di Adelaide Aglietta, Olivia RattiSOMMARIO: Le risoluzioni del P.E. il quale continua a chiedere che i principi della democrazia e il rispetto dei diritti umani siano fra i fondamenti delle relazioni internazionali continuano a essere disattese. Il P.E. resta una voce senza potere e senza peso in una Europa dei 12 non democratica, nella quale la forza, il cinismo e la sottocultura consumista continuano a dettare legge
(CAMPAGNA PARLAMENTARE MONDIALE PER L'ABOLIZIONE DELLA PENA DI MORTE ENTRO IL 2000 - Partito Radicale/Lega Internazionale per l'abolizione della pena di morte entro il 2000)
Gli eventi che nel corso della conferenza di Vienna ci hanno maggiormente coinvolti - la consegna delle firme sulla petizione per l'abolizione della pena di morte e l'interdizione di parola al Dalai Lama su richiesta della Cina - ci inducono ad alcune riflessioni, non nuove, ma sempre valide e che sono la misura delle nostre difficoltà.
Per quanto riguarda l'abolizione della pena di morte, la cosa più significativa ottenuta è la sua esclusione per statuto dalle sanzioni del Tribunale per le violazioni dei diritti umani nella ex-Jugoslavia. L'assenza, invece, di qualsiasi riferimento alla abolizione della pena di morte nella mozione conclusiva della Conferenza, è la testimonianza dei rapporti di forza esistenti, in seno alle Nazioni Unite, fra i paesi non abolizionisti e gli altri. Gli Stati Uniti, che fanno parte della CSCE e che sono un paese a democrazia politica, rappresentano la contraddizione più grave, non solo per il numero crescente di esecuzioni negli ultimi due anni, quanto e soprattutto per la nessuna volontà di abrogazione. L'unico episodio rilevante in direzione abolizionista, è il NO al referendum che nel novembre 92 chiedeva di reintrodurre la pena capitale nello stato di Washington D.C. In quella occasione, il presidente del Parlamento europeo, Egon Klepsh, su nostra richiesta, ma con molta convinzione personale, chiese al G
overnatore di New York che la pena capitale non fosse reintrodotta, e che non si sottoponesse a consultazione popolare un simile quesito.
Purtroppo, in materia di diritti umani il P.E. ha un'autorità morale, non vincolante né per i paesi membri, né per i paesi terzi. Anche per questa ragione, dopo più di un anno dalla risoluzione Aglietta sulla pena di morte, nessuno dei paesi membri ha dato ancora seguito alla richiesta di abrogare la pena di morte, fosse essa prevista dal codice penale o dalla Costituzione per reati "ordinari" (Belgio, Grecia) oppure solo nei codici militari, o per reati "eccezionali" (Italia, Spagna e Inghilterra). In Belgio, al contrario della Grecia dove non è in corso nessuna iniziativa abolizionista, è stata depositata una proposta di legge del Gruppo verde. Essa è già stata depositata in commissione giuridica. Una situazione analoga esiste in Italia, dove il testo alla Camera ha già avuta assegnata la sede legislativa in commissione giustizia. Non ci sono novità, invece, in Spagna e Inghilterra.
Per quanto riguarda i paesi del Consiglio d'Europa, la Svizzera rappresenta una novità positiva, avendo abolito la pena di morte per tutti i reati.
Per il resto, tempi duri in Bulgaria, dove una parte del Parlamento sarebbe favorevole alla proposta dei deputati Gerov e Markoc, che chiede di abrogare la moratoria sulle esecuzioni del 1990.
Nelle tre Repubbliche baltiche (fanno parte del Consiglio d'Europa solo Estonia e Lituania) nessuna novità legislativa, mentre Amnesty International ha lanciato una campagna-denuncia, e il P.E. reitera la richiesta di sospensione delle condanne e delle esecuzioni.
In Albania sono riprese le esecuzioni capitali. L'iniziativa per chiederne l'abrogazione è venuta dal deputato Gaqo Apostoli, che ha chiesto la fine della "vendetta dello stato".
In Moldavia, benché la pena di morte fosse stata abolita nel 1992 per reati economici e di spionaggio, è stata proposta nella nuova Costituzione. Molto probabilmente, verrà seguito l'esempio della Russia: limitazione della pena di morte ai soli reati di sangue.
Il secondo evento della Conferenza di Vienna, l'interdizione di parola al Dalai Lama, dà la misura di quanto anche i diritti fondamentali, unanimemente riconosciuti nella Dichiarazione universale, trovino difficoltà a divenire una misura comune e comunemente applicata negli organismi internazionali. Un paese come la Cina può porre il veto di parola a un Premio Nobel per la pace, e continuare la sua politica di violazione dei diritti umani e di annientamento del popolo tibetano. E se è vero che l'opinione pubblica, la stampa, le Ong presenti a Vienna, e il Partito radicale hanno fatto pagare caro alla Cina la sua arroganza, resta comunque il fatto che la politica di relazioni internazionali è ancora lontana dall'assumere come discriminante imperativa il rispetto dei diritti fondamentali e dei principi di democrazia. I rapporti di forza economici continuano ad essere le uniche reali discriminanti.
Le risoluzioni del P.E. - il quale continua a chiedere che i principi della democrazia e il rispetto dei diritti umani siano fra i fondamenti delle relazioni internazionali - continuano a essere disattese. Il P.E. resta una voce senza potere e senza peso in una Europa - quella dei 12 - non democratica, nella quale la forza, il cinismo e la sottocultura consumista continuano a dettare legge.
La battaglia contro la pena di morte, in particolare, può fare cogliere l'intreccio che lega la politica dei diritti umani allo Stato di diritto. Essa è profondamente connessa con la necessità di una riforma democratica dell'Europa, e di una nuova definizione dei principi e dei meccanismi su cui si fondano le N.U.