Giandonato Caggiano - Italia
Direttore della Società italiana per l'Organizzazione Internazionale
SOMMARIO: La fine della guerra fredda ha scoperchiato i conflitti nazionalistici ed etnici. I colpi di Stato e le guerre civili mettono a repentaglio la sicurezza mondiale. La protezione dei diritti umani non avviene in un ambito "inquinato". Odio, paura e potere sono sentimenti sospetti di parzialità del giudizio dei giudici. La vendetta della giustizia può diventare sterminio.
Che il Tribunale per i crimini commessi nella ex Jugoslavia escluda l'applicazione della pena di morte è un passo in avanti.
("NESSUNO TOCCHI CAINO", 1 Febbraio 1994)
Il Congresso di Bruxelles ha deciso di chiedere al Consiglio di sicurezza di intervenire nelle situazioni di colpo di stato o di guerra civile che rappresentano una minaccia alla pace e alla sicurezza mondiale, imponendo una moratoria delle esecuzioni e ricorrendo in caso di violazioni a tutte le sanzioni previste dalla Carta delle Nazioni Unite
Malgrado la fine della guerra fredda permangono in tutto il mondo focolai di tensione e conflitti nazionalistici e etnici; anzi, proprio la fine della guerra fredda ha scoperchiato situazioni di difficile convivenza tra gruppi, etnie ed interessi particolari. Il rischio di colpi di Stato, di guerre civili, le occasioni di rivalsa per odî e offese subite sono all'ordine del giorno.
Molte di queste drammatiche occasioni, che coinvolgono Stati limitrofi, si ripercuotono sul difficile equilibrio delle alleanze e dei sistemi di difesa a livello universale e regionale. Per questi motivi, le guerre civili rappresentano una minaccia alla sicurezza mondiale e attivano la competenza del Consiglio di sicurezza, implicando l'applicazione del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.
In simili occasioni, la protezione dei diritti umani - in particolare, l'esercizio della giustizia secondo le più elementari regole della procedura - avviene in un contesto altamente "inquinato". L'odio, la paura per lo scampato pericolo o l'"eccitazione" derivante dalla recente presa del potere sono sentimenti altamente sospetti per la "imparzialità" del giudizio dei giudici.
Qualora si tratti di tiranni o rivoluzionari sanguinari, l'applicazione della pena di morte, in quanto pena esemplare ed immediata, appare la più probabile e fulminea conseguenza del processo. Si pensi al crollo del regime in Romania e all'esecuzione di Ceausescu.
La "vendetta della giustizia" può assumere poi connotati di vero e proprio sterminio: condanne a morte vengono eseguite nei confronti di individui, accusati solo di complicità morale o rei di appartenere ad un medesimo gruppo, partito o fazione.
Per questi motivi, è un obiettivo di grande significato giuridico, politico e morale, che la Comunità internazionale riesca ad imporre una moratoria delle esecuzioni in caso di colpi di Stato, di guerre civili o altre situazioni analoghe.
Il Consiglio di sicurezza potrebbe, e dovrebbe, avocare a sé un potere di inchiesta e imporre la moratoria delle condanne a morte per un periodo prefissato: almeno fino a che non appaia da elementi certi che vi sia il rispetto delle più elementari caratteristiche di una "giustizia giusta". In simili situazioni, la cosa migliore sarebbe che il Consiglio di sicurezza vietasse del tutto l'applicazione della pena di morte.
Il solco è stato aperto dal recente precedente del Tribunale per i crimini commessi nella ex Jugoslavia, che esclude l'applicazione della pena di morte anche nei confronti degli autori dei più atroci delitti.
Occorre mobilitarsi per costruire ulteriori spazi di libertà; per l'affermazione del diritto dell'uomo a non essere privato della vita neanche da un tribunale legalmente costituito.