di Gianfranco SpadacciaSOMMARIO: Ernesto Rossi fu "uomo scomodo nella vita", ma "scomodo" è anche "il suo ricordo": non a caso si tende ancor oggi a dipingerlo come una "anima bella", quando invece l'uomo, la persona, fu "sanguigna e viva", "il contrario insomma di un'anima bella". E' l'atteggiamento, oggi (ricorda Spadaccia), di "Repubblica", come ieri del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat che inviò, per la sua morte, un telegramma in cui rendeva omaggio all'"eroe dell'antifascismo": mentre per lui, come per molti suoi contemporanei, il vero problema era di dimenticare Rossi, farlo dimenticare e metterne a tacere le azioni e l'opera.
Perché, innanzitutto, Rossi fu un politico, anzi un combattente politico, uno strenuo militante che seppe mettere intera la vita al servizio delle lotte ritenute necessarie - fossero contro il fascismo o contro i monopoli, per gli Stati Uniti d'Europa o contro il clericalismo trionfante - sempre suscitando attorno a sé energie e collaborazione. Il suo ra,dicalismo, temperato da una laica capacità di dialogo, non era un fatto "meramente caratteriale": ma proprio per questo - deplora Spadaccia - oggi si tende a dimenticarlo o a nasconderlo, come fa Enzo Forcella, che dedica a Rossi un articolo di ben cinque colonne "senza menzionare il partito radicale"...
La storia di Rossi, come quella di Salvemini o Gobetti, è la storia del "massacro culturale" delle minoranze laiche e liberali del paese: "il regime", conclude Spadaccia, "comincia da qui".
(Nota: Il testo è l'intervento di Gianfranco Spadaccia al convegno su Ernesto Rossi svoltosi a Milano il 18-20 maggio 1984 a cura del club "Il Politecnico" e di "Critica Liberale". Cfr anche, su Agorà, la relazione tenuta da Angiolo Bandinelli, dal titolo "L'opposizione come eresia". L'intervento è pubblicato nel volume qui appresso indicato)
(ERNESTO ROSSI, UNA UTOPIA CONCRETA, a cura di Piero Ignazi, Edizioni di Comunità, Milano, 1991)
Se Ernesto Rossi è stato un uomo scomodo nella vita, scomodo è anche il suo ricordo per la straordinaria attualità della sua azione, del suo pensiero e della sua testimonianza. Nella storia della politica italiana Ernesto Rossi resta una persona che scotta, che ancora dà fastidio, con cui è difficile confrontarsi.
Nel fare semplicemente qualche considerazione comincerò dal titolo che il quotidiano »la Repubblica ha dedicato a questo convegno: »Quando l'anima radicale era quella di Ernesto Rossi . Beh, intanto quella parola mi dà fastidio. Quando si dice di una persona che è una anima, si pensa ad una anima bella. Se ricordo Ernesto Rossi, non lo ricordo come una »anima bella . Lo ricordo come una persona straordinariamente sanguigna e viva, capace di grande determinazione e coraggio e di grandi paure e depressioni, di sconfinata amicizia e di dolorosa determinazione nel rompere le amicizie politiche quando ne riteneva esaurite le ragioni, di straordinario impegno sempre misurato sugli obiettivi da conseguire e di eccezionale nevrosi e angoscia quando i mezzi e le risorse erano inadeguati rispetto agli obiettivi. Credeva nelle cose che faceva quasi fino al limite del fanatismo, ma conservava sempre una vena caustica, irriverente, insieme ironica e sarcastica, che rivolgeva anche verso se stesso: il contrario insomma d
i un'anima bella.
Ad esempio, Ernesto Rossi aveva aderito subito alla Lega Italiana per il Divorzio e subito dato il suo avallo agli sforzi di Marco Pannella, di Loris Fortuna, dei radicali. Rossi non era una anima bella, era una persona, un corpo, una vita. Questo titolo di »Repubblica di quanta cattiva coscienza questo titolo è rilevatore mi ha fatto ricordare la reazione che ebbi quando lessi il telegramma inviato da Giuseppe Saragat, Presidente della Repubblica di allora, alla notizia della sua morte. Era uno straordinario omaggio, sicuramente sincero, ad Ernesto Rossi »eroe dell'antifascismo . Mi commossi a leggerlo. epperò contemporaneamente quelle espressioni mi davano fastidio. Perché di una cosa ero certo: Ernesto come eroe non lo avevo mai conosciuto; non si sentiva un eroe, non si presentava come un eroe.
In quel telegramma mancava solo la parola »santo , ma era abbastanza implicita nelle parole del capo dello Stato. Ora che era morto, il Presidente della Repubblica parlava così di un uomo che per anni ci era stato maestro e amico, e che avevamo visto come un eretico conculcato, come un leader misconosciuto, come un grande radicale che non riusciva a parlare se non a ristrettissime minoranze e a cui si impediva di trasmettere le cose importantissime che diceva, le sue battaglie politiche. La mia reazione fu: ecco, ora che è morto diventa un eroe, mentre fino a ieri quando era ben vivo, anche per Saragat c'era solo il problema di dimenticarlo o di nasconderne le azioni.
Questo ricordo mi fa pensare non è, credetemi, una battuta - che i radicali italiani sono belli, ché allora diventano anche eroi e santi, soltanto quando sono morti. Quando sono sotto terra, solo allora diventano belli. Ed è un'altra maniera per ucciderli, per impedire che il ricordo diventi memoria storica, e quindi diventi attualità del loro pensiero.
Lo dico con profonda indignazione, perché qualcosa di simile è accaduto e accade anche ai radicali della mia generazione: i radicali sono sempre brutti nella loro attualità, nella contemporaneità del presente; sono belli al passato, meglio se remoto. Come sono brutti i radicali dl oggi, come erano belli i radicali del passato. Fra i radicali del passato non ci sono quelli ormai defunti, delle generazioni precedenti alla nostra; ci siamo noi stessi. Come siamo brutti quando ci occupiamo della P2 oggi, che la P2 è sconfitta, e non ci accontentiamo delle versioni tranquillizzanti che ne vengono date. Quanto eravamo belli quando ce ne occupavamo ieri, assolutamente inascoltati, quando era forte e potente. Come sono brutti i radicali di oggi che si occupano di fame o di giustizia; e come eravamo belli quando ci occupavamo di divorzio, di aborto, di obiezione di coscienza. Naturalmente allora, nella concreta attualità di quelle lotte, non eravamo affatto né simpatici né belli.
C'è un'altra considerazione che vorrei fare. Io sono effettivamente molto legato ad Ernesto Rossi. Fra i padri elettivi che ci siamo scelti (ce ne sono molti) è forse quello a cui siamo più legati. La conoscenza personale che Marco Pannella ed io abbiamo avuto di Ernesto, è la conoscenza di un militante politico, di uno straordinario militante politico. Anche qui sono portate tante testimonianze della sua autobiografia, sono stati ricordati tanti diversi momenti della sua storia.
C'è il Rossi giovanissimo, il Rossi dell'interventismo. C'è il Rossi che, all'insorgere del fascismo, scopre Salvemini ed è scoperto e amato come un figlio da Gaetano Salvemini. C'è il Rossi del rapporto con i fratelli Rosselli, c'è il Rossi del »Non Mollare , dell'antifascismo militante, della galera. Ci sono i rapporti di Rossi con i suoi compagni di galera, e con coloro che sono fuori dalla galera, innanzitutto quelli con la madre e con Ada. Poi c'è il Rossi del dopo guerra: il Rossi straordinario amministratore pubblico, il Rossi del rapporto con Einaudi; c'è il Rossi federalista, l'amicizia, la compagnia di lotta con Altiero Spinelli. Poi c'è il Rossi delle campagne sul »Mondo , dell'amicizia con Pannunzio, il Rossi anticlericale, il Rossi che si scontra con la Confindustria contro i monopoli. C'è il Rossi fondatore con Pannunzio e Piccardi del Partito Radicale, il promotore instancabile dei programmi radicali e dei convegni degli »Amici del Mondo . C'è il Rossi che promuovere con Capitini e con i radic
ali la marcia della pace del 1962, e scopre disarmismo e antimilitarismo. C'è infine il Rossi che rompe con Pannunzio e con Piccardi e con Parri e fa l'»Astrolabio .
Ciascuno di questi momenti, ciascuna di queste amicizie, di queste compagnie è un segmento diverso della storia di militante politico di Ernesto Rossi. E ciascuna di queste compagnie e amicizie è legata ad un momento preciso, assorbente, del suo impegno politico. Tutta la sua vita è battaglia politica, è lotta politica, momento per momento, giorno per giorno.
Quando si batteva per il movimento federalista era per ottenere gli Stati Uniti d'Europa. Quando si batteva contro i monopoli era per far passare una moderna legge antimonopolista, per riformare la borsa. Quando scriveva i libri sull'anticlericalismo era per riproporre, contro la Dc e il Pci, e la rassegnazione dei laici, la politica anticoncordataria.
Era un militante politico. Non era un politico da caffè, non era un politico ideologico. Lui la sera non andava a Via Veneto. Non gli piaceva parlare di politica. Lui faceva politica. Produceva politica. Organizzava la lotta politica. E del militante politico aveva le grandi capacità artigianali: l'archivio, la macchina da scrivere, il tavolo, i tempi necessari per il lavoro, la grande attenzione alle piccole cose senza la quale non riescono neppure le grandi iniziative. Ed ogni volta, su ogni singola battaglia, era uno straordinario, un eccezionale aggregatore di intelligenze e energie, umilmente coinvolte e chiamate a collaborare alle sue idee e alle sue iniziative. L'irriducibile Ernesto Rossi, il radicale Ernesto Rossi aveva l'umiltà del laico: credeva nel dialogo. Ed era pronto a mettere da parte le sue idee se risultavano sbagliate alle obiezioni degli altri. E, pur tenendo fermi i principi del dissenso, era disposto alla collaborazione sulle cose in cui consentiva, circoscrivendo laicamente i motivi d
i convergenza e di dialogo.
Ma anche il suo radicalismo è una sua qualità. E non è giusto censurarla, o ridurla a caricatura, e a fatto meramente caratteriale. Non è così. Rossi era un uomo forte delle sue idee e dei suoi principi, non era un fanatico. E questa forza ideale che lo induce, già nei giorni della sconfitta del fascismo, a rifiutare di entrare nelle file dei reduci dell'antifascismo di ieri per interessarsi subito alle battaglie dell'antifascismo dell'oggi. E la stessa forza ideale che lo spinge a dire subito che delle tre componenti del fascismo l'alleanza della monarchia, il clericalismo, le bardature economiche e corporative solo la prima era stata sconfitta, mentre le altre due sopravvivevano al regime mussoliniano, ed erano più vive e più forti di prima. E ripiglia, da subito, la lotta contro i monopoli, e contro la Federconsorzi da una parte, e la lotta contro il clericalismo dall'altra.
E' radicale e intransigente il tollerante e laico Ernesto Rossi.
Io credo si debba dar atto che noi radicali non abbiamo mai fatto, nei confronti di questi che consideriamo a giusto titolo i nostri padri elettivi, mediocre operazione di rivendicazione o di appropriazione. Non lo abbiamo mai fatto nei confronti di Mario Pannunzio e degli uomini della sinistra liberale, i primi fondatori del Partito Radicale. E non lo abbiamo mai fatto neppure nei confronti di Ernesto Rossi.
Non l`abbiamo mai fatto perché è viva e presente in noi la consapevolezza delle diversità, delle differenze e perfino delle fratture generazionali che ci separano da loro. Ma proprio per questo è anche vivo il senso della continuità, la quota di continuità che non può non esserci non foss'altro per il fatto che senza di loro noi non saremmo esistiti come radicali o saremmo stati profondamente diversi da ciò che siamo divenuti.
Io ho l'impressione che per esorcizzare questo elemento di continuità, si compia in buona sostanza un'opera di falsificazione storica, una vergognosa censura di una parte delle scelte e della vita politica di quegli uomini. Non parlo solo di Ernesto Rossi; parlo anche degli altri. Come si fa infatti a scrivere un articolo di quasi cinque colonne su Ernesto Rossi, come ha fatto Enzo Forcella sul »Messaggero , senza menzionare il Partito Radicale? Il gruppo del »Mondo viene descritto soltanto come un gruppo d'amici, mentre il Partito Radicale scompare. La scelta di Forcella è, da un punto di vista personale, comprensibilissima: perché di quel gruppo d'amici Forcella faceva parte, mentre non fece parte del Partito Radicale. Ma è un altro modo per esorcizzare il Partito Radicale, e per sacrificare una identità storica, anche personale, di quegli uomini, alla propria memoria e alle proprie, diverse, esperienze esistenziali .
Dunque erano solo un »gruppo d'amici . E cosa volevano politicamente? Il terzaforzismo, la terza via fra Pci e Dc: insomma il lamalfismo o la preparazione del centro sinistra. Ma come? Quegli uomini ripropongono in polemica con Togliatti l'anticlericalismo e la lotta all'art. 7 e al Concordato, per primi denunciano l'immoralità pubblica dei governi democristiani, per primi parlano la parola non l'ha inventata Pannella , a metà degli anni Cinquanta, di »regime ; quegli uomini, su queste cose fondano un partito! Si possono liquidare, ignorare queste cose, senza immiserire, ridurre ad altro, in altri termini falsificare, l'esperienza di una generazione di radicali?
E' un atteggiamento molto diffuso. L'articolo a fianco a quello di Forcella è addirittura di un ex radicale, Giuseppe Loteta. Il titolo è »Il coraggio di essere impolitico . Ad una prima lettura, può sembrare perfino un bel titolo, un grande complimento, se si pensa all'andazzo e alle caratteristiche della politica italiana non solo di oggi, ma anche di allora. Ma poi subentra la riflessione.
Uno fa l'antifascista militante, si fa 13 anni di carcere, il giorno dopo ricomincia subito nuove battaglie, tutte politiche e giornalistiche, e va avanti così indefessamente per altri 20 anni ed oltre. Questo sarebbe un »impolitico ! Tredici anni di galera »impolitici , mezzo secolo di lotte »impolitiche !
Ogni cosa che faceva era una fatica improba, spesso strappata a molte difficoltà. Ed ognuno dei periodi del suo impegno politico, quando si concludeva, ognuna delle sue amicizie e compagnie politiche, quando si rompeva, erano seguiti lo ricordo perché non vorrei dare anch'io un contributo alla sua santificazione da crisi nervose. Quanto era insopportabile, quanto era difficile stargli a fianco in quei momenti! Diventava nevrotico anche il suo cane. Finché non riusciva, faticosamente, a trovare gli obiettivi, i mezzi, le collaborazioni per un nuovo impegno. E allora ne usciva, da quelle crisi, sapendo cosa fare, quali battaglie, con quali mezzi, con quali scadenze, con chi.
Altro che impolitico. Era uno straordinario militante politico, l'unico fra i radicali di quella generazione che avesse anche una straordinaria capacità di aggregazione di altre energie militanti. Basta pensare all'organizzazione del »Non Mollare . Basta pensare ai »Convegni degli "Amici del Mondo" di cui fu il vero organizzatore.
Ma anche la corrività rispetto a questi luoghi comuni è un altro modo di massacrare un pensiero e un'azione politica radicalmente alternativi.
Salvemini, grazie al fatto che Ernesto Rossi gli è sopravvissuto, ha avuto raccolte e ripubblicate le sue opere. Ma possibile oggi che non ci sia un editore che senta il bisogno di ripubblicare i libri di Ernesto Rossi, di ripubblicare Rosselli? Possibile che Gobetti debba essere rimesso in circolazione solo quando Paolo Spriano o gli uomini dell'editoria comunista decidono di riproporlo e di ristudiarlo'?
La storia di questi uomini è anche la storia di questo massacro culturale di una minoranza. Il loro ricordo va strappato, rimediando a questo massacro. Il regime, l'assenza di democrazia, comincia da qui: da questo bisogno di stravolgere l'identità dell'altro, di rendere irriconoscibili i connotati del diverso, dell'eretico.
L'attualità di Ernesto Rossi è ancora, e tutta, qui. Ernesto Rossi, né eroe né santo, ma Ernesto Rossi pensatore e uomo d'azione, Ernesto Rossi militante politico, militante politico radicale. E questo Ernesto Rossi che, nella integrità di tutta la sua vita, nell'attualità del suo pensiero, nelle sue contraddizioni e anche nei suoi errori, laicamente dobbiamo riconsegnare alla politica e alla cultura del nostro paese e alla conoscenza delle generazioni future.