Ernesto Rossi, un lucido politico che denunciava in anticipo i problemi di oggi. Dall'intervento di Marco Pannella al Convegno "Ernesto Rossi, un democratico ribelle", gennaio 1986SOMMARIO: Rievoca la figura di Ernesto Rossi, ricordando la sua vicinanza alle iniziative dei radicali "scostumati" degli anni '60 ("considerati drogati, omosessuali o scostumati") e sopratutto le sue solitarie polemiche e battaglie contro il "corporativismo" della economia e della società italiana, battaglie che non vennero capite nemmeno da coloro che gli erano più vicini. Se i radicali riescono a vincere qualche battaglia è perché sono "nutriti" dalla forza politica di una figura che è "uno dei maggiori uomini politici italiani".
(1994 - IL QUOTIDIANO RADICALE, 22 novembre 1993)
...Le battaglie per i diritti civili, quelle per le quali ci si riconosce oltre a tante indegnità anche una certa dignità, personalmente non le avrei potute concepire senza la vicinanza costante, ma devo dire di più, senza l'esortazione costante, di Ernesto Rossi, e questo avveniva negli anni fra il '64 e il '65, nei nostri anni peggiori, quando eravamo considerati drogati, omosessuali o scostumati.
Ernesto Rossi è morto l'8 febbraio, avevamo insieme concepito quella cosa scostumata che si chiamava "anno anticlericale", che sembrava tanto di cattivo gusto: il testo lo facemmo assieme, e il 5 febbraio diceva a Ada, in clinica: »Vuoi vedere che quei pazzi hanno avuto ancora una volta ragione? Vedrai che all'Adriano ci sarà molta gente, perché lo sento , e lui doveva presiederla quella cosa. Ecco, c'è una continuità; lui ci ha approvato negli anni della scostumatezza, negli anni in cui non esistevamo, negli anni in cui, devo dire, tanti amici che potevano e avevano continuato a scrivere sul "Mondo", o che avevano fatto la scelta repubblicana (in fondo, io credo, anche allora in buona fede), ci rimproveravano di sporcare una tradizione pulita, una tradizione degna, dignitosa, austera. Ecco, dico semplicemente questo; stiamo attenti: Ernesto Rossi, anche allora - credo che il 90 per cento delle persone presenti qui se si interrogano un poco dovrebbero riconoscerlo - veniva giudicato da una gran parte di suoi
coevi, non dico coetanei, come una persona squisita, purissima, onestissima, bravo giornalista, ma che di politica non capiva nulla.
In quegli anni ricordiamo la sua richiesta dell'abrogazione del Concordato, le sue richieste di azioni di rottura, le sue denunce dei compromessi al governo, i suo attacchi alle bardature corporative, il suo dire che i lunghi tempi sulla Federconsorzi significavano la Federconsorzi per sempre (e c'è ancora adesso!). Morto lui, tutti i suoi collaboratori più tecnici, più costumati, non hanno più fatto una sola battaglia, nemmeno di quelle più tecniche e costumate come la Federconsorzi. Lo sentivamo tutti i giorni, anche nel Partito radicale: "Che bravo Ernesto", "Come scrive bene Ernesto", "Ma che pazzo", e poi credevano di salvare l'anima dicendo che era liberista. Sono molto grato a Leo Valiani che, con la sua onestà intellettuale e con la sua riflessione, ci ha dato oggi un inizio di ripensamento, che era urgente per tutti quelli che presentano Ernesto Rossi come un grossolano liberista: no, Rossi non è mai stato questo. Lui individuò per esempio un dato che io ho letto solo da cinque anni sul "Manifesto",
mano a mano che emergeva il segno distintivo del regime di classe in Italia: non è quello del capitalismo selvaggio, ma quello dello Stato corporativo.
Fu lui che in un momento in cui si adoperava "corporativo" solo a livello delle piccole cose, piccoli corporativismi, invece denunciava questo dato, il dato centrale della caratteristica dello Stato di Costa e dell'IRI: fu lui a scatenare la polemica, se vi ricordate, contro le responsabilità miste nell'IRI e nel capitalismo privato.
Ecco, io non voglio annoiarvi, e non voglio soprattutto, non solo non avere monopoli, ma non avere nemmeno altro che un piccolo margine di tempo, di tre minuti, in una occasione come questa, per dirvi semplicemente che se si continuerà in futuro, ogni tanto, a non comprendere come mai gli scostumati che siamo, e pochi che siamo, riusciamo spesso a vincere e a vincere in modo unitario con altri, è perché siamo nutriti dalla forza politica di un uomo che io, allora polemicamente, e sempre più serenamente, ritengo uno dei maggiori uomini politici italiani.