di Filippo CeccarelliSOMMARIO: Dalla marcia contro la Rai del 1974 a quella del 17 ottobre 1992, diciotto anni di scontri fra Marco Pannella e il sistema radiotelevisivo pubblico per il diritto all'informazione. "In questi 18 anni qualche passo avanti lo si è fatto. Anche grazie a Pannella. Quel suo continuo batti e ribatti sulla falsità, sulle distorsioni; la scoperta (e un po' anche l'ossessione) del cronometro come misuratore dei vizi dell'occupazione partitica". "Forse la Rai di oggi ha più paura di Pannella di quanta lui poteva averne della Rai 18 anni orsono."
(LA STAMPA, 17 ottobre 1992)
Chi tocca quel cancello muore! Corrente elettrica: bzzz, una scarica, e il manifestante pannelliano che avesse voluto far troppo lo spiritoso ci sarebbe rimasto appiccicato, sulla cancellata della Rai, a viale Mazzini.
Non era vero niente, ovviamente. Nessuno pensò mai di difendere il palazzo della tv come un carcere di quelli che si vedono nei film americani. E tuttavia, nel lontano 1974, tra chi partecipò alla prima marcia radicale si sparse anche quella voce dell'elettricità anti-manifestanti. Voce plausibile, e comunque rivelatrice, oltre che del clima, soprattutto della supposta malvagità dei dirigenti e dei protettori politici (detti "padrini") di quella Rai che anche allora Marco Pannella combatteva quasi da solo e con allegra spregiudicatezza.
La storia falsa ma verosimile dell'inferriata ad alta tensione la si trova - piccola pepita - tra le carte dell'utilissima ed autocelebrativa documentazione fornita dai radicali in occasione della marcia di oggi, che si dipana per Roma secondo un itinerario arrangiato e curato dal ministro dell'Interno in persona. E la storiella metropolitana almeno un po', bisogna riconoscere, fa pensare che in questi 18 anni qualche passo avanti lo si è fatto. Anche grazie a Pannella. Quel suo continuo batti e ribatti sulla falsità, sulle distorsioni; la scoperta (e un po' anche l'ossessione) del cronometro come misuratore dei vizi dell'occupazione partitica; l'invenzione di un efficientissimo Centro di ascolto radicale a cui in passato si è dovuto rivolgere - ironia della sorte - lo stesso Craxi; la prima e la seconda campagna per la disdetta del canone. Senza contare indimenticabili, personalissime performance che sono entrate di forza nella storia della televisione italiana: muto e imbavagliato per 26 eterni minu
ti nel 1978; per nulla imbarazzato, con Cicciolina a fianco, nel 1987. Vittima della censura Rai, Pannella, e al tempo stesso, quelle volte che è capitato, suo vindice e carnefice.
Personaggio politico a volte cancellato, altre volte addirittura perseguitato a colpi di immagini (lui grasso mandato in onda nei giorni del digiuno). Eppure sempre temuto. capace di calamitare e tener lì milioni di telespettatori. Più leggenda, ormai, che fenomeno televisivo. "Pannella buca il video" (Umberto Eco); "Vero antesignano e padre fondatore della politica spettacolo, egli si fa messaggio" (Gianni Statera); "Perfetto controllo espressivo in video, rara padronanza televisiva"(Gilberto Tinacci Mannelli ed Enrico Cheli). Con un potere di coinvolgimento da fare spavento. In quattro ore di filo diretto su un'emittente privata, Canale 66, Pannella riesce in media a "fare" 100 iscrizioni al partito.
Televisivamente celebratissimo, nel piccolo network radicale, trasmesso e ritrasmesso fino alla mania, fino alla riproposizione di antichi comizi in francese. E quando rimettono in onda vecchi brani di repertorio con vibranti inviti alla popolazione a recarsi in questo o quel posto, accade che alcuni cittadini, come ipnotizzati, escano di casa e si rechino là dove Marco li ha entusiasticamente invitati. Che cosa poi trovino a destinazione e soprattutto come reagiscano a quel punto è questione che va ad alimentare il mito di questa potenza televisiva.
Che, a dar retta alla leggenda, pare abbia tratto in inganno perfino Craxi, e proprio nel periodo in cui era alleato di Pannella. Un Craxi che a notte fonda capita per caso su Tele Roma 56, altra emittente di area radicale, e ci trova un Pannella che parla in piazza e non solo lo critica, ma lo offende. E allora alza il telefono e chiama Martelli: "Ma questo che cavolo vuole da me?". E invece era un comizio di due o tre anni prima.
Dominatore indiscusso di duelli televisivi, Pannella perde quelli più facili, per eccesso di sicurezza. Una volta, per dire, andò malissimo con Natta, che era notoriamente un disastro. Un'altra con Giuliano Ferrara, appena arrivato in tv. L'ultima volta con Cossiga che lui voleva mandare avanti all'Alta Corte e quello: "Mar-co! Mar-co! ma mi porterai le arance? E i sigari?". Insomma, viene da chiedersi cosa sarebbe stato, Pannella, senza la tv. E anche un po' la tv senza Pannella.
Classico rapporto irrisolto del genere odio-amore, con tipica aggravante "nè con te, nè senza di te vivere posso". E magari bastasse una marcia, a sbrogliarlo. Anche perchè Pannella è sempre pronto a protestare ma - in questo legittimamente - non ha mai rinunciato ad acchiappare al volo tutte le occasioni del video. Per cui, alla fine, lo invitano, lui va come chi si aspetta un risarcimento, i conduttori non se ne rendono conto, lo fanno parlare come o meno degli altri, lui protesta. E l'altroieri, a "Milano, Italia", stanco di "fare la bella statuina", "toglie il disturbo", e in diretta si alza e se ne va. Grande esperto di manipolazioni da video ma anche, per certi versi, insaziabile. E qui è difficile dimenticare un suo più iroso che sarcastico comunicato tecnico perchè ripreso sempre e solo di profilo: "Per 31 minuti, ininterrotti, grazie alla "regia" dell'incontro stampa, sono risultato essere una persona munita di un solo occhio, di un solo lato del volto...".
Inutile ricordare che è stato lui il primo ad individuare la fertilità politica del terreno televisivo. E quello che gli ha dato anche la prima zappata. Neanche a farlo apposta, dopo l'annuncio della manifestazione, nel 1974 si dimise un poderoso boiardo come Ettore Bernabei. Non che i due eventi siano strettamente collegati (anche se oggi Marco sostiene che quel suo annuncio ha influito). Ma al dunque la coincidenza cronologica tra quella prima marcia pannelliana e la fine della stagione di Bernabei sembra quasi confermare l'esistenza di un filo invisibile, ventennale, che lega questi due mondi. Opposti, eppure ormai intrecciati, perfino complementari.
Però nel 1974 quando De Gregori cantava per strada "Alice guarda i gatti, e i gatti guardano nel cielo..." e Pier Paolo Pasolini, un altro che aderì a quella marcia, andava elaborando la sua riflessione sulla fine delle lucciole (uccise anche dalla tv), allora il leader radicale rischiava davvero la pelle per andare in tv: "Caro Pannella - questo è Goffredo Parise - un video come il nostro non vale la tua vita". E invece c'è quel ricordo di Marco secco come un chiodo, 25 chili persi per espugnare la tv. E quando ci riesce i cameramen dello studio battone le mani, il direttore generale Willy De Luca impreca: "Bisogna fermarlo, è un pazzo!". "Ricevetti - ricorda oggi Pannella - migliaia di lettere".
E oggi? Beh, oggi c'è una Rai boccheggiante, in stato economicamente pre-agonico, senza più certezze di potere politico all'esterno, con una mezza rivoluzione all'interno. Forse la Rai di oggi ha più paura di Pannella di quanta lui poteva averne della Rai 18 anni orsono. Adesso c'è il giornalista del tg che gli mette il microfono sotto il naso e: "Onorevole Pannella, vuol dire a un tg della Rai perchè marcia contro la Rai?". Risposta: "Marcio contro un sistema marcio...". Forse quella passeggiata con orchestrina jazz e comizio finale potrebbe essere addirittura il colpo di grazia. E magari, in quel caso, si chiuderebbe un altro capitolo di questa lunga storia complicata.