IL REFERENDUM FORSE AMMISSIBILE MA NON RIPROPONIBILE.
di Giovanni Greca
Si fatto un gran parlare in questi ultimi tempi, a proposito ma anche a sproposito, di un inciso (obiter dictum) della sentenza n. 16/78 della Corte Costituzionale entrato per questa via a far parte integrante di una giurisprudenza consolidata, tanto che facile prevedere non si discostino da questo indirizzo la Cassazione e la stessa Consulta, chiamati prossimamente a pronunciarsi sulla (ri)proponibilit e sulla ammissibilit del referendum elettorale.
L'indubbia rilevanza del tema, che ha importanti implicazioni sugli sviluppi politici a breve e medio termine, ha suscitato un acceso confronto su tesi contrapposte, con grave pregiudizio di quella che dovrebbe essere una pi· matura riflessione, quale si conviene ad un problema cos delicato. Non trovo in questo ovviamente motivo di scandalo e non mi sorprende pi· di tanto che Peppino Calderisi, nella vita privata ingegnere e quindi non specificamente portato alle discipline giuridiche (non certo una colpa!), scrivendo sul Corriere della Sera del 20 settembre "per precisare il pensiero" dell'intero Comitato promotore del referendum, abbia letteralmente capovolto il significato della predetta sentenza, da lui peraltro avversata in passato (insieme alla giurisprudenza che da essa ha avuto origine) e che vorrebbe ora piegare alle convenienze della sua parte politica.
Poich insieme a Sorrentino e a Manzella faccio parte - se posso essere un tantino immodesto - del ristretto gruppo di studiosi che in dottrina aveva anticipato la decisione della Corte (poi divenuta giurisprudenza dominante), avverto il dovere di osservare che il senso di quella sentenza non certo quello di proteggere, come scrive Calderisi, "possibili scelte dell'elettore di fronte ad un quesito disomogeneo" ma, giusto al contrario, di considerare ammissibili solo i quesiti omogenei, quelli cio riconducibili ad un unico principio ispiratore, e quindi "tali da esaltare e non coartare le possibilit di scelta degli elettori", come testualmente scritto nella parte motiva della sentenza; altrimenti, prosegue il relatore Paladin, se si dovessero ammettere quesiti che racchiudono domande su temi disparati, l'istituto del referendum sarebbe "fine a se stesso e non tramite della sovranit popolare", e risulterebbe del tutto incongruo far discendere nel caso specifico le conseguenze giuridiche che si connettono
all'esito favorevole, l'abrogazione cio di un ventaglio di norme tra loro non collegate ovvero - ed qui che l'inciso si iscrive nella logica della sentenza - la non riproponibilit per cinque anni del referendum sulla stessa congerie di norme, qualora invece l'esito sia stato sfavorevole all'abrogazione.
Voglio dire che il "promotore del referendum elettorale", come si firma Calderisi, non si accorge nella foga della polemica di colpire proprio le ragioni dei referendari, perch implicitamente ammette che il proprio quesito non riconducibile ad una matrice unitaria - la tesi, sia detto incidentalmente, non sarebbe poi del tutto peregrina, dal momento che il quesito sulla legge elettorale cos come stato abborracciato non comporta notoriamente l'abrogazione della quota proporzionale ma una sua interna trasformazione a favore dei migliori perdenti dei collegi uninominali (potrebbe risultare quindi inviso agli stessi sostenitori del principio maggioritario) - e quindi il promotore finisce involontariamente per sostenere che la Corte, se conferma la propria giurisprudenza, non dovrebbe considerare il quesito ammissibile!
Cerco di essere pi· chiaro, se mi riesce. Il passaggio della sentenza n. 16, che racchiude l'inciso, rivolto a confutare l'argomento dei promotori del referendum che nel 1978 pretendeva di abolire ben 97 articoli del codice penale. L'argomento era che spettava "agli elettori di decidere se il quesito formulato o meno in termini chiari e precisi". A tale argomento si replicava da parte del giudice costituzionale che l'elettore, posto di fronte ad un quesito non riconducibile ad un unico principio, avrà la scelta tra il "rassegnarsi all'abrogazione di norme del tutto diverse" da quelle che egli intende abrogare, ovvero "orientarsi verso l'astensione, dal voto o nel voto"; ovvero ancora votare no, malgrado sia favorevole all'abrogazione di altri princ pi investiti dalla domanda referendaria, e quindi vedersi "impedita la possibilità di proporre in questo senso ulteriori referendum, prima che siano trascorsi cinque anni, data la preclusione disposta dall'articolo 38 della legge n. 352 del 1970".
Ma da questo non consegue minimamente che nel caso opposto, di un referendum cio che verta su un unico quesito "chiaro e preciso", l'astensione dal voto - per giunta non inquinata questa volta dalla componente che potremmo chiamare inflattiva (dovuta all'incertezza dell'elettore in bilico tra diverse domande) - abbia l'effetto di annullare l'esito della consultazione e non fare scattare quindi la preclusione di cinque anni, quasi l'astensione dal voto fosse un tertium genus a met strada tra l'approvazione e la non approvazione! Se cos fosse la Corte avrebbe inteso, tortuosamente, considerare da una parte conforme alla Costituzione l'articolo 38 della legge 352, dall'altro addirittura riconoscere alla legge ordinaria, per di più su una materia che concerne l'esercizio diretto della sovranit popolare, il potere (che non spetta neanche alla Corte) di riscrivere la Costituzione nella parte in cui statuisce la condizione, perch si possa parlare di esito positivo e quindi di approvazione della proposta di abr
ogazione, che la maggioranza assoluta degli aventi diritto si sia recata alle urne. Tra l'altro il legislatore ordinario sarebbe semmai stato interessato a proteggere i propri atti (da troppe abrogazioni) e quindi a interpretare la Costituzione nel senso di aggravare le modalit di esercizio dell' istituto referendario, non dimenticando che la preclusione alla riproponibilit del referendum costituisce la esplicitazione di un divieto che nella logica dell'ordinamento dovrebbe bilanciare il corrispondente divieto - di cui ha scritto tra gli altri un padre nobile della Costituzione come Costantino Mortati - che impedisce al legislatore ordinario, nel caso di esito positivo, di riproporre quanto meno nel corso della legislatura norme che valgano a ribadire princ pi e criteri direttivi abrogati dal corpo elettorale.
Altro discorso riguarda la possibilit che la Corte - sono d'accordo con quanto ha scritto Manzella - anche in analogia ai termini pi· ristretti fissati in casi simili dai regolamenti parlamentari, colga l'occasione del giudizio di ammissibilit per proporre una lettura "adeguatrice" dell'articolo 38, stabilendo che comunque la preclusione cessa con la caduta della legislatura. E' evidente che il legislatore del '70 considerasse fisiologico che la legislatura durasse cinque anni, perch allora non si erano ancora avuti casi di scioglimento anticipato delle Camere; sarebbe pertanto "ragionevole" da parte della Corte tenere conto della mutata situazione, che non pu non avere i suoi propri effetti giuridici, dal momento che, soprattutto quando si tratta di interpretare norme ordinarie attuative della Costituzione, il criterio ermeneutico costituito dall'argomento storico e logico-sistematico deve sempre avere la prevalenza sull'argomento letterale.
In conclusione ritengo che, anche a voler concedere che il referendum per l'abrogazione della quota proporzionale sia ammissibile, esso non riproponibile almeno in questa legislatura. Sono pertanto sostanzialmente d'accordo con quanto hanno scritto i costituzionalisti Fulco Lanchester su La Stampa del 18 luglio 1999, Andrea Manzella su La Repubblica del 25 settembre e Gianni Ferrara su Avanti! del 26 settembre.
Giovanni Greca