IL CASO / A sorpresa il sociologo apre nella sinistra una discussione sulle norme che regolano i tagliDa IL CORRIERE DELLA SERA, mercoledi' 17 novembre 1999
ROMA - Il libro e' appena uscito per la casa editrice Laterza e gia' rappresenta un caso politico-sindacale. L'autore e' Aris Accornero, uno dei "mostri sacri" dell'intellighentia sindacale, considerato molto vicino alla Cgil. Ebbene, Accornero sfonda "l'ultimo tabu'", quello dei licenziamenti individuali. E proprio "L'ultimo tabu'" e' il titolo del volume. "Credo di avere qualche credenziale per parlarne senza destare troppo scandalo - esordisce Accornero -. Sono stato licenziato anch'io, nel lontano 1957, dopo undici anni di lavoro alla Riv, la fabbrica di cuscinetti a sfera della Fiat. Un licenziamento di rappresaglia politico-sindacale, di quelli che bruciano, lasciano il segno". Assodata la legittimita' a parlarne, il sociologo critica sia la cultura economica delle sinistre e "l'afflato sociale della Chiesa", sia il populismo di Dc e Psi che hanno prodotto come risultato la difesa degli occupati piu' di ogni altra cosa. "Questo Paese da' poco ai disoccupati e niente ai poveri, ma ai licenziamenti colle
ttivi reagisce con scioperi e con omelie, e su questo terreno papa Wojtyla ci scavalca tutti quanti". Secondo Accornero la rigidita' dell'occupazione non costa come le pensioni e la sanita', ma dei "gravami" anche sociali li ha. Per arrivare alla prima udienza nelle cause per licenziamenti ci passa un anno e cio' ha i suoi costi.
La difesa rigida di tutti i posti di lavoro, secondo l'iconoclasta sociologo, parte da una considerazione (sbagliata) di fondo: l'Italia e' un paese debole che galleggia su uno sviluppo stentato. "Non e' cosi'. Dagli anni Ottanta abbiamo un turnover di manodopera industriale che nel Nord-Est e' a livelli americani". Un sindacalista potrebbe obiettare che questo turnover rende vane le norme contro il licenziamento. "Ma potrei replicare - insiste Accornero - se e' cosi', cosa costa modificarle?"
Dopo la pars destruens, arriva pero' anche la proposta. "Monetizzare il licenziamento, non calcolando piu' il firing cost in base a minimi e massimi, che nelle piccole imprese sono gia' inversamente correlati all'anzianita', bensi' a parametri che rendano espliciti i costi e i benefici economici della scelta fatta dall'imprenditore". La legge oggi non fissa l'entita' della perdita economica che l'imprenditore dovrebbe sopportare se mantenesse in organico il lavoratore di cui non ha bisogno. "E questo e' un punto debole". La tesi di Accornero si affianca a riflessioni analoghe sia di Pietro e Andrea Inchino che del senatore Franco Debenedetti. Riflessioni accolte finora con gelo in casa sindacale. Vedremo, invece, che effetto produrra' la provocazione del sociologo che per molti anni ha collaborato con la Cgil. Un primo test e' rappresentato dal dibattito che si terra' oggi a Roma e al quale partecipera' il segretario della Cgil Sergio Cofferati assieme al ministro Cesare Salvi e al vice-presidente della Conf
industria Carlo Callieri. Saranno d'accordo con Accornero quando sostiene che allentando i vincoli al licenziamento si toglie spazio ai referendum radicali?
D.D.V.