Quotidiano Nazionale (La Nazione, Il Giorno, Il Resto del Carlino) domenica 9 gennaio 2000, di Vittorio Feltri
D'Alema stavolta ha ragione. I referendum che colpiscono lo stato sociale si dovevano evitare. Una materia tanto delicata non puo' essere sottoposta cosi', senza spiegazioni, senza approfondimenti al giudizio popolare, che e' sempre un giudizio sommario. C'e' il rischio che i cittadini, di fronte a quesiti complessi e formulati con un linguaggio burocratico, ostico, perdano la trebisonda o comunque non afferrino il cuore del problema ed esprimano un parere non completamente consapevole. Qualcuno poi aggiungera' che la democrazia diretta comporta qualche trappola, in specie quando affronta l'abrogazione di leggi il cui testo va riprodotto interamente in versione originale. E' vero. Se le regole al vaglio riguardano la tutela dei diritti fondamentali, come quelli al lavoro, alla salute eccetera, e' indispensabile procedere con particolare prudenza. Mi domando pero', pur sposando la tesi del premier, perche' solamente ora, nell'imminenza dell'appuntamento alle urne, la maggioranza si e' resa conto dei pericoli
che incombono. L'iniziativa dei pannelliani non e' piovuta dal cielo ieri mattina ne' pone in discussione questioni nuove, ma tratta temi da anni al centro di polemiche. Per quale motivo dunque il governo non ha modificato le regole che dovremmo cambiare noi?
D'Alema ha riconosciuto che gran parte dei referendum sociali attiene a situazioni suscettibili di riforme, per esempio, il collocamento, i contratti di lavoro, il lavoro domiciliare, le pensioni di anzianita', il servizio sanitario nazionale, per citarne alcuni. Mi domando: perche' dall'alto di Palazzo Chigi e della maggioranza di sinistra egli non e' intervenuto e non interviene, ammesso ve ne sia il tempo, per correggere e migliorare l'esistente e rendere cosi' automaticamente nulli i plebisciti? L'impressione e' che anche in questa circostanza emerga l'incapacita' tanto dell'esecutivo quanto del Parlamento a promuovere azioni in grado di rinnovare un sistema certamente non da buttare ma bisognoso di revisioni se vogliamo reggere il passo dell'Europa. E' probabile che cio' dipenda da un eccesso di beghe nella coalizione governativa e dalla cronica pigrizia delle Camere, malanni antichi e che nessuno e' mai riuscito a curare.
Come agire per superare l'intoppo? I casi sono due: o ci si rassegna alla paralisi parlamentare, e ci si affida al pari di D'Alema alla speranza che con qualche ritocco la macchina democratica si avvii (ma quando?), oppure si ammette che Pannella, proponendo stucchevoli raffiche di referendum, sceglie l'unica strada ancorche' impervia per consentire agli elettori di fare quanto non riescono a fare i legislatori. Limitarsi a gridare 'no ai referendum' senza presentare alternative e' un esercizio poco o per nulla convincente, inutile e irritante. Tanto piu' che votare non significa approvare l'abrogazione di determinate norme, ma semplicemente delegare il popolo a decidere se cancellare o conservare quelle norme. E' stupido criminalizzare il suffragio quando non si e' fatto niente per prevenirlo, come e' stupido criminalizzare Pannella e compagnia solo perche' cercano di colmare un vuoto aperto dal ceto politico dominante.
Alla gente chiamata ad esprimersi (e in parte riluttante) occorre dire: il referendum non e' una panacea, ma il minore dei mali, l'ultimo strumento rimasto per contare in una vita pubblica in cui a tutto si pensa, alle alleanze, ai posti importanti, alla stabilita', alla governabilita', tranne che al bene comune.