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Turone Sergio - 2 febbraio 1993
Il Garofano nelle mani di Pannella? Una provocazione ma parliamone.
di Sergio Turone.

SOMMARIO: Raccogliendo le voci di una candidatura di Marco Pannella alla segreteria del Psi, Sergio Turone scrive che sul piano della moralità politica »Pannella è in Italia il solo politico di lungo corso che abbia, su tutto, le carte in regola e quindi rappresenterebbe per il Partito socialista l'alternativa al decesso nella vergogna.

(PAESE SERA del 2 febbraio 1993 e Secolo XIX del 3 febbraio)

Sarà forse un'ipotesi destinata a infrangersi (o addirittura già infranta) sulle scogliere di quello che la pigrizia dei più definisce realismo politico. Però la voce secondo cui Marco Pannella potrebbe diventare segretario del Psi - raccolta ieri dal "Corriere della Sera" - merita una riflessione.

Intanto c'è una consapevolezza che occorre acquisire: per i partiti del dopo-Tangentopoli deve cambiare tutto. In politica non c'è personaggio che non sia discutibile. Lo è anche Pannella, per la disinvoltura con cui passa dai toni dell'appassionata predicazione alla sbrigatività di un pragmatismo talora eccessivo, e per la spregiudicata aggressività con cui usa il suo carisma. Ma sul piano della moralità politica - che oggi l'opinione pubblica finalmente assume quale criterio discriminante - Pannella è in Italia il solo politico di lungo corso che abbia, su tutto, le carte in regola.

Sostenne sempre - fino alla noia delle martellanti campagne per la sopravvivenza del partito radicale - la necessità che i partiti si autofinanzino in modo trasparente col denaro degli iscritti, e che il contributo pubblico venga dato non mediante l'erogazione di quattrini, bensì attraverso un'adeguata fornitura di servizi gratuiti. Sostenne anche per primo la necessità di una riforma elettorale basata sul sistema uninominale maggioritario secco, visto come il solo mezzo idoneo a creare le premesse per una democrazia articolata su due grandi schieramenti alternativi, immuni dal rischio di trasformarsi in partiti-aziende, come quelli odierni.

Perché mai allora Pannella, in quarant'anni di attività politica da cui sono scaturite molte delle innovazioni più vantaggiose per la società italiana, è ancora il leader di un partitino in perenne rischio di scioglimento?

La risposta più plausibile, a mio giudizio, si può esprimere con una metafora sportiva. Pannella è come un grande atleta, invincibile sulle lunghe distanze, ma debole sullo scatto. Fategli fare una maratona o una gara podistica di trenta chilometri e vincerà per distacco. Mettetelo in pista sui cento metri o sui duecento, e saranno in molti a batterlo. Purtroppo, di norma, la politica vive sui tempi brevi, e le gare che contano sono quelle di scatto. Ma viene il tempo delle emergenze, in cui le regole dell'Olimpiade politica devono per forza cambiare, e può arrivare il momento giusto per il maratoneta.

Le doti che il mondo politico italiano - suo malgrado - riconosce a Pannella, fanno di lui un punto di riferimento cui, paradossalmente, sono via via tentati di aggrapparsi proprio quei partiti che annaspano sgomenti nelle acque più tempestose. Quando, nel 1989, il crollo mondiale del comunismo indusse Occhetto alla scelta, coraggiosa ma drammatica, di trasformare il Pci in un partito democratico nuovo, il primo degli esponenti della sinistra con cui prese contatto fu Pannella: e per qualche mese parve che l'esigua ma significativa pattuglia dei radicali avrebbe avuto l'opportunità di contribuire alla storica svolta. Poi non se ne fece niente. Forse Pannella chiese prezzi politici troppo alti, quando ancora Occhetto s'illudeva di operare il Grande Cambiamento senza pagare alcuno scotto alla storia.

Ora il Psi di Craxi versa in una situazione ancora più drammatica di quella in cui si trovava il Pci alla vigilia di trasformarsi in Pds, Perché Occhetto aveva ancora da giocare la carta della Quercia, mentre le sole carte che oggi Craxi ha in mano sono i tre avvisi di garanzia firmati dai giudici di Tangentopoli.

Certo, per il gruppo dirigente di un partito, chiedere l'aiuto di un leader non iscritto - e col quale ha sostenuto polemiche dure - è una confessione d'impotenza. Eppure, se, per ipotesi, la singolare proposta dovesse rimanere in piedi, il Psi dimostrerebbe di saper almeno cercare la strada potenzialmente alternativa al decesso nella vergogna. Se, come sembra, è vero che questa sorta di autocommissariamento è stata suggerita a Giuliano Amato da un intellettuale colto come lo storico Luciano Cafagna, ciò vuol dire che in questo Psi, annichilito da un collasso molto prima politico che giudiziario, si muovono ancora energie capaci forse di rimettere in gioco un partito giunto ai limiti dell'autodistruzione.

 
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