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Conferenza Rivoluzione liberale
Partito Radicale Angiolo - 24 ottobre 1999
La concertazione? L'inventò il fascismo
Di Angiolo Bandinelli

(da "L'Opinione", 22 ottobre 1999)

Quale è il nocciolo duro di una società liberale? Molte, le definizioni possibili, ma a noi piace mettere in risalto il fermo ancoraggio ad un sistema istituzionale che individui esattamente i soggetti del "gioco" politico e attribuisca a ciascuno di loro i suoi diritti e le sue responsabilità. La Magna Charta e Montsquieu e molti altri testi sacri (e profani) hanno posto queste fondamenta ad una società, anzi (e meglio detto) allo Stato liberale (non dovremo infatti ricordarci sempre che una "società", di per sé e per quel tanto di struttura comunitaria che vi è sottesa, non potrà mai essere "liberale"?). Dunque, leggi e istituzioni certe, ruoli e responsabilità certi dei soggetti politici che vi operano. Se così è, non vi è dubbio che la concertazione, ponendo sullo stesso promiscuo piano di valore e di capacità i soggetti istituzionali, le parti sociali e i sindacati, è irreparabilmente "illiberale".

Su "Liberal" del 21 ottobre Massimiliano Finazzer Flory ci ricorda che "il metodo della concertazione rivela coerentemente il suo merito statalista e dirigista", e che "è la forma coerente del regime politico e della sua filosofia ispirativa", "sinistrorsa e sindacatocratica". Giustamente, cita a proposito Sorel e "il ruolo della legislazione sociale sotto il fascismo". Richiamo, quest'ultimo, di enorme importanza e su cui non si è riflettuto ancora abbastanza, nemmeno in questo clima di corrivi revisionismi.

Sempre su "Liberal", già a ottobre Oscar Giannino criticava aspramente l'incapacità (o la non volontà) dei sindacati ad abbandonare la pretesa della "validità erga omnes" dei loro contratti e la ottusa "difesa di una minoranza della forza lavoro". Giannino sosteneva peraltro che la nascita nel 1976 del metodo della concertazione, e il suo "inquadramento" sistematico nel Patto sottoscritto da Ciampi nel 1993, erano stati un passo avanti grazie al quale i sindacati erano stati coinvolti nella "responsabilità delle compatibilità economiche", con la liquidazione della folle tesi del "salario come variabile indipendente". Due giudizi che divergono così fortemente dovrebbero richiedere, se non una sfida, almeno una schermaglia. Se regge l'uno, l'altro cade. Finazzer pone rigidamente una questione di metodo,. Giannino accetta che, per correggere un madornale strafalcione di teorica economica, si sia concesso ai sindacati di farsi arbitri dell'economia e del mercato, ribadendo le catene di una chiusura corporativa c

he cova nelle aspirazioni della società italiana fin dalla Carta del Lavoro fascista, giustappunto evocata se non esplicitata da Finazzer.

Niente, così non va: il problema è squisitamente teorico, di modellistica istituzionale. In un regime liberale, l'unica "classe generale" è quella rappresentata, attraverso le elezioni, da parlamento e governo. Solo essa ha il diritto di legittimamente intervenire per regolare e anche modificare, se del caso, le leggi del mercato. In Italia, invece, accanto e sopra questa "classe generale", ne abbiamo istituzionalizzato un'altra, di origine corporativo-fascista o socialpopulista: la classe operaia, elevata anche essa, in base ai dettami di una filosofia della storia elaborata nei meandri totalitari del "secolo breve", a tale rango istituzionale così da poterle consentire di esercitare non il diritto ma il privilegio di modificare e sconvolgere il mercato. Cosa avviene, a questo punto? Avviene che i due principi di legittimità entrano in corto circuito, si elidono o almeno contrastano tra loro. Il sistema non può non risentirne in termini di funzionalità dell'economia, proprio in quanto aberrante in termini d

i teorica istituzionale.

I nostri liberali non hanno forse riflettuto su questo punto. Stravolgendo i principi istituzionali liberali, si finisce necessariamente col determinare anche una distorsione del mercato. Perché? Ma perché non si ha più di fronte un interlocutore netto e chiaro, l'"interesse generale" è messo in forse, non ha più certezze. Così tutto si deteriora e imputridisce. In assenza di una definita e riconoscibile forma di legittimazione, a decidere saranno a questo punto i Poteri arroccati attorno alla cooptazione burocratica. Ma proprio per liquidare schemi strutturali analoghi scoppiò, in Francia, la Rivoluzione del Terzo Stato.

 
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