di MASSIMO RIVASOMMARIO: Deplora che il governo, "nel breve volgere di tre settimane" abbia reso "due segnalati servizi" a Marco Pannella, dapprima elargendo a Radio Radicale "dieci miliardi dei contribuenti", e poi concedendo una proroga alla raccolta di firme per i "referendum pannelliani", infrangendo così norme e regole precise, che "stanno a presidio di interessi e di diritti generali": in particolare, poi, senza tener presente che "alcuni dei temi dei referendum in corso di firma interferiscono...con argomenti al centro del dibattito politico-elettorale" (come è il caso della pubblicità RaiTV e della "ritenuta alla fonte sui redditi da lavoro dipendente").
(LA REPUBBLICA, 21 gennaio 1994)
Nel breve volgere di tre settimane il governo ha reso due segnalati servizi a Marco Pannella ed ai suoi seguaci. Dapprima, ha deciso di elargire graziosamente a "Radio radicale" dieci miliardi dei contribuenti. Ora, con decreto che non ha precedenti in materia, ha concesso una proroga alla raccolta di firme per i referendum pannelliani, apertamente sfidando le norme che regolano la delicata tematica delle consultazioni popolari.
Se la prima decisione ha lo sgradevole sapore di una mancia dispensata nella speranza di togliersi dai piedi un postulante particolarmente querulo e molesto, la seconda iniziativa del governo suona invece assai più seria e assai più grave. Essa pone rilevanti questioni sotto il duplice profilo dell'opportunità politica e della legittimità costituzionale.
Il nostro ordinamento prevede precise regole, anche temporali, in materia di iniziative e di votazioni referendarie. Fra queste, in particolare, una stabilisce che la convocazione dei comizi elettorali per il rinnovo del Parlamento blocchi ogni tipo di iniziativa referendaria, raccolta delle firme compresa.
Così avrebbe dovuto essere anche questa volta se non che il governo - piegandosi alle proteste di Pannella - ha emanato uno specifico decreto di proroga che dovrebbe consentire ai proponenti dei referendum di raccogliere nel frattempo la quota minima di firme necessarie a rendere valida la loro iniziativa.
Perchè la concessione di un simile privilegio? Noi abbiamo il massimo rispetto del ricorso al digiuno come strumento di lotta politica, ma duriamo parecchia fatica a stimare Marco Pannella come un combattente della caratura e del rigore del Mahatma Gandhi. Anzi, ci sembra che nelle sue mani l'arma del digiuno sia ormai diventata occasione per esercizi da circo equestre. Fatto sta, però, che il governo si è sentito toccato da questo spettacolo, al punto da provvedere con un decreto che il ministro dell'Interno ha avuto l'ardire di definire una "giusta soluzione" del problema.
Giusta soluzione? Ci permettiamo di dissentire in modo davvero radicale. Punto primo: le norme che pongono precisi vincoli alle iniziative referendarie non sono concepite all'esclusivo fine di garantire i diritti di coloro che intendono sollecitare una consultazione popolare. Nossignore, ministro Mancino: esse stanno a presidio di interessi e di diritti generali, compresi dunque quelli di quei cittadini che non desiderano che si svolga un referendum se non nei limiti in cui l'ordinamento lo renda obbligatorio. La "giusta" soluzione del governo non tutela, anzi contraddice i diritti di tutti coloro.
Punto secondo: la specifica norma, che blocca le iniziative referendarie nell'imminenza di elezioni politiche generali, non è un vincolo marginale, inserito nell'ordinamento per capricciosa distrazione del legislatore. No, questa norma riflette uno dei caposaldi della legislazione in materia: in forza del quale la campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento, cioè sui temi dell'indirizzo politico generale del paese, non può essere turbata, manipolata, distorta, inquinata dalla proposizione di referendum abrogativi su questioni specifiche. In base a tale norma la generalità dei cittadini ha un preciso diritto a non avere una coda di campagna referendaria che si sovrappone a quella per le elezioni generali. Perchè questo diritto è stato violato?
Punto terzo: la lesione dei diritti generali è tanto più plateale perchè alcuni dei temi dei referendum in corso di firma interferiscono in modo clamoroso e quasi provocatorio con argomenti al centro dei dibattito politico-elettorale. Facciamo il caso della proposta che mira ad abrogare l'autorizzazione a raccogliere pubblicità da parte della Rai. Piaccia o no, questa trovata suona come un prezioso regalo offerto alle reti televisive di quel Silvio Berlusconi che è già sceso in piena campagna elettorale per il Parlamento, anche se non ha ancora deciso se a salvare l'Italia provvederà in prima persona ovvero attraverso i suoi maggiordomi.
E non basta. Un altro tema oggi al centro del dibattito elettorale è quello della pressione fiscale. Ebbene fra i referendum pannelliani, che il governo si dà tanta pena di salvare, ve ne è uno che punta ad abrogare uno dei pilastri dell'attuale sistema tributario: cioè, la ritenuta alla fonte sui redditi da lavoro dipendente. Non ci si venga a dire che di tale proposta non è il caso di preoccuparsi perchè essa, comunque, verrà cancellata dalla Corte in quanto la costituzione esclude dai referendum "le leggi tributarie e di bilancio". Al contrario, proprio il fatto che tale proposta sia stata avanzata a fini meramente agitatori e demagogici realizza, in modo palpabile ed esemplare, quel conflitto tematico con la campagna per le elezioni generali che la legge risolve bloccando ogni incursione referendaria a comizi elettorali convocati.
Non poca meraviglia, dunque, suscita il comportamento del governo, che non può avere giustificazioni per una così palese modifica delle regole del gioco avvenuta a carte ormai scoperte sul tavolo. Nessuna giustificazione nel merito, come s'è visto, e neppure nella forma. La Costituzione, infatti, ammette il ricorso ai decreti-leggi soltanto "in casi straordinari di necessità e d'urgenza". Dov'erano e dove sono la necessità e l'urgenza di modificare la legge esistente solo per fare un grazioso omaggio a Marco Pannella e ai suoi seguaci?
A questo punto non resta che una speranza: quella che il Parlamento, come gli spetta, rimedi a questo brutto scivolone del governo bocciando prontamente questo decreto già col primo voto sulla sua ammissibilità costituzionale.