Uno degli articoli presenti sul sito del Sole con la tematica referendaria
Il quesito sulle pensioni dà sprint alla riforma
di Tito Boeri
Il difetto principale di questi referendum è il loro numero. Sono troppi per permettere che il Governo, sotto lo spauracchio del voto, attui per tempo quelle riforme di cui sin qui non è stato capace. Sono troppi, soprattutto, per permettere che il dibattito referendario diventi unÆoccasione per sensibilizzare lÆopinione pubblica su problemi importanti. A riprova di ciò il fatto che del quesito più importante, quello sulle pensioni dÆanzianità, non si parla quasi. Sono troppi per svelare lÆidentità dei gruppi di interesse in gioco e permettere a coloro che vengono esclusi da decisioni che li riguardano da vicino di pronunciarsi. Questi obiettivi ù stimolare le riforme, costringere tutti a schierarsi e dare voce a chi sin qui non è stato chiamato in causa ù sono peraltro gli unici risultati che referendum su queste materie dovrebbero cercare di ottenere. E si tratta, beninteso, di obiettivi tuttÆaltro che marginali.
I referendum "sociali" servono se creano le condizioni per il loro superamento. Sulle materie toccate dai quesiti referendari non si può intervenire con lÆaccetta. Si tratta di interventi redistributivi, che intaccano diritti acquisiti, su materie in cui lo Stato ha un importante ruolo da giocare anche sul piano strettamente economico, efficientistico. Dunque occorre prevedere forme di compensazione per i perdenti e, soprattutto, non ci si può limitare allÆabrogazione. Prendiamo il caso dei licenziamenti. Vi sono importanti ragioni economiche per cui è opportuno imporre dei costi a un datore di lavoro che voglia licenziare i propri dipendenti. La stabilità di un rapporto di lavoro è spesso una precondizione per stimolare investimenti in formazione, dunque può permettere miglioramenti nella produttività dellÆeconomia nel suo complesso. I costi dei licenziamenti servono, inoltre, per "internalizzare" alle imprese costi che, altrimenti, graverebbero sulla collettività. Un lavoratore licenziato equivale a un sus
sidio di disoccupazione in più da far pagare ai contribuenti. Meglio dare al lavoratore il tempo di cercare un altro posto prima di diventare disoccupato e spingere il datore almeno a verificare se vi è per lui unÆaltra collocazione possibile in azienda. Ci vogliono normative che impongano periodi di preavviso e trasferimenti dal datore al lavoratore, anziché i vincoli assoluti imposti dalla normativa nostrana. Ma non si può sostituire gli ostacoli insormontabili con lÆazzeramento pressoché totale dei costi/periodi di preavviso (due mesi e mezzo sono meno di quanto concesso nel Regno Unito, in cui è più facile trovare impiego alternativo). Dunque cÆè bisogno di riforme, non di colpi di spugna. Peraltro molti quesiti proposti accentuano, anziché attenuare, la rozzezza dello strumento referendario. Alcuni addirittura abrogano le norme sbagliate per errori "tecnici" dei proponenti. Il quesito sul part-time finisce per aggravare, anziché ridurre, gli oneri contributivi che gravano sul lavoro a tempo parziale. An
che quello sul collocamento è mal congegnato perché abroga anche la norma sulla gratuità del servizio.
I referendum sono utili, inoltre, se contribuiscono a smuovere quegli equilibri su cui si fonda la conservazione dello status quo. Sulle riforme del Welfare sono molti gli schieramenti trasversali, che spaccano in due i partiti e le stesse forze sociali. Molte contrapposizioni sono di tipo generazionale. Altre sono fra occupati e disoccupati, fra lavoratori con contratti temporanei e lavoratori con contratti permanenti, anziché fra lavoratori e datori di lavoro. I troppi quesiti referendari stanno, invece, finendo per partorire i soliti schieramenti: sindacato contro Confindustria, sinistra contro destra, Governo contro opposizione. Sono contrapposizioni che conoscevamo già e che non portano lontano perché sono le stesse che hanno generato lo stallo delle riforme. Eppure quesiti più intelligenti avrebbero aperto brecce significative negli schieramenti tradizionali. Si poteva, ad esempio, abbinare al quesito sui licenziamenti un referendum sullÆabrogazione delle norme che negano ai lavoratori di imprese dei s
ervizi con meno di 200 dipendenti lÆaccesso agli ammortizzatori sociali. Sarebbe stato un modo per dare voce ai disoccupati e per segnalare lÆintenzione di voler sostituire la tutela forte e anacronistica dellÆattuale normativa sui licenziamenti con la tutela assicurativa fornita dai sussidi di disoccupazione. Si doveva, inoltre, evitare il quesito volto a permettere che i contratti a tempo determinato possano essere rinnovati indefinitamente. Tutto questo avrebbe tolto argomenti a chi vuole ideologizzare lo scontro, sostenendo che i referendum sono tutti contro gli interessi di tutti lavoratori (si pensi al discorso di Cofferati al Lingotto). In verità, i lavoratori con contratti temporanei hanno tutto da guadagnarci da una riduzione di quelle rigidità che oggi scoraggiano i datori di lavoro dal loro offrire contratti permanenti. Per lo stesso motivo non vogliono essere condannati a lavorare per tutta la vita nellÆambito di contratti a termine.
A questo punto forse solo il referendum sullÆabrogazione delle pensioni dÆanzianità può smuovere le acque, perché i partiti sono inadatti ad affrontare i conflitti tra le generazioni. Di qui il significato di un ricorso a una consultazione popolare: si tratta di un quesito su cui occorrerebbe promuovere consultazioni informali, al di fuori dei seggi, nelle scuole, per i più giovani, fra coloro che non hanno diritto al voto, ma che sono quanto mai interessati al suo esito. Infine, è un quesito meno rozzo degli altri perché si limita ad accelerare i tempi di una riforma, il passaggio a un sistema pensionistico sul cui disegno di lungo periodo è da tempo stato raggiunto un accordo fra le parti sociali.
Forse la Consulta farà quella selezione di cui i proponenti dei referendum non sono stati capaci. Ma non potrà essere, come è giusto che sia, una selezione basata su ragionamenti di politica economica. Ed è perciò probabile che cancelli il quesito più valido, quello sulle pensioni di anzianità, per un vizio di forma. A quanto pare, i proponenti se la sono presa con una norma transitoria, non più in vigore. Perché tanta superficialità nellÆuso di questo così importante strumento di democrazia?
18 gennaio 2000