Scuola, dopo la »crociata cattolica
LAICI, ASSENTI INGIUSTIFICATI
La »parità che il governo offre alla scuola privata assomiglia in realtà a un appalto o a quei
contratti di outsourcing con cui una impresa assegna a un'azienda minore una parte delle sue
attività. Lo Stato è pronto a tollerare un certo numero di scuole private e a pagare indirettamente
una parte del loro costo, ma conserva il monopolio dell'istruzione, pretende dal cittadino le risorse
che gli permettono di esercitarlo e si attribuisce il diritto di fissare in un »capitolato d'appalto le
regole a cui i privati dovranno conformarsi. Tratta il problema dell'istruzione, in altre parole, al modo
in cui tratta altri beni pubblici: il sottosuolo, le coste del mare, i fiumi, l'etere. Concede licenze, ma
non riconosce diritti di proprietà.
Nella formazione e nel consolidamento degli Stati nazionali moderni questo sistema ha svolto una
funzione spesso utile, ma talvolta pericolosa. Ha educato i cittadini all'amore della patria, ma ha
depositato nelle scuole i germi del nazionalismo. Ha permesso alle masse di progredire
culturalmente, ma ha diffuso le ideologie della classe dominante e dei partiti al potere. Ha
preparato i cittadini al lavoro e alle professioni liberali, ma nell'ambito di un mercato nazionale dove
le regole della libera concorrenza sono necessariamente limitate. Ha svolto una straordinaria opera
pedagogica, ma ha creato una burocrazia potente, fortemente sindacalizzata, sempre pronta a
frenare con i suoi egoismi corporativi l'adattamento dei programmi alle nuove esigenze della
società. E ha trattato gli studenti, da quando i diciottenni sono diventati elettori, come »clienti di
cui occorreva conquistare le simpatie e il voto.
Oggi, in un mondo alquanto diverso da quello in cui la scuola pubblica è nata, molti desiderano
cambiare. Al posto dello Stato educatore vorrebbero uno Stato ispettore che fissa alcune regole
comuni (poche) e accerta che vengano rispettate. Non gli negano il diritto di gestire scuole,
soprattutto se ciò può servire a favorire i ceti sociali più umili e le zone più periferiche. Ma
vorrebbero che rinunciasse al suo monopolio e permettesse ai cittadini di scegliere liberamente
l'educazione dei loro figli. Conoscono la regola »giacobina della Costituzione italiana (la scuola
privata non deve comportare oneri per lo Stato), ma si chiedono se è giusto che molti cittadini
paghino in tal modo due volte: per la scuola pubblica con le imposte e per la scuola privata dei loro
figli con le rette. Non disconoscono i meriti storici dell'istruzione statale, ma sanno che il mondo
non si accontenta più di diplomi in carta da bollo e vuole nuove conoscenze, lingue straniere,
discipline continuamente aggiornate; e sanno che la scuola dello Stato resta, nonostante i meriti di
molti dei suoi insegnanti, una istituzione fortemente conservatrice.
Qualcuno sosterrà naturalmente che la scuola privata, in Italia, è prevalentemente cattolica e che
la liberalizzazione dell'istruzione gioverà anzitutto alla Chiesa. E' vero. Ed è vero che certe
manifestazioni di massa in piazza San Pietro, all'ombra dell'autorità papale, finiscono per rafforzare
le diffidenze del mondo laico. Ma i laici, dal canto loro, non fanno molto per creare le istituzioni di
cui hanno bisogno e abbandonano nelle mani della Chiesa una causa che li concerne. Il
mecenatismo e le associazioni industriali hanno creato alcune università private. Perché queste
università non dovrebbero aprire licei in cui anticipare lo stile e i metodi del loro insegnamento?
Perché non dovrebbe esservi a Milano domani, accanto a tanti licei pubblici e cattolici, un »liceo
Bocconi ?
di SERGIO ROMANO