Di Eugenio ScalfariSOMMARIO: Secondo quanto dichiarato da tutti, a cominciare da Ciampi, a far data dal 19 dicembre Scalfaro avrebbe dovuto procedere allo scioglimento delle Camere, fissando il giorno dei comizi elettorali al primo febbraio. Perché non l'ha fatto? E intanto "c'era chi pescava nel torbido": il "Marco nazionale", uno "specialista nel genere", che dopo la trovata della convocazione alle 7 dei deputati inquisiti e dei peones, ora ha presentato una mozione di sfiducia che verrà discussa il 12 gennaio. Come conseguenza, "ciò che era chiarissimo è ora diventato oscuro". Scalfaro avrebbe dovuto firmare il decreto di scioglimento già il 20 dicembre. Comunque, il dibattito sulla mozione sarà perfettamente inutile, il presidente del Consiglio dovrà dimettersi e Scalfaro sciogliere subito le Camere. Se tutto avvenisse entro il 15 gennaio, si potrebbe votare il primo marzo, "o giù di lì". Gli esiti del voto parlamentare potrebbero essere tre, ma comunque sia Ciampi dovrà dimettersi. Intanto però sarebbe passata una ventina
di giorni, e si andrebbe a votare ai primi di aprile: poi, altri cinque mesi "di imboscate parlamentari", ecc., mentre la gente comincerebbe a spazientirsi e a rimpiangere ilo passato. E' ciò che vogliono quanti cercano il rinvio: "il rinvio gioca per la destra". Insomma, Scalfaro è già in ritardo, e Ciampi, per coerenza, dovrebbe dimettersi subito.
(LA REPUBBLICA, 28 dicembre 1993)
Gli addetti ai lavori hanno alquanto ingarbugliato la questione dello scioglimento delle Camere. Del resto, non c'è categoria meno affidabile degli addetti ai lavori; è rimasto celebre il detto che la guerra è una cosa troppo seria per essere guidata dai generali. Così è per quasi tutto; soltanto i grandi dilettanti hanno dello spirito, non è vero? Churchill non studiò mai da primo ministro, Benedetto Croce non era neppur laureato e Leonardo non si considerò mai né pittore né architetto né scienziato. Ma veniamo ai casi nostri, per fortuna di assai più modesta qualità.
Il Capo dello Stato disse in tempi non sospetti e fin dall'inizio del suo mandato che avrebbe sciolto il Parlamento non appena fosse stata approvata la nuova legge elettorale e compiuti gli adempimenti per renderla esecutiva. Ripetè questo concetto e ribadì di questa decisione più e più volte, con particolare vigore man mano che quelle condizioni venivano realizzate dal Parlamento e dal governo e la prevista scadenza si avvicinava. Ricordiamo tutti quale fosse la motivazione indicata da Scalfaro: ventitrè milioni di italiani si erano col referendum espressi per l'abrogazione del sistema proporzionale, era dunque dovere del Parlamento adeguare la legislazione al responso referendario e subito dopo dovere del presidente della Repubblica decretare la fine della legislatura.
Poichè gli adempimenti elettorali in questione si sono compiuti il 18 dicembre, a far data dal 19 - e previa consultazione con Spadolini e Napolitano così come prevede la Costituzione - Scalfaro avrebbe dovuto procedere allo scioglimento delle Camere fissando il giorno dei comizi elettorali al primo febbraio, cioè quarantacinque giorni dopo la firma del decreto di scioglimento.
Perchè non l'abbia fatto dopo averlo tante volte previsto è una circostanza che risulta difficile da comprendere. Ha cambiato parere? E' stato intimidito? Ha avuto un soprassalto di fedeltà democristiana che gli ha suggerito di dilazionare un evento così ostico al suo ex partito? Il futuro è galantuomo e ci illuminerà in proposito.
Nel frattempo, naturalmente, c'era anche chi pescava nel torbido. In questo caso ad intorbidare le acque ci ha pensato Marco Pannella, il nostro Marco nazionale. Lui è uno specialista nel genere, un politichese dei più consumati, un addetto ai lavori per l'appunto. Aveva cominciato otto mesi fa riunendo alle 7 e mezzo del mattino i parlamentari che non volevano "essere sciolti". Si trattava per lo più di inquisiti dalla giustizia o di "peones" senza speranza di tornare in Parlamento.
L'ora antelucana di quelle riunioni era stata decisa da Pannella per "dare scandalo": quale scandalo più scandaloso di quello di fare alzare alle 6 del mattino gli onorevoli membri del Parlamento, supposti essere tra i più fannulloni degli italiani?
Ma la trovata tenne banco per un paio di settimane soltanto; poi i giornalisti si stancarono e non ne parlarono più.
Pannella allora ne inventò un'altra: si mise a raccoglier firme tra i deputati sotto ad una mozione di sfiducia al governo. Ne raccolse molte, in gran parte tra i deputati della maggioranza e in particolare tra i democristiani, e spedì il tutto al presidente della Camera chiedendo che la mozione fosse discussa e che il governo si presentasse in Parlamento per difendersi.
A questo punto il Capo dello Stato si è trovato di fronte ad un bivio: da un lato il suo impegno di porre fine alla legislatura e di far votare gli italiani con la nuova legge elettorale; dall'altro la richiesta di un folto gruppo di deputati della maggioranza di votare una mozione di sfiducia al governo. Ci ha pensato per qualche ora, il Capo dello Stato, e alla fine ha deciso di dar la precedenza al dibattito sulla fiducia, che è stato fissato al 12 gennaio. Le cose sono ora ferme a questo punto, ciò che fino a ieri era sembrato chiarissimo è ora diventato oscuro; i politologi (dio ci scampi) sono all'opera, il ventre democristiano auspica, Pannella incombe, Scalfaro tentenna. Ci si domanda con qualche preoccupazione che cosa avverrà, quanto di voterà, perchè si voterà.
Se il Capo dello Stato avesse firmato il decreto di scioglimento della legislatura fin dal 20 dicembre, come avrebbe potuto benissimo fare sulla base delle motivazione da lui stesso più volte manifestate, saremmo da tempo fuori da questo inutile pasticcio.
Non l'ha fatto e pazienza. Ora è stato fissato un dibattito sulla fiducia al governo che avrà inizio il 12 gennaio. Sta bene. Il Presidente ha dunque concesso un rinvio ma non pare che abbia cambiato opinione sul tema di fondo: scioglimento rapido per adeguare la rappresentanza nazionale alle nuove norme di legge, conformi al responso popolare referendario.
Se così stanno le cose, se cioè Scalfaro non ha cambiato parere, la via da seguire è una sola: si svolge alla Camera un dibattito perfettamente inutile; alla fine di esso il presidente del Consiglio, senza aspettare il voto, rassegna le dimissioni al Capo dello Stato per la buona ragione che la mozione di sfiducia è firmata da molti parlamentari appartenenti alla maggioranza. Scalfaro respinge le dimissioni e scioglie le Camere.
Se tutto ciò avvenisse entro il 15 gennaio, si potrebbe votare il primo marzo o giù di lì. Nel frattempo il governo resterebbe in carica nella pienezza dei poteri, non essendo stato sfiduciato dal Parlamento.
Un'altra possibile procedura è quella invece di arrivare al voto sulla fiducia. E qui cominciano a darsi da fare gli esperti (dio sempre ci scampi).
Gli esiti del voto possono essere tre: 1) La maggioranza riconferma fiducia a Ciampi; ci sarebbe da escluderlo viste le firme apposte sotto alla mozione di sfiducia. Vogliamo affidarci ai miracoli? Personalmente, da buon laico, sconsiglierei. 2) Ciampi ottiene la fiducia perchè Pds e Lega votano in suo favore. Ci sarebbe in questo caso un ribaltamento della maggioranza e se ne formerebbe una nuova con un pezzo della Dc e con le altre due formazioni. 3) Passa la sfiducia.
Escludiamo la prima ipotesi per la ragione già detta; restano la seconda e la terza. In entrambi i casi Ciampi deve dimettersi e Scalfaro deve aprire le consultazioni per vedere se esiste la possibilità di formare un nuovo governo o di costituire una nuova maggioranza.
Presumibilmente passerebbero in questo modo, tra danze e contraddanze, minuetti cerimoniali e tarantelle istituzionali, una ventina di giorni. Arriverebbe la Pasqua cristiana. Se non c'è qualche altra festività dei Testimoni di Geova, dei musulmani e degli induisti, forse ai primi di aprile si potrebbero sciogliere le Camere e si andrebbe a votare alla fine di maggio.
Nel frattempo passerebbero altri cinque mesi di imboscate parlamentari, scontri di dossier, pentiti che parlano, magistrati che incatenano, Broccoletti che silurano, Pecorelli (povero morto) che sussultano, lira che crolla e - soprattutto! Soprattutto! - gente che comincia a pensare "si stava meglio quando si stava peggio", e comincia a gridare "Aridatece er puzzone".
E' questo che vogliono coloro che cercano il rinvio? Esattamente. Chi desidera spostare in avanti la scadenza elettorale punta con tutte le forze, appassionatamente e disperatamente, sull'ipotesi che si consolidi lo stato d'animo appropriato alla scritta "Aridatece er puzzone". Forse "il puzzone" non glielo ridaranno, ma quello stato d'animo alimenterà comunque la destra. Il rinvio gioca per la destra, questo è certo.
"Nessun problema" come dicono i commessi della Standa: per noi, giornalisti e testimoni del tempo, che vinca la destra o la sinistra, che prevalgano i moderati o i progressisti, è e dev'essere del tutto indifferente. Però dobbiamo saperlo e dobbiamo dirlo affinchè anche la gente che ci legge lo sappia: il rinvio favorisce i moderati e la destra. Scalfaro ha molti appigli per rinviare, ma si tratta di appigli. Lui aveva detto: appena pronta la nuova legge si torna alle urne. Quella legge è perfezionata dal 18 dicembre, dunque Scalfaro è già in ritardo rispetto al suo calendario e alle sue motivazioni.
E Ciampi? Anche Ciampi ha un ruolo e anche lui ha assunto pubblici e solenni impegni.
Aveva detto: "Appena approvata la legge elettorale e la legge finanziaria, i compiti essenziali del nuovo governo saranno adempiuti. A quel punto io sarò a disposizione del Capo dello Stato per le determinazioni che egli vorrà prendere".
Coerente con questi impegni Ciampi vada dunque al Quirinale e si metta a disposizione. Informi cioè in modo formale il presidente della Repubblica che per quanto lo riguarda le lancette dell'orologio si sono messe in moto.
E' insomma venuto il momento che ciascuno si prenda le sue responsabilità. Ciampi certifichi che il governo ha esaurito i compiti per i quali fu costituito e Scalfaro decida se vuole mantener gli impegni assunti o se vuole dilazionarli. Ne ha i poteri e il diritto, non certo perchè Pannella ve lo costringe, ma perchè lo scioglimento delle Camere rientra nei suoi poteri motivati ma discrezionali.
La dilazione fa piacere ad una parte, l'immediatezza fa piacere alla parte opposta. Onorevole presidente, l'immediatezza fa piacere alla parte opposta. Onorevole presidente della Repubblica, le sue decisioni, con la migliore buona volontà, non possono essere neutrali, ma Lei deve decidere pensando unicamente all'interesse del paese il quale, come Lei stesso più volte ha detto, vuole che la rappresentanza nazionale rispecchi gli attuali sentimenti del popolo sovrano. Perciò prima sarà e meglio sarà.