di Alessandra Del Boca Sole 24 ore Martedì 1 Febbraio 2000 commenti e inchieste
Le nuove regole sul part-time nate ieri sono vecchie e inutili. Lo stile è sempre lo stesso: invece di semplificare, togliere, aggiungono cervellotici adempimenti e controlli, complicano con casi e controcasi. Il part-timer, al contrario delle direttive europee, a pari diritti legali e contributivi, viene trattato come un lavoratore da riserva indiana, una specie rara da proteggere dagli abusi: non può lavorare più del 10% in più del suo contratto, la sua retribuzione per il lavoro extra costerà il 50% in più. L'impresa avrà diritto a una certa flessibilità organizzativa e di orario, ma il lavoratore avrà il diritto di ripensamento. Sono queste le regole per promuovere la flessibilità, per incentivare l'occupazione part-time?
Credo che se le raccontassimo a Silicon Valley non riuscirebbero neanche a capire di che cosa parliamo. L'orario aggiuntivo che costa il 50% in più: è uno scherzo, un autogol? Il diritto di ripensamento? Non vorrei sembrare irriverente, ma non capisco come una cosa così bizantina potrà trovare applicazione.
Come gli altri tentativi recenti di modernizzare il mercato del lavoro, il part-time è una non piccola occasione mancata. Lasciamo perdere l'effetto di annuncio totalmente scoraggiante; ma sembra che gli estensori del provvedimento non abbiano guardato ai dati. In Italia il 60% della nuova occupazione cresce dove c'è flessibilità, con il tempo determinato, i contratti atipici. I nostri partner dell'Unione, Inghilterra, Irlanda, ma anche Francia e Germania, hanno puntato su questo strumento e hanno una percentuale che sta intorno al 20% dell'occupazione, con la punta incredibile dell'Olanda, che è quasi al 40% (e non sto parlando di un Paese con scarsa protezione legislativa e di Welfare). E l'Olanda dedica la quota più elevata della sua spesa pubblica all'Istruzione.
Contro "la precarietà" non si lotta a colpi di "diritti di ripensamento" e di labirinti burocratico-legislativi, ma dando i mezzi per combatterla. I giovani hanno capito benissimo che cos'è la "new economy", sanno che la loro valorizzazione dipende dalla capacità di carpire il massimo da molte situazioni d'impiego, che arricchisce il loro capitale umano e il loro potere di mercato. I giovani sono una risorsa della new economy dovunque nel mondo, soprattutto in America, dove i "college students" con poco potere contrattuale sono stati assunti senza aumenti. Il part-time è una risorsa decisiva della rivoluzione tecnologica che abbiamo sotto gli occhi, ma che ancora alcuni sembrano non vedere.
La nostra crescita futura sarà interamente spinta dalla rivoluzione che è iniziata negli anni 80 nell'industria dei semiconduttori e dei computer e che ora si sta diffondendo al web e alla tecnologia dell'informazione. In questa industria il cambiamento è più rapido della nostra capacità di seguirlo, i costi del capitale elevati, i prezzi in continua riduzione, gli standard di qualità inesorabili. Questi settori, che trascineranno le economie degli anni a venire, sono altamente competitivi, sia nel breve periodo, attraverso la riduzione dei prezzi, sia nel lungo periodo, attraverso la tecnologia, la produttività e il miglioramento dei prodotti. E nella natura di questa rivoluzione tecnologica il suo espandersi su scala molto ampia. Non la possiamo fermare.
I cambiamenti tecnologici nell'industria dei chip e il crollo del prezzo della Dram hanno disintegrato quest'industria, che prima consisteva di poche grandi società integrate in una miriade di start-up, di mercati di nicchia ad alto profitto. Insieme alle grandi società multinazionali ora operano migliaia di piccole imprese, in mercati sia competitivi che oligopolistici. L'impatto di questa trasformazione sul mercato del lavoro è grande. Le start-up, soprattutto le imprese senza fabbrica, le "fabless companies", hanno sistemi occupazionali interamente centrati sui loro progetti e sulle competenze tecniche, e questo indebolirà le posizioni contrattuali tradizionali. E successo soprattutto in America, a Silicon Valley, ma sta succedendo in Europa, ed è iniziato anche in Italia. Un anno fa non sapevamo nemmeno come pronunciare il nome di quel piccolo provider, Tiscali. Oggi, se vorremo che le nostre piccole imprese nostrane diventino delle star della Borsa, dovremo dare incentivi di flessibilità occupazional
e, se non come Silicon Valley almeno come gli altri Paesi europei, almeno come l'Olanda. Per poter correre insieme agli altri la grande partita europea dobbiamo davvero una volta per tutte cambiare visione. Le nostre leggi del mercato del lavoro ancora trattano i lavoratori italiani come i cittadini dell'Italia povera del dopoguerra, che Aris Accornero e Alberto Orioli descrivono nel loro libro L'ultimo tabù.
Per lanciare il part-time e la flessibilità dell'orario che servono alle imprese italiane per competere e ai lavoratori per crescere professionalmente bisogna attrezzare alla mobilità il mercato nel suo complesso, a cominciare dal licenziamento, che deve essere meno incerto, oneroso e asimmetrico. Non credo che siano molti i Paesi in cui il lavoratore può scegliere se venire reintegrato o prendere il risarcimento, mentre l'impresa non può scegliere. Né che siano molti i Paesi in cui il sussidio di disoccupazione è bassissimo e non protegge chi si trova a passare da un lavoro all'altro. Non ho particolare simpatia per i referendum e mi piace che le leggi le faccia il Parlamento. Ma se questo è quello che otteniamo, ben vengano l'opinione della gente e il suo voto diretto.