di Maria Teresa MeliSOMMARIO: La sintesi del comizio che Marco Pannella ha tenuto nel corso del congresso radicale (Roma, 4/8 febbraio 1993). »Sto con i magistrati, basta che non risparmino i potenti dell'economia . Scalfari, che »droga i titoli e le notizie e che »difende non la libertà di stampa, ma la libertà della stampa di regime .
(IL GIORNO, 8 febbraio 1993)
"Che venduti! Per fortuna, noi crediamo che quando si è morti lo si è per sempre, altrimenti il povero Arrigo Benedetti...". Marco Pannella rievoca l'immagine del fondatore dell'Espresso. Lascia volutamente in sospeso la frase. E fa una pausa. Quel tanto che basta per suscitare la curiosità della platea del congresso radicale. Che il leader del P.R. si premura di soddisfare dopo qualche secondo, tirando fuori dalla tasca un foglio di giornale in cui si pubblicizza l'ultimo numero del settimanale che ha suscitato in lui tanta indignazione. Quindi legge ad alta voce: "Doppio complotto. Ce n'è uno immaginario, quello contro Craxi. Poi c'è quello vero. Quello contro Di Pietro e gli altri giudici di Mani pulite. Vanta molte adesioni. Nasce dal terrore della grande epurazione che avanza. Sfrutta piccoli errori degli inquirenti. Cerca disperatamente un leader non impresentabile: Pannella".
Il presunto complottardo finisce di leggere l'annuncio pubblicitario e non trattiene più il riso. "Questi - ironizza - credono ancora che la magistratura sia quella degli anni '50, '60 e '70. Pensano di poter indicare loro chi deve essere arrestato". Poi Pannella si fa serio e picchia duro. Prima rivendica al suo partito il merito di aver sempre denunciato che la Repubblica "era fondata sul peculato". "Noi - dice - ci occupavamo di queste cose quando Giorgio Bocca, che oggi si erge a difensore del suo editore, non trovava una virgola da eccepire nei confronti della corruzione politica degli anni '60". Quindi inizia la sua requisitoria contro Eugenio Scalfari e Carlo Caracciolo. Pannella li accusa di usare un vecchio metodo comunista, "quello di criminalizzare l'avversario". E restituisce pan per focaccia: "Una delle pagine più ignobili della magistratura - sottolinea - è la mancata indagine sull'accordo che Caracciolo, Scalfari, Tassan Din e Rizzoli fecero davanti al notaio per spartirsi delle proprietà
editoriali, mentre fioccavano le nostre interrogazioni sulla P2".
Ha il dente avvelenato, Pannella. Soprattutto nei confronti di Scalfari. E l'annuncio pubblicitario dell'Espresso gli dà modo di attaccare il direttore di "Repubblica", "che ha guadagnato 190 miliardi, vendendo le azioni del suo giornale in un momento particolarmente delicato per la redazione, che "droga i titoli e le notizie" e che "difende non la libertà di stampa, ma la libertà della stampa di regime". Il leader radicale, però non vuole eludere l'accusa. Ammette di aver detto che anche la magistratura dovrà rispondere del suo operato alla giustizia e lo dovranno fare senz'altro, sottolinea, "quasi tutti i procuratori di Roma, dagli anni cinquanta agli ottanta". Quanto ai magistrati dell'inchiesta Mani pulite, Pannella afferma: "Io non ho dei dubbi su Di Pietro. Ma lì sono in cinque, non c'è solo Di Pietro. E io sono vigile e attento. Perché inizio a pensare, dottor Borrelli, che vi sia qualcuno che amministra gli avvisi di garanzia a carico di supremi rappresentanti del potere economico e istituziona
le. Io non credo, come Leoluca Orlando, che il sospetto sia l'anticamera della verità, però non vorrei che, ad esempio, a Gianni Agnelli non arrivassero avvisi di garanzia perché è Gianni Agnelli".
Dunque, Pannella fa sapere che non dà peso ai sospetti. Ma li lascia aleggiare sulla platea del congresso del Pr. Con quell'accenno ai vertici del potere istituzionale. Con quel suo rivolgersi non a Di Pietro, di cui esalta la buona fede, ma al procuratore capo della Repubblica Francesco Saverio Borrelli. Dice e non dice, il leader radicale, insinuando il dubbio in chi lo ascolta. Non aggiunge altro. Anzi, cambia argomento: sposta il discorso sui due partiti storici della sinistra. Ironizzando sulla "rifondazione socialista" e su quell'Internazionale che ormai "è solo una ciambella di piombo con cui si cerca di cavare Occhetto dai guai". Poi, giunto alla fine del suo intervento, Pannella parla delle sorti del P.R. Ma rimane sul vago. Solo su un punto è chiaro: "Comunque andrà a finire - dice - anche se il partito sopravviverà, io non ho intenzione di ricoprire alcun incarico. Questo è il mio discorso di commiato". I radicali lo ascoltano in silenzio, chiedendosi se questa volta Pannella fa sul serio. Og
gi si chiude il congresso e avranno la risposta.