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Taradash Marco - 26 settembre 1992
DROGA: ANTIPROIBIZIONISMO O COLOMBIA
di Marco Taradash (deputato della Lista Pannella e promotore dell'intergruppo parlamentare antiproibizionista)

SOMMARIO: Lasceremo distruggere senza reagire la democrazia politica nei Paesi più esposti al narcotraffico e inquinare definitivamente il sistema mondiale dell'economia di mercato? La legalizzazione è il solo mezzo per prosciugare una fonte di crimine e di violenza altrimenti inesauribile. Nonostante venti anni di guerra alla droga, la repressione non incide che sulle briciole del grande traffico. La discussione intorno alla legalizzazione delle droghe verte ormai sulle conseguenze di una sconfitta già avvenuta e sul modo di evitare che si trasformi in disfatta per la democrazia e per il sistema di mercato.

(MONDO ECONOMICO, 26 settembre 1992)

Saremo davvero così ciechi e stolti da permettere che nei prossimi dieci anni le organizzazioni criminali ricavino dal traffico di droga gli stessi profitti e lo stesso potere che ne hanno tratto nei dieci anni passati? Lasceremo distruggere senza reagire la democrazia politica nei Paesi più esposti (fra cui, in prima linea, l'Italia), e inquinare definitivamente il sistema mondiale dell'economia di mercato? Sono queste le domande che da tempo formula il Cora (Coordinamento radicale antiproibizionista) e che da alcune settimane ripropone al Governo e alle segreterie dei partiti l'Intergruppo parlamentare antiproibizionista, che raccoglie oltre 150 deputati e senatori di ogni area, esclusa l'estrema destra "etica".

La legalizzazione è il solo mezzo per prosciugare una fonte di crimine e di violenza altrimenti inesauribile. Chi nega tuttora il fallimento del proibizionismo sulla droga (e penso in particolare all'ex numero uno dell'Unfdac, l'organismo antidroga dell'ONU, Giuseppe Di Gennaro, da qualche settimana a capo della superprocura antimafia) è costretto a ricorrere a un artificio dialettico: il proibizionismo in realtà non sarebbe neppure cominciato, visto che larghi settori dei Governi sono corrotti e interi Stati sono controllati dai narcos. Secondo questo argomento la corruzione e la violenza non appartengono alla struttura stessa del narcotraffico, ma sono delle semplici "interferenze" nella lotta contro di esso. Ma come queste "interferenze" possano essere eliminate non si spiega, e ciò toglie ogni valore e ogni senso all'utopia proibizionista.

In realtà, nonostante gli sforzi economici e militari internazionali, e a dispetto dei provvisori successi delle forze dell'ordine, il mercato criminale della droga non conosce crisi di lungo termine.

Questo perchè, nonostante venti anni di guerra alla droga, la repressione non incide che sulle briciole del grande traffico (soltanto il 5-15% delle sostanze in circolazione viene sequestrato, per parere unanime dei servizi antidroga internazionale), sugli spiccioli del profitto (le leggi antiriciclaggio Usa, le più efficienti, bloccano soltanto un dollaro su cento di denaro contante, e 10 dollari ogni cento investiti in beni o azioni), e sulla schiuma dell'esercizio criminale (in Italia sono circa 6 mila i detenuti per associazione criminale, contro i 500 mila attivi censiti dall'Ispes).

Il più recente rapporto sul traffico di droga, diffuso dal Governo tedesco a luglio, valuta in circa 250 miliardi di dollari il giro di affari di questo commercio in Occidente nel 1991. E' una stima che si situa a metà strada fra quella minimalista (120 miliardi fra Usa e Cee) calcolata dagli esperti del Gafi, la task force antiriciclaggio del G7, e quella, che a me pare molto esagerata, dell'Onu (500 miliardi di dollari all'anno su base planetaria).

Qualunque cifra si prenda per buona, la forza dei poteri criminali risulta enorme, e inarrestabile la loro penetrazione in tutti i settori dell'economia legale. Nè i colpi inflitti ieri al clan di Medellin nè quelli subiti in questi giorni dalla mafia e dalla camorra avranno ripercussioni si rilievo.

Tanto più che il tracollo dei Paesi comunisti ha aperto un nuovo capitolo di questa vicenda. Appena eletto al Parlamento europeo, presentai una risoluzione per chiedere che i Dodici si interrogassero sulle conseguenze indesiderate di una democratizzazione economica che si sviluppasse sotto l'invisibile pressione del sistema proibizionista. Leggiamo ora gli allarmanti rapporti dei servizi antidroga occidentali: un terzo degli investimenti a Berlino Est è siculo-mafioso, Estonia, Lettonia e Lituania sono diventate le basi operative dei trafficanti di droga dell'Asia centrale, ambasciatori della camorra operano in Polonia e in Ungheria, in tutti i nuovi Stati dell'ex Urss si è sviluppata un'intensa coltivazione di marijuana e papavero, mentre, in conseguenza della guerra nell'ex Jugoslavia, la rotta dell'eroina che passava per i Balcani si è spostata più a Est. Se, in nome dell'etica di Stato (davvero con la "S" maiuscola), il proibizionismo continuerà a prevalere, avremo presto alle porte dell'Europa comu

nitaria le nostre Colombie, Bolivie e Perù.

Fra gli avversari della legalizzazione, molti sono convinti che questa farebbe aumentare i consumi delle droghe più pericolose, e che la vita dei tossicomani peggiorerebbe. Ma anche queste giuste preoccupazioni fanno a pugni con la realtà. Basta riflettere sulla vita di emarginazione, malattia e degrado che lega la maggior parte dei consumatori di eroina, e sulla loro inevitabile trasformazione in procacciatori di nuovi clienti, che ha portato ovunque all'aumento massiccio dei consumi illegali. Quanto alla terapia e alla prevenzione, le politiche più efficaci sono quelle ispirate al concetto di "riduzione del danno". Per queste, a differenza delle strategie proibizioniste, l'astinenza non è l'unico valore in gioco, e si dà grande importanza a obiettivi parziali quali la sopravvivenza e la buona salute (da cui l'uso di farmaci sostitutivi, come il metadone e il temgesic, la distribuzione sotto controllo medico di eroina legale al posto di quelle illegali, la distribuzione di siringhe sterili) o il reinse

rimento sociale, fuori dal giro criminale. Se ne parlerà a Bologna, in novembre, in una conferenza internazionale prossima su iniziativa del Cora.

Il premio Nobel Friedman, economista libertario, ha osservato di recente che la guerra alla droga è fallita "perchè è un'impresa socialista": una concentrazione enorme di poteri dello Stato che abbia la finalità di impedire un comportamento privato è destinata alla sconfitta. C'è da rifletterci. In ogni caso la discussione intorno alla legalizzazione delle droghe verte ormai sulle conseguenze di una sconfitta già avvenuta e sul modo di evitare che si trasformi in disfatta per la democrazia e per il sistema di mercato.

 
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