di Francesco RutelliSOMMARIO: Secondo Francesco Rutelli, se si adottasse il sistema elettorale uninominale "all'inglese" »in Italia si andrebbe ad un trasformismo localista e feudale e alla spaccatura dell'unità nazionale . Questo sistema »porterebbe a formare un Parlamento composto non più da tredici, ma da seicento partiti . »Se si vuole superare la frammentazione e la palude partitica e impedire la rottura dell'unità nazionale, si possono scegliere varie formule, all'interno della "forbice" che va tra la revisione del sistema tedesco ed il maggioritario a doppio turno .
(L'UNITA', 16 novembre 1992)
Il sistema uninominale "all'inglese" non porterà l'Italia alla democrazia compiuta, ma a un disastro ben peggiore di quello di oggi. La via da percorrere per arrivare ad un forte cambiamento del sistema politico non può essere copiata da paesi che hanno società e culture radicalmente diverse dalle nostre: col sistema inglese, in Italia si andrebbe ad un trasformismo localista e feudale e alla spaccatura dell'unità nazionale, non certo alla nascita di "due partiti", uno conservatore e uno progressista, contrapposti tra loro. Io sono tra i promotori di due dei tre referendum elettorali. Lo rifarei, oggi, non una ma mille volte, a dispetto delle geremiadi dei conservatori del proporzionalismo nascosti anche dietro posizioni "di sinistra". Senza il referendum sulla preferenza unica, il "tappo" della conservazione partitocratica sarebbe ancora al suo posto. Questo non vuol dire che quel referendum fosse, nel merito, un toccasana. Tutt'altro. Ma era e si è confermato indispensabile, posto che il cambio di un regim
e esaurito e marcio si può realizzare solo per pressioni esterne, non potendosi attendere l'auto-epurazione né illuministiche autoriforme da parte della classe al potere. Lo stesso va detto oggi. I referendum erano e restano l'unica via democratica ed incisiva per giungere a nuovi equilibri. Proiettandone l'esito sul Parlamento, avremmo una Camera proporzionale e un Senato largamente maggioritario: uno scenario comunque bisognoso di una decisione conclusiva del Parlamento.
Pretendere che questo processo sia aggraziato, alla maniera della Primavera del Botticelli, non ha senso: la battaglia è aspra ed apertissima. Nel merito, un meccanismo di elezioni comunali che introduca la votazione diretta del sindaco (noi verdi diciamo: anche della giunta) e salvaguardi la rappresentatività del Consiglio potrà raggiungere, con largo consenso, il risultato voluto dai promotori del referendum, assicurare chiarezza politica e governabilità nei nostri comuni senza cancellare una - pur semplificata - rappresentanza democratica nelle assemblee locali. Quanto al Parlamento, un processo di riforma deve forzare le tendenze di conservazione. Ma non può essere estraneo alla società cui si applica. Il fatto che gli italiani mandino tredici partiti in Parlamento - nonostante le generali lamentele sull'eccesso di partiti - corrisponde, oltre che alla degenerazione della partitocrazia, ad una vocazione al "particolare" riscontrabile a partire da qualsiasi riunione di condominio in su.
Applicare il sistema inglese a questa cultura diffusa - di cui è parte anche la corruzione, l'arte di arrangiarsi, la crisi del ruolo dello Stato - non significa far diventare inglesi gli italiani. Significa piuttosto far diventare "italiano" il sistema inglese. Non dimentichiamo che la parola trasformismo è nata proprio in Italia, in virtù dell'applicazione all'italiana di un sistema elettorale maggioritario, circa un secolo fa. Oggi, registriamo confluenze sul modello inglese che sono sorprendenti, ma sino a un certo punto. Pannella definisce "storica" la conversione britannica di Bossi. Il professor Miglio però l'ha spiegata chiaramente due giorni fa su L'Indipendente. "Noi guardiamo solo quel che interessa a noi. Con i sistemi uninominali noi portiamo via in maniera schiacciante il Nord. Diventiamo i padroni del Nord e in parte del Centro".
A questo punto, manca ancora dall'adunanza pro-sistema inglese l'onorevole Cirino Pomicino, ovvero quella parte della Dc che ne ricaverebbe la sempiterna garanzia di conservare la maggioranza relativa e il potere dalla Campania in giù. Non a caso, checché si dica, Mario Segni non ha affatto sposato il sistema inglese. Perché, attenzione: il sistema inglese non farebbe nascere due o tre partiti nuovi; farebbe di ogni eletto il satrapo locale, grazie alle più spregiudicate alleanze che gli consentano di vincere, e porterebbe a formare un Parlamento composto non più da tredici, ma da seicento partiti...Per la semplice ragione che oggi in Italia non esistono e a lungo non esisteranno i presupposti per formare due (o tre) nuovi partiti nazionali in grado di contrapporsi su chiare piattaforme programmatiche e precisi insediamenti sociali e di interessi. Sfido chiunque a dimostrare il contrario, e per primo Pannella, che non a caso non ci ha mai provato, limitandosi ad astratte perorazioni sulla "fine della partito
crazia".
Se si vuole superare la frammentazione e la palude partitica e impedire la rottura dell'unità nazionale, si possono scegliere varie formule, all'interno della "forbice" che va tra la revisione del sistema tedesco ed il maggioritario a doppio turno, con l'adozione di meccanismi diversi per l'elezione dell'esecutivo (senza escludere, da parte mia, l'elezione popolare diretta). Gli obiettivi principali: ridurre il numero dei partiti ma garantire una rappresentatività che, se mancasse, porterebbe il Parlamento a vere e proprie rotture con grandi aree della società e ad una sicura delegittimazione; assicurare la governabilità con un legame effettivo tra popolo, parlamentari ed esecutivo; favorire le aggregazioni su base programmatica. E qui io vedo il ruolo insostituibile, tanto più dopo il successo di Clinton-Gore, dell'ambientalismo in politica.