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Conferenza Rivoluzione liberale
Partito Radicale Massimo - 20 gennaio 2000
RASSEGNA STAMPA/RE NUDO

(Re Nudo, mensile diretto da Majid Valcarenghi, gennaio 2000)

I MILLE VOLTI DI KATMANDHU

di Massimo Lensi

Era il Natale del 1969 ed avevo dieci anni. La RAI mando' in onda un reportage, prodotto se non ricordo male dalla Tv francese, sulla migrazione della comunita' hippy verso Katmandhu, la piccola capitale nepalese. Pur non rendendomi conto di molti aspetti fui comunque colpito da quei ragazzi che percorrevano in lungo e largo il sub-continente indiano alla ricerca della Pace e dell'Amore, di Buddha, Krishna e Shiva. "Make Love, not War!", cantavano, mentre l'occidente rifletteva sotto la spinta delle manifestazioni studentesche del maggio francese e dei grandi raduni di Woodstock e dell'isola di Wight. In Italia la nostra "beat generation" lottava per avere maggiore democrazia, per ottenere le leggi sull'obiezione di coscienza, sul divorzio e sull'aborto libero ed assistito. Quella stagione, mi domando, e' davvero terminata? Ha concluso alle soglie del mediatico 2000, del Giubileo degli appalti, la sua carica ideale?

La leggenda di Katmandhu-Shangri La termino' nel 1973 quando l'allora re Mahendra Vir Vikram Shah, irritato dal loro comportamento poco ortodosso, chiuse le frontiere, espulse i quasi duemila hippies residenti e, spinto dai governi occidentali, varo' una legge per proibire la vendita e l'uso di qualsiasi droga nel regno, fino ad allora in libera vendita nei negozi di stato. Ma attenzione: il Nepal fino al '73 non fu antiproibizionista, semmai a-proibizionista; tollerava il naturale costume della gente delle montagne e delle vallate di consumare quotidianamente ganja ed hashish, come in altre terre, a noi meno lontane, il vino.

Da allora molta acqua e' passata sotto i ponti di Katmandhu sul sacro fiume Bagmati, il "fiume che canta", e di quella stagione e' rimasto solo il mito - da riportare sulla terra come ogni mito - e la produzione di abbigliamento vero-falso hippy dei negozietti di Thamel, il quartiere turistico della citta'. E sosprende osservare i turisti, di tutte le parti del mondo, completamente rivestiti con larghe camicie a fiori, pantaloni a zampa di elefante, qualche volta a piedi scalzi come vuole la regola, aggirarsi emozionati tra quelli che furono i luoghi sacri dei "vagabondi del Dharma" alla ricerca di qualche reperto di trent'anni fa da fotografare, tra Freak Street e Pie Alley ed il tempio di Swayambunath, dove un atto di devozione e' tredici milioni di volte piu' meritorio di quello compiuto in qualsiasi altro posto della terra.

Ma non e' rimasto piu' niente di quell'epoca, fortunatamente. I tempi cambiano, gli hippy pure. La citta' e' invece tormentata da strade sporche, piene di spazzatura e rifiuti organici in un coacervo di odori che alcune volte arriva allo stomaco obbligando i passanti a deviazioni forzate. Ma anche in cio' Katmandhu non perde il suo fascino di citta' misteriosa, ricca di monumenti e di stupendi templi induisti, buddisti e bon, molte volte fusi tra loro in forme di sincretismo religioso unico al mondo veramente emozionante.

Nei miei sei mesi di soggiorno nepalese ho fatto amicizia con Teo, pittore svizzero settantenne, lunghi capelli bianchi e magrezza ascetica, da trent'anni residente nella capitale. Non e' e non fu un figlio dei fiori, ma li conobbe e li frequento'. Il mio taccuino e' pieno dei suoi ricordi, intense pennellate su quegli anni difficili e terribili; esperienze e storie personali che consentirono che anche in questo terminale asiatico della via della droga, giungessero pero' i primi segnali di liberta', democrazia e di rispetto dei diritti civili, fino alla definitiva abolizione, nel 1990, dell'odioso sistema di rappresentanza politica del Panchayat, il Consiglio dei 5, una vera e propria (odiata) oligarchia sulla quale solo il Re aveva potere di indirizzo e, in alcuni casi, di nomina.

Oggi Katmandhu vive di turismo. Al posto degli hippies sono subentrati i "trippies", ambientalisti, atletici, meno svagati, che passano qualche mese in Nepal tra trekking e viaggi in Tibet e in Mustang e che qualche tiro di chilom carico di "nero" non se lo lasciano scappare.

Il Nepal affoga in una crisi economica di difficile soluzione, soffocato com'e' tra i due piu' grandi paesi del mondo: Cina ed India, con i quali ha sempre avuto turbolenti e non lineari rapporti economici, diplomatici e militari. Il governo e' guidato dai leader del "Nepali Congress Party". Poverta', corruzione, modifiche costituzionali, situazione igienico-sanitaria (la TBC miete ancora centinaia di vittime nei villaggi alle pendici dall'Himalaya) sono i temi del dibattito politico, sempre piu' bollente, e cadenzato da continue, endemiche elezioni politiche anticipate. In un paese che produce un PIL annuo pro capite di 148 USD, la fascia dei cittadini poveri, al di sotto di qualsiasi ragionevole soglia, dei senzatetto, diventa una preda elettorale di dimensioni notevoli per tutti i partiti: maoisti, di destra, filo indiani, marxisti-leninisti o democratici che si professino. Una vera bolgia dantesca dal futuro imprevedibile.

Katmandhu e' anche e sopratutto Durbar Square, Indra Chowk, Pashupatinath, Bodnath, il santuario buddista piu' grande e venerato del Nepal, la dimora della Kumari, la figlia vivente della terribile dea Kali e dei sadhu dalla pelle bianca, come venivano chiamati gli hippies, non e' rimasto traccia se non nella memoria collettiva dei nepalesi e nelle cronache di polizia di trent'anni fa.

A Bodnath si respira aria tibetana, intrisa di burro di yak, pervasa dai rumori dei mantra e delle ruote della preghiera. Passeggiare in senso orario attorno al grande stupa offre al visitatore, anche al piu' scettico, un senso di sollievo interiore che avevo provato solo di fronte al tempio del Jokhang, a Lhasa, da dove arrivavo dopo non poche difficolta' e disperazioni. Da una Lhasa ormai ridotta ad un vero e proprio parco-giochi del turismo mistico, una Lamaland dal futuro segnato dall'occupazione cinese.

Mi e' dispiaciuto allontanarmi da Katmandhu. Non poco. Ormai ho molti amici e mi muovo a mio agio nelle affollate stradine della citta' vecchia. Sono riuscito addirittura ad "acclimatarmi" al complicato ecosistema urbano: topi, centinaia di "dei della notte", i cani randagi portatori di rabbia, vacche sacre, scimmie, sciacalli notturni, corvi, falchi e qualche non rara aquila. E l'uomo con la sua spazzatura. Tutti uniti assieme da reciproca crudelta' e lotta per la sopravvivenza.

La mia armonia occidentale e' decisamente messa in discussione. Come un ricordo che rivivo - ma che so far parte del mio DNA - nella scrittura, costretto a riflettere utilizzando i miei parametri europei. Il viaggio era solo all'inizio e la mia curiosita' mi ha spinto a muovermi attraverso una sorta di ricerca personale di fede apofantica (quasi un paradosso in paesi di intensa religiosita') e di stimoli di lotta politica. Decisi di andare in India e di dare un occhiata fugace a Goa, l'altra capitale del paradiso perduto dei figli dei fiori, per poi risalire la costa verso Bombay-Mumbay e successivamente di spostarmi verso l'interno, nel Rajastan, a riposare nella citta' nata dalla lacrima di Shiva, Pushkar, e poi ancora verso Delhi, Rishikesh e Benares. Il viaggio poi prosegui' perche' la mia curiosita', il mio demone, mi sussurrava di continuo di andare verso il vero "inferno" di questo cosi' difficile paese: Calcutta. Un vero pugno nello stomaco. Ci rimasi piu' di un mese incantato dalla "vita" per le str

ade, dalla morte per le strade. Un delirio che volli (tentai) dimenticare nelle spiagge di Orissa, tra Puri e Bubhaneswar, tra i Bang Governament Shop e la natura incontaminata di questo stato tribale dell'India centrale.

Ogni tanto ripenso a quella beat generation italiana degli anni 60 e 70. Una generazione perduta? Non direi proprio, ma che anzi e' riuscita tra le notevoli differenze di insieme a portare anche in Italia il dibattito politico su temi prima mai voluti affrontare. Una generazione che ancora oggi paga di persona per quel coraggio e per le nuove impegnative forme di lotta, come l'antiproibizionismo sulle droghe, la liberta' del Tibet occupato, la democrazia in Cina o per portare di fronte al Tribunale ad hoc sulla ex-Yugoslavia il macellaio dei Balcani, Slobodan Milosevic. Una generazione che forse - per alcuni certamente - non e' caduta nella trappola del disagio e della paura. Come invece successe a chi decise di trasformarsi in junkie a Katmandhu o a Goa per non affrontare una possibile e probabile sconfitta politica e umana. E che non aveva certamente letto una delle bibbie "anarchiche" della rivoluzione pacifica degli anni '60, il Nirvanashatkam che recita "Io non conosco ne' la morte ne' il dubbio ne' le

distinzioni di casta. Io non ho padre ne' madre. Io non sono mai nato. Io non ho alcun amico o parente, non ho nessun maestro e nessun discepolo. Io sono Intelligenza e Felicita' allo stato puro. Io sono Shiva".

Sento dentro di me, nelle vie oscure dei chakra il mio demone, ora benigno, che sussurra e spedisce dolcemente alcuni messaggi, via fax o via email. A Katmandhu sento che tornero' e forse per sempre. Prendo in prestito, a indegna conclusione, le ultime righe di un bellissimo libro di Angelo Maria Ripellino "Praga Magica", riletto in questi mesi. Mi sento ormai in grado di capirlo nell'intimo, al di la' della pur bella ma deviante prosa, e di provare per questa piccola capitale delle montagne himalaiane lo stesso disincantato entusiasmo.

"Da qualche anno, nella lontananza, la citta' magica mi appare in una gessosa e abbagliante luce di cataclisma, come nelle catastrofiche profezie del Barocco (...). Mi riafforano in mente i pronostici delle Sibille che, nelle leggende boeme, antiveggono la trasformazione di Praga in un desolato viluppo di fango, sterpaglia e maceria, brulicante di rettili e di sozzissimi diavoli.

Ma tutto questo e' delirio, nebbia di un'inventiva malata, robaccia da untori. Perche', come il poeta Karel Tomam afferma, <>. E dunque: alla malora gli aruspici e le puttanesche sibille. Non avra' fine la fascinazione, la vita di Praga. Svaniranno in un baratro i persecutori, i monatti. Ed io forse vi ritornero'. Certo che vi ritornero'. In una bettola di Mala Strana, ombre della mia giovinezza, stappate una bottiglia di Melnik. Andro' a Praga, al cabaret Viola, a recitare i miei versi. Vi portero' i miei nipoti, i miei figli, le donne che ho amato, i miei amici, i miei genitori risorti, tutti i miei morti. Praga, non ci daremo per vinti. Fatti forza, resisti. Non ci resta altro che percorrere insieme il lunghissimo, chapliniano cammino della speranza."

E Katmandhu in fondo, e' molto vicina, a solo dieci ore di volo, a solo pochi sogni e speranze. Ma anche il mio Nirvana si avvicina, piu' magico che mai, intriso di quotidiane necessita'. Katmandhu e' molto vicina al Kailash, al Kang Rinpoche della mia infanzia e della mia vecchiaia. Piu' vicina di quanto pensi, piu' lontana di quanto speri. Ma so anche che non ci tornero' mai piu'..... sulla vetta del Kang! Semmai in un'altra vita.

 
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