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Conferenza Rivoluzione liberale
Partito Radicale Rinascimento - 27 settembre 1999
Sostiene Manzella
di Gianfranco Dell'Alba deputato europeo della Lista Bonino

Roma, 26 settembre 1999

In un intervento su "La Repubblica" Andrea Manzella, prova a far fuori i referendum elettorali di noi radicali e di AN sparando a mitraglia argomentazioni "giuridiche" assai dubbie. Sconcerta, ma fino ad un certo punto, che proprio un Manzella ricorra ad una tale artifici spacciandoli per profonde analisi costituzionali. Ma tant'è.

Cosa infatti sostiene Manzella: innanzitutto che il mancato raggiungimento del quorum il 18 aprile 1999 sul referendum Segni - Di Pietro (il cui contenuto è identico a quello dei referendum radicali e di AN) debba intendersi come manifestazione di volontà negativa del corpo elettorale sul referendum stesso, e che questo faccia scattare la norma che impedisce la riproposizione di un quesito prima di cinque anni "nel caso che il risultato del referendum sia contrario all'abrogazione di una legge".

In via subordinata, e come per lenire l'enormità di questa affermazione basata su una ben peregrina e fallace - come vedremo - similitudine, sostiene Manzella che i "cinque anni" debbano in realtà intendersi come connessi alla durata della legislatura e che insomma, se proprio si vuole, il referendum elettorale si può riproporre, ma solo dopo le elezioni politiche prossime (quelle che il referendum intende appunto far svolgere con un diverso sistema ).

E oplà! Tesi - antitesi - sintesi, con qualche sforbiciata alla Costituzione, al diritto, al decoro, Manzella adegua da par suo il wishful thinking della maggioranza - e non solo di quella - alla certezza del diritto, sostenendo un'interpretazione à la carte delle norme in materia di referendum.

Su quali argomentazioni poggia questa fragile analisi?

Su un'affermazione e un assunto assolutamente falso.

Per sostenere che il mancato raggiungimento del quorum dovrebbe produrre gli stessi effetti pratici di un rigetto "reale" del referendum - cioè la prevalenza dei "No" sui "Si"-, e che questo deve essere assimilato ad un vero e proprio voto contrario, Manzella ricorse all'esempio della proposte di legge di revisione costituzionale che sono considerate respinte quando "manchi la prescritta maggioranza di partecipazione".

Questa affermazione è, per l'appunto, falsa, perché, a parte l'arbitrarietà del paragone, le leggi costituzionali necessitano per essere approvate non di una "maggioranza di partecipazione" ma del voto positivo della "maggioranza assoluta dei componenti della Camera", e questo nulla ha a che fare con quello che invece è in gioco nel referendum.

I regolamenti parlamentari prevedono infatti da una parte la questione del "numero legale" o quorum che dir si voglia, e cioè che "le deliberazioni di ciascuna Camera non sono valide se non è presente la maggioranza dei componenti e se le deliberazioni stesse non siano adottate a maggioranza dei presenti" e dall'altra la questione della maggioranza qualificata per l'approvazione delle leggi di revisione costituzionale, che devono essere approvate appunto "a maggioranza assoluta dei componenti della Camera".

Questo significa che nel primo caso basta che siano presenti al voto almeno la metà più uno dei deputati perché il voto sia valido, quale che sia la "maggioranza dei presenti" che emerge, nel secondo caso il voto non è valido, se non si esprimono a favore almeno la metà più uno dei deputati.

Nel caso di mancato quorum la votazione è semplicemente rinviata, mentre se non si consegue la maggioranza qualificata la proposta è respinta.

E' evidente che la casistica da applicare al referendum sia quella equiparabile al quorum, sempre che si voglia seguire il parallelo manzelliano. Come è noto infatti, su un totale di circa 47 milioni di aventi diritto al voto, perché la consultazione referendaria sia valida occorre semplicemente che vadano a votare la metà più uno degli elettori, non certo che votino "Si" la metà più uno degli aventi diritto al voto. Checchè sostenga Manzella, se non si raggiunge il quorum, il referendum non è né approvato né respinto.

Il nulla di fatto che ne consegue non può certo essere assimilato ad un voto che non abbia raggiunto una determinata maggioranza, tant'è vero che, ad esempio, se sulla legge finanziaria od altro non si registra il quorum, la votazione viene semplicemente rinviata e non si considera certo "respinta" la legge stessa.

Manzella cerchi altre argomentazioni, se crede: questa proprio non va.

 
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