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Gambino Antonio - 2 luglio 1993
La palude di Pannella
di Antonio Gambino

SOMMARIO: Gambino afferma che è in atto una "controrivoluzione", fomentata da una vera e propria "Palude" parlamentare, analoga a quello "strato indeterminato e acquitrinoso" della Convenzione che prima si piegò a Robespierre e poi aprì la strada alla dittatura napoleonica. Oggi, in Italia, i "controrivoluzionari" sono quel gruppo di parlamentari che hanno deciso "di mantenere in vita il Parlamento oggi in carica e di rimandare le elezioni politiche", ben oltre il completamento delle riforme elettorali. E' ben vero che l'attuale parlamento ha compiuto atti politici perfettamente legittimi ed ha avviato importanti riforme, ma esso "può conservare una sua temporanea legittimità solo se diventa lo strumento di tale trasformazione". Nel momento in cui cerca di prolungare il proprio potere, allora esso "si delegittima totalmente".

Purtroppo, questo orientamento controrivoluzionario ha trovato un "leader" in Marco Pannella il quale dopo avere, come tutti i "demagoghi", cercato una causa da cavalcare, pensa oggi di aver trovato, con la difesa del Parlamento, "un tema" che lo ponga "al centro" della vita politica nazionale.

(LA REPUBBLICA, 2 luglio 1993)

E' stata chiamata, dai suoi stessi protagonisti, "controrivoluzione": e può apparire una definizione ironica, e in fondo paradossale. Ma come tutti i nomi, o soprannomi, che nascono in momenti di grande rivolgimento collettivo, contiene un preciso elemento di verità: basti pensare alla "Palude", a quello strato indeterminato e acquitrinoso della Convenzione della Rivoluzione francese che, tra il 1792 e il 1795, prima si piegò a Robespierre e lo appoggiò incondizionatamente, poi ne provocò la caduta, infine aprì la strada al Direttorio e alla dittatura napoleonica.

Nell'attuale situazione italiana i "controrivoluzionari" sono quel gruppo - ancora in formazione e quindi invalutabile nella sua portata - di deputati e senatori il cui obiettivo dichiarato è di mantenere in vita il Parlamento oggi in carica e di rimandare le elezioni politiche. Fino a quando? Impossibile dirlo con precisione. Certo fino ad oltre il momento in cui le due Camere avranno completato l'opera di riforma elettorale (compresa la revisione dei collegi) e avranno approvato quelle altre leggi, tra cui quella sulla televisione, necessarie a permettere a tutti noi di andare a votare in modo proficuo e ordinato.

Per ottenere il loro scopo non è quindi sufficiente ai controrivoluzionari trincerarsi dietro alle "scadenze tecniche": che potranno forse imporre un voto non nel prossimo autunno ma nella successiva primavera. Al contrario, essi sono obbligati a dare ai loro discorsi un contenuto esplicitamente politico: devono, cioè, sostenere che l'attuale Parlamento, che è stato eletto il 5 aprile del 1992, e che da allora ha compiuto una serie di atti di cui nessuno contesta la legalità (a cominciare dall'elezione di un presidente della repubblica, e dal voto di fiducia a due governi), è, proprio per tali motivi, perfettamente legittimo, e quindi in grado di continuare il proprio lavoro a tempo indeterminato, e può essere sciolto anticipatamente solo con un atto abusivo. Un ragionamento, tuttavia, tanto contorto (a causa della confusione tra le legalità delle origini e la legittimità per quanto riguarda il futuro) da risultare totalmente infondato.

Le assemblee popolari - proprio perché il concetto di "rappresentanza" ha un contenuto indefinibile - hanno, infatti, un modo tutto particolare di rispecchiare l'opinione pubblica. Elette in un determinato contesto politico, esse possono, in quanto per mille canali recepiscono i mutamenti collettivi, diventare in seguito strumenti di espressione di orientamenti anche profondamente diversi. E qui l'esempio più probante è, forse, quello dell'Assemblea nazionale francese che, eletta nella primavera del 1936, dopo la vittoria del Fronte popolare, fu poi la stessa che, dopo quattro anni, dette i pieni poteri al maresciallo Petain. Ma, guardando al nostro paese, si può anche pensare al Parlamento eletto nel 1958: che, dopo aver dato vita ad alcuni governi centristi fornì la maggioranza all'esperimento di Tambroni, e infine varò il primo centro-sinistra.

Di qui discende che, mentre in termini generali non basta un semplice, anche se corposo, spostamento nelle preferenze collettive a delegittimare un Parlamento, e che per questo è stato giusto, nei mesi scorsi, rifiutare l'idea di un immediato ritorno alle urne e dar vita, invece, ai governi Amato e Ciampi, la situazione si presenta in modo del tutto diverso se, come nello specifico caso dell'Italia, il fenomeno a cui si assiste non è solo quello di un mutamento macroscopico di orientamenti all'interno di un determinato quadro politico, ma quello del completo crollo di tale quadro. Crollo, a sua volta, provocato dalla progressiva scoperta di un fenomeno di corruzione tanto esteso da essere arrivato a costituire, in qualche misura, la stessa struttura portante dell'intero sistema.

L'attuale Parlamento - e non solo a causa dell'altissimo numero dei suoi membri inquisiti - è, quindi, l'espressione di qualcosa che non solo è cambiato, ma che si deve eliminare. Con la conseguenza che esso può conservare una sua temporanea legittimità solo se diventa lo strumento di tale trasformazione: cioè se - prendendo atto che in un paese democratico, che vuole evitare pericolose "rotture", il nuovo non può che nascere dal vecchio - accetta consapevolmente il ruolo di gestore della transizione. Mentre si delegittima totalmente se cerca di prorogare a tempo indeterminato il proprio potere.

Invece è proprio questo il progetto dei "controrivoluzionari". Perché? In alcuni casi per rimandare il più a lungo possibile il ritorno alla vita privata; e in molti altri per allontanare (forse per sempre) il giorno in cui dovranno rispondere dei loro reati. Poiché essi, però, non possono rivelare esplicitamente i desideri ed i timori che li ispirano, la loro azione si colora di motivi più generali: prende la forma di una lotta aperta contro l'inchiesta di tangentopoli, e sposta l'accento sui possibili, e addirittura certi, squilibri economici che la sua continuazione è destinata a provocare.

Sottovalutare la possibilità di presa di una simile impostazione propagandistica sarebbe sbagliato. Per due motivi. Innanzi tutto perché in Italia - "madre", da sempre, non di tutte le battaglie, ma di tutti i compromessi, e di tutti gli immobilismi - è facile diffondere, anche tra i non personalmente corrotti, un'immediata reazione emotiva contraria ad ogni progetto di "rinnovamento" (chi vuole averne una prova ripensi, per un momento, al successo che, nel 1945-47, ebbe il movimento "qualunquista"). E poi perché l'orientamento controrivoluzionario ha trovato un leader in Marco Pannella: il quale, dopo avere, come tutti i demagoghi, cercato a lungo, e spesso contraddittoriamente, una causa da cavalcare, sembra essersi convinto di aver incontrato ora, nella difesa dell'attuale Parlamento, il tema capace di collocarlo al centro della scena politica nazionale.

Al tempo stesso nessuno può ignorare che il tentativo di mantenere in vita oltre la prossima primavera l'attuale Parlamento, scontrandosi frontalmente con la spinta al rinnovamento, introdurrebbe nella situazione italiana un elemento di tensione di portata non valutabile. E rischierebbe di trasformare il processo di formazione del nuovo in una marcia verso l'ignoto.

 
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