Pannella organizza un convegno per radiografare i Grandi Moralizzatori della Repubblica"L'Italia di domani - ammonisce Taradash - non nasce se sorgono i sepolcri imbiancati della spregiudicatezza"
di GAETANO GIORDANO
SOMMARIO: Vivace articolo di cronaca dello svolgimento del Convegno promosso dal gruppo federalista europeo a Roma per chiarire quali siano le vere caratteristiche del gruppo De Benedetti, un gruppo "politico, finanziario, editoriale" che oggi rappresenta, ad avviso dei promotori, "una parte del potere del Paese". In particolare, si riferisce delle relazioni dei giornalisti Marco Borsa (che ripercorre la storia dello stesso De Benedetti dagli inizi fino agli ultimi recenti avvenimenti che lo vedono impigliato in Tangentopoli), Piero Vigorelli e Giulio Mazzocchi.
(IL GIORNO, 5 giugno 1993)
ROMA - Tanto per non far nomi: si parla di Carlo De Benedetti e di Eugenio Scalfari. Accade in un convegno intitolato, con sparata ironia, "I Grandi Moralizzatori della Repubblica", indetto dal Gruppo federalista europeo della Camera dei Deputati e presieduto, nell'ovattata auletta dei gruppi parlamentari di Montecitorio, da Marco Pannella che chiuderà oggi una due giorni di interventi allusivamente dedicati a De Benedetti finanziere e alla Repubblica degli scandali, a Scalfari politico e a De Benedetti a Tangentopoli, a Una morale sinistra e alla Rai e la Repubblica (dove la parola Repubblica ha spesso un preciso doppio senso).
Qualche anticipo lo dà già, il leader dei radicali storici. "Il gruppo De Benedetti - gruppo politico, finanziario, editoriale - è una parte del potere del Paese. La Repubblica è un partito improprio e non un giornale d'opinione. Un gruppo e un partito improprio che, a differenza di Berlusconi, vogliono anche insegnare la morale".
E invece non si tratta di far la morale a nessuno, dice Marco Taradash. Ma come reagire, rispetto a chi la vuol fare ad altri, magari senza esser titolare del magistero morale necessario. Ecco allora una serie di testimonianze per verificare se questi titoli ci sono o no. E se è giusto pretendere d'essere rimasti immuni dal virus di Tangentopoli all'insegna dell' "Abbiamo rubato poco, i ladri sono gli altri". E se è credibile parlare di un'editoria subalterna quando è evidente una subalternità imposta ad altri. E se è legittimo dire che Berlusconi agisce nel suo interesse mentre il gruppo De Benedetti nell'interesse generale. Una cosa è certa: "L'Italia nuova non può nascere dalle macerie di Tangentopoli se accanto sorgono i sepolcri imbiancati della spregiudicatezza, dentro i quali - come dice il Vangelo, non la tivvù spazzatura - si trovano ossa e putridume".
Il guaio è che nella tomba può finirci la libertà di stampa, se è vero - come amaramente dice Marco Borsa, giornalista economico e direttore di Espansione - che "i giornalisti sono liberi di fare i giornali che gli editori vogliono". Borsa parla di come "l'Ingegnere" sia approdato all'editoria al termine di un itinerario finanziario denso di bagliori e bui, di impennate e crolli. Dall'irresistibile ascesa del giovane manager pratico di borsa che da un piccolo mondo antico di imprenditori onorato dai debiti passa alla corte degli Agnelli, dirigente ed azionista nella stanza dei bottoni della Fiat, fino alla rottura mascherata ma traumatica. Poi la Olivetti, il colpo della vita, un impero per 15 miliardi, in un anno e mezzo da settanta miliardi di passivo ad altrettanti di attivo. Ma poi ecco i lunghi tratti di penombra e peggio, il coinvolgimento con Calvi e il Banco Ambrosiano, gli intrecci oscuri, la condanna per bancarotta. Una sentenza forse discutibile, ma un colpo duro e quindi la decisione del pas
saggio dal mondo dell'impresa a quello della finanza, l'accostamento alla politica, la casa a Roma, relazioni talora chiacchierate ma sempre di primo piano. L'accordo con gli americani per la Olivetti, la grande ricchezza personale rastrellando in borsa dai tre ai quattromila miliardi in tre anni. E poi il contraccolpo della mancata scalata alla Société générale belga costata mille miliardi, la cessione della Buitoni, la sconfitta nell'attacco frontale all'editoria con l'operazione Mondadori. E oggi, tuttavia, il controllo di uno dei maggiori gruppi editoriali italiani, in raccordo al più alto livello nazionale del mondo del potere economico con quello dell'informazione, ancora secondo il modello mussoliniano che nel 1925 legiferò per avere alla guida dei maggiori giornali proprietà più accomodanti col regime fascista. Una legge mai cambiata - ricorda Borsa - perchè "i governi vogliono sempre che i giornali abbiano una proprietà che non rompa le palle".
Potere e stampa camminano abbracciati. E accade talvolta che nel viluppo scompaia qualcosa. Di una "curiosa dimenticanza" parla Antonio Maria Mira, giornalista dell'Avvenire, autore dello scoop su "De Benedetti a Tangentopoli". La dimenticanza ha riguardato un verbale di interrogatorio nell'ambito di Mani pulite, rimasto misteriosamente nascosto in un cassetto mentre altri verbali finivano allegramente in prima pagina nello spazio di un giorno, o di poche ore. Un verbale nel quale per la prima volta veniva citato il gruppo De Benedetti e rimasto nell'ombra fino alla clamorosa Canossa dell' "Ingegnere".
Non proprio buona stampa, per l'editore. Nè per il direttore. Per Eugenio Scalfari ci sono le critiche dure di Piero Vigorelli, che del numero uno della "Repubblica" tratteggia l'itinerario della militanza politica, dalla candidatura nelle liste radicali nel lontano '58 all'elezione al Parlamento nel '68 nella lista del Psi, secondo una vocazione frustrata e mascherata nel ruolo professionale: oggi, secondo Vigorelli, Scalfari è il "padrino della disinformazione". E c'è l'amarezza di Giulio Mazzocchi, che accosta con angoscia i tempi di un'antica dignità del giornalismo a quelli attuali, in cui Eugenio Scalfari, con una "mascalzonata intellettuale", dice di De Benedetti "Ecco un editore che sarebbe piaciuto ad Ernesto Rossi". Tempi di un "tacere continuo" dei giornalisti. "Per evitare che per vendetta vengano a scavare tra le tue cose si evita di scavare tra quelle degli altri".
Ma insomma, che cos'è? Un processo? No, spiega Pannella. Questo convegno è uno strumento di conoscenza. "Non dimentichiamo che il fondamento della democrazia è conoscere per deliberare".