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Nessuno tocchi Caino - 1 febbraio 1994
NESSUNO TOCCHI CAINO - 21 - IL DIRITTO CHE CI LEGA

SOMMARIO: * Sanou Baworo SEYDOU - Burkina Faso: i parlamentari africani hanno fondato nel novembre 1993 la Lega dei parlamentari africani per l'abolizione della pena di morte nel mondo entro il 2000.

* Basile GUISSOU - Burkina Faso: "Dall'esperienza di essere prima stato al potere e poi di esserne vittima, ho tratto la lezione che ogni vita si equivale, e che incoraggiare la violenza, anche col silenzio, significa procurarla a se stessi".

* Elhadji Allélé HABIBOU - Niger: In Africa ci sono anche altre condanne a morte che incombono: l'analfabetismo, la miseria, la desertificazione.

* Reverendo Cyril PILLAY - Africa del Sud: Nelson Mandela ha dichiarato che la pena di morte sarà completamente abolita col nuovo Governo.

* Ibrahima FALL - Senegal: Le società nero-africane, preislamiche, precoloniali, erroneamente etichettate come barbare, ignoravano l'esistenza stessa della pena capitale. La conquista e la diffusione dell'Islam ha imposto in Africa la Charia.

* Mollé MOLLE' - Costa d'Avorio: La pena di morte crea tante vittime quanto l'AIDS e il paludismo.

* Rindandi DJONKAMLA - Cameroun : Alla base del contratto sociale e della comparsa del diritto c'è la privazione della "libertà" di uccidere il proprio simile.

("NESSUNO TOCCHI CAINO", 1 febbraio 1994)

Non ci può essere l'abolizione della pena capitale senza l'affermazione della democrazia e dello stato di diritto. Nessuna stonatura nel coro dei rappresentanti africani al congresso di Bruxelles. Criticata invece la scelta del nome dell'associazione, Nessuno tocchi Caino: la sua suggestione sarebbe limitata alle culture giudaico-cristiane. La decisione congressuale lascia tuttavia libere le associazioni regionali abolizioniste di scegliere il nome e le forme di organizzazione più opportuni per farsi conoscere

Sanou Baworo Seydou - Burkina Faso

Deputato, vice presidente

della Lega dei parlamentari africani

Il Congresso di fondazione è una prima che merita tutta la considerazione che si deve a una convergenza internazionale su un tema come il diritto alla vita e la vita del diritto.

Esso si è svolto in un momento in cui questioni come la pena di morte e il diritto alla vita sono più che mai d'attualità. Basta considerare i tragici avvenimenti che scuotono numerose regioni del mondo. Sempre più la violenza viene assunta a metodo di regolamentazione delle contraddizioni sociali e politiche, nel disprezzo di qualsiasi principio umanitario.

Il congresso di Bruxelles ha rappresentato soprattutto la volontà di unire le coscienze, e di dotarsi dei mezzi e dei riferimenti giuridici necessari ad agire per fare trionfare un diritto fondamentale: non essere uccisi a seguito di una sentenza o di una misura giudiziaria.

Per questo, i parlamentari africani hanno fondato nel novembre 1993 la Lega dei parlamentari africani per l'abolizione della pena di morte nel mondo entro il 2000, con l'obiettivo di "condurre presso le popolazioni e gli organismi africani una campagna di sensibilizzazione, e di operare al livello dei parlamentari africani in vista dell'adozione di leggi che aboliscano la pena di morte, laddove è ancora in vigore". E hanno partecipato al congresso di Bruxelles in modo costruttivo, presentando e sostenendo posizioni intese all'obiettivo di arricchire la riflessione e lo scambio di esperienze diverse.

La volontà, manifestata dal Congresso, di legare la fondazione della lega internazionale alla tradizione giudaico-cristiana è certo lodevole, ma il cambiamento della sua denominazione esclusivamente nel senso di questa tradizione suscita delle importanti riserve. Infatti, nel contesto nero-africano, il riferimento a Caino non ha senso, non essendovi nulla di analogo nelle nostre tradizioni, nelle quali la pena di morte non esiste in quanto sanzione.

E' per questo che trovo lungimiranti le conclusioni congressuali sulla libera scelta da parte delle associazioni regionali abolizioniste, di mantenere i nomi e gli obiettivi specifici che si sono dati.

Basile Guissou - Burkina Faso

già ministro degli Esteri, promotore

della "Lega dei parlamentari africani"

Dopo essere stato membro del Governo in qualità di Ministro degli Esteri ho fatto tre mesi di prigione, dal 16 dicembre 1987 al 25 marzo 1988. Marco Pannella venne a Ouagadougou e organizzò una grande campagna per ottenere la mia liberazione.

Da allora mi sono impegnato nella lotta nonviolenta per la difesa del diritto alla vita e della vita del diritto, al punto che oggi esiste una Lega parlamentare che riunisce i parlamentari africani per lottare contro la pena di morte.

Dall'esperienza di essere prima stato al potere e poi di esserne vittima, ho tratto la lezione che ogni vita si equivale, e che incoraggiare la violenza, anche col silenzio, significa procurarla a se stessi. Ero in un Governo che applicava la tortura contro i cittadini, finché non l'ho subita io stesso. Lottare per la nonviolenza e per l'abolizione della pena di morte è lottare per se stessi. Quali che siano le modalità, la violenza è sempre degradante: quando si è continuamente posti davanti alla possibilità di vivere e di morire si conosce il degrado.

La pena di morte non c'è sempre stata in Burkina Faso. Esisteva prima della colonizzazione, poiché il Burkina è nato da un vecchio impero durato dieci secoli. L'imperatore Muada istituì la pena di morte in virtù della sua autorità. Non si può dire che essa sia stata introdotta a partire dai contatti con l'Islam o, in seguito, con la colonizzazione francese.

Dopo l'indipendenza del 1960 la pena capitale è stata mantenuta nelle diverse Costituzioni - siamo giunti alla quarta - ma è stata applicata una sola volta, nel 1974, contro una guardia civile che aveva assassinato un cassiere durante una rapina.

L'ultima Costituzione, votata nel 1991, non parla della pena di morte. Non dice che è abolita né che è prevista. Poiché ciò che non è vietato è permesso, la nostra lotta mira ad ottenere una legge che dichiari abolita la pena di morte nel Burkina - dove da cinque anni ci sono due persone in attesa di essere ammazzate - e nei paesi africani.

Elhadji Allélé Habibou - Niger

deputato, presidente

della Lega dei parlamentari africani

La nostra Costituzione non si pronuncia sulla pena di morte ma su un certo numero di diritti dei cittadini, e sull'istituto della grazia nel caso di pena capitale, che spetta al Presidente della Repubblica.

In Africa, in generale, siamo favorevoli a uno Stato di diritto e all'affermazione del diritto alla vita e alla vita del diritto: per questo lottiamo per l'abolizione della pena di morte. Inoltre, in Africa, ci sono altre condanne a morte che pesano su noi: l'analfabetismo, la miseria, la desertificazione. Per questo, è necessario mettere insieme parlamentari di tutta l'Africa, affinché i diritti dell'uomo e lo Stato di diritto siano salvaguardati.

Attualmente in Niger, proprio perché si è affermato uno Stato di diritto dove tutti i cittadini incriminati devono essere giudicati da un tribunale e beneficiare del diritto alla difesa, è diventato finalmente difficile "sbarazzarsi" degli oppositori politici.

Con la Lega dei parlamentari africani per l'abolizione della pena di morte nel mondo entro il 2000 abbiamo fatto un importante primo passo.

Quando parlamentari di tutto il mondo si associano tra loro e con persone con altre competenze - giuristi, uomini di cultura - e si pensa ad una collaborazione con istituzioni come l' ONU o la Lega Africana, è evidente che si può arrivare, se non all'abolizione per il 2000, senz'altro a risultati soddisfacenti entro quella data.

Reverendo Cyril Pillay - Africa del Sud

deputato

Sono un pastore della Chiesa, membro del Parlamento e portavoce del settore giustizia del Partito per la solidarietà.

Mi sono legato alla Campagna per l'abolizione della pena di morte quando ho partecipato l'anno scorso al Congresso del Partito radicale a Roma.

Credo fermamente che la pena di morte non sia un deterrente; in molti paesi dove essa vige, il numero degli omicidi è aumentato sensibilmente rispetto a dove la pena di morte è stata abolita.

In Sudafrica c'è un problema di razzismo. Tutti i magistrati, tranne due, sono bianchi. Ci sono 288 persone nel braccio della morte, che aspettano il loro destino.

Il 2 febbraio 1990 il presidente del Sudafrica ha imposto una moratoria sulla pena di morte, e il 17 giugno 1993 il Governo sudafricano ha proposto una mozione al parlamento per respingerla. Il mese scorso, Nelson Mandela, presidente dell'ANC, ha dichiarato che col nuovo Governo la pena di morte sarà completamente abolita. Così, come rappresentante della Campagna abolizionista in Sudafrica, mi sto impegnando in Parlamento dove, il 17 giugno 1993, abbiamo sconfitto il Governo e la sua mozione contro la moratoria.

In Sudafrica, la pena di morte veniva comminata principalmente per reato di omocidio e poi per violenza carnale. Il Governo, che si dichiara contro l'assassinio, commette dunque degli omicidi legalizzati. Il metodo usato è l'impiccagione.

Sono fermamente contrario ai cosiddetti tribunali del popolo. In una società civile come il Sudafrica, la legge e l'ordine pubblico debbono prevalere nel rispetto del diritto. Coloro che si fanno giustizia da sé e pronunciano sentenze di morte, bruciando persone vive oppure mettendo loro un cappio intorno al collo, commettono un crimine vero e proprio.

La stragrande maggioranza dei popoli sudafricani è favorevole all'abolizione della pena di morte. I neri, da sempre oppressi da un Governo bianco e di minoranza, hanno dovuto lottare per sopravvivere e affermare la loro libertà, pace e giustizia. Questo ha indotto alla lotta armata alcuni partiti politici di neri, che hanno anche compiuto, durante riunioni di Stato, attentati in cui hanno perso la vita vittime innocenti.

Stiamo per approvare in Parlamento una proposta di Costituzione provvisoria, e il 27 aprile 1994 terremo le nostre prime elezioni democratiche. Da quel momento dovrà svilupparsi in Sudafrica la Campagna abolizionista per ottenere che la pena di morte non compaia nelle legislazione futura.

Ibrahima Fall - Senegal

deputato

Nell'Africa nera la pena di morte esiste da poco tempo, se la si esamina dal punto di vista storico. Per molto tempo le società tradizionali hanno ignorato questa sanzione tra quelle previste in caso di violazione delle regole della vita comunitaria. Le sanzioni, all'interno del gruppo familiare e in seno a comunità più ampie, erano varie e molto dissuasive. Inutile era, quindi, la pena capitale. Esistevano le pene in natura, come gli obblighi agricoli di interesse collettivo oppure - nei casi più correnti - la messa a disposizione della vittima di un certo numero di capi di bestiame. Nei casi più gravi, c'era la messa al bando, l'allontanamento temporaneo o definitivo dal gruppo. Per i non appartenenti al gruppo, per esempio, in caso di disfatte militari, le sanzioni andavano fino all'obbligo - imposto dai vincitori - di pagare delle imposte o magari alla cattività dei vinti.

Le società nero-africane, preislamiche, precoloniali, erroneamente etichettate come barbare, ignoravano l'esistenza stessa della pena capitale. La conquista e la diffusione dell'Islam ha imposto in Africa la Charia. Ciò nonostante, è stata applicata poche volte. E' stata soprattutto la colonizzazione europea - la famosa missione civilizzatrice, coi suoi militari e giudici - a imporre la pena capitale.

I paesi africani, dopo l'indipendenza, si sono organizzati secondo le pratiche di un'amministrazione cosiddetta moderna. Ma la pena capitale è stata applicata soprattutto per motivi politici. Nel Senegal, in 33 anni, è avvenuto solo due volte: dopo un tentativo di assassinio del Capo dello Stato e per punire l'omicidio di un ministro. In altri paesi è utilizzata solo in casi di complotto, quando è messa in forse la sicurezza dello Stato, e in evenianza di colpo di Stato, per eliminare gli oppositori politici.

Il parlamentare africano, che appartiene ad una civiltà che non ha mai applicato la pena capitale, ha il dovere di partecipare a una campagna per chiederne la soppressione.

Vorrei, però, aggiungere una riflessione. Quando parliamo dei diritti dell'uomo, del diritto alla vita e della tutela di questi diritti, è importante segnalare che metà dell'umanità è condannata a una morte lenta dall'altra metà dell'umanità, quella più ricca. E' un problema che non ci deve lasciare indifferenti. Quando, come in Africa, si è sottoposti alla povertà, all'ignoranza, alle malattie, solo per il fatto che non si riesce a vendere i prodotti, le ricchezze, a un prezzo che consenta di finanziare la sanità e l'istruzione, si compie un crimine contro l'umanità. La nostra lotta deve essere condivisa anche dagli abolizionisti della pena di morte.

Mollé Mollé - Costa d'Avorio

deputato,

socio fondatore della Lega Internazionale

Secondo i dati di Amnesty International, dal 1985 al 1988 l'Asia ha ucciso 1791 carcerati, l'Africa 1372, l'Europa 119, l'America 118. Queste cifre non tengono conto delle esecuzioni extragiudiziarie e di quelle non segnalate. Dimostrano altresì che l'Asia e l'Africa sono i due continenti che assassinano il maggior numero di cittadini. Le 743 esecuzioni dell'Iran, le 537 del Sudafrica, le 500 della Cina e le 439 della Nigeria, sono avvenute in paesi a regime totalitario: possiamo dire con tranquillità che meno un paese è democratico, più abusa della pena capitale. La nostra organizzazione deve lottare contro i regimi totalitari e schierarsi a sostegno delle giovani democrazie. Molti paesi africani sono in lotta per affermare la democrazia e lo Stato di diritto e dunque la pena di morte - dato l'alto numero di vittime che produce - dovrebbe essere considerata alla stregua di un flagello sociale, come l'AIDS e il paludismo.

Rindandi Djonkamla

Cameroun

deputato

Il dibattito sulla pena di morte non è una querelle filosofica, ma una questione bruciante e molto concreta, che impregna le azioni della nostra vita quotidiana.

Non è solamente un problema statistico o di strumenti ma una questione morale, di sentimenti e di dignità. In essa è in gioco l'onore di essere uomini.

Una domanda seria sulla pena di morte esige una risposta sui fondamenti giuridici della nostra società. Alla base del contratto sociale e della comparsa del diritto c'è la privazione della "libertà" di uccidere il proprio simile. Per dirla in altro modo, la genesi del diritto sta nel rifiuto della morte violenta. Il principio del diritto è il diritto alla vita attraverso l'instaurazione d'una società civile, finalmente liberata dalla barbarie.

E' inconcepibile che una società che si fondi sul rifiuto della barbarie comune accetti con la pena di morte la sua trasformazione in barbarie legale. A ben guardare, la pena di morte sta al corpo politico come il cancro al corpo individuale: nessuno ha mai evocato la necessità del cancro.

 
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