrebbe conseguenti questioni di responsabilità politiche e giuridiche, anche di carattere omissivo, sul piano interno; questioni che esulano comunque dai quesiti di legittimità costituzionale qui affrontati (v. comunque gli Appunti SISMI 30.12.1985 e 18.2.1986 che affrontano il problema del coordinamento tra SISMI e SS.MM. delle FF.AA. per le Operazioni di Guerra non Ortodossa).

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13. Sintetizzando tutto quanto finora esposto, si può affermare conclusivamente, con riferimento alle questioni di legittimità costituzionale sottoposte, che l'Accordo 28 novembre 1956 stipulato fra i Servizi di informazione italiano e statunitense e l'organizzazione e l'attività della Rete Clandestina post occupazione italo statunitense Stay Behind Gladio, da esso contemplata ed in forza di esso predisposta, risultano illegittimi per violazione degli artt. 80, 72, comma 4· e 87, comma 8·, della Costituzione e giustiziabili mediante ricorso alla Corte Costituzionale per conflitto di attribuzione fra i poteri dello Stato sollevabile da parte di ognuna delle due Camere e/o del Presidente della Repubblica nei confronti del Governo.

Infondati appaiono, invece, i dubbi di legittimità costituzionale sollevati con riferimento agli artt. 18, 2· comma, e 52, 3· comma, e 97, 1· comma della Costituzione.

Pisa, 24 ottobre 1991

Prof. Avv. Giuseppe Volpe

 
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