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Conferenza Rivoluzione liberale
Memphis Memphis - 21 gennaio 2000
Le argomentazioni di Irene Abigail mi trovano solo in minima parte d'accordo. Il linguaggio è importante ed è anche vero che i comunicati sono spesso ripetitivi, abusano di parole ed espressioni che sembrano fatte apposta per sfiancare e annoiare chi li legge ma davvero non mi convince tutto il castello di dubbi e accuse velate che Irene su questo costruisce. (Peraltro sommessamente faccio notare che lei stessa cade preda di "espressioni fatte" come l'orrido "portare avanti un discorso/le iniziative/il metodo/le battaglie" che sono retaggi del "politichese" stretto più che del buono e bell'italiano). Irene si domanda quanti frequentino il Forum, tra i dirigenti radicali. Come se il Forum fosse l'ombelico del mondo, come se la perdita di potenziali militanti o elettori dipendesse da questa assenza. Ma forum ce ne sono dappertutto. Allora forse sarebbe meglio che i dirigenti radicali si affacciassero su quelli organizzati dai quotidiani on line, che facessero sentire la loro voce ovunque ci sia un luogo di dib
attito. Ma perché solo i dirigenti radicali? Che ognuno sia dirigente di se stesso, allora e partecipi in prima persona, da radicale appunto e non da passivo oggetto della politica altrui. Discutere, pensare, per fare politica. Giusto. E agire, direi. Non capisco gli accenni alla dittatura, alla tirannide. So per certo, anzi è spesso motivo di lamentele, che qui a Roma si discute per ore, per giorni, fino allo sfinimento, si fanno riunioni frequentissime e immagino che questo avvenga ovunque esista una sede radicale, a Canicattì piuttosto che a Catania.

Trovo ingeneroso che si parli, prendendo a pretesto un problema di linguaggio, di "professionisti dell'antiregime". Tutta la storia radicale, la storia dei singoli, anche la storia di quelli che sono diventati i "dirigenti", sta a testimoniare che ogni azione, ogni battaglia, ogni attimo della propria esistenza, delle notti e dei giorni come direbbe Marco, è scaturita dalla consapevolezza, dalla vicinanza , e non dall'alterità, ai problemi, alle angosce, alle speranze della gente comune anche con inaudite e profetiche fughe in avanti rispetto alla "maturità" o "ragionevolezza" o "serietà" dell'establishment di turno pronto a dileggiare o disprezzare i "vaneggiamenti" di "quel pazzo di Pannella ". I radicali hanno sempre parlato della vita e della morte, e hanno anche vinto quando la gente ha potuto riconoscerli e capire che erano le proprie vite e morti ad essere in gioco, non quelle di un partito sterile di professionisti dell'antiregime.

Le parole sono importanti, è vero, ma è importante anche la pratica delle parole, è importante il linguaggio delle azioni, la pratica della nonviolenza, delle disobbedienze civili, dei sit-in in piazza e mi ricordo per esempio di Emma seduta per ore di notte al freddo davanti al Parlamento italiano sulla poltrona portata da casa o dei walk around, dei processi, dei pugni , degli sputi, dei digiuni, della restituzione dei soldi del finanziamento pubblico. Secondo te, Irene, la gente ricorda il blablabla, o sa e capisce quando le parole diventano di troppo e parlano i corpi, invece, la fisicità finanche oscena e violenta per i richiami ad altri corpi, ad altre nudità della manifestazione del teatro Flaiano, per esempio? Via, andiamo... Ma se così fosse, se davvero la gente storce gli occhi e la mente di fronte ai comunicati radicali, come si spiegherebbero i 16 milioni di firme sui referendum, come si spiega l'8,5% alle elezioni europee? Chi sa, o è messo in condizione di sapere, riconosce che la condizione ra

dicale è la sua condizione, che il regime, la partitocrazia, i ladri di verità minano e ledono i diritti e la vita non di quattro dirigenti radicali con la loro radio e il benessere da parlamentare o il prestigio di una posizione da professionista della politica ma minacciano ognuno di noi, minacciano, il nostro lavoro, il futuro dei nostri figli, la felicità e il benessere che dà vivere in un paese civile, rispettoso e attento alle libertà e ai diritti civili dei propri cittadini invece che alla pletora degli arrivati, dei raccomandati, dei ricchi di potere e denaro e mediocrità.

Non è perché i comunicati si assomigliano che non vengono ripresi dalla stampa. Questa affermazione mi farebbe sorridere invece finisce per indignarmi. I radicali, i dirigenti immagino, parlano per slogan? Non pensano? Non ascoltano la gente? Il regime, addirittura scrivi, "diventa per noi quello che la mafia è per i professionisti dell'antimafia. Un'invenzione a nostro uso e consumo, lontanissima dalla realtà esistente. Un dogma."? Quindi il regime non esiste, o per meglio spiegarlo dobbiamo inventare nuove parole più consone a descriverlo? O non bastano i fatti, a parte questi ridicoli e poveri o patetici slogan radicali che meritano di non essere presi in considerazione, a dimostrarlo? Prendiamo i funerali di stato Craxi, l'ultimo esempio eclatante in ordine di tempo. Cos'è quello che sta accadendo? La consapevole presa di coscienza di seri e responsabili protagonisti della politica, di importanti e ragguardevoli statisti o non piuttosto la becera e retorica e ottusa ennesima manifestazione di arroganza

del potere partitocratico, di regime appunto? In che lingua lo spiegheresti, tu, quello che è evidente, e che parla anzi urla solo perché esiste, così come è e si mostra agli occhi di tutte le persone accorte? Io non penso che ti si consideri un eretica o una serpe in seno o che ti si voglia scomunicare, lapidare addirittura! Non capisco questa drammatizzazione, non capisco perché ti senti minacciata e di cosa. Parli di religione idolatrica, di sanguinari, di sacrifici umani! Ma stai scherzando o ti sei fatta prender troppo la mano da un discorso che diventa prolisso e si avvita su se stesso, e cresce e cresce fino al paradosso, una sorta di autocompiacimento letterario alla fine del quale ti si dovrebbe dir "Brava!"? Mi dispiace, ma fuori dal primo coro di plauso che è venuto in questa conferenza, non riesco a dirti brava. Ti ringrazio ugualmente, però, perché mi hai aiutato a riflettere a quanto invece il partito radicale sia per me così importante da non lasciarmi al momento spazi per alcun dubbio e non

perché non so pensare o idolatro Pannella o non so chi, ma perché è il luogo di pensieri e azioni che più mi assomigliano, e mi stimolano e mi aiutano a non aver paura e a non perdere la speranza in questo paese che di speranza non ne offre quasi più nessuna.

Teresa Dentamaro

 
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