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Conferenza Rivoluzione liberale
Barletta Amedeo - 9 gennaio 2000
II parte

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Il 1848 segna un più completo e più audace indirizzo del pensiero del Cattaneo. La sua sfiducia nell'azione popolare si è ricreduta, tanto ch'egli trova accenti commossi per narrare le epiche gesta delle Cinque Giornate, sentendo in quella storia vissuta "non solo la materia d'una istoria; ma quasi un vasto poema". Nel 1850 egli riconosce il valore della propaganda dei mazziniani, così eclettica e confusa, ma così dinamica nella sua suggestività "Adoperarono fogli clandestini e i pubblici, i canti, gli evviva a Pio IX, il sasso di Balilla, le catene di Pisa. Adoperarono i panni funebri delle chiese e i panni gai delle veglie festive; assortirono in tricolore le rose e le camelie, gli ombrelli e le lanterne; trassero fuori il cappello calabrese e il giustacuore di velluto; il vessillo della nazione e quello delle cento sue città..." "Essi accesero di vetta in vetta lungo l'Appennino le fiamme del dicembre; essi congregarono sulla fossa di Ferruccio i montanari della Toscana; essi domarono coi fieri applausi d

ei trasteverini le ritrose veglie del Pontefice". E concludeva: "Il popolo poteva fare: voleva fare; ma senz'essi non aveva fatto. Per essi ora e certo che l'Italia sa e può fare".

Dopo la prova del 1848, Cattaneo non sperava né desiderava più la soluzione federale austro-lombarda; il Lombardo-Veneto doveva, a suo parere, staccarsi ad ogni costo ed interamente dall'Impero austriaco.

Nelle considerazioni al I vol. dell'Archivio Triennale egli scrive: "Quell'Austria federale che aveva potuto nello stesso tempo governare le Fiandre col consiglio di vescovi intolleranti, e Milano con quello di audaci pensatori, e regnare in Ungheria col libero voto di genti armate, erasi estinta con Maria Teresa. Già con Giuseppe di Lorena erano tese d'ogni parte le stringhe dell'antica centralità... Per farsi strettamente una, l'Austria doveva preferire una lingua fra dieci: elevare a dominio una minoranza: configgere sul letto di Procuste tutte le altre nazioni".

"Da allora - faceva presente il Cattaneo - cominciò la sua decadenza materiale e morale: le finanze vacillavano Sotto il peso dell'esercito stanziale, unico vincolo fra i vari popoli e da quella sola assemblea che chiamava i rappresentanti delle varie genti non poteva risultare che un "babilonico conciliabolo".

Non più speranzoso in una soluzione che venisse dall'Austria, rivolto lo sguardo all'Italia risorgente, il problema nazionale apparve al Cattaneo come problema di unità nell'autonomia. Ogni Stato italiano istituisca il proprio regime rappresentativo; i singoli Stati si confederino con patto di solidarietà perpetua contro ogni pericolo esterno; ciascuno Stato proceda alla Federazione italiana quel tanto di sovranità locale che sia necessario per assicurare solidità al nodo nazionale. Tale federalismo non si opponeva né all'immediata unità nazionale né alla graduale unificazione delle leggi. Questa posizione attirò sul Cattaneo, nel 1859, l'odio dei moderati. Gli fecero negare gli stipendi arretrati dell'Istituto lombardo e rifiutare dal Cavour la sua nomina a segretario dellÆIstituto. Tentarono negargli la cittadinanza italiana, avendo egli ottenuta quella svizzera, ad honorem. Gli contestarono perfino il godimento della pensione d'insegnante, tacciandolo sui giornali di amico dell'Austria.

Per elezioni politiche del marzo 1860, fu costretto dalle insistenze degli amici ad accettare la candidatura. Fu eletto in tre collegi, ma non andò alla Camera, perché gli repugnava il giuramento di fedeltà alla monarchia e perché lo contrariavano le schermaglie inconcludenti e piccine proprie dei dibattiti parlamentari. Egli soleva dire: "il mio Parlamento io me lo tengo meglio a casa". E non è a rimpiangersi quel suo astensionismo poiché gli permetteva di curare la pubblicazione del Politecnico, ripresa nel gennaio di quell'anno.

I pensieri dominanti nella sua magnifica rivista erano: il federalismo amministrativo e la nazione armata. Nel primo indicava la causa dominante. E insisteva nel dimostrare che il parlamento unico, non può avere né il tempo né la competenza necessaria per risolvere i tanti e complessi problemi amministrativi, economici, giuridici, ecc., i quali variano profondamente dall'una all'altra regione. Nel 1854, scriveva: "Qualunque sia la comunanza dei pensieri e dei sentimenti che una lingua propaga tra le famiglie e le comuni, un parlamento adunato in Londra non farà mai contenta l'America; un parlamento adunato in Parigi non farà mai contenta Ginevra; le leggi discusse in Napoli non risusciteranno mai la giacente Sicilia, né una maggioranza piemontese si crederà in debito mai di pensare notte e giorno a trasformare la Sardegna, o potrà rendere tollerabili tutti i suoi provvedimenti in Venezia o in Milano".

Nel 1862 riprendeva e sviluppava questa sua opinione a proposito della Sardegna e della Sicilia. A proposito di quest'ultima, egli aveva scritto a Crispi, nel 1860: "La mia formula è Stati Uniti; se volete, Regni Uniti; l'idea di molti capi, che fa però una bestia sola.

I siciliani potrebbero fare un gran beneficio all'Italia, dando all'annessione il vero senso della parola, che non è assorbimento. Congresso comune per le cose comuni: e ogni fratello padrone in casa sua. Quando ogni fratello ha la casa sua, le cognate non fanno liti. Fate subito, prima di cadere in balia d'un parlamento generale, che crederà fare alla Sicilia una carità, occupandosi di essa tre o quattro sedute all'anno. Vedete la Sardegna, che dopo dodici anni di vita parlamentare sta peggio della Sicilia".

Nel sistema accentratore un'enorme massa di affari è sottratta alla competenza dei consigli locali e rovesciata a Roma, sì che il paese è schiavo della burocrazia e dei ministeri. Il governo federale, invece, affida agli uffici centrali le sole funzioni politiche di interesse nazionale, lasciando alle amministrazioni locali, più vicine agli interessi, tutta la direzione della vita locale. Al Parlamento centrale il Cattaneo riserva un "alto diritto di cassazione", vale a dire il diritto di modificare le locali deliberazioni per quello che le faccia contrastare con gli interessi nazionali. Il sistema federale eviterebbe, inoltre, quel sacrificio degli interessi locali degli uni a quelli degli altri che avviene nell'assemblea nazionale unica. L'idea di decentrare l'amministrazione, nel senso di trasferire ad uffici governativi periferici le funzioni degli uffici governativi centrali, non piaceva al Cattaneo, poiché riteneva che questo sistema si ridurrebbe ad un semplice dislocamento della burocrazia centrale n

elle provincie, in forma di "satrapie". Le regioni, i Comuni: ecco le basi del sistema federativo del Cattaneo. Le città sono per lui, come illustrava nel 1836, le "patrie locali", e chi "prescinde da questo amore delle patrie locali, seminerà sempre nella rena".

E sarebbe, a suo parere, un grave errore quello di "rimaneggiare" i Comuni per ingrandirli. Così scriveva a questo proposito, nel 1864: "E un errore che l'efficacia della vita comunale debba farsi maggiore colla incorporazione di più comuni in un solo, vale a dire, con una larga soppressione di codesti plessi nervei della vita vicinale.

Nelle riviere dei mari e dei laghi e in molte e molte altre parti d'Italia, vediamo floridi comuni di qualche centinaio di famiglie dedicate all'industria, alle arti belle, alle lontane navigazioni, attendere con egual cura a ingentilire il luogo nativo. Ma se il piccolo comune venisse incatenato a una maggioranza di rustici villaggi, dispersa per valli e selve, o popolata di braccianti vagabondi, quel geniale fermento rimarrebbe sopraffatto o oppresso.

Il piccolo comune ha diritto di continuare nel suo seno, quel modo d'essere che gli è proprio, benché non sia quello in cui possano consentire i suoi vicini.

E anche a questi il vicino e libero esempio potrà giovare. Se un comune, provveduto già di strade e d'acque, venga per volontà non sua congiunto ad altro comune cui la natura e il caso non abbia egualmente favorito, poco si curerà di contribuire col suo denaro ad opere delle quali non avrebbe giovamento suo proprio. Quindi, fra i mali assortiti consorzi impotenza e discordia...

Meglio vivere amici in dieci case, che vivere discordi in una sola. Dieci famiglie ben potrebbero farsi il brodo a un solo focolare; ma v'è nell'animo umano e negli affetti domestici quella cosa che non si appaga colla nuda aritmetica e col brodo".

Con l'idea delle autonomie amministrative fa sistema unico in Cattaneo l'idea della Nazione armata.

L'esercito stanziale a tipo francese e piemontese (prima del '70) coscriveva una parte minima della popolazione atta alle armi e la sottoponeva a lunghe ferme, sotto una gerarchia di militari di professione costituenti una casta chiusa. Tale ordinamento appare inadeguato al Cattaneo come strumento di difesa nazionale, poiché lascia inerti, in caso di guerra, enormi riserve umane e grava sul pubblico erario con gli stipendi degli ufficiali e con il mantenimento dei soldati. Gli eserciti stanziali, inoltre servono alla volontà dei governanti, che se ne giovano per opprimere i cittadini inermi. Nel 1844, parlando dei Comuni medioevali, il Nostro osservava che "il principio vero del risorgimento fu nel legittimo possesso della milizia popolare", e nel 1860 citava ad esempio di nazione a federazione americana e l'elvetica, insistendo sulla stretta connessione del problema delle libertà interne con l'organizzazione militare. "Una nazione che mette quattrocentomila gladiatori ad arbitrio d'uno o di pochi, sarà semp

re serva degli altrui voleri. E le stesse forme della libertà diverranno occasioni di corruttela. La Francia, si chiami repubblica o regno, nulla monta, è composta di ottantasei monarchie che hanno un unico re a Parigi. Si chiami Luigi Filippo o Cavaignac, regni quattro anni o venti, debba scadere o per decreto di legge o per tedio di popolo; poco importa: è sempre l'uomo che ha il telegrafo e quattrocentomila schiavi armati". La nazione armata è, inoltre, un elemento di pace tra i popoli, poiché soltanto da un popolo che vedesse nella guerra l'unica via della propria salvezza contro un'aggressione sarebbe possibile ottenere lo slancio guerresco.

Nella nazione, tutti i cittadini sono obbligati al servizio militare, ma non allontanati dalle proprie case e dalle occupazioni consuete, non chiusi per mesi e mesi nelle caserme a poltrire o ad esaurirsi in esercizi meccanici e di parata. L'istruzione pre-militare nelle scuole di tutti i gradi, le esercitazioni festive, le manovre per pochi giorni e a periodi fissi sostituiscono la caserma. Gli ufficiali, salvo piccoli nuclei permanenti, escono dalle scuole medie e universitarie e vivono della propria professione civile, coprendo gradi, ma non godendo stipendi militari stabili.

La "nazione armata" del Cattaneo che è quella ordinata nella Svizzera, si profila già in certi scritti democratici del secolo XVIII, in quelli di Melchiorre Gioja, ad esempio, e la si trova ampiamente sviluppata da G.D. Romagnosi nella "Scienza delle Costituzioni".

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Il sistema federalista del Cattaneo parve per un momento realizzabile: quando trionfò l'impresa garibaldina nel mezzogiorno d'Italia.

Nel settembre del 1860 Garibaldi invitò a Napoli il Cattaneo, si recò e prese parte per quel gruppo di seguaci del "donatore di regni" che volevano l'elezione di parlamenti speciali per la Sicilia e per il Napoletano, e conservate le autonomie locali, pur trattando col governo di Torino i patti dell'unione nazionale. Mazziniani e cavouriani volevano, invece, l'annessione immediata e incondizionata. Garibaldi, che 5 era professato federalista, cedette agli unitari.

Nel nord d'Italia, dove esisteva una numerosa e florida borghesia manifatturiera, commerciale, agraria ed intellettuale, la resistenza all'invadenza amministrativa e giudiziaria piemontese fu notevole. Nel mezzogiorno, dove gli esigui nuclei borghesi e piccoli borghesi temevano le rivolte contadine e vedevano, quindi, nel Piemonte la forza militare capace di mantenere il così detto ordine pubblico, non ci fu resistenza. Nel mezzogiorno vi era, inoltre, una burocrazia borbonica che andava eliminata e un'infinita turba di aspiranti alla carriera burocratica, aspiranti in grande parte incapaci. Si aggiunga il carattere statolatra della corrente hegeliana, fiorente a Napoli e professata dai più autorevoli patrioti meridionali: primo Bertrando Spaventa. L'unitarismo del Mazzini screditava, poi, tra i democratici meridionali l'idea federalista.

La "nazione armata" nel 1860 era di difficile attuazione, specialmente a causa del brigantaggio, arma della restaurazione borbonica. A ragione - mi pare - il Salvemini attribuisce alla paura del brigantaggio il ripiegamento unitario di Garibaldi.

Il Cattaneo vide, dunque, crollare la speranza di vedere realizzate le sue idee politiche. Sulla sessantina, malato di cuore, stanco e sfiduciato, si ritirò dalla vita politica, trovando conforto e stimolo nella compilazione del "Politecnico". Rifiutò nel gennaio e nel giugno del 1861 nuove candidature, ma i moderati non disarmarono, boicottando la sua rivista. I dissensi con l'editore, disordinato e imbroglione, l'obbligarono, nel 1863, ad abbandonare la direzione di quella rivista che era "sua". Povero, impossibilitato al lavoro calmo e continuato, vide morire degli amici ed altri allontanarsi. Il pensiero della frammentarietà della propria opera lo angustiava più vivamente. Alla White-Mario, una sera del '67, diceva: "Io mi farò egoista, mi dedicherò alla filosofia, condenserò gli studi dell'intera mia vita, e lascerò qualche impronta sull'arena del tempo". Ma a diventare egoista non riusciva, si fece appassionato propagandista della ferrovia del Gottardo, attirandosi attacchi violenti ed insinuazioni dai

sostenitori degli opposti progetti. Un diverbio, a questo proposito col presidente del Canton Ticino lo indusse, nell'ottobre del 1865, a dimettersi da insegnante del Liceo cantonale. Crebbero, così, le ristrettezze finanziarie, che la sua dignità celò sempre gelosamente anche ai più intimi. Offertagli, nel febbraio del 1867, un'altra candidatura, la rifiutò, dichiarando che, "inesperto di scherma parlamentare", non avrebbe saputo evitare "le transazioni e gli espedienti che la politica degli amici" verrebbe ogni istante ad imporgli. Ma nel marzo successivo si rassegnò a farsi eleggere deputato. Andò a Firenze, allora capitale, vi rimase tre settimane e se ne tornò a casa senza aver messo piede alla Camera. Scriveva, in quei giorni: "Io non sono adatto ad ingolfarmi in siffatti labirinti; e perciò il Parlamento non e la mia strada". Ritornò a Firenze per la crisi di Mentana, nell'autunno del 1867, tenendosi sempre fuori della Camera e rifiutando di partecipare a pubbliche adunanze. Alla fine del gennaio del

1869 moriva. Nel delirio, parlava di Custoza, di Lissa, di Mentana, della tassa sul macinato, e non avendo riconosciuto un amico che gli toccava la destra, per stringergliela, corse col pensiero concitato al dubbio che potesse rimanere sulla sua fede politica, sicché ritirando vivamente la mano esclamo: "No, io non dò, io non diedi la mano, io non sono impegnato, sono libero, nulla ho promesso, io non giuro". In questo sfogo di agonizzante avvampava per l'ultima volta quella passione, contenuta e diretta dalla sua "forma mentis" di scienziato, che spiega la sua indefessa laboriosità di pubblicista e la sua adamantina coerenza di uomo politico.

Temeva, il Cattaneo, di non lasciare impronta di sé. Questo timore di un orgoglio modesto appare sempre più infondato. La sua opera è più che mai attuale e studiata. Felice Momigliano col suo libro "Carlo Cattaneo e gli Stati Uniti d'Europa" e con articoli, Antonio Monti con il suo libro "L'idea federalista nel Risorgimento italiano" e Gaetano Salvemini con "Le più belle pagine di Carlo Cattaneo", ottima raccolta preceduta da una prefazione che è un vero gioiello di chiarezza, di sintesi e di stile, hanno richiamato l'attenzione degli studiosi sul continuatore di G. B. Vico e di G. D. Romagnosi. E, un notevole saggio, quello di Bruno Brunello, ha aperta la serie degli studi sistematici sul pensatore e sullo scienziato.

A diffondere e ad elaborare il pensiero federalista del Cattaneo ha particolarmente contribuito "La Critica Politica" di O. Zuccarini, e anche non pochi giornali repubblicani, primo "La Riscossa" di Treviso. Ciò nonostante Cattaneo non è ancora abbastanza ben conosciuto dai repubblicani, ed è in considerazione di questa lacuna che ho scritto queste pagine, alla sommarietà delle quali è scusa, lo scopo di un'ampia divulgazione.

Non m'è possibile dilungarmi ad esporre quei ritocchi e quegli sviluppi che la nostra concezione politica e sociale conduce ad apportare al sistema federalista del Cattaneo. Quanto tale sistema risponda ai tempi nostri, se contenga contraddizioni, se abbia costituzionali deficienze potrà essere materia di discussione. Ma, per conto mio, anche gli anarchici hanno da guadagnare, per la loro cultura politica non solo, ma anche per una chiara ed organica visione dell'Italia rinnovata dalla rivoluzione antifascista e socialista, dalla conoscenza dell'opera di questo sommo scrittore.

Se il suo federalismo non tiene conto, "e non lo può", delle nuove forze direttive sorte e potenziate dalla grande industria, dalla vita sindacale, dal cooperativismo, è compito dei repubblicani di avanguardia andare oltre il Cattaneo, sì che come egli, nel 1848, lasciò i libri e le carte per farsi condottiero d'insorti e superò la propria posizione programmatica, così la sua opera acquisti una funzione rivoluzionaria e ricostruttrice.

Cattaneo può ancora contribuire a fare della storia. Egli, che diceva che per navigare non ci vuol solo lume di stelle ma anche forza di venti, sarebbe ben lieto nel vedere l'Italia condotta dal grande vento della rivoluzione sociale più in là di quei limiti posti dalla sua prudenza di positivista. E sarebbe ben lieto di vedere i repubblicani affrettarsi ad integrare e a dare più ampio respiro al proprio pensiero politico e sociale, alla vigilia, che dobbiamo volere prossima, di un nuovo '48, senza tradimenti di moderati ed illusioni di temporeggiatori.

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Tratto da: Camillo Berberi, Il federalismo libertario, a cura di Patrizio Mauti, La Fiaccola, Ragusa, 1992, pp.92-109.

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