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Conferenza Rivoluzione liberale
Partito Radicale Rinascimento - 24 novembre 1999
CON QUESTE LEGGI NON SI BATTE LA DROGA
ARTICOLO DI IURI MARIA PRADO PUBBLICATO SU NAZIONE-GIORNO-RESTO DEL CARLINO IL 24-11-99 PAG 15

In materia di droga, in Italia è letteralmente impossibile discutere. Qualunque presa di posizione, infatti, per quanto seria e scientificamente attrezzata, che si proponga di denunciare l'incapacità dell'attuale legislazione a risolvere il problema incontra o un disinteresse totale ovvero, più spesso, la reazione conservatrice di chi, dichiarandosi "contro la droga", si oppone a qualunque ipotesi di riforma. Può trattarsi di persone come Vasco Rossi o del procuratore generale presso la Corte di cassazione, di apprezzati economisti o di magistrati per altri versi unanimemente apprezzati; può trattarsi di politici e intellettuali che, su ogni altra questione, ricevono ascolto incondizionato: ma se toccano quel tasto, se cioè si permettono non si dice di suggerire revisioni della legge, ma appena di denunciare i difetti di quella vigente, ecco che il loro parere è attribuito a un abbaglio. E tanto basta a chiudere ogni discorso. Ma non si chiude con il problema, che resta lì e si aggrava. Ora, cominciare ad af

frontarlo significherebbe, innanzitutto, riconoscere una verità: e cioè che la nostra legislazione non risolve la tragedia della droga e semmai la aggrava (quando non la determina senz'altro). Chi fosse davvero "contro la droga", dunque, non potrebbe che militare per la riforma di queste leggi sbagliate. Si tratta poi di vedere come riformarle, e di questo bisognerebbe finalmente discutere. Partendo, tuttavia, dalla ferma evidenza di alcune circostanze: 1) lo Stato non può vietare ai propri sudditi di assumere o acquistare questa o quella sostanza; 2) se lo vieta, infatti, non limita la domanda e l'assunzione, ma le rende clandestine; 3) il divieto "libera" da qualsiasi controllo la domanda, e ne affida la soddisfazione alla criminalità; 4) il mercato che su questo regime di divieto viene a fondarsi fa innaturalmente lievitare i prezzi delle sostanze vietate; 5) il divieto, e ciò che esso implica in termini di formazione dei prezzi, fa ottenere profitti formidabili a chi gestisce il mercato clandestino; 6) i

l regime di divieto "criminalizza" il consumatore di droga, perché lo obbliga a venire in contatto con la criminalità e perché egli stesso diventa criminale (spacciando, rubando, eccetera); 7) il consumatore non commette illeciti, quando ne commette, per effetto dell'assunzione di droga, ma per effetto del regime di divieto e proibizionista; 8) l'effetto "drogante" di alcune sostanze definite "droghe", in realtà, non esiste; 9) la droga (anche quella leggera) "fa male", ma fa male anche respirare la colla o iniettarsi caffè liofilizzato: facciamo dunque una legge che vieta il commercio di colla e caffè?; 10) le leggi sulla droga, in ogni caso, sono abbondantemente inosservate (in ogni scuola, in ogni caserma, in ogni giardino, ogni giorno, si infrangono tali leggi); 11) come conseguenza di quella inosservanza si assiste a una applicazione inevitabilmente arbitraria, accidentale, capricciosa delle leggi; 12) una tale incertezza del diritto, aggravata da una giurisprudenza contradditoria, causa insicurezza e i

ngiustizia sociale. Questi sono fatti. Questa è la situazione di fatto che la nostra legislazione sulla droga produce e determina. Il solito e indiscriminato "no" a qualsiasi alternativa all'attuale, pessima, inefficace, non risolutiva legislazione sulla droga non è appagante. Ma è sempre quel "no" che si leva ogni qualvolta si propongano riforme anche minime, ben lontane dalle soluzioni di legalizzazione che pure meriterebbero di essere valutate. Gli affermatori del puro "no" proibizionista, dunque, dovrebbero farsi carico di dimostrare la efficacia e bontà di queste leggi sulla droga, per opporsi con qualche diritto a che siano riformate; oppure dovrebbero suggerire riforme di segno diverso, credibili, scientificamente apprezzabili. Non fanno una cosa né l'altra e contribuiscono a mantenere, anziché a risolvere, il problema.

 
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