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Conferenza Rivoluzione liberale
Poretti Donatella - 14 novembre 1999
SCUOLA, I LIMITI DI UNA BATTAGLIA
Non si vede una nuova visione dello Stato laico

Da IL CORRIERE DELLA SERA, domenica 14 novembre 1999

di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA

C'e' piu' di un aspetto che non convince nel modo in cui il fronte cattolico e laico, impegnato a ottenere un diverso assetto del nostro sistema scolastico, sta conducendo la sua battaglia, e forse proprio qualcuno di questi aspetti ha dato il destro al governo, due giorni fa, di opporsi alla decisione della Regione Lombardia in favore del buono scuola.

Come ho detto altre volte sono anch'io, oggi, persuaso della giustezza dell'obiettivo concreto da cui la battaglia e' partita - ottenere alle scuole non statali un congruo aiuto finanziario pubblico, svincolato da adempimenti limitativi della loro autonomia e accompagnato subito dall'abolizione del valore legale del titolo di studio -, ma cio' che mi preoccupa e' vedere come la battaglia in questione abbia grande difficolta' a essere all'altezza delle sue premesse: quelle premesse che autorizzavano a sperare in un impegno complessivo di ben maggiore respiro e di ben piu' alto significato.

Come si sa, un grande fatto nuovo ha caratterizzato questa volta la battaglia per la cosiddetta parita' scolastica: quello di presentarsi al suo esordio come una battaglia di principio in nome della liberta'. E' alla lucida intuizione della Conferenza episcopale italiana e della sua presidenza che si deve questa scelta, ed e' a questa scelta, a sua volta, che si deve l'adesione di un certo numero di esponenti d'area laico-liberale.

Ma una battaglia di principio dev'esser degna del suo nome. Non puo' cercare di eludere lo scontro con i principi avversari ricorrendo a stratagemmi da legulei. A me sembra che invece e' proprio cio' quel che e' accaduto e sta accadendo, nel momento in cui non si e' voluto affrontare lo scoglio dell'art. 33 della Costituzione che, com'e' arcinoto, riconosce si' il diritto dei privati ad aprire le scuole che desiderano, ma "senza oneri per lo Stato".

Io credo che "senza oneri per lo Stato" voglia dire esattamente senza oneri per lo Stato, punto e basta. Che cioe' quelle parole della Carta costituzionale vietino ogni finanziamento alle scuole non pubbliche. Ma se le cose stanno cosi' riesce difficile concepire una battaglia in difesa del principio di liberta', nel campo dell'istruzione, la quale eviti cautelosamente di misurarsi a viso aperto con la disposizione costituzionale che le si oppone. La causa della liberta' non si serve aggirando la legge: soprattutto se si tratta - come credo - di una legge ingiusta e sbagliata.

Cercare di farlo - come finora si e' cercato - produce almeno tre conseguenze negative. Innanzitutto consegna agli avversari la palma della difesa della legalita' costituzionale. Questo e' almeno quanto finisce inevitabilmente per risultare (o che riesce assai facile far risultare) agli occhi della maggior parte dell'opinione pubblica. In tal modo lo scontro non e' piu' tra due opposti principi, tra due opposte visioni della societa' e dello Stato, ma diviene uno scontro tra chi difende un principio, per di piu' sancito dalla Costituzione, e dall'altro lato chi tenta non di cambiarlo, com'e' suo diritto, ma di eluderlo. E sebbene lo faccia anch'egli agitando un principio, e' difficile pero' che possa sottrarsi al sospetto di un uso strumentale del medesimo.

Messa su questa via, poi - e siamo alla seconda conseguenza negativa - l'agitazione del fronte cattolico-liberale e' stata inevitabilmente spinta sempre di piu' a interpretare il principio di liberta' come equivalente a quello di concorrenza, con relativa inevitabile enfatizzazione del ruolo positivo del mercato e condanna di quello dello Stato. Si tratta di un'enfatizzazione e di una condanna che personalmente mi lasciano oltremodo perplesso.

Sono convinto infatti che una societa' di mercato funzioni tanto meglio (e con maggiore spirito civico e maggiore attenzione per il benessere spirituale) se alcuni suoi ambiti sono sottratti alle logiche di mercato: l'istruzione, e in genere la cultura, mi sembrano rientrare per definizione in questi ambiti. D'altro canto, l'antistatalismo elevato a ideologia puo' condurre a tal punto di pregiudizio da far scrivere a uno studioso pur esimio come il rettore dell'universita' cattolica Lumsa di Roma, Giuseppe Dalla Torre, sulle colonne di Avvenire che la scuola pubblica italiana e' stata "una cinghia di trasmissione nella societa' civile di un'ideologia minoritaria nel Paese, ma condivisa dai ceti al potere". Si', viene da rispondere, forse anche questo e' stata la scuola pubblica in Italia, ma come dimenticare in quale condizione di totale analfabetismo, di ignoranza e sottosviluppo culturali senza pari i "ceti al potere" strapparono il Paese nel 1861 dalle mani - ed erano, eccome!, soprattutto nel campo dell'

istruzione, anche mani religiose - che fino ad allora lo avevano retto, nonche' l'entita' dei progressi dovuti all'azione di quei ceti?

L'ultima conseguenza negativa del modo scelto per condurre la battaglia di principio sulla parita' scolastica consiste nello spazio sempre maggiore che essa e' stata costretta a fare al politicantismo piu' angusto, alle offerte interessate di questo o quello schieramento, alle congiure antigovernative, alle blandizie opportunisticamente rivolte al mondo cattolico per ottenere voti e immagine. Non e' sembrata davvero, quella vista sinora, la scena di una grande battaglia di liberta'.

La questione della scuola invece poteva - e doveva - servire come momento strategico per affermare una nuova concezione dello Stato laico: una concezione cioe' che ponesse fine al dato tipicamente italiano di un laicismo ideologico, a suo tempo forse inevitabile, ma che storicamente ha diviso la nazione, per affermare, viceversa, una laicita' pluralista capace di unirla. Poteva - e doveva - servire, quella battaglia, non gia' alla riproposizione di un'arcaica contrapposizione tra societa' civile e Stato riecheggiante quella ottocentesca tra "Paese legale" e "Paese reale", bensi' a promuovere il comune riconoscersi in una statualita' nuova e piu' libera. Non erano "i soldi per la scuola dei preti" che dovevano occupare il centro della discussione ma, poiche' alla fine di questo si trattava, doveva essere l'esigenza del Paese di lasciarsi un pesante passato alle spalle, di procedere a un vero e proprio nuovo patto nazionale di fondazione. E dunque si poteva e si doveva innanzitutto rivolgersi a viso aperto con

tro l'articolo 33 della Costituzione, sfidare il vecchio conservatorismo laicista - di cui quell'articolo e' senza dubbio un lascito - davanti al tribunale della volonta' popolare, come previsto dalla procedura di revisione della Carta. Per essere realmente una moderna battaglia liberale e cristiana, la battaglia per la parita' scolastica doveva essere - e rimanere puntigliosamente - una battaglia innanzitutto culturale e di principio, combattuta senza paura della sconfitta. Ancora una volta, invece, quanto era sembrato cominciare in mistica si avvia malinconicamente a finire in politica.

 
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