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D'Elia Sergio - 23 maggio 1992
CONTRO LA PENA DI MORTE INNANZI TUTTO LA POLITICA
di Sergio D'Elia

SOMMARIO: Milioni di cittadini americani che vivono liberamente hanno cominciato a credere, perfino con mitezza di comportamento e di giudizio, che la pena di morte sia uno dei possibili vincoli sociali. I politici, d'altro canto, sia quelli repubblicani che quelli democratici, si guardano bene dal dividersi su questo punto. Non si può quindi protestare senza cadere nella trappola delle giustapposizioni e dei luoghi comuni, anche umanitari.

Contro tutto questo è più che mai necessario fare politica. E' necessario dotarsi di strumenti di intervento effettivi, rapidi, capaci di atti concreti e di determinare certezze legislative ed istituzionali.

(IL MANIFESTO del 23 maggio '92)

In questo mese sono state "giustiziate" 5 persone negli Stati Uniti. Per ognuna di esse abbiamo organizzato una manifestazione, ci siamo mobilitati come abbiamo potuto e saputo. Abbiamo cioé tentato di superare, o meglio di contenere, con la nostra attività, la pesantezza dell'angoscia suscitata da questo orribile rito che torna ad assumere un ruolo nella società.

E' questo il punto veramente decisivo: milioni di cittadini che vivono liberamente hanno cominciato a credere, perfino con mitezza di comportamento e di giudizio, che la pena di morte sia uno dei possibili vincoli sociali; che essa possa essere giustamente comminata e che, finanche, l'orrore e il dolore che ne derivano possano essere salvifici o catartici.

Tutto ciò è terribilmente serio poichè il 75% degli americani ritiene che la pena di morte sia giusta e, nel pensare questo, è animato da sentimenti e contenuti di "civiltà", nient'affatto vendicativa o violenta. Un dato emerso dai lavori del XXXVI· congresso del Partito radicale nella Commissione sulla pena di morte, è l'estrema debolezza politica e di influenza delle organizzazioni abolizioniste.

I politici, d'altro canto, sia quelli repubblicani che quelli democratici, si guardano bene dal dividersi su questo punto. Entrambi considerano solo i sondaggi di opinione, e la pena di morte si sta avviando a divenire politica del senso comune, quasi una ovvietà che si compie nei suoi doppi riti. Da una parte l'assassinato, le sue dichiarazioni, perfino i dibattiti in diretta, la Corte suprema che dice no; dall'altra coloro che manifestano perchè l'esecuzione venga sospesa, mentre sanno che tutto è già successo.

E' evidente che non si può protestare senza cadere nella trappola delle giustapposizioni e dei luoghi comuni, anche umanitari.

Contro tutto questo è più che mai necessario fare politica.

I disastri prodotti sull'opinione pubblica dalla politica dell'insicurezza sociale e dell'emergenza, e dal sistema dei media, non possono essere riparati da generici discorsi sul "diritto alla vita", anch'essi interni ad una dottrina dello Stato etico, ma solo da una politica che produca le leggi e il Diritto a garanzia dell'individuo.

E' necessario dotarsi di strumenti di intervento effettivi, rapidi, capaci di atti concreti e di determinare certezze legislative ed istituzionali, sicchè non si debba ricominciare ogni volta daccapo.

Non tutti sanno, per esempio, che l'America non ha aderito al Patto Internazionale dei Diritti Civili e Politici dell'ONU. Per questo può permettersi di mandare a morte minorenni, minorati e donne in stato di gravidanza - da quel patto esplicitamente protetti - e ogni volta bisogna, con esiti diversi, tentare di strappare alla morte ora Paula Cooper, ora Jesus Romero.

Ora, l'America si accinge a firmare il Patto dell'Onu, ma pone delle riserve proprio su questi casi.

Il diritto internazionale - la cui forza cogente va costruita - indica e prevede la possibilità per i singoli stati di porre delle obiezioni a tali riserve, dove queste snaturino l'adesione al patto stesso. Gli Stati, però, ubbidendo ad un malinteso senso della non ingerenza, non hanno quasi mai esercitato una simile prerogativa.

Si potrebbe - come ci indica Giandonato Caggiano, professore di Diritto internazionale - intanto preparare i testi delle obiezioni alle riserve degli Stati Uniti, che vanno poi presentati, lo stesso giorno alla stessa ora in diversi parlamenti, con mozioni che impegnino il Governo ad obiettare, ma anche organizzando davanti a quei parlamenti la mobilitazione civile, democratica perchè quei testi vengano approvati.

Questo è solo un esempio dei molti interventi che potrebbero essere realizzati da una Lega Internazionale da costituire al più presto, con parlamentari, giuristi, premi Nobel, operatori dell'informazione e dedita all'obiettivo dell'abolizione della pena di morte entro il 2000 e, intanto, di una moratoria di almeno tre anni sulle esecuzioni che consenta di guadagnare i tempi necessari al pieno dispiegamento dell'azione istituzionale, parlamentare e legislativa e di lotta civile, nonviolenta.

A questo sta lavorando il Partito radicale, a partire da quanto è già costituito sul piano transnazionale e transpartitico, con gli eletti ai Parlamenti di trenta Paesi e i cittadini di 45 stati del nostro pianeta che ne fanno parte, ma è chiaro che se non ci giunge altra forza, contributi e adesioni, non ce la faremo.

Roma, 22 maggio '92

 
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