Riprendo il discorso sulla scuola; scusandomi per la lunghezza, ma la questioni sono appunto molte e complesse.
Torno, intanto, alla questione nodale posta da Pannella: valutiamo bene quel che significherebbe in Italia una presenza massiccia di scuole cattoliche integraliste e fondamentaliste che radicassero giorno dopo giorno in centinaia di migliaia o milioni di giovani quella predicazione che rimane irrilevante quando proposta dai TG attraverso l'immagine e le parole del papa. Dobbiamo considerarlo, dice Pannella, non perché per ciò solo si debba rimanere fermi allo "statalismo"; potremo anche decidere una posizione nuova, ma valutandone tutti gli effetti, politici e culturali, non sulla mera base di ragionamenti dottrinari astratti.
Ho già detto nel precedente intervento perché un ritorno al catto-clericalismo come conformismo di massa, ovvero come egemonia culturale, ovvero in sostanza come regime non mi sembra comunque ipotizzabile. (Al di là delle mie personali valutazioni, certo opinabilissime, mi pare essere questa la ragione per cui noi radicali, rimanendo ovviamente avversari fermi come sempre del regime concordatario, da tempo non facciamo più di questa battaglia una priorità politica con l'intensità di un tempo; se non ne fosse questa la ragione sarebbe una grave contraddizione nostra). Poteri clericali, aspetti clericali nella vita italiana rimangono certo; ma sono una componente fra le tante degli assetti corporativi del nostro paese. E come tali vanno affrontati. Anche la prospettiva di un possibile rafforzamento di correnti d'opinione clericali, o di cattolicesimo integralista, in conseguenza di un rafforzamento delle scuole cattoliche va considerata e valutata in questo contesto e come un pericolo da vedere entro questi
limiti.
Dirò fra un momento alcune ragioni che mi paiono indurre a non considerare un fatto certo, ancorché sia possibile, che la conseguenza di una innovazione di segno liberale nelle regole sulla scuola privata sia di produrre quell'effetto. Ma il punto è che anche a ritenere il pericolo indicato da Pannella come la prospettiva più probabile mi pare che un ragionevole rischio di libertà sia da correre. Per ragioni non dottrinarie, ma di principio, e perciò e insieme molto concretamente politiche.
La logica profonda - non dottrinaria, ma politica - di tutto il nostro modo di fare politica è stata sempre quella di non far passare altre esigenze, pur rispettabili o importanti, davanti a quelle del diritto garante delle libertà e dei diritti. E' il tema maggiore della nostra contrapposizione alle culture politiche che hanno prodotto, o giustificato, o compreso, non solo i totalitarismi ma anche la partitocrazia. E' il motivo di fondo della nostra opposizione alle politiche e alle culture del primato all'emergenza, in nome del quale sempre si sono giustificate le violazioni dei diritti, delle libertà o del diritto: la necessità di impedire che i controrivoluzionari potessero minare la rivoluzione, o quella di interdire la diffusione dell'errore e del male, o quella di stroncare comunque il terrorismo o la mafia, o anche solo quella di assicurare in un modo o nell'altro le risorse ai partiti, pilastro della democrazia.... E non occorre ovviamente che io mi soffermi qui sulle ragioni per cui questa nost
ra impostazione, alternativa alle culture politiche prevalenti, ha nutrito e sostanziato non le nostre posizioni dottrinarie ma le nostre analisi sulla realtà politica e sociale, sulle prospettive della sua evoluzione, sulle conseguenze che l'una o l'altra scelta legislativa o di governo avrebbe comportato; e dunqe le nostre conseguenti battaglie politiche.
Perciò se è vero che, per le ragioni che ho detto, qui è in gioco uno dei diritti fondamentali della persona, quello della scelta educativa che in ultimo non deve essere dello stato, mi pare che saremmo profodamente contraddittori con noi stessi se adottassimo come criterio prevalente quello di intervenire contro l' "emergenza" di una ripresa di fondamentalismo catto-clericale, o di impedire che i cattolici "usassero male" la libertà offerta a tutti i cittadini. Tanto più se è vero che, comunque, il pericolo sta nei termini di cui dicevo. E saremmo contraddittori se, nel momento in cui valutiamo che la necessità e la possibilità per l'Italia è in tutti i campi quella di svolta profonda o di una "rivoluzione" di segno liberale, seguissimo una linea opposta proprio nel campo dell'educazione e formazione. Dove è mia convinzione fermissima che l'obiettivo generale, omogeneo con quello della "rivoluzione liberale", debba essere quello di conquistare un sistema educativo-formativo tutto fondato, nel settore pubb
lico come in quello privato, su principi di libertà; e diventa questo oggi il nuovo nome della battaglia liberale e laica che gli Ernesto Rossi e gli altri combattevano, in altro contesto, su altri obiettivi (come oggi, suppongo, sarebbero per le privatizzazioni, mentre a suo tempo si sono battuti per la nazionalizzazione dell'industria elettrica. Con il sostegno di chi di noi già c'era).
Alcune considerazioni, ora, sull'entità del pericolo che Pannella ha sottolineato. La prima, intanto. Che l'effetto di un rafforzamento della scuola privata possa essere quello è indubbiamente un'eventualità quanto mai preoccupante; ma non una certezza. La scuola cattolica offre oggi un panorama molto variegato, per quanto ne posso sapere; come è del resto del mondo cattolico nel suo insieme. Accanto alle vecchie scuole tradizionali, a quelle dei vari ordini religiosi, ve ne sono molte che nascono dall'impegno diretto di gruppi di genitori e insegnanti; hanno caratteri assai diversi da quelli delle tradizionali scuole dei preti, e sono spesso quelle più vive e da molti punti di vista più interessanti. Allo stato non mi pare proprio che, per quello che si vede e si sente dei suoi effetti nella vita culturale del paese, si possa parlare di questa realtà come di una "macchina da guerra" ideologico-politica militarmente disciplinata e capace di alimentare una consistente e minacciosa corrente fondamentalista.
Non si può dare per scontato - anche se certo è possibile - che lo diventerebbe solo per effetto di un suo aumento di dimensione. A ostacolare un tale sviluppo starebbero gli stessi fattori operanti oggi: la molteplicità di tendenze contrapposte operanti nel mondo cattolico - come, ad esempio, nel campo della droga - e soprattutto i dati di secolarizzazione strutturale della mentalità collettiva di cui ho già parlato.
Su un altro piano. Perché dare per scontato che ove fosse un po' meno oneroso di oggi frequentare le scuole private, e in particolare quelle cattoliche, tutti correrebbero a iscrivervisi? Non vedo una tensione di domanda di educazione religiosa tale da determinare uno sviluppo di massa in tal senso per ragioni ideologiche. A me pare anzi probabile che non accadrebbe nulla del genere. In Italia è fortissima e radicata la tradizione della scuola pubblica, mentre non c'è alcuna abitudine a rivolgersi a quella privata; di cui quella religiosa in quanto tale attrae sicuramente poco la maggioramza degli utenti, e l'altra nell'insieme non ha certo un'immagine di eccellenza. Né certo, salvo che per qualche caso particolare, si può dire che le scuole private religiose siano particolarmente più vantaggiose di quelle pubbliche per ricchezza di attrezzature o di servizi offerti (stanno morendo come mosche perché non ce la fanno più con i costi). Si immagina che il pubblico tenderà a favorirle perché comunque offrono
un servizio migliore? Allora il problema non sarà quello di soffocare le scuole private ma di far qualcosa per migliorare quelle pubbliche, magari cominciando dal cercare di impedire che riforme dissennate e demagogiche le dissestino del tutto. Se si teme invece che vengano preferite le private perché più "facili" e corrive, allora la questione è da affrontare su un altro terreno, quello dell'istituzione di un efficace servizio di valutazione delle scuole, istituto peraltro essenziale in regime di autonomia delle scuole pubbliche.
Per non dire poi che, nonostante la parte più significativa delle imprese di istruzione privata in Italia sia stata finora quella cattolica, creandosi un minimo di concorrenza meno sleale con la scuola statale gratuita (nonché con quella che ha i mezzi della Chiesa) non possa affermarsi anche nel campo dell'istruzione uno spirito d'iniziativa e di impresa da parte di persone interessate a creare e a offrire ai possibili utenti scuole non di fazione o di propaganda, ma "semplicemente" delle buone scuole, in concorrenza con le altre.
E qui si giunge a un'altra questione nodale. Vero che il papa e i cattolici, o moltissimi di loro, pongono in realtà non la questione della libertà di scelta educativa ma quella della loro scuola cattolica e del sostegno pubblico ad essa; e vero che la pongono nell'ambito di una generale offensiva per un rilancio del potere cattolico. Ma anche i comunisti lottavano contro il fascismo e usavano parole d'ordine democratiche con fini ben diversi che la democrazia; e questa non era certo una buona ragione per cui i democratici rinunciassero alla battaglia antifascista per la democrazia. Così, il fatto che sia quello l'obiettivo dei vescovi non toglie che io debba e voglia difendere il diritto mio e di ogni altro cittadino di aprire una scuola altra da quella statale e di ottenere che sia il più possibile attenuato l'impedimento per il cittadino non abbiente di sceglierla. Perché in definitiva questo è il punto: o si decide che le scuole non devono esistere, devono essere vietate, perché è giusto e opportuno e
libero che tutti abbiano la stessa educazione nella scuola statale (e a questo mi pare dovrebbe giungere, sviluppando a fondo la propria posizione, che ha una sua grande coerenza, Angiolo Bandinelli), oppure non si capisce come decentemente si possa sostenere che il diritto di scegliere la scuola privata debba essere per definizione riservato ai ricchi.
Accenno solo, perché non ho ora il tempo di sviluppare gli argomenti, a un paio di altri punti.
La vera e grande difficoltà in prospettiva, rispetto alla mia impostazione, mi pare essere non il problema della scuola cattolica, bensì quello di goveernare un regime di libertà in presenza di una società sempre più multietnica: il problema, per fare l'esempio più evidente, della prospettiva di scuole islamiche ecc. Su questo bisogna ragionare, ma le soluzioni possono essere trovate.
Fondamentale la questione delle regole da imporre alle scuole private. Le garanzie devono riguardare il livello e la qualitòà dell'insegnamento impartito, non il modo di organizzarsi o gli orientamenti pedagogico-didattici. E va molto distinto fra gli obblighi per le scuole che vogliono la parità, ossia il diritto di rilasciare titoli di studio, e per le altre. Comunque, il problema della parità è altro da quello del diritto di scelta, ossia quello ad avere un sostegno economico in caso di necessità: o una volta che a una scuola si riconosca la dignità e il livello di essere sede per l'assolvimento dell'obbligo scolastico (come oggi sono anche le scuole legalmente riconosciute ma non abilitate a rilasciare titoli) deve essere mio diritto quella di sceglierla. Onere mio e della scuola quello di conseguire un livello di preparazione che mi consenta di essere promosso agli esami presso la scuola pubblica.
Infine, il buono scuola. Ritengo che sia in prospettiva una meta da raggiungere; ma con molta gradualità, per duie ragioni: perché non si può sconvolgere da un giorno all'altro un sistema scolastico, pena la catastrofe, e perché è inimmaginabile un regime come quello in Italia in presenza del valore legale dei titoli. E smantellare il valore legale dei titoli in questo paese è sicuramente cosa non facile e complessa.
Intanto, con la soluzione che sostengo si comincerebbero a introdurre elementi di liberalizzazione; e non si avrebbero probabilmente effetti sconvolgenti, perché, come dicevo, il fatto che anche i non abbienti possano scegliere la scuola privata avrebbe conseguenze certo significative, ma sicuramente limitate sul piano del numero di coloro che abbandonerebbero la scuola pubblica.