Agenzia del Partito radicaleIl rapporto del relatore Crawford (Australia) sullo Statuto della Corte Internazionale Penale Permanente è pronto, ed è stato inoltrato alla sessione Plenaria dell'Interna-tional Law Commis-sion, organo ausiliario dell'Assemblea Ge-nerale delle Nazioni Unite preposto alla elaborazione dello Statuto per la Corte, dove verrà discusso a partire dal 23/24 giugno.
La struttura dello Sta-tuto è stata molto semplificata. La bozza prevede infatti che la Corte abbia giurisdizione su Genocidio, Aggres-sione, Crimini di Guerra e Crimini contro l'Umanità. Inoltre, come parte integrante dello Statuto medesimo, è previsto un allegato contenente tutti i crimini e reati oggetto di Trattati internazionali, incluso quindi la Tortura e la Conven-zione sulle Droghe del 1988.
Nella sessione Plena-ria dell'International Law Commission la bozza di Statuto potrebbe venire approvata, con formula di riserva da parte di alcuni Stati.
Apriamo questo numero di "Transnational" con questa importante notizia, un numero in gran parte dedicato a una sintesi del Rap-porto Bassiouni sui crimini di guerra nella ex Jugoslavia, sintesi che è stato lo stesso Pro-fessore a fare, nel corso di una teleconferenza a Roma. Il Rapporto, licenziato dal Segretario Gene-rale dell'Onu, può comunque essere trovato in Agorà Telema-tica, o richiesto in inglese alle sedi del Partito radicale.
La visita del Dalai La-ma a Roma è stata particolarmente significativa, per il valore politico, e ne parliamo in questo numero che chiudiamo poche ore dopo la partenza del leader nonviolento tibetano.
Rinviamo invece al prossimo i firmatari delle mozioni parlamentari promosse dal Partito radicale e le notizie relative agli iscritti al Partito radicale che, candidati in vari paesi e in liste diverse, sono stati eletti al Parlamento europeo, rinnovato pochi giorni fa.
IL DALAI LAMA IN ITALIA
E' avvenuto proprio in occasione della visita in Italia che, per la prima volta, Sua Santità il Dalai Lama è stato ricevuto in forma pubblica, sia dal Capo di Stato che di Governo di un paese.
E per la prima volta il Dalai Lama è stato anche ospite di un partito politico: il transpartito transnazionale Partito radicale che ha organizzato tutti gli incontri politici della sua visita in Italia.
Alle ore 18 del 16 giugno il Presidente della Repubblica Italiana Oscar Luigi Scalfaro ha ricevuto al Quirinale Sua Santità il Dalai Lama e l'on. Emma Bonino. Nel corso dell'incontro, Tenzin Gyatso, quattordicesimo Dalai Lama e premio Nobel per la pace '89, ha spiegato come da anni stia cercando un dialogo con le autorità cinesi. Ha riconosciuto che l'impresa è, al momento, ancora difficile ma la sua convinzione circa l'ineluttabile fine a cui sono destinati tutti i regimi totalitari lo fa sperare per un futuro migliore.
Il Dalai Lama ha fatto presente che la base politica sulla quale sta cercando l'intesa con la Cina non è quella dell'indipendenza del Tibet. "Sono ormai quattordici anni che non uso più la parola indipendenza", ha detto. Quello che chiede è solo l'autonomia e il rispetto dei diritti umani e della libertà religiosa, linguistica e culturale dei 6 milioni di tibetani che rappresenta. La soluzione politica è, a suo avviso, quella della creazione di una sola nazione formata da due Stati.
L'incontro si è concluso calorosamente e il Presidente Scalfaro ha dichiarato che la causa tibetana è anche la "sua" causa.
Ore 14 del 17 giugno. E' la volta dell'incontro a Palazzo Chigi con il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Insieme al Dalai Lama e a Emma Bonino era presente anche il Ministro per l'Informazione e delle Relazioni Internazionali del governo in esilio del Tibet, Tashi Wangdi. Berlusconi ha fatto presente come la comunità internazionale, quando si pone la questione tibetana, si trova di fronte al dilemma di mantenere i rapporti commerciali con la Cina o proteggere i diritti umani. Soddisfatto, ha però concluso riconoscendo che il suo incontro con il Dalai Lama è una conferma del grande impegno dell'Italia nella difesa dei diritti umani, della tolleranza e del dialogo.
Successivamente, il Dalai Lama si è recato alla sede del Partito radicale dove, ad attenderlo, accanto ad un folto pubblico c'erano molte personalità della cultura e del mondo dello spettacolo.
Emma Bonino ha aperto la conferenza stampa, salutando calorosamente il Dalai Lama, simbolo spirituale e politico della nonviolenza. Ha poi ricordato i numerosi momenti di amicizia che hanno legato in passato il Partito radicale alla causa tibetana, un'amicizia che è resa possibile, ha detto, dal preambolo dello Statuto del partito, ispirato ai metodi nonviolenti, e dal carattere transnazionale delle campagne politiche del partito.
Emma Bonino si è detta preoccupata per il timore espresso dal Dalai Lama che il Tibet possa diventare una nuova Jugoslavia e, in relazione a ciò, ha ribadito il suo impegno affinché le Nazioni Unite costituiscano un tribunale internazionale per crimini contro i diritti umani che non preveda in alcun caso la pena di morte. Il Dalai Lama ha anche incontrato Marco Pannella, cui ha donato la lunga sciarpa che simboleggia amicizia e la volontà che quell'amicizia duri a lungo.
L'ESERCITO SERBO SCONFINA IN MACEDONIA
Secondo notizie dei mass media macedoni, l'esercito serbo sarebbe avanzato già oltre 250 metri oltre i confini del territorio macedone, avrebbe occupato punti importanti strategicamente e sarebbero in corso operazioni di trinceramento. Mentre il governo macedone non ha ancora reagito ufficialmente, la notizia è stata confermata dal rappresentante del servizio informazione dell'UNPROFOR che ha dichiarato che esistono violazioni della frontiera macedone da parte di pattuglie serbe. Sempre secondo i mass media macedoni l'ansia dei cittadini della Macedonia, specialmente nelle zone di frontiera, è grandissima, perché tutto questo ricorda uno scenario già visto in Croazia ed in Bosnia-Herzegovina.
Appena note le prime notizie in proposito Olivier Dupuis, Presidente del Consiglio Generale del Pr ha dichiarato: "L'unica cosa che dobbiamo ancora capire è dopo quante altre aggressioni, dopo quante altre violazioni del diritto, dei diritti, della legalità internazionale, l'Europa romperà con questo suo atteggiamento vile e vergognoso, letteralmente da anni '30, e si comporterà nei confronti del regime di Belgrado per quello che è, e cioé un regime nazional-comunista, fascista e razzista."
TRIBUNALE AD HOC PER LA EX JUGOSLAVIA: IL RAPPORTO DELLA COMMISSIONE
Il 10 giugno, in occasione della presentazione in anteprima in Italia del film "Bosna!" di Bernard Henry Levi nel corso di una manifestazione organizzata dal Comitato "Non c'è Pace senza Giustizia" alla quale ha partecipato anche Emma Bonino, si è svolta una teleconferenza del professor Cherif Bassiouni, Presidente della Commissione ONU di indagine sui crimini commessi nella ex Jugoslavia, iscritto al Partito radicale. Il Professor Bassiouni ha illustrato i contenuti del Rapporto predisposto dalla sua Commissione, anticipando la pubblicazione del Rapporto medesimo, che proprio in questi giorni è stato licenziato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite.
La pubblicazione dell'importante intervento del Professor Bassiouni ci sembra non solo doverosa, ma utilissima per tutti. Ancora, uno strumento di lavoro.
Pubblicando ampie parti dell'intervento del Professor Bassiouni vogliamo rendere visibile l'obiettivo raggiunto attraverso molti mesi di mobilitazione del Partito radicale.
La concretizzazione di tanti sforzi rafforza ulteriormente, se ve ne fosse bisogno, la convinzione che occorre ancora impegnarsi per la realizzazione del Tribunale internazionale permanente.
Ecco la trascrizione.
(...) Abbiamo superato alcune difficoltà finanziarie attraverso un fondo volontario degli Stati che ha prodotto la piccola cifra di 1.300.000 dollari, ovviamente insufficiente se solo la si raffronta con i dati delle 200/250mila persone uccise, delle circa 50mila persone torturate e delle circa 20mila donne stuprate, in un contesto di violenza che è durato circa 2 anni e mezzo, che ha coperto un territorio molto ampio - essenzialmente Bosnia Erzegovina e Croazia - nel quale secondo le nostre conclusioni vi sono stati 715 luoghi di detenzione e campi di concentramento, oltre 150 fosse comuni che vanno dalle 5 alle 300 persone. Il contesto di violenza e la ferocità con cui questa è stata perpetrata è incredibile. Sono le cose che si leggono nella storia medievale e che si pensa non possano essere vere. Invece lo sono.
La Commissione ha dovuto trovare vari modi e mezzi per fare i suoi lavori. Uno di questi riguarda l'esame fatto sugli stupri, anche perché questo era molto contestato. Abbiamo indagato su 1600 casi. E' questa la più grande indagine della storia sugli stupri. Nell'ambito di questi 1600 casi abbiamo intervistato - sul campo, per due mesi, con una squadra da me diretta - 223 vittime. Naturalmente abbiamo sentito storie assolutamente incredibili che ci hanno confermato tutto quello che avevamo sentito nel passato ma che non potevamo documentare. Il lavoro è stato fatto da 11 squadre di 35 donne, quasi tutte volontarie. Ogni squadra consisteva di 3 persone di cui una donna pubblico ministero, una psicologa e una interprete. Hanno lavorato in 5 città diverse per raccogliere queste prove parlando con le vittime. C'è stato poi l'aiuto di un certo numero di Governi come l'Austria, la Germania, la Svezia e la Norvegia, che hanno utilizzato loro propri indagatori, Pubblico Ministero, Ufficiali di polizia ecc., per inte
rvistare - secondo moduli da me preparati - un certo numero di vittime.
E' proprio in base a questo che possiamo fare una proiezione scientificamente valida delle violenze accadute.
C'è in questa zona un fermento di violenza che dura già dalla seconda guerra dei Balcani, dal 1912. Una violenza continuata nella seconda guerra mondiale e che in un certo senso si è sostanziata in una violenza psicologica, politica ed economica da parte del regime comunista per 50 anni di seguito. Tutto questo è stato tenuto in una pentola a pressione. Quando la pentola è scoppiata, è scoppiato anche il peggio che l'essere umano può produrre.
E questo dimostra una cosa molto importante: non vi può mai essere pace in qualsiasi conflitto se non vi è giustizia e se non vi è verità.
Quando nel 1912, o anche dopo la prima e dopo la seconda guerra mondiale, si è messo un coperchio a queste cose, questo coperchio non ha resistito per molto: è rimasto bollente quello che c'era nella pentola. E questo ci deve dare una visione per il presente: una pace senza giustizia non potrà durare.
La seconda spiegazione è che vi era una strategia politico-militare da parte dei serbi, di creare la "Grande Serbia"; strategia che è stata strumentalizzata da quei politici che hanno voluto giocare sui sentimenti nazionalisti dei Serbi, sul loro sentimento di essere state vittime nella storia per spingere ad agire in un modo che in altre circostanze non sarebbe stato accettabile. Questa strategia per riuscire doveva togliere di mezzo qualsiasi elemento che non fosse serbo. Perciò vediamo in un arco a forma di "U" che va vicino al fiume Drijna e al fiume Csava per legare le comunità serbe in Bosnia Erzegovina e in Croazia con la Serbia stessa. Ed è nelle zone dove la popolazione era la più pacifica, la più mista che la violenza è stata più terribile. Si usavano i mezzi più estremi non solo per far partire la gente da quei luoghi, ma anche per assicurarsi che non sarebbe più tornata. E' tenendo presente questo che si spiega perché queste forme di stupro sono state così violente, così pubbliche e fatte in modo
tale da umiliare così tanto le donne: assicurarsi che la famiglia musulmana colpita si sarebbe sgretolata e non avrebbe più osato tornare in quel luogo.
Molti di questi atti di violenza facevano parte di questa grande strategia della "pulizia etnica" che era una conseguenza della strategia politico-militare del controllo del territorio che si voleva attuare. Per eseguire questa politica non si poteva utilizzare l'esercito tradizionale e allora si è ricorso a vari gruppi speciali, tipo Arkan, tipo Seselj, tipo Dragan. Di questi gruppi ve ne sono stati 45 serbi, 18 croati, 12 musulmani. Tutti operavano in un modo o in un altro - indipendentemente dall'esercito - rispondendo a un potere politico locale o nazionale. Particolarmente nelle zone controllate dai serbi per la pulizia etnica, questi gruppi erano quelli che facevano le stragi più terribili. A loro si è unito un gruppo di civili, armati dalla polizia locale e sotto il controllo del Ministero degli Interni (quando esso esisteva o quando si è ricostituito o dopo il '92). Questi gruppi erano composti da indigeni.
E' un po' come se uno andasse nei bassofondi delle città e armasse sia i criminali che la gente della peggior specie, disponibile in cambio di una garanzia di impunità, e gli si consentisse di tenersi quello che può razziare e di potersi fregiare di una "bandiera nazionale patriottica" che possa consentir loro di essere chiamati eroi.
E' importante, però, considerare che non si deve accusare i serbi o il gruppo etnico serbo come tale. Questo è, purtroppo, il risultato di un fallimento del sistema politico che ha messo insieme un numero di persone incapaci di governare e di controllare e ha creato quelle circostanze che hanno permesso loro di crescere, strumentalizzando la propaganda e creando questa pessima situazione.
(...) Abbiamo identificato con certezza oltre 700 persone che hanno commesso questi atti. Dunque è inaccettabile che ci sia ancora chi sostiene l'inesistenza del fatto stesso e l'impossibilità di sapere chi ha commesso i crimini. Con i pochi mezzi a mia disposizione ho potuto comunque individuare oltre 700 autori di questi crimini e tra questi un gran numero di comandanti e di soldati nei campi di concentramento che sono stati individuati anche da altri testimoni per torture. Dunque non manca né la materia né gli imputati.
Per catturarli vi sono tre ipotesi.
La prima. Se si verifica il fatto che i criminali si trovino in un altro Paese.
In Germania c'è un caso simile, come in Danimarca, in Francia e in Svizzera, altri in Austria. Molti sono usciti dalle zone di combattimento; ma bisogna aggiungere che molti degli autori dei crimini provenivano da altri paesi d'Europa.
I "wekkendash": quelli che venivano per un breve periodo a combattere, ad ammazzare, a rubare per poi ritornarsene nel loro Paese. Ad esempio oltre 500 sono arrivati dall'Australia, dalla Germania non si contano, dall'Austria, dalla Svizzera. Questa gente è tornata a vivere nel proprio Paese e può essere ritrovata senza molti problemi.
La seconda ipotesi.
Certi Paesi dovranno cooperare. E lì è l'importanza di avere la prova oggi e di non farla inquinare, di non aspettare che diventi difficile dimostrarla. In questo caso si spiega il motivo per cui i lavori della Commissione si sono conclusi rapidamente o meglio prematuramente. La realtà è che quando si ha la prova si possono aspettare anche 10 anni. E' di questi mesi il caso Touvier: 50 anni più tardi. Ora in Italia il caso Priebke.
La terza ipotesi.
Avendo la prova, avendo la struttura di un tribunale, avendo la volontà politica, certamente è solo una questione di tempo.
(...) Aggressione in senso tecnico giuridico significa che un paese commette una violazione della integrità territoriale di un altro. Dunque questo significato è un po' diverso da quello dello stesso termine nell'uso comune, per cui l'uno aggredisce l'altro.
Il mandato che abbiamo ricevuto dal Consiglio di Sicurezza non include l'esame di chi ha commesso un atto di aggressione in questi termini ma solo di indagare sulle violazioni delle Convenzioni di Ginevra e delle altre violazioni del diritto internazionale umanitario. Perciò abbiamo indagato su casi specifici e anche su una politica generale.
In questo caso si deve tenere presente che vi sono stati tre conflitti in successione: il conflitto con la Slovenia, con la Croazia e poi con la Bosnia. Ogni conflitto ha le sue caratteristiche: con la Slovenia si è risolto rapidamente, con pochissima violenza perché c'è stata una transazione politico economica tra la Slovenia e la Repubblica Federale Jugoslava. In Croazia la violenza è stata più significativa, particolarmente nei combattimenti nella zona della Kraijna e della Slavonia e lì certamente i croati hanno commesso un numero di violazioni gravi nei confronti dei serbi. Il conflitto con la Bosnia è quello dove il numero di vittime è il più alto. Perciò ci troviamo davanti a tre conflitti in cui vi sono stati anche parti diverse. In Bosnia, ci troviamo per esempio, in certe zone dove croati e musulmani combattono insieme contro i serbi, mentre in altre zone troviamo che croati e serbi hanno combattuto contro i musulmani.
Quando ci si trova davanti a un numero tale di partecipanti in un conflitto diventa difficile individuare chi ha fatto cosa, in quale momento e in che modo. Questa difficoltà è la stessa dell'individuare chi è il responsabile della strategia.
Più erano i gruppi - 45 gruppi militari o di organizzazione dalla parte dei serbi, 18 croati, 12 musulmani - più ognuno di questi aveva un esercito e utilizzava nelle città le polizie locali armate; diventa quindi molto difficile fare un quadro e arrivare a una conclusione del tipo: "ecco una persona al vertice, o questi tre o quattro o cinque, direttamente responsabile". Quello che questo quadro ci dimostra è che c'era una politica generale che ha messo in moto una macchina e che ha agito lasciando questa macchina muoversi. Per esempio, quando ripetutamente nell'arco di due anni in un territorio molto vasto - specialmente quando questo territorio non era collegato - si vedono gli stessi fatti e si vede che l'esercito non interviene mai, è chiaro che qui c'è una politica di omissione, e sia nel diritto internazionale sia nel diritto di guerra c'è l'obbligo di intervenire per prevenire. E' come se il poliziotto si gira dall'altra parte mentre la violazione accade. Quando accade una volta si può parlare di cir
costanze, due volte è coincidenza, ma quando questo è ripetuto, ovviamente c'è qualcuno che ha detto: "guardate dall'altra parte". Le conclusioni che saranno pubblicate nel nostro rapporto indicano che c'era una politica di sistematicità della violenza associata ad una politica di omissione di intervento.
(...) E' molto difficile poter prendere una esperienza come quella a cui si riferiva Wiesel (la distinzione tra campi di detenzione e campi di concentramento e di sterminio, ndr) e riportarla in un altro contesto. Il contesto jugoslavo è completamente diverso da quello tedesco: è pieno di improvvisazioni locali, manca completamente del senso organizzativo e centralizzato che esisteva in Germania e i risultati sono stati più feroci. Per esempio in questo conflitto vediamo che i campi generalmente sono a nucleo e non sono scelti come in Germania. Si nota che questi nuclei di campi si trovano generalmente nelle zone dove ci sono i combattimenti; sono generalmente locali, fabbriche, miniere, scuole.
In questi campi raccoglievano la gente di un altro gruppo etnico: fossero bosniaci musulmani o croati. E lì c'era un "triage" fatto in base a questo. Innanzitutto le persone anziane che non potevano combattere andavano in un campo mentre i giovani andavano lì dove c'erano azioni di sterminio e dove c'erano le torture; altre persone ancora erano divise in base alla loro situazione economica, per dopo permettergli di riscattarsi o permettere ai parenti di riscattarli. Questo è noto in certe zone di Prijedor, Banja Luka, Brcko, Foja, dove prendevano giovani ragazze e bambine figlie di benestanti e le mettevano in case, dove venivano anche stuprate, per farle poi riscattare dai genitori. (...) Perciò c'è questa specie di "triage", questa distribuzione nei campi. L'umiliazione c'era dappertutto. La tortura dappertutto anche se minimamente nei campi dove c'erano i vecchi - che venivano lasciati senza cibo, senza medicinali, ecc. quindi era una forma di tortura diversa - e poi c'erano i campi dove prendevano le don
ne solo a scopo di stuprarle, per umiliarle e rilasciarle o tenerle per il piacere di soldati o milizie.
(...) Non abbiamo indagato sul personale Onu perché non era nel nostro mandato. Però a mia esperienza, salvo nel caso ormai famoso del generale Mc Henzy vicino a Sarajevo, il personale Onu in un anno e mezzo si è comportato veramente bene.
Ci sono state tante e tante manifestazioni umane da parte dei soldati. Hanno fatto molte azioni di grande umanità. Un esempio: ero nel mese di Ramadan e sono stato invitato dal battaglione egiziano. Mi hanno detto che durante il periodo in cui il battaglione egiziano era stato a Sarajevo, si sono tolti il cibo per dare da mangiare a cento persone e questo lo hanno deciso tutti, soldati e ufficiali insieme. Questa è una manifestazione straordinaria.
Ho visto il settore ovest in Croazia, nel battaglione giordano, in una zona in cui i croati hanno distrutto otto villaggi, dove non c'era una casa in piedi.
C'era una donna di 80 anni che era stata rinchiusa nella sua casa. Era l'unica sopravvissuta e non scappata. I soldati giordani l'hanno trovata e hanno ricostruito la sua casa. Questa donna vive là da due anni sotto la protezione dei soldati che ogni giorno le portano il cibo. Hanno detto ai croati che nessuno si avvicini a questa donna. C'era una pattuglia di dodici soldati accampati vicino per proteggerla. E questo al di fuori di qualsiasi procedura ufficiale dell'Onu. Perciò le manifestazioni di solidarietà umana sono numerose.
Per quello che riguarda l'accertamento dei dati, abbiamo registrato oltre 1.600 casi con nome e cognome, il luogo dove è accaduto e abbiamo intervistato 223 persone (più 34 persone intervistate dalle autorità svedesi, 7 dalle autorità austriache e altre interrogate da autorità di altri Paesi). Abbiamo oltre 800 dichiarazioni scritte da vittime. Perciò la base documentaria di questi 1.600 casi è molto forte e ognuna di queste donne ci ha raccontato di aver visto altre donne violentate. Il numero individuato ha un'alta probabilità di credibilità: circa 4.500 casi. Se abbiamo 1.600 casi individuati con specificità, che ne testimoniano altri 4.500, se li moltiplichiamo solo per 4 - che dal punto di vista sociologico e della criminologia è la percentuale minore di moltiplicazione - si arriva a oltre 20mila casi.