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Radio Radicale Sergio - 18 ottobre 1999
Processo Andreotti. La Terza Via alla sentenza di Palermo

Dopo le assoluzioni di Perugia, l'esito palermitano del processo Andreotti potrebbe poi non essere così scontato tenendo conto che, a giudicare l'ex presidente del consiglio, saranno tre giudici del capoluogo siciliano e non una corte di sei "popolari" e due "togati" umbri. Le uniche ipotesi per la sentenza palermitana messe in campo in questi giorni, sono state solo due: assoluzione o condanna dall'imputazione di associazione mafiosa "piena". C'è però una terza via che nessuno finora prende in considerazione e che il codice di procedura penale tecnicamente offre a qualsiasi collegio giudicante che è la derubricazione del reato. Il 110-416 bis, un numero simile al nome di un membro della banda Bassotti, meglio conosciuto come concorso esterno in associazione mafiosa, potrebbe portare ad una soluzione di compromesso che salverebbe "capra e cavoli" rispetto alle posizioni dei PM di Palermo portando, ovviamente ed inevitabilmente, una ventata di polemiche. La quinta sezione del tribunale penale di Palermo presi

eduta da Francesco Ingargiola riuscirebbe così in sostanza a far concludere il processo là dove è cominciato: ovvero nella prima formulazione dell'ipotesi di reato fatta nel 1993 dalla Procura di Caselli.

Nel 1993 i PM palermitani, chiesero e ottennero l'autorizzazione a procedere dal Senato per il reato di concorso esterno. Quando però davanti al Gip la corazzata difensiva del senatore a vita guidata dal professore Franco Coppi stava per sottrarre la celebrazione del processo da Palermo al Tribunale per i ministri di Roma o a Perugia per "attrazione" verso il reato più grave (quello per l'omicidio Pecorelli), la procura di Palermo aggiunse in zona Cesarini la tara dell'associazione mafiosa e dunque della presunta appartenenza a pieno titolo di Giulio Andreotti in Cosa Nostra, mantenendo così la competenza territoriale nella giurisdizione palermitana grazie ad un complicata interpretazione giuridica.

A poco meno di un mese dal verdetto perugino che ha assolto l'ex presidente del consiglio, sembra davvero difficile trovare un giudice disposto ad avallare un impianto accusatorio che chiede una condanna di 15 anni per un imputato sette volte presidente del consiglio, associato al tempo stesso in Cosa Nostra con tanto di "pungitine" e giuramenti sangue come un vero boss di mafia. Il 110-416bis potrebbe dunque ricondurre la vicenda palermitana al concetto di mera "contiguità" tra Andreotti e la Mafia, salvando il modello palermitano di scuola piemontese del pentito-prova nei processi. Una ipotesi di derubricazione consegnerebbe una invisibile vittoria alla pubblica accusa ed una sconfitta incruenta al collegio di difesa che denuncerebbe, con ogni probabilità e per l'ennesima volta, la celebrazione di un processo dalle carte truccate con il gioco della competenza territoriale. Del resto interi convegni sul concorso esterno sono stati ormai consumati poiché molti giuristi, contrari alla configurazione del conco

rso esterno, ricordano che un imputato o è un mafioso a denominazione d'origine controllata o non lo è del tutto. Il processo a carico di Giacomo Mancini non è che una conferma sia della caducità del reato "politico" di concorso che della "competenza territoriale". Il sindaco di Cosenza, condannato a Palmi per concorso esterno, è stato assolto in Appello dai giudici reggini per incompatibilità territoriale sulla tenuta del dibattimento di primo grado.

Una ondivaga giurisprudenza della Cassazione maturata in questi anni sia sui reati associativi che sulla valenza probatoria dei pentiti, può peraltro offrire un panorama giurisprudenziale con diverse opzioni sulle sentenze finali e consentire in alcuni casi di passare su un fascicolo dibattimentale come un caterpillar, lasciando ai giudici di tutta Italia, la possibilità di emanare dispositivi di sentenza diversi e opposti tra loro come l'assoluzione di Musotto e la condanna di Contrada hanno dimostrato. L'ultima sentenza rilevante per concorso esterno in associazione mafiosa emessa dal giudice Ingargiola (attuale presidente della quinta sezione sezione del tribunale che a Palermo giudicherà Giulio Andreotti) è quella che ha condannato Bruno Contrada a dieci anni di carcere. Nella motivazione di quella sentenza c'è un passaggio significativo che ancora oggi fa discutere al processo d'appello a carico dell'ex funzionario del Sisde in corso di svolgimento: nell'affermare la responsabilità penale dell'imputato

non è necessario dimostrare l'esistenza di un movente.

Razionalmente, l'imputato Andreotti Giulio andrebbe assolto. La derubricazione palermitana del reato al processo Andreotti non è che una ipotesi, una terza via tecnica, nonostante Perugia abbia gettato le basi per una seconda assoluzione. Chissà che nel giro delle scommesse tale ipotesi non viene tenuta in considerazioneà

 
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