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Conferenza Rivoluzione liberale
Vernaglione Piero - 2 dicembre 1999
Approfitto della splendida intervista a Radio Radicale del professor Petroni per esprimere un opinione in dissenso rispetto alla quasi-unanimità dei commentatori italiani sul caso Microsoft. I liberal, e in generale gli ambienti sinistreggianti oggi riverniciati di liberalismo, quando possono imporre vincoli e attribuirli alla dottrina liberale non si lasciano sfuggire l'occasione. E dunque anche in questo caso tutti hanno lodato il rigoroso e nobile piglio antimonopolista del sistema americano. Quella sentenza, e l'orientamento culturale che c'è dietro, non mi trova per niente d'accordo. Lo Stato dovrebbe intervenire solo se un produttore è ricorso all'uso della forza per determinare la sua condizione di monopolista. Se il (provvisorio) monopolista è stato più abile, non è giusto che un'autorità esterna aggredisca il valore creato dalla sua proprietà. L'importante è che non vi siano barriere giuridiche all'ingresso in qualsiasi settore. Punto e basta. Invece oggi con l'espressione "barriere all'entrata" si
fa passare di tutto, anche la legittima attività dell'imprenditore volta a trarre tutti i vantaggi economici dalla sua maggior bravura. Chiedere ad esempio a Gates di inserire nel suo sistema un browser concorrente è come imporre alla Coca Cola di vendere insieme alla propria bottiglia anche una bottiglia di Pepsi Cola per pubblicizzarla. Non parliamo poi dell'ipotesi di spezzettare l'azienda di Bill Gates, una vera e propria espropriazione, che qualunque persona non intossicata dal conformismo dilagante su questi temi riterrebbe un'aggressione inaccettabile. Se Mac Intosh o Linux o Netscape o gli altri concorrenti saranno più bravi di Microsoft, i produttori di hardware, IBM, Compaq ecc. installeranno nei computer il software di queste aziende (e nel sistema sarà incorporato anche il loro browser). In generale ritengo che la proliferazione di "authorities", oggi così di moda, e a cui plaudono convinti i neofiti nostrani del liberalismo, sia solo il nuovo volto con cui si presenta il tradizionale sentime

nto dirigista e antimercato (nonchè il sentimento dell'invidia). A chi obietta che gli Stati Uniti non possono essere considerati il luogo dell'anticapitalismo, rispondo che è un po' provinciale ritenere che lì non vi sia scontro di idee, che anche in America non vi siano forti contrapposizioni sul grado di libertà economica da assicurare agli individui (a conferma di tale divergenza di opinioni mi è capitato di sottoscrivere via Internet una petizione al Congresso sul caso Microsoft proposta da ambienti libertari americani, fortemente ostili alla sentenza antiMicrosoft).

 
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