Lettera aperta di Emma Bonino a Sergio Cofferati sui referendumdi Emma Bonino, LA STAMPA - CULTURA domenica 16 gennaio 2000
Caro Cofferati, la comprensibile apprensione con cui i vertici sindacali vivono questi giorni di dibattito sui referendum, giorni in cui l'Italia finalmente si interroga sul ruolo - passato, presente e futuro - del potere sindacale rispetto all'evoluzione sociale ed economica del paese, non dovrebbe spingere persone equilibrate come lei ad alimentare polemiche pretestuose e fuorvianti. Sulla Stampa di giovedi' scorso, dopo aver bollato come "anti-europei" i nostri referendum sociali (riprendendo un'incauta sortita del ministro del Lavoro Salvi) lei si dice sorpreso di trovare fra i promotori dei referendum anche me, ex-commissario europeo. La sua reprimenda "europeista" mi sembra fuori luogo perche' si basa su un dato falso, il presunto carattere anti-europeo dei quesiti, e perche' viene da chi, nei fatti, ostacola la modernizzazione del nostro paese secondo criteri di liberalizzazione ampiamente collaudati in Europa. Ma lo sa che l'Olanda, all'avanguardia in fatto di flessibilita' del mercato del lavoro, ha
il minor tasso di disoccupazione dell'Ue (il 2,8%) e si trova a gestire un attivo di bilancio? Proprio nei giorni in cui la Commissione europea ammonisce per l'ennesima volta l'Italia, quasi intimandole di riformare welfare e pensioni, lei brandisce contro i referendum un paio di direttive comunitarie, relative a due accordi-quadro fra i sindacati comunitari - sul lavoro a tempo parziale e sul lavoro a tempo determinato - che affermano il "principio di non discriminazione" nei riguardi dei lavoratori assunti a tempo parziale o determinato. I quali lavoratori, sta scritto, "non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo pieno". Nell'attesa che qualcuno spieghi a quali irreparabili discriminazioni i lavoratori a tempo parziale e determinato verrebbero esposti dai nostri referendum, le segnalo che la direttiva sul part-time, come si legge nel preambolo, "ha per oggetto (...) di facilitare lo sviluppo del lavoro a tempo parziale su base volontaria e di contribuire all'organizzazione
flessibile dell'orario di lavoro in modo da tener conto dei bisogni di imprenditori e lavoratori". Lo stesso preambolo esorta gli stati membri "dopo aver consultato le parti sociali (...) a identificare gli ostacoli di natura giuridica o amministrativa che possono limitare le possibilita' di lavoro a tempo parziale e, se del caso, eliminarli". Chi e' anti-europeo? Noi che vogliamo eliminare gli ostacoli (come auspica la direttiva) o i sindacati che ostacolano il part-time? L'altra direttiva, sul tempo determinato, e' nata per prevenire "abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato". Non descrive gli abusi ma i criteri per prevenire successioni ingiustificate di contratti a termine. Criteri che peraltro avranno un senso anche in Italia solo quando, a referendum vinto, i contratti a termine diventeranno possibili. Insomma: nessuno, salvo forse i sindacati italiani, pensa alle direttive sociali comunitarie come a una rigida rete burocratico-normativa nel
la quale ingabbiare 15 societa' diverse. Sono grandi linee, che ogni legislatore adatta alla realta' nazionale. Ecco, caro Cofferati, come stanno le cose. Concludo chiedendo un favore a lei, che - fra i "suoi" riuniti al Lingotto - sembra uno dei pochi capaci di volare alto. Puo' dire a Walter Veltroni che nessun politico responsabile, per strappare un applauso in piu' alla platea, descriverebbe - come ha fatto lui - le nostre proposte come un tentativo di affermare "la liberta' di licenziare senza preavviso e senza motivo"? Veltroni sa, come lei, che in materia di licenziamento non mettiamo in discussione il principi o della giusta causa ne' il diritto al preavviso. Chiediamo di eliminare il diritto al reintegro, che non esiste in alcun paese del mondo.