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Partito Radicale Rinascimento - 7 febbraio 2000
SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE SUI REFERENDUM

SENTENZA N.32

ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI Giudice

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Avv. Massimo VARI "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Guido NEPPI MODONA "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

- Dott. Franco BILE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11

marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 24

marzo 1958, n. 195, recante "Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio

Superiore della Magistratura" (così come modificata dall'art. 5 della legge 22 dicembre 1975,

n. 695, dagli artt. 18, 19 e 20 della legge 3 gennaio 1981, n. 1, dall'art. 2 della legge 22

novembre 1985, n. 655 e dagli artt. 7, 10 e 13 della legge 12 aprile 1990, n. 74) limitatamente

alle seguenti parti:

art. 25, comma 14, lettera b), limitatamente alle parole: "il voto di lista ed", alla parola

"eventuale", nonché alle parole "nell'ambito della lista votata";

art. 27, comma 3, limitatamente alla lettera a): "provvede alla determinazione del quoziente

per l'assegnazione dei seggi dividendo la cifra dei voti validi espressi nel collegio per il

numero dei seggi del collegio stesso;", alla lettera b): "determina il numero dei seggi

spettante a ciascuna lista dividendo la cifra elettorale dei voti da essa conseguiti per il

quoziente base. I seggi non assegnati in tal modo vengono attribuiti in ordine decrescente alle

liste cui corrispondono i maggiori resti e, in caso di parità di resti, a quelle che abbiano

avuto la maggiore cifra elettorale; a parità di cifra elettorale si procede per sorteggio.

Partecipano all'assegnazione dei seggi in ciascun collegio territoriale le liste che abbiano

complessivamente conseguito almeno il 9 per cento dei suffragi rispetto al totale dei votanti

sul piano nazionale;" e lettera c) limitatamente alle seguenti parole: "nell'ambito dei posti

attribuiti ad ogni lista";

art. 39, comma 1, limitatamente alle parole: "nell'ambito della stessa lista"; comma 2:

"Qualora, per difetto di candidati non eletti e forniti dei requisiti di eleggibilità, la

sostituzione di cui al comma 1 non possa aver luogo nell'ambito della stessa lista, essa

avviene mediante il primo dei non eletti nella lista che abbia riportato nel medesimo collegio

la maggior cifra elettorale o, in caso di parità, che preceda le altre nell'ordine di

presentazione; se in detta lista non vi sono candidati non eletti e forniti dei requisiti di

eleggibilità, si passa alle liste successive."; comma 4, limitatamente alle parole: "e 2";

giudizio iscritto al n. 116 del registro referendum.

Viste l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum

presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta e la successiva

ordinanza di correzione di errore materiale dello stesso Ufficio centrale del 21 dicembre 1999;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;

udito l'avvocato Beniamino Caravita di Toritto per i presentatori Daniele Capezzone, Mariano

Giustino e Michele De Lucia.

Ritenuto in fatto

1. L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione in

applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, esaminata la richiesta di referendum popolare

presentata da quattordici elettori per l'abrogazione di una parte della legge 24 marzo 1958, n.

195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura),

verificata la regolarità della richiesta, ne ha dichiarato la legittimità con ordinanza del

7-13 dicembre 1999.

La richiesta di referendum, quale risulta anche dalla successiva ordinanza del 21 dicembre

1999 con la quale l'Ufficio centrale ha apportato correzioni materiali al quesito, ha per

oggetto la seguente domanda: "Volete voi che sia abrogata la legge 24 marzo 1958, n. 195,

recante "Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della

magistratura" (così come modificata dall'art. 5 della legge 22 dicembre 1975, n. 695, dagli

artt. 18, 19 e 20 della legge 3 gennaio 1981, n. 1, dall'art. 2 della legge 22 novembre 1985,

n. 655 e dagli artt. 7, 10 e 13 della legge 12 aprile 1990, n. 74) limitatamente alle seguenti

parti:

art. 25, comma 14, lettera b), limitatamente alle parole: "il voto di lista ed", alla parola

"eventuale", nonché alle parole "nell'ambito della lista votata";

art. 27, comma 3, limitatamente alla lettera a): "provvede alla determinazione del quoziente

[base] per l'assegnazione dei seggi dividendo la cifra dei voti validi espressi nel collegio

per il numero dei seggi del collegio stesso;", alla lettera b): "determina il numero dei seggi

spettante a ciascuna lista dividendo la cifra elettorale dei voti da essa conseguiti per il

quoziente base. I seggi non assegnati in tale modo vengono attribuiti in ordine decrescente

alle liste cui corrispondono i maggiori resti e, in caso di parità di resti, a quelle che

abbiano avuto la maggiore cifra elettorale; a parità di cifra elettorale si procede per

sorteggio. Partecipano all'assegnazione dei seggi in ciascun collegio territoriale le liste che

abbiano complessivamente conseguito almeno il 9 per cento dei suffragi rispetto al totale dei

votanti sul piano nazionale;", e lettera c) limitatamente alle seguenti parole: "nell'ambito

dei posti attribuiti ad ogni lista";

art. 39, comma 1, limitatamente alle parole: "nell'ambito della stessa lista"; comma 2:

"Qualora, per difetto di candidati non eletti e forniti dei requisiti di eleggibilità, la

sostituzione di cui al comma 1 non possa aver luogo nell'ambito della stessa lista, essa

avviene mediante il primo dei non eletti nella lista che abbia riportato nel medesimo collegio

la maggiore cifra elettorale o, in caso di parità, che preceda le altre nell'ordine di

presentazione; se in detta lista non vi sono candidati non eletti e forniti dei requisiti di

eleggibilità, si passa alle liste successive."; comma 4, limitatamente alle parole "e 2" ?".

Al fine di identificare l'oggetto del referendum, l'Ufficio centrale ha anche stabilito (in

applicazione dell'art. 32, ultimo comma, della legge n. 352 del 1970, introdotto dall'art. 1

della legge 17 maggio 1995, n. 173) la seguente denominazione: "Elezione del Consiglio

superiore della magistratura: Abrogazione dell'attuale sistema elettorale dei componenti

magistrati con metodo proporzionale per liste contrapposte".

2. Ricevuta comunicazione della ordinanza dell'Ufficio centrale, il Presidente ha convocato

la Corte in camera di consiglio per il 13 gennaio 2000, disponendo (ai sensi dell'art. 33,

secondo comma, della legge n. 352 del 1970) che ne fosse data comunicazione ai promotori della

richiesta di referendum ed al Presidente del Consiglio dei ministri.

3. Avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 33, terzo comma, della legge n. 352 del

1970, i promotori e presentatori del referendum, rappresentati e difesi dall'avv. Beniamino

Caravita di Toritto, hanno depositato, il 7 gennaio 2000, una memoria per illustrare le ragioni

a sostegno dell'ammissibilità del referendum.

L'obiettivo perseguito dal quesito referendario sarebbe quello di superare l'attuale sistema

elettorale, basato su un metodo rigidamente proporzionale per liste contrapposte, a favore di

un sistema più rispondente a criteri maggioritari e in cui valga la scelta della persona da

eleggere piuttosto che la indicazione della lista.

La richiesta di abrogazione investirebbe solo parte delle norme relative all'elezione dei

magistrati componenti del Consiglio superiore della magistratura, in modo da evitare

l'abrogazione dell'intero sistema elettorale (secondo quanto richiesto dalla sentenza n. 28 del

1997), e da non lasciare l'organo privo di normativa elettorale (secondo quanto prescrive la

sentenza n. 29 del 1987).

La richiesta di abrogazione riguarderebbe soltanto la possibilità di esprimere il voto di lista

nei quattro collegi territoriali (previsto dall'art. 25 della legge), e di conseguenza il

riparto proporzionale per liste contrapposte dei diciotto seggi da attribuire ai magistrati che

svolgono funzioni di merito (art. 27) e le modalità di sostituzione in caso di cessazione dalla

carica prima della scadenza del Consiglio (art. 39). La normativa residua sarebbe

immediatamente applicabile e sarebbe coerente con la finalità perseguita dal referendum, di

eliminare gli aspetti di proporzionalità insiti nell'attuale sistema elettorale.

L'elezione dei due magistrati della Corte di cassazione con effettivo esercizio delle funzioni

di legittimità rimarrebbe effettuata, secondo una disciplina non toccata dal quesito

referendario, in un collegio nazionale con il voto ad uno solo dei candidati (art. 25, comma 1,

lettera a, e comma 14, lettera a).

I promotori del referendum sostengono che l'abrogazione proposta risponde a tutti i requisiti

considerati dalla giurisprudenza costituzionale per l'ammissibilità dei referendum. In

particolare al nuovo quesito non potrebbe essere rimproverata la disomogeneità, che aveva

condotto alla dichiarazione di inammissibilità di una precedente richiesta di referendum sulla

elezione del Consiglio superiore della magistratura (sentenza n. 28 del 1997); né quest'organo

verrebbe lasciato privo della propria normativa elettorale, ritenuta sempre necessaria

(sentenza n. 29 del 1987), giacché la disciplina che residuerebbe a seguito dell'abrogazione

consentirebbe in qualsiasi momento di procedere alle elezioni per rinnovare il Consiglio.

Ad avviso dei promotori sono rispettati anche i criteri elaborati dalla Corte nel ritenere

inammissibili quesiti referendari che, attraverso una operazione di ritaglio di parole, si

risolvano nella proposta di introdurre una nuova statuizione del tutto estranea al contesto

normativo (sentenza n. 36 del 1997). Il referendum da essi proposto, difatti, sarebbe

abrogativo parziale: il quesito si limiterebbe a sottrarre dalla legge elettorale un contenuto

normativo in essa esistente, abrogando il voto di lista ed il conseguente riparto proporzionale

tra liste, per permettere l'espansione del criterio residuale e secondario, già esistente nella

stessa legge, dell'individuazione degli eletti sulla base delle preferenze raccolte.

4. In camera di consiglio è stato ascoltato, per i promotori, l'avvocato Beniamino Caravita

di Toritto, il quale ha ribadito ed illustrato gli argomenti a sostegno dell'ammissibilità del

referendum.

Considerato in diritto

1. La richiesta di referendum riguarda la disciplina delle elezioni dei componenti

magistrati del Consiglio superiore della magistratura ed investe alcune parti di articoli della

legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio

superiore della magistratura), quale risulta a seguito di successive modificazioni (art. 5

della legge 22 dicembre 1975, n. 695; artt. 18, 19 e 20 della legge 3 gennaio 1981, n. 1; art.

2 della legge 22 novembre 1985, n. 655; artt. 7, 10 e 13 della legge 12 aprile 1990, n. 74).

L'abrogazione proposta colpisce il voto di lista nei quattro collegi territoriali previsti per

la elezione dei magistrati che esercitano funzioni di merito (art. 25, comma 14, lettera b).

In connessione a ciò si chiede la soppressione del criterio di assegnazione dei seggi alle

liste, in base ai voti riportati da ciascuna di esse, sia per la iniziale proclamazione degli

eletti (art. 27, comma 3, lettere a e b e parte della lettera c), sia per la sostituzione di

quanti cessano dalla carica prima della scadenza del Consiglio (art. 39, comma 2 e parte dei

commi 1 e 4). A seguito dell'abrogazione, i seggi verrebbero attribuiti ai candidati

esclusivamente in base ai voti riportati da ciascuno di essi, secondo il maggior numero di

preferenze.

2. Nel quesito referendario sottoposto all'esame della Corte non ricorre alcuno dei limiti

preclusivi del ricorso al referendum espressamente previsti dall'art. 75 della Costituzione.

Altre richieste di referendum che investivano parte della legge n. 195 del 1958 erano state in

precedenza dichiarate inammissibili, considerando i limiti impliciti al referendum regolato

nell'art. 75 della Costituzione (sentenze n. 29 del 1987 e n. 28 del 1997).

L'attuale quesito referendario non comprende l'intero capo III della legge n. 195 del 1958, che

contiene una pluralità di disposizioni eterogenee, alcune del tutto estranee al sistema

elettorale, altre che rispecchiano enunciazioni normative già espresse dalla Costituzione

(sentenza n. 28 del 1997).

Il quesito riguarda ora solo le norme che prevedono il voto di lista e la conseguente

attribuzione dei seggi in base a quozienti e cifre elettorali riferiti alle liste. Sono chiari,

dunque, il contenuto del quesito e gli effetti della proposta abrogazione. Venendo meno il voto

di lista, nel sistema normativo residua quello attribuito ai candidati, i quali sono proclamati

eletti in base al maggior numero di voti ottenuti da ciascuno di essi: in tal modo, oltretutto,

il Consiglio superiore della magistratura non rimarrebbe privo di norme elettorali che ne

consentano in ogni tempo il rinnovo.

3. Il quesito referendario è diretto ad abrogare parzialmente la disciplina stabilita dal

legislatore, senza sostituire ad essa una disciplina estranea allo stesso contesto normativo:

si tratta di una abrogazione parziale, da ritenere ammissibile, e non della costruzione di una

nuova norma mediante la saldatura di frammenti lessicali eterogenei, che caratterizzerebbe un

inammissibile quesito propositivo (sentenza n. 36 del 1997), il quale non rientra nello schema

dell'art. 75 della Costituzione perché, anziché far deliberare la abrogazione anche solo

parziale di una legge, sarebbe invece destinato a far costruire direttamente dal corpo

elettorale una disciplina assolutamente diversa ed estranea al contesto normativo (sentenza n.

13 del 1999). Nel caso in esame, invece, caducato, per effetto dell'abrogazione referendaria,

il voto di lista, rimarrebbe il criterio dell'attribuzione dei seggi in base ai voti ottenuti

da ciascun candidato.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti

indicate in epigrafe, degli artt. 25, comma 14, 27, comma 3, e 39, commi 1, 2 e 4, della legge

24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore

della magistratura), nel testo risultante dalle successive modificazioni, apportate dall'art. 5

della legge 22 dicembre 1975, n. 695, dagli artt. 18, 19 e 20 della legge 3 gennaio 1981, n. 1,

dall'art. 2 della legge 22 novembre 1985, n. 655 e dagli artt. 7, 10 e 13 della legge 12 aprile

1990, n. 74; richiesta dichiarata legittima, con ordinanza del 7 - 13 dicembre 1999,

dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3

febbraio 2000

F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente

Cesare MIRABELLI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata il 7 febbraio 2000

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

SENTENZA N.33

ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI Giudice

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Avv. Massimo VARI "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Guido NEPPI MODONA "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

- Dott. Franco BILE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11

marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 23

dicembre 1978, n. 833, recante: "Istituzione del servizio sanitario nazionale", e successive

modificazioni e integrazioni, limitatamente a:

articolo 63, comma 2: "I cittadini che, secondo le leggi vigenti, non sono tenuti

all'iscrizione ad un istituto mutualistico di natura pubblica sono assicurati presso il

servizio sanitario nazionale nel limite delle prestazioni sanitarie erogate agli assicurati del

disciolto INAM."; comma 3, limitatamente alle parole: "di cui al comma precedente", alle

parole: "per l'assistenza di malattia," e alle parole ",valido anche per i familiari che si

trovino nelle condizioni indicate nel precedente comma";

nonché del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, recante: "Riordino della disciplina in

materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421", così come

sostituito dall'articolo 10 del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517, limitatamente a:

articolo 9, comma 1, primo periodo, limitatamente alla parola: "integrativi" e alle parole:

"aggiuntive rispetto a quelle" e, secondo periodo, limitatamente alla parola: "integrativi";

comma 2, limitatamente alla parola: "integrativo"; comma 3, limitatamente alla parola:

"integrativi"; comma 4, limitatamente alla parola: "integrativi"; giudizio iscritto al n. 125

del registro referendum.

Viste l'ordinanza del 7- 13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum

presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta e la successiva

ordinanza di correzione di errore materiale del 21 dicembre 1999;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;

uditi l'avvocato Gianfranco Palermo per i presentatori Daniele Capezzone, Mariano Giustino e

Michele De Lucia e gli avvocati Amos Andreoni e Vittorio Angiolini per la Federazione dei Verdi

ed altri, per il Comitato per le libertà e i diritti sociali e per il Partito della

Rifondazione comunista.

Ritenuto in fatto

1. L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione in

applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, esaminata la richiesta di referendum

popolare, presentata da quattordici elettori, concernente parti di alcuni articoli della legge

23 dicembre 1978, n. 833 e del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, verificata la

regolarità della richiesta, ne ha dichiarato la legittimità con ordinanza del 7-13 dicembre

1999.

La richiesta di referendum, quale risulta anche dalla successiva ordinanza del 21 dicembre

1999 con la quale l'Ufficio centrale ha apportato una correzione materiale al quesito, ha per

oggetto la seguente domanda: "Volete voi che sia abrogata la legge 23 dicembre 1978, n. 833,

recante: "Istituzione del servizio sanitario nazionale", e successive modificazioni e

integrazioni, limitatamente a:

articolo 63, comma 2: "I cittadini che, secondo le leggi vigenti, non sono tenuti

all'iscrizione ad un istituto mutualistico di natura pubblica sono assicurati presso il

servizio sanitario nazionale nel limite delle prestazioni sanitarie erogate agli assicurati del

disciolto INAM."; comma 3, limitatamente alle parole: "di cui al comma precedente", alle

parole: "per l'assistenza di malattia," e alle parole: ",valido anche per i familiari che si

trovino nelle condizioni indicate nel precedente comma";

nonché il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, recante: "Riordino della disciplina in

materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421", così come

sostituito dall'articolo 10 del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517, limitatamente a:

articolo 9, comma 1, primo periodo, limitatamente alla parola: "integrativi" e alle parole:

"aggiuntive rispetto a quelle" e, secondo periodo, limitatamente alla parola: "integrativi";

comma 2, limitatamente alla parola: "integrativo"; comma 3, limitatamente alla parola:

"integrativi"; comma 4, limitatamente alla parola: "integrativi"?".

Al fine di identificare l'oggetto del referendum, l'Ufficio centrale ha anche stabilito (in

applicazione dell'art. 32, ultimo comma, della legge n. 352 del 1970, introdotto dall'art. 1

della legge 17 maggio 1995, n. 173) la seguente denominazione: "Servizio sanitario nazionale:

Abolizione dell'obbligo di iscrizione al Servizio per l'assicurazione obbligatoria contro le

malattie. Libertà di scegliere tra Servizio e assistenza privata".

2. Avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 33, terzo comma, della legge n. 352 del

1970, i signori Daniele Capezzone, Michele De Lucia, Mariano Giustino, presentatori della

richiesta di referendum, rappresentati e difesi dall'avv. Gianfranco Palermo, hanno depositato

l'8 gennaio 2000 una memoria, per illustrare le ragioni a sostegno dell'ammissibilità del

referendum.

I promotori ritengono che il quesito referendario non incida sull'esistenza e

sull'organizzazione del Servizio sanitario nazionale né sulla garanzia costituzionale di tutela

della salute e sulla erogazione delle prestazioni gratuite dovute agli indigenti. Il quesito

non riguarderebbe, inoltre, né il sistema di finanziamento mediante lo strumento fiscale né la

contribuzione solidaristica.

Ad avviso dei promotori, rimarrebbe inalterato l'obbligo di assicurazione contro le malattie

(previsto dall'art. 63, primo comma, della legge n. 833 del 1978, non coinvolto nella richiesta

di abrogazione), mentre verrebbe abrogata la norma che ne attribuisce l'esclusiva al Servizio

sanitario nazionale, mediante l'automatica costituzione per legge di un rapporto assicurativo

con tale Servizio. Questa esclusiva non sarebbe parte inscindibile del diritto alla tutela

della salute, garantito dalla Costituzione (art. 32).

Ad avviso dei promotori, a seguito dell'eventuale abrogazione il principio di obbligatorietà

del rapporto assicurativo troverebbe attuazione in un sistema pluralistico, nel quale, secondo

princìpi di diritto comune, non potrebbero essere imposti contributi assicurativi a favore del

Servizio sanitario nazionale, in mancanza di un rapporto di assicurazione con lo stesso. La

generale previsione di un obbligo contributivo sarebbe da tener ferma nei limiti della funzione

solidaristica, mentre tale obbligo risulterebbe privo di causa per il rapporto assicurativo

facoltativo.

Sarebbe coerente con questa impostazione la richiesta abrogazione anche di alcune parole

dell'art. 9 del decreto legislativo n. 502 del 1992 e del terzo comma dell'art. 63 della legge

n. 833 del 1978.

3. Il 10 gennaio 2000 hanno depositato separati "atti di intervento, memoria e contributo

istruttorio" il Partito della Rifondazione comunista, in persona del segretario generale on.

Fausto Bertinotti; la Federazione dei Verdi, in persona del responsabile nazionale del settore

economia-lavoro sen. Natale Ripamonti, l'Associazione nazionale per la sinistra, in persona del

presidente on. Sergio Garavini, e Alfiero Grandi, nella sua qualità di responsabile lavoro dei

D.S.-Democratici di sinistra; il Comitato per le libertà e i diritti sociali, costituito in

Milano in data 2 dicembre 1999, in persona del presidente Paolo Cagna Ninchi. Tutti sostengono,

preliminarmente, la propria legittimazione ad intervenire nel procedimento ed a presentare una

memoria e un contributo istruttorio, ed offrono argomenti a sostegno della inammissibilità del

referendum.

Il 12 gennaio 2000 anche il Sindacato dirigenti medici e professionisti del Servizio sanitario

nazionale- DIRSAN, in persona del segretario generale Giuseppe Di Pietro, ha depositato una

memoria per esporre argomenti a sostegno dell'inammissibilità del referendum.

4. In camera di consiglio è stato ascoltato, per i promotori, l'avvocato Gianfranco Palermo,

il quale ha ribadito ed illustrato le argomentazioni a sostegno dell'ammissibilità del

referendum.

Sono stati inoltre ascoltati gli avvocati Angiolini e Andreoni per la Federazione dei Verdi e

gli altri che con essa hanno depositato una memoria, per il Partito della Rifondazione

comunista e per il Comitato per le libertà e i diritti sociali.

Considerato in diritto

1. La richiesta di referendum abrogativo, sulla cui ammissibilità la Corte è chiamata a

pronunciarsi a seguito della ordinanza dell'Ufficio centrale per il referendum del 7 - 13

dicembre 1999, che ne ha dichiarato la legittimità, investe:

a) parte della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale):

precisamente l'intero secondo comma dell'art. 63 (il quale dispone che i cittadini che, secondo

le leggi vigenti, non sono tenuti all'iscrizione ad un istituto mutualistico di natura pubblica

sono assicurati presso il Servizio sanitario nazionale nel limite delle prestazioni sanitarie

erogate agli assicurati del disciolto INAM) ed alcune parole del terzo comma dello stesso

articolo;

b) parte del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia

sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421): precisamente alcune

parole o locuzioni dell'art. 9, relativo a forme integrative di assistenza sanitaria.

2. Sciogliendo la riserva formulata nel consentire l'audizione in camera di consiglio, oltre

che dei presentatori del referendum, anche degli altri soggetti interessati che hanno

depositato nei termini una memoria, si deve preliminarmente ritenere che, in questo particolare

procedimento, è in facoltà della Corte compatibilmente con la struttura, la funzione e la

scansione temporale della procedura stabilita dal legislatore raccogliere ed ascoltare le

osservazioni relative alla legittimità costituzionale della richiesta di referendum, anche se

esse provengono da soggetti diversi da coloro ai quali l'art. 33 della legge 25 maggio 1970, n.

352 espressamente attribuisce il diritto di depositare memorie (v. sentenza n. 31 del 2000).

3. Nella parte in cui investe l'art. 63 della legge istitutiva del Servizio sanitario

nazionale, l'attuale quesito referendario ripropone sostanzialmente una analoga richiesta di

referendum in precedenza dichiarata inammissibile (sentenza n. 39 del 1997). Allora si

proponeva la soppressione non dell'intero testo normativo recato dal secondo comma dell'art. 63

della legge n. 833 del 1978, ma solo di una parte di quest'ultima disposizione. La proposta di

soppressione riguardava un insieme di locuzioni, sottratte le quali dall'art. 63, comma 2,

della legge n. 833 del 1978, sarebbe risultato che i cittadini non sono tenuti all'iscrizione

presso il Servizio sanitario nazionale. Al medesimo esito normativo, della non obbligatorietà

della iscrizione al Servizio sanitario nazionale, si perverrebbe ora sopprimendo l'intero

comma. In entrambi i casi l'effetto prefigurato dai promotori è il medesimo: rendere possibile

l'adempimento dell'obbligo di assicurazione contro le malattie, che permarrebbe, mediante la

scelta di una assicurazione privata in alternativa al Servizio sanitario nazionale, cui

verrebbe sottratta la esclusiva titolarità del rapporto assicurativo.

Ma il contenuto obiettivo della proposta abrogazione non raggiunge questo esito, pur indicato

nella denominazione della richiesta di referendum, e si manifesta anzi completamente

infruttuoso.

La principale disposizione investita dalla proposta di abrogazione (art. 63, comma 2, della

legge n. 833 del 1978), nello stabilire che i cittadini, i quali non erano tenuti (quando la

legge è stata emanata) all'iscrizione ad un istituto mutualistico, venivano assicurati presso

il Servizio sanitario nazionale nel limite delle prestazioni sanitarie erogate agli assicurati

del disciolto INAM, stabiliva una regola diretta ad attuare la transizione dal sistema

mutualistico, basato su un regime di assicurazione per categorie, ad un sistema di sicurezza

sociale per tutta la popolazione, attuato mediante il Servizio sanitario nazionale, sin

dall'origine costituito da funzioni, strutture e servizi diretti a garantire a tutti i

cittadini i livelli di protezione stabiliti dal piano sanitario. Tale transizione è ormai

compiuta. Non si è più, dunque, in presenza di un rapporto assicurativo, sia pure obbligatorio,

né di prestazioni sanitarie dovute in ragione, se non in corrispettivo, di un contributo. Il

sistema complessivo delineato dalla legge n. 833 del 1978, sul quale non incide il quesito

referendario, è caratterizzato dalla universalità dell'assistenza, garantita dal Servizio

sanitario nazionale a tutti i cittadini, il cui diritto deriva direttamente dalla legge, mentre

l'iscrizione negli elenchi degli utenti (prevista dall'art. 19 della stessa legge) costituisce

solo un adempimento amministrativo per l'organizzazione delle prestazioni (sentenza n. 39 del

1997).

La non configurabilità, nel contesto del sistema legislativo, di un meccanismo assicurativo, il

quale costituirebbe invece il presupposto dell'iniziativa referendaria, è ancor più accentuata

dalla avvenuta abrogazione dei contributi per il Servizio sanitario nazionale, disposta

contestualmente al finanziamento dello stesso Servizio mediante il gettito fiscale previsto dal

decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, che ha istituito l'imposta regionale sulle

attività produttive (in particolare artt. 36, 38 e 39).

In definitiva l'eventuale soppressione del secondo comma dell'art. 63 della legge n. 833 del

1978 non conseguirebbe l'effetto abrogativo prefigurato, che si vorrebbe far consistere nella

possibilità di uscire dal Servizio sanitario nazionale scegliendo una assicurazione privata.

Mentre la soppressione di alcune parole del terzo comma dello stesso art. 63 prefigurerebbe la

reintroduzione del contributo che, per i cittadini, è stato soppresso.

4. Neppure la complementare richiesta di intervento soppressivo nel testo dell'art. 9 del

decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 vale a conseguire l'effetto abrogativo

prefigurato.

La eliminazione sia dell'aggettivo che qualifica come "integrativi" i fondi destinati a forme

integrative di assistenza sanitaria, sia della locuzione che qualifica come "aggiuntive" le

prestazioni da essi assicurate, non porta alla soppressione di parole di per sé espressive di

un autonomo e proprio contenuto normativo e non determina la sottrazione di alcun contenuto

normativo dalla disposizione nella quale tali parole sono inserite. Difatti, soppresse quelle

parole, non muterebbe la configurazione della struttura e della funzione dei fondi sanitari

integrativi, quali risultano dal contesto della disciplina normativa complessiva (si vedano,

tra l'altro, l'art. 8-quater, comma 1, del decreto legislativo n. 502 del 1992 e l'art. 122

del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112).

Ciò senza considerare che l'art. 9 del decreto legislativo n. 502 del 1992 è stato

integralmente sostituito dall'art. 9 del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 (Norme per

la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell'articolo 1 della legge 30

novembre 1998, n. 419), che è entrato in vigore, anche se le sue disposizioni, relative ai

fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale, acquistano efficacia e, quindi, divengono

operative con la nuova disciplina del loro trattamento fiscale.

5. In conclusione per un verso la richiesta di referendum non è idonea ad incorporare il

quesito referendario prefigurato dai proponenti e non consente all'elettore una scelta che

consegua gli effetti annunciati, sicché manca la possibilità per gli elettori di esprimere un

voto referendario consapevole dei suoi effetti normativi. Per altro verso, in assenza di un

significativo contenuto abrogativo - non essendo tale la soppressione di disposizioni e di

frammenti di disposizione cui non consegua alcun utile risultato, né tantomeno il risultato

prefigurato dai promotori quale si desume, tra l'altro, dalla denominazione del referendum -

si attribuirebbe al quesito referendario in esame una funzione esclusivamente propositiva,

estranea all'istituto del referendum per la abrogazione totale o parziale di una legge, quale

è previsto dall'art. 75 della Costituzione.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti

indicate in epigrafe, dell'art. 63, commi 2 e 3, della legge 23 dicembre 1978, n. 833

(Istituzione del servizio sanitario nazionale) e dell'art. 9 del decreto legislativo 30

dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1

della legge 23 ottobre 1992, n. 421); richiesta dichiarata legittima, con ordinanza del 7- 13

dicembre 1999, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di

cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3

febbraio 2000

F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente

Cesare MIRABELLI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata il 7 febbraio 2000

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

SENTENZA N.34

ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI Giudice

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Guido NEPPI MODONA "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

- Dott. Franco BILE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n.

1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione del decreto del Presidente della Repubblica 30

giugno 1965, n. 1124, recante "Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli

infortuni sul lavoro e le malattie professionali" e successive modificazioni, limitatamente a:

Articolo 10, comma 8: "Agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l'indennità d'infortunio è

rappresentata dal valore capitale della rendita liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39.";

Articolo 11, comma 1, limitatamente alle parole: "calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39";

Articolo 16;

Articolo 18;

Articolo 28, comma 1, limitatamente alle parole: "con le modalità e nei termini di cui agli articoli 44 - così

come modificato dal successivo punto 2) - e seguenti", e comma 5, limitatamente alle parole: "e versata

con le modalità e nei termini di cui all'art. 44, così come modificato dal successivo punto 2) ";

Articolo 34;

Articolo 35;

Articolo 36;

Articolo 37;

Articolo 38;

Articolo 39;

Articolo 40;

Articolo 41;

Articolo 42;

Articolo 43;

Articolo 44, nell'attuale testo così come risultante ai sensi dell'art. 10, comma 2, del decreto-legge 30

dicembre 1987, n. 536, convertito in legge 29 febbraio 1988, n. 48, nonché come integrato (quanto al

comma 3) dall'art. 59, comma 19, della legge 27 dicembre 1997, n. 449;

Articolo 45, come modificato (quanto al secondo comma) dall'art. 4 decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338,

convertito dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389;

Articolo 46;

Articolo 47;

Articolo 48;

Articolo 49;

Articolo 126;

Articolo 127, come modificato dall'art. 53, comma 7, della legge 27

dicembre 1997, n. 449;

Articolo 128;

Articolo 129;

Articolo 148, comma 2, limitatamente alle parole: "da parte dell'Istituto nazionale per l'assicurazione

contro gli infortuni sul lavoro";

Articolo 149;

Articolo 152;

Articolo 154;

Articolo 157, comma 7, limitatamente alle parole: "con il concorso dell'Istituto nazionale della previdenza

sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro";

Articolo 177, lettera e), limitatamente alle parole: "all'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli

infortuni sul lavoro";

nonché del D.lgs. 30 giugno 1994, n. 479, recante "Attuazione della delega conferita dall'art. 1, comma

32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di riordino e soppressione di enti pubblici di

previdenza e assistenza", e successive modificazioni, limitatamente a:

Articolo 8, comma 3: "Al consiglio di amministrazione dell'INAIL, in aggiunta ai compiti di cui all'art. 3, è

attribuita anche la competenza a decidere in via definitiva i ricorsi attribuiti alla commissione di cui all'art.

39, terzo comma, del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul

lavoro e le malattie professionali approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965,

n. 1124, che è soppressa"; giudizio iscritto al n. 118 del registro referendum.

Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte

di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta e la successiva ordinanza di correzione di errore

materiale del 21 dicembre 1999;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

uditi l'avvocato Gianfranco Palermo per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De Lucia

Michele e l'avvocato Amos Andreoni per la Federazione dei Verdi ed altri, Comitato per le libertà e i diritti

sociali e Partito della Rifondazione Comunista.

Ritenuto in fatto

1.-- L'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione, in applicazione della

legge 25 maggio 1970, n. 352, ha esaminato la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione di una

serie di disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, recante "Testo

unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie

professionali", nonché dell'art. 8, comma 3, del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 479 (Attuazione

della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di riordino e

soppressione di enti pubblici di previdenza e assistenza).

2.-- L'Ufficio centrale, dopo aver verificato, con esito positivo, la regolarità della richiesta, ha rilevato che

il quesito era stato formulato senza tenere conto delle modifiche apportate dalle successive norme

contenute nel decreto-legge 30 dicembre 1987, n. 536 (convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1,

comma 1, della legge 29 febbraio 1988, n. 48), nel decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338 (convertito in

legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 1989, n. 389) e nella legge 27

dicembre 1997, n. 449.

Di conseguenza, detto Ufficio ha provveduto a riformulare il quesito referendario nei seguenti termini:

"Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, recante

"Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie

professionali", limitatamente a:

art. 10, comma 8: "Agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l'indennità d'infortunio è

rappresentata dal valore capitale della rendita liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39"; art.

11, comma 1, limitatamente alle parole: "calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39"; art. 16; art. 18;

art. 28, comma 1, limitatamente alle parole: "con le modalità e nei termini di cui agli articoli 44 - così

come modificato dal successivo punto 2) - e seguenti", e comma 5, limitatamente alle parole: "e versata

con le modalità e nei termini di cui all'art. 44, così come modificato dal successivo punto 2)"; art. 34; art.

35; art. 36; art. 37; art. 38; art. 39; art. 40; art. 41; art. 42; art. 43; art. 44, nell'attuale testo così come

risultante ai sensi dell'art. 10, comma 2, del decreto-legge 30.12.1987, n. 536, convertito in legge

29.2.1988, n. 48, nonché come integrato (quanto al comma 3) dall'art. 59. comma 19, della legge 27

dicembre 1997, n. 449; art. 45, come modificato (quanto al secondo comma) dall'art. 4 del decreto legge

9 ottobre 1989, n. 338, convertito dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389; art. 46; art. 47; art. 48; art. 49;

art. 126; art. 127, come modificato dall'art. 53, comma 7, della legge 27 dicembre 1997, n. 449; art. 128;

art. 129; art. 148, comma 2, limitatamente alle parole: "da parte dell'Istituto nazionale per l'assicurazione

contro gli infortuni sul lavoro; art. 149; art. 152; art. 154; l'art. 157, comma 7, limitatamente alle parole:

"con il concorso dell'Istituto nazionale della previdenza sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione

contro gli infortuni sul lavoro; art. 177, lettera e), limitatamente alle parole: "all'Istituto nazionale per

l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro"; nonché il decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 479,

recante "Attuazione della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in

materia di riordino e soppressione di enti pubblici di previdenza e assistenza", e successive modificazioni

limitatamente a: art. 8, comma 3: "Al consiglio di amministrazione dell'INAIL, in aggiunta ai compiti di cui

all'art. 3, è attribuita anche la competenza a decidere in via definitiva i ricorsi attribuiti alla commissione di

cui all'art. 39, terzo comma, del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli

infortuni sul lavoro e le malattie professionali approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30

giugno 1965, n. 1124, che è soppressa"?

Contestualmente, l'Ufficio centrale ha assegnato a detta richiesta il numero 6, denominando il referendum

col titolo "Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali: abrogazione

dell'esclusiva INAIL in materia".

3.-- Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato il giorno 13 gennaio

2000 per l'udienza in camera di consiglio, dandone regolare comunicazione ai sensi dell'art. 33 della legge

25 maggio 1970, n. 352.

4.-- In prossimità dell'udienza il Comitato promotore ha presentato una memoria, sollecitando una

pronuncia di ammissibilità del referendum.

Osserva detto Comitato che il quesito in esame non tocca in alcun modo il principio dell'obbligatorietà

della tutela assicurativa fissato dall'art. 38 della Costituzione, tanto più che il legislatore non ha provveduto

a dare adeguata attuazione a tale norma, non essendo state approntate le strutture indicate nella Carta

fondamentale. L'obiettivo che il referendum intende promuovere è quello dell'eliminazione di un ostacolo

alla libera affermazione del sistema pluralistico nella materia previdenziale, obiettivo che lo stesso

legislatore dimostra di aver perseguito attraverso la privatizzazione degli enti previdenziali disposta dal

decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509; e d'altra parte resterebbe sempre aperta per il legislatore la

possibilità di un intervento di armonizzazione dell'intero settore.

Nessun dubbio poi sussiste, a dire del Comitato, in ordine ai requisiti di chiarezza e di omogeneità del

quesito referendario, perché la molteplicità delle norme delle quali si chiede l'abrogazione è sorretta da

un'unica ratio ispiratrice, ossia quella del monopolio dell'INAIL nella materia dell'assicurazione contro gli

infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Una volta liberalizzato l'intero settore, la permanenza di

norme come quelle oggetto del quesito si risolverebbe in un ingiustificato privilegio, idoneo a determinare

disparità di trattamento a seconda dell'ente col quale il lavoratore stipula la polizza assicurativa.

5.-- In prossimità del giorno della deliberazione hanno presentato memorie, in cui sostengono

l'inammissibilità del referendum in esame, la Federazione dei verdi, in persona del sen. Natale Ripamonti,

l'Associazione nazionale per la sinistra, in persona dell'on. Sergio Garavini, Alfiero Grandi, nella qualità di

responsabile lavoro dei Democratici di sinistra, nonché il Partito della rifondazione comunista, in persona

del segretario politico on. Fausto Bertinotti, ed il Comitato per le libertà ed i diritti sociali, in persona del

Presidente Paolo Cagna Ninchi.

Considerato in diritto

1.-- La richiesta di referendum abrogativo sulla quale la Corte è chiamata a pronunciarsi riguarda una

serie di articoli del testo unico 30 giugno 1965, n. 1124, contenente la disciplina dell'assicurazione

obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, nonché l'art. 8, comma 3, del decreto

legislativo 30 giugno 1994, n. 479, strettamente connesso ai precedenti. Scopo del quesito è quello di

eliminare la gestione della predetta assicurazione, in regime di sostanziale esclusiva, da parte dell'INAIL, e

consentire ai datori di lavoro l'accesso, in alternativa, alle assicurazioni private; il tutto presupponendo che

la liberalizzazione del mercato di quel settore sia più idonea a garantire la tutela dei lavoratori infortunati.

In ordine a tale obiettivo, il quesito referendario investe, fra gli altri, l'art. 126 del testo unico, che contiene

l'affidamento in esclusiva all'INAIL della predetta assicurazione (per i lavoratori dell'industria), le

procedure per la diffida al datore di lavoro in caso di inadempimento dell'obbligo di denunzia di inizio

dell'attività, le norme che consentono all'ente previdenziale di avvalersi del sistema previsto per la

riscossione dei tributi (artt. 34 e ss.), nonché il metodo di calcolo dei valori capitali delle rendite ed il

meccanismo di ricorso avverso le deliberazioni dell'INAIL in materia di tariffe (artt. 39 e ss.). La

complessa opera di abrogazione, peraltro, dovrebbe svolgersi nella permanenza del principio, sancito

dall'art. 1 del testo unico, dell'obbligatorietà dell'assicurazione contro gli infortuni e le malattie

professionali, e di quello dell'automaticità delle prestazioni (art. 67).

2.-- Preliminarmente va sciolta la riserva sulla ammissibilità della presentazione e dell'illustrazione orale

delle memorie da parte dei soggetti diversi dai presentatori del referendum. Tali soggetti, benché non

menzionati dall'art. 33 della legge n. 352 del 1970, possono tuttavia, per le ragioni indicate da questa

Corte nella sentenza n. 31 del 2000, presentare memorie con la conseguente facoltà di illustrazione orale

in camera di consiglio.

3 -- La materia oggetto della presente proposta referendaria impone un previo richiamo all'art. 38 della

Costituzione: il secondo comma di tale articolo, infatti, garantisce ai lavoratori il diritto "che siano

preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita" anche in caso di infortunio o di malattia

professionale, mentre dal quarto comma deriva l'obbligo che gli obiettivi di tutela previdenziale indicati

nell'articolo stesso vengano conseguiti mediante l'intervento di "organi ed istituti predisposti o integrati

dallo Stato".

Il carattere pubblicistico dell'assicurazione in esame, ravvisabile già in queste disposizioni, informa anche

le peculiarità dell'attuale assetto normativo, i cui connotati furono già evidenziati nella sentenza n. 160 del

1974 di questa Corte, ove si affermò, tra l'altro, che l'utile di impresa è un "fattore estraneo" alle

assicurazioni sociali, la cui funzione è invece esclusivamente quella di "garantire ai beneficiari la sicurezza

del soddisfacimento delle necessità di vita". Ciò è confermato da una serie di disposizioni, quali quella

dell'obbligo per l'INAIL di pagare le rendite in modo automatico ed indipendentemente dalla regolarità dei

versamenti contributivi; quella della suddivisione dell'onere economico complessivo, che grava in gran

parte su di un'ampia platea di datori di lavoro, e solo in misura minima sui lavoratori; e quella relativa

all'esercizio dell'assicurazione con forme di assistenza e di servizio sociale.

Occorre pertanto ribadire in questa sede quanto la Corte ebbe occasione di affermare nella sentenza ora

citata in accordo con la migliore dottrina, ossia che la norma costituzionale "lascia piena libertà allo Stato

di scegliere i modi, le forme, le strutture organizzative ritenute più idonee ed efficienti allo scopo", sempre

che la scelta degli stessi sia tale da costituire "piena garanzia, per i lavoratori, al conseguimento delle

previdenze alle quali hanno diritto, senza dar vita a squilibri e sperequazioni".

4. - Tanto premesso sul piano costituzionale e legislativo, la Corte, richiamandosi alla propria

giurisprudenza in tema di motivi di inammissibilità del referendum, osserva che nel presente caso lo

strumento referendario appare inidoneo a raggiungere il menzionato fine dei proponenti così come

oggettivato nel quesito, dal momento che il medesimo non è suscettibile di essere conseguito per via di

semplice abrogazione parziale della normativa esistente, ma richiederebbe una complessa operazione

legislativa di trasformazione di tale assetto.

Quest'ultimo, infatti, è essenzialmente informato, come si è detto, ai ben diversi criteri: della gestione

pubblicistica, della copertura generale ed indipendente dall'effettivo pagamento dei contributi, e del

finanziamento mediante somme fissate in modo autoritativo, al fine di assicurare il complessivo equilibrio

del sistema. Basti rilevare, in proposito, che il principio di automaticità delle prestazioni - punto essenziale

dell'attuale disciplina - non è di per sé compatibile con un regime nel quale la copertura assicurativa venga

affidata alla libera contrattazione fra singoli datori di lavoro e compagnie private operanti in regime di

concorrenza, quanto meno senza l'introduzione di ulteriori meccanismi di garanzia, cui solo il legislatore

potrebbe dar vita.

In definitiva, agli elettori verrebbe proposta una falsa alternativa che, impedendo loro di conseguire

realmente l'obiettivo annunciato - di assicurare, cioè, un diverso sistema pluralistico compatibile con i

principi della permanente e generalizzata soddisfazione dei diritti garantiti in modo indefettibile dalla

Costituzione - si riverbera sulla stessa possibilità di esprimere correttamente il proprio voto, traducendosi

quindi nell'inammissibilità del referendum.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti indicate in

epigrafe, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione

obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nonché dell'art. 8, comma 3, del

decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 479 (Attuazione della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della

legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di riordino e soppressione di enti pubblici di previdenza e

assistenza), richiesta dichiarata legittima, con ordinanza del 13 dicembre 1999, dall'Ufficio centrale per il

referendum costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 2000

F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata il 7 febbraio 2000

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

SENTENZA N.34

ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI Giudice

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Guido NEPPI MODONA "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

- Dott. Franco BILE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n.

1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione del decreto del Presidente della Repubblica 30

giugno 1965, n. 1124, recante "Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli

infortuni sul lavoro e le malattie professionali" e successive modificazioni, limitatamente a:

Articolo 10, comma 8: "Agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l'indennità d'infortunio è

rappresentata dal valore capitale della rendita liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39.";

Articolo 11, comma 1, limitatamente alle parole: "calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39";

Articolo 16;

Articolo 18;

Articolo 28, comma 1, limitatamente alle parole: "con le modalità e nei termini di cui agli articoli 44 - così

come modificato dal successivo punto 2) - e seguenti", e comma 5, limitatamente alle parole: "e versata

con le modalità e nei termini di cui all'art. 44, così come modificato dal successivo punto 2) ";

Articolo 34;

Articolo 35;

Articolo 36;

Articolo 37;

Articolo 38;

Articolo 39;

Articolo 40;

Articolo 41;

Articolo 42;

Articolo 43;

Articolo 44, nell'attuale testo così come risultante ai sensi dell'art. 10, comma 2, del decreto-legge 30

dicembre 1987, n. 536, convertito in legge 29 febbraio 1988, n. 48, nonché come integrato (quanto al

comma 3) dall'art. 59, comma 19, della legge 27 dicembre 1997, n. 449;

Articolo 45, come modificato (quanto al secondo comma) dall'art. 4 decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338,

convertito dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389;

Articolo 46;

Articolo 47;

Articolo 48;

Articolo 49;

Articolo 126;

Articolo 127, come modificato dall'art. 53, comma 7, della legge 27

dicembre 1997, n. 449;

Articolo 128;

Articolo 129;

Articolo 148, comma 2, limitatamente alle parole: "da parte dell'Istituto nazionale per l'assicurazione

contro gli infortuni sul lavoro";

Articolo 149;

Articolo 152;

Articolo 154;

Articolo 157, comma 7, limitatamente alle parole: "con il concorso dell'Istituto nazionale della previdenza

sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro";

Articolo 177, lettera e), limitatamente alle parole: "all'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli

infortuni sul lavoro";

nonché del D.lgs. 30 giugno 1994, n. 479, recante "Attuazione della delega conferita dall'art. 1, comma

32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di riordino e soppressione di enti pubblici di

previdenza e assistenza", e successive modificazioni, limitatamente a:

Articolo 8, comma 3: "Al consiglio di amministrazione dell'INAIL, in aggiunta ai compiti di cui all'art. 3, è

attribuita anche la competenza a decidere in via definitiva i ricorsi attribuiti alla commissione di cui all'art.

39, terzo comma, del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul

lavoro e le malattie professionali approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965,

n. 1124, che è soppressa"; giudizio iscritto al n. 118 del registro referendum.

Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte

di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta e la successiva ordinanza di correzione di errore

materiale del 21 dicembre 1999;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

uditi l'avvocato Gianfranco Palermo per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De Lucia

Michele e l'avvocato Amos Andreoni per la Federazione dei Verdi ed altri, Comitato per le libertà e i diritti

sociali e Partito della Rifondazione Comunista.

Ritenuto in fatto

1.-- L'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione, in applicazione della

legge 25 maggio 1970, n. 352, ha esaminato la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione di una

serie di disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, recante "Testo

unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie

professionali", nonché dell'art. 8, comma 3, del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 479 (Attuazione

della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di riordino e

soppressione di enti pubblici di previdenza e assistenza).

2.-- L'Ufficio centrale, dopo aver verificato, con esito positivo, la regolarità della richiesta, ha rilevato che

il quesito era stato formulato senza tenere conto delle modifiche apportate dalle successive norme

contenute nel decreto-legge 30 dicembre 1987, n. 536 (convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1,

comma 1, della legge 29 febbraio 1988, n. 48), nel decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338 (convertito in

legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 1989, n. 389) e nella legge 27

dicembre 1997, n. 449.

Di conseguenza, detto Ufficio ha provveduto a riformulare il quesito referendario nei seguenti termini:

"Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, recante

"Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie

professionali", limitatamente a:

art. 10, comma 8: "Agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l'indennità d'infortunio è

rappresentata dal valore capitale della rendita liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39"; art.

11, comma 1, limitatamente alle parole: "calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39"; art. 16; art. 18;

art. 28, comma 1, limitatamente alle parole: "con le modalità e nei termini di cui agli articoli 44 - così

come modificato dal successivo punto 2) - e seguenti", e comma 5, limitatamente alle parole: "e versata

con le modalità e nei termini di cui all'art. 44, così come modificato dal successivo punto 2)"; art. 34; art.

35; art. 36; art. 37; art. 38; art. 39; art. 40; art. 41; art. 42; art. 43; art. 44, nell'attuale testo così come

risultante ai sensi dell'art. 10, comma 2, del decreto-legge 30.12.1987, n. 536, convertito in legge

29.2.1988, n. 48, nonché come integrato (quanto al comma 3) dall'art. 59. comma 19, della legge 27

dicembre 1997, n. 449; art. 45, come modificato (quanto al secondo comma) dall'art. 4 del decreto legge

9 ottobre 1989, n. 338, convertito dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389; art. 46; art. 47; art. 48; art. 49;

art. 126; art. 127, come modificato dall'art. 53, comma 7, della legge 27 dicembre 1997, n. 449; art. 128;

art. 129; art. 148, comma 2, limitatamente alle parole: "da parte dell'Istituto nazionale per l'assicurazione

contro gli infortuni sul lavoro; art. 149; art. 152; art. 154; l'art. 157, comma 7, limitatamente alle parole:

"con il concorso dell'Istituto nazionale della previdenza sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione

contro gli infortuni sul lavoro; art. 177, lettera e), limitatamente alle parole: "all'Istituto nazionale per

l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro"; nonché il decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 479,

recante "Attuazione della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in

materia di riordino e soppressione di enti pubblici di previdenza e assistenza", e successive modificazioni

limitatamente a: art. 8, comma 3: "Al consiglio di amministrazione dell'INAIL, in aggiunta ai compiti di cui

all'art. 3, è attribuita anche la competenza a decidere in via definitiva i ricorsi attribuiti alla commissione di

cui all'art. 39, terzo comma, del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli

infortuni sul lavoro e le malattie professionali approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30

giugno 1965, n. 1124, che è soppressa"?

Contestualmente, l'Ufficio centrale ha assegnato a detta richiesta il numero 6, denominando il referendum

col titolo "Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali: abrogazione

dell'esclusiva INAIL in materia".

3.-- Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato il giorno 13 gennaio

2000 per l'udienza in camera di consiglio, dandone regolare comunicazione ai sensi dell'art. 33 della legge

25 maggio 1970, n. 352.

4.-- In prossimità dell'udienza il Comitato promotore ha presentato una memoria, sollecitando una

pronuncia di ammissibilità del referendum.

Osserva detto Comitato che il quesito in esame non tocca in alcun modo il principio dell'obbligatorietà

della tutela assicurativa fissato dall'art. 38 della Costituzione, tanto più che il legislatore non ha provveduto

a dare adeguata attuazione a tale norma, non essendo state approntate le strutture indicate nella Carta

fondamentale. L'obiettivo che il referendum intende promuovere è quello dell'eliminazione di un ostacolo

alla libera affermazione del sistema pluralistico nella materia previdenziale, obiettivo che lo stesso

legislatore dimostra di aver perseguito attraverso la privatizzazione degli enti previdenziali disposta dal

decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509; e d'altra parte resterebbe sempre aperta per il legislatore la

possibilità di un intervento di armonizzazione dell'intero settore.

Nessun dubbio poi sussiste, a dire del Comitato, in ordine ai requisiti di chiarezza e di omogeneità del

quesito referendario, perché la molteplicità delle norme delle quali si chiede l'abrogazione è sorretta da

un'unica ratio ispiratrice, ossia quella del monopolio dell'INAIL nella materia dell'assicurazione contro gli

infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Una volta liberalizzato l'intero settore, la permanenza di

norme come quelle oggetto del quesito si risolverebbe in un ingiustificato privilegio, idoneo a determinare

disparità di trattamento a seconda dell'ente col quale il lavoratore stipula la polizza assicurativa.

5.-- In prossimità del giorno della deliberazione hanno presentato memorie, in cui sostengono

l'inammissibilità del referendum in esame, la Federazione dei verdi, in persona del sen. Natale Ripamonti,

l'Associazione nazionale per la sinistra, in persona dell'on. Sergio Garavini, Alfiero Grandi, nella qualità di

responsabile lavoro dei Democratici di sinistra, nonché il Partito della rifondazione comunista, in persona

del segretario politico on. Fausto Bertinotti, ed il Comitato per le libertà ed i diritti sociali, in persona del

Presidente Paolo Cagna Ninchi.

Considerato in diritto

1.-- La richiesta di referendum abrogativo sulla quale la Corte è chiamata a pronunciarsi riguarda una

serie di articoli del testo unico 30 giugno 1965, n. 1124, contenente la disciplina dell'assicurazione

obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, nonché l'art. 8, comma 3, del decreto

legislativo 30 giugno 1994, n. 479, strettamente connesso ai precedenti. Scopo del quesito è quello di

eliminare la gestione della predetta assicurazione, in regime di sostanziale esclusiva, da parte dell'INAIL, e

consentire ai datori di lavoro l'accesso, in alternativa, alle assicurazioni private; il tutto presupponendo che

la liberalizzazione del mercato di quel settore sia più idonea a garantire la tutela dei lavoratori infortunati.

In ordine a tale obiettivo, il quesito referendario investe, fra gli altri, l'art. 126 del testo unico, che contiene

l'affidamento in esclusiva all'INAIL della predetta assicurazione (per i lavoratori dell'industria), le

procedure per la diffida al datore di lavoro in caso di inadempimento dell'obbligo di denunzia di inizio

dell'attività, le norme che consentono all'ente previdenziale di avvalersi del sistema previsto per la

riscossione dei tributi (artt. 34 e ss.), nonché il metodo di calcolo dei valori capitali delle rendite ed il

meccanismo di ricorso avverso le deliberazioni dell'INAIL in materia di tariffe (artt. 39 e ss.). La

complessa opera di abrogazione, peraltro, dovrebbe svolgersi nella permanenza del principio, sancito

dall'art. 1 del testo unico, dell'obbligatorietà dell'assicurazione contro gli infortuni e le malattie

professionali, e di quello dell'automaticità delle prestazioni (art. 67).

2.-- Preliminarmente va sciolta la riserva sulla ammissibilità della presentazione e dell'illustrazione orale

delle memorie da parte dei soggetti diversi dai presentatori del referendum. Tali soggetti, benché non

menzionati dall'art. 33 della legge n. 352 del 1970, possono tuttavia, per le ragioni indicate da questa

Corte nella sentenza n. 31 del 2000, presentare memorie con la conseguente facoltà di illustrazione orale

in camera di consiglio.

3 -- La materia oggetto della presente proposta referendaria impone un previo richiamo all'art. 38 della

Costituzione: il secondo comma di tale articolo, infatti, garantisce ai lavoratori il diritto "che siano

preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita" anche in caso di infortunio o di malattia

professionale, mentre dal quarto comma deriva l'obbligo che gli obiettivi di tutela previdenziale indicati

nell'articolo stesso vengano conseguiti mediante l'intervento di "organi ed istituti predisposti o integrati

dallo Stato".

Il carattere pubblicistico dell'assicurazione in esame, ravvisabile già in queste disposizioni, informa anche

le peculiarità dell'attuale assetto normativo, i cui connotati furono già evidenziati nella sentenza n. 160 del

1974 di questa Corte, ove si affermò, tra l'altro, che l'utile di impresa è un "fattore estraneo" alle

assicurazioni sociali, la cui funzione è invece esclusivamente quella di "garantire ai beneficiari la sicurezza

del soddisfacimento delle necessità di vita". Ciò è confermato da una serie di disposizioni, quali quella

dell'obbligo per l'INAIL di pagare le rendite in modo automatico ed indipendentemente dalla regolarità dei

versamenti contributivi; quella della suddivisione dell'onere economico complessivo, che grava in gran

parte su di un'ampia platea di datori di lavoro, e solo in misura minima sui lavoratori; e quella relativa

all'esercizio dell'assicurazione con forme di assistenza e di servizio sociale.

Occorre pertanto ribadire in questa sede quanto la Corte ebbe occasione di affermare nella sentenza ora

citata in accordo con la migliore dottrina, ossia che la norma costituzionale "lascia piena libertà allo Stato

di scegliere i modi, le forme, le strutture organizzative ritenute più idonee ed efficienti allo scopo", sempre

che la scelta degli stessi sia tale da costituire "piena garanzia, per i lavoratori, al conseguimento delle

previdenze alle quali hanno diritto, senza dar vita a squilibri e sperequazioni".

4. - Tanto premesso sul piano costituzionale e legislativo, la Corte, richiamandosi alla propria

giurisprudenza in tema di motivi di inammissibilità del referendum, osserva che nel presente caso lo

strumento referendario appare inidoneo a raggiungere il menzionato fine dei proponenti così come

oggettivato nel quesito, dal momento che il medesimo non è suscettibile di essere conseguito per via di

semplice abrogazione parziale della normativa esistente, ma richiederebbe una complessa operazione

legislativa di trasformazione di tale assetto.

Quest'ultimo, infatti, è essenzialmente informato, come si è detto, ai ben diversi criteri: della gestione

pubblicistica, della copertura generale ed indipendente dall'effettivo pagamento dei contributi, e del

finanziamento mediante somme fissate in modo autoritativo, al fine di assicurare il complessivo equilibrio

del sistema. Basti rilevare, in proposito, che il principio di automaticità delle prestazioni - punto essenziale

dell'attuale disciplina - non è di per sé compatibile con un regime nel quale la copertura assicurativa venga

affidata alla libera contrattazione fra singoli datori di lavoro e compagnie private operanti in regime di

concorrenza, quanto meno senza l'introduzione di ulteriori meccanismi di garanzia, cui solo il legislatore

potrebbe dar vita.

In definitiva, agli elettori verrebbe proposta una falsa alternativa che, impedendo loro di conseguire

realmente l'obiettivo annunciato - di assicurare, cioè, un diverso sistema pluralistico compatibile con i

principi della permanente e generalizzata soddisfazione dei diritti garantiti in modo indefettibile dalla

Costituzione - si riverbera sulla stessa possibilità di esprimere correttamente il proprio voto, traducendosi

quindi nell'inammissibilità del referendum.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti indicate in

epigrafe, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione

obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nonché dell'art. 8, comma 3, del

decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 479 (Attuazione della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della

legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di riordino e soppressione di enti pubblici di previdenza e

assistenza), richiesta dichiarata legittima, con ordinanza del 13 dicembre 1999, dall'Ufficio centrale per il

referendum costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 2000

F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata il 7 febbraio 2000

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

SENTENZA N.35

ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI Giudice

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Avv. Massimo VARI "

- Dott. Cesare RUPERTO "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Guido NEPPI MODONA "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

- Dott. Franco BILE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n.

1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione del decreto del Presidente della Repubblica 29

settembre 1973, n. 600, recante "Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi"

e successive modificazioni, limitatamente a:

- articolo 23;

- articolo 25, comma 1: "I soggetti indicati nel primo comma dell'art. 23, che corrispondono a soggetti

residenti nel territorio dello Stato compensi comunque denominati, anche sotto forma di partecipazione

agli utili, per prestazioni di lavoro autonomo, ancorché non esercitate abitualmente ovvero siano rese a

terzi o nell'interesse di terzi, devono operare all'atto del pagamento una ritenuta del 20 per cento a titolo di

acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai percipienti, con l'obbligo di rivalsa. La

predetta ritenuta deve essere operata dal condominio quale sostituto d'imposta anche sui compensi

percepiti dall'amministratore di condominio. La stessa ritenuta deve essere operata sulla parte imponibile

delle somme di cui alla lettera b) e sull'intero ammontare delle somme di cui alle lettere a) e c) del terzo

comma dell'art. 49 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597. La ritenuta è elevata al 20 per cento per le

indennità di cui alle lettere f) e g) dell'art. 12 del decreto stesso. La ritenuta non deve essere operata per le

prestazioni effettuate nell'esercizio di imprese";

- nonché la legge 27 dicembre 1997, n. 449, recante "Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica"

e successive modificazioni, limitatamente all'articolo 21, comma 15, in ordine alle parole: "Le disposizioni

in materia di ritenute alla fonte previste nel titolo III del decreto del Presidente della Repubblica 29

settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, nonché," giudizio iscritto al n. 133 del registro

referendum.

Vista l'ordinanza del 7 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di

cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;

udito nella camera di consiglio del 18 gennaio 2000 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

udito l'avvocato Giulio Tremonti per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De Lucia

Michele.

Ritenuto in fatto

1.- L'Ufficio centrale per il referendum istituito presso la Corte di cassazione, in applicazione della legge

25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni, ha esaminato la richiesta di referendum popolare sul

seguente quesito: Volete voi che sia abrogato il decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre

1973, n. 600 recante "Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi" e

successive modificazioni, limitatamente all'art. 23 e all'art. 25, primo comma (I soggetti indicati nel primo

comma dell'art. 23, che corrispondono a soggetti residenti nel territorio dello Stato compensi comunque

denominati, anche sotto forma di partecipazione agli utili, per prestazioni di lavoro autonomo, ancorché

non esercitate abitualmente ovvero siano rese a terzi o nell'interesse di terzi, devono operare all'atto del

pagamento una ritenuta del venti per cento a titolo di acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche

dovuta dai percepienti, con l'obbligo di rivalsa. La stessa ritenuta deve essere operata dal condominio

quale sostituto di imposta anche sui compensi percepiti dall'amministratore di condominio. La stessa

ritenuta deve essere operata sulla parte imponibile delle somme di cui alla lettera b) e sull'intero

ammontare delle somme di cui alle lettere a) e c) del terzo comma dell'art. 49 del d.P.R. 29 settembre

1973, n. 597. La ritenuta è elevata al venti per cento per le indennità di cui alle lettere f) e g) dell'art. 12

del decreto stesso. La ritenuta non deve essere operata per le prestazioni effettuate nell'esercizio di

imprese)?; nonché la legge 27 dicembre 1997, n.449, recante "Misure per la stabilizzazione della finanza

pubblica" e successive modificazioni, limitatamente all'art. 21, comma 15, in ordine alle parole:"(Le

disposizioni in materia di ritenute alla fonte previste nel titolo III del decreto del Presidente della

Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, nonché)?"

2.- L'Ufficio centrale, verificata con esito positivo la regolarità della richiesta e la persistente vigenza

dell'atto normativo cui si riferisce, l'ha dichiarata legittima.

Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato il giorno 13 gennaio 2000

per la conseguente deliberazione, dandone regolare comunicazione. Con successivo decreto la data di

deliberazione è stata rinviata al 18 gennaio.

3.- In prossimità della camera di consiglio hanno presentato memoria i promotori del referendum,

insistendo per la declaratoria di ammissibilità della richiesta.

Premette la difesa che la ratio dell'art. 75, secondo comma, della Costituzione non sarebbe quella di

introdurre un limite assoluto alla sovranità popolare in materia tributaria, ma solo quella di contrastare

possibili forme di demagogia fiscale che potrebbero privare lo Stato dei mezzi finanziari per effetto del

referendum abrogativo. Da ciò discenderebbe che non tutte le leggi che disciplinano il rapporto

Fisco-contribuente rientrano nel campo d'applicazione dell'art. 75 della Costituzione, ma solo quelle di

imposizione del tributo, la cui rimozione unilaterale altererebbe la struttura del bilancio; con la

conseguenza che le leggi strumentali o complementari che disciplinano solo una modalità di riscossione del

tributo, quali sono quelle oggetto della presente richiesta referendaria, andrebbero ritenute estranee al

divieto di cui alla norma citata.

4.- Nella camera di consiglio del 18 gennaio 2000 è stato udito, per i promotori del referendum,

l'avvocato Giulio Tremonti.

Considerato in diritto

1.- La richiesta di referendum abrogativo, sulla cui ammissibilità la Corte è chiamata a pronunciarsi a

seguito della ordinanza dell'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione, investe il

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 recante "Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte

sui redditi" e successive modificazioni, limitatamente agli artt. 23 e 25, primo comma, nonché l'art. 2l,

comma 15, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 recante "Misure per la stabilizzazione della finanza

pubblica".

Le prime di tali disposizioni prevedono che i soggetti indicati nel primo comma dell'art 23, che

corrispondono a soggetti residenti nel territorio dello Stato compensi comunque denominati, per

prestazioni sia di lavoro dipendente sia di lavoro autonomo, ancorché non esercitate abitualmente, ovvero

rese a terzi o nell'interesse degli stessi (art 25, primo comma), devono operare all'atto del pagamento una

ritenuta a titolo di acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai percipienti.

L'art. 21, comma 15, della legge n. 449 del 1997 estende la portata delle precedenti disposizioni al caso in

cui il pagamento sia eseguito mediante pignoramento anche presso terzi, in base ad ordinanza di

assegnazione, qualora il credito sia riferito a somme per le quali, ai sensi delle predette disposizioni, deve

essere operata una ritenuta alla fonte.

2.- La richiesta referendaria sottoposta al presente giudizio non è ammissibile.

Deve essere anzitutto osservato che le sentenze di questa Corte n. 37 del 1997 e n. 11 del 1995, hanno

già dichiarato inammissibili analoghe richieste referendarie.

Nel confermare le motivazioni di quelle decisioni, ritiene la Corte che con la dizione "leggi tributarie"

contenuta nell'art. 75, secondo comma, della Costituzione, il legislatore costituente abbia fatto riferimento

a tutte quelle disposizioni che disciplinano il rapporto tributario nel suo insieme. In essa rientrano,

pertanto, sia le norme che riguardano il momento costitutivo dell'imposizione sia quelle che disciplinano gli

aspetti dinamici del rapporto, e cioè il suo svolgimento nell'accertamento e nell'applicazione del tributo con

la riscossione dello stesso. Orbene, le disposizioni oggetto della presente richiesta referendaria attengono e

al momento accertativo ed a quello attuativo della fattispecie impositrice.

Giova ribadire in proposito che gli strumenti di attuazione della pretesa fiscale possono ritenersi parte

integrante della normativa tributaria sol che si consideri che la mancanza di una disciplina idonea a

garantire l'applicazione del prelievo renderebbe inefficace il mero apprestamento della norma sostanziale

del tributo. Per quanto riguarda il sistema del prelievo alla fonte, la sussistenza di uno stretto legame tra

tale disciplina e la concreta realizzazione del tributo non può essere messa in dubbio, in quanto la

effettività dell'imposizione sul reddito dipende in modo rilevante dai particolari meccanismi previsti, non

tanto per la conoscibilità dei soggetti percettori di reddito, quanto per la riscossione materiale dei tributi.

Va pertanto confermato che il sistema della ritenuta alla fonte, come ritenuto più volte da questa Corte

(sentenze nn. 364 del 1987, 128 del 1986 e 92 del 1972), risponde vuoi all'interesse fiscale della

immediata percezione delle somme, vuoi a criteri di tecnica tributaria che ne agevolano il prelievo; e

nessun pregio può avere, al riguardo, il fatto che possano utilizzarsi anche altri strumenti di accertamento e

documentazione diversi da quello scelto dal legislatore e che si intende abrogare con la consultazione

popolare.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti indicate in

epigrafe, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle

imposte sui redditi) e successive modificazioni, nonché della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per

la stabilizzazione della finanza pubblica) richiesta dichiarata legittima, con ordinanza in data 7 dicembre

1999, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 2000

F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata il 7 febbraio 2000

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

SENTENZA N.36

ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI Giudice

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Avv. Massimo VARI "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Guido NEPPI MODONA "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

- Dott. Franco BILE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11

marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 20

maggio 1970, n. 300, recante "Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della

libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento" e

successive modificazioni, limitatamente all'art. 18, come modificato dall'art. 1 della legge 11

maggio 1990, n. 108, giudizio iscritto al n. 128 del registro referendum.

Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum

presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Massimo Vari;

uditi gli avvocati Edoardo Ghera e Antonio Vallebona per i presentatori Daniele Capezzone,

Mariano Giustino e Michele De Lucia; l'avvocato Mario Salerni per l'associazione Progetto

Diritti o.n.l.u.s., per la Federazione delle Rappresentanze Sindacali di Base e per il Centro

di ricerca ed elaborazione per la democrazia; gli avvocati Piergiovanni Alleva e Vittorio

Angiolini per la Federazione dei Verdi ed altri, per il Comitato per le libertà e i diritti

sociali e per il Partito della Rifondazione Comunista.

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza emessa il 7 dicembre 1999, l'Ufficio centrale per il referendum, costituito

presso la Corte di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, ha preso in

esame la richiesta di referendum per sottoporre a votazione popolare il seguente quesito:

"Volete voi che sia abrogata la legge 20 maggio 1970, n. 300, recante "Norme sulla tutela della

libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi

di lavoro e norme sul collocamento" e successive modificazioni, limitatamente all'art. 18?".

2. Detto Ufficio, nel dichiarare che la richiesta di referendum di iniziativa popolare è

conforme alla legge (ai sensi dell'art. 32 della menzionata legge n. 352 del 1970), ha disposto

l'integrazione del testo del quesito con il richiamo alle modificazioni apportate dall'art. 1

della legge 11 maggio 1990, n. 108, e lo ha così riformulato:

"Volete voi che sia abrogata la legge 20 maggio 1970, n. 300, recante "Norme sulla tutela della

libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi

di lavoro e norme sul collocamento" e successive modificazioni, limitatamente all'art. 18, come

modificato dall'art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108?".

Al fine di identificare l'oggetto del referendum, l'Ufficio medesimo ha, inoltre, stabilito

(in applicazione dell'art. 32, ultimo comma, della già menzionata legge n. 352 del 1970,

introdotto dall'art. 1 della legge 17 maggio 1995, n. 173) che la denominazione del referendum

sia: "Licenziamenti: Abrogazione delle norme sulla reintegrazione del posto di lavoro".

3. Il Presidente di questa Corte, ricevuta comunicazione della sopra menzionata ordinanza

del 7 dicembre 1999, ha fissato, per le conseguenti deliberazioni, l'adunanza in camera di

consiglio per il 13 gennaio 2000, disponendone comunicazione ai presentatori della richiesta di

referendum ed al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo comma,

della legge 25 maggio 1970, n. 352.

4. Nell'imminenza della camera di consiglio, Daniele Capezzone, Mariano Giustino e Michele De

Lucia, presentatori della richiesta di referendum abrogativo di cui in epigrafe, hanno

depositato, con il patrocinio degli avvocati Edoardo Ghera, Sergio Magrini e Antonio Vallebona,

una memoria con la quale chiedono che il referendum sia dichiarato ammissibile.

5. L'associazione Progetto Diritti o.n.l.u.s., la Federazione delle rappresentanze sindacali

di base e il Centro di ricerca ed elaborazione per la democrazia hanno congiuntamente

depositato, con il patrocinio dell'avvocato Mario Salerni, un "atto di intervento e memoria",

al fine di sentire dichiarare inammissibile il quesito.

6. A loro volta, il Comitato per la libertà e i diritti sociali, il Partito della

Rifondazione Comunista, nonché la Federazione dei Verdi, congiuntamente con l'Associazione

nazionale per la sinistra e con "Alfiero Grandi, nella sua qualità di responsabile del lavoro

dei D.S. - Democratici di Sinistra", hanno depositato, con il patrocinio degli avvocati

Piergiovanni Alleva, Amos Andreoni, Vittorio Angiolini e Pier Luigi Panici, tre distinti "atti

di intervento, memoria e contributo", nei quali vengono svolte identiche considerazioni al fine

di sentire dichiarare inammissibile il quesito referendario.

7. Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000, l'avv. Antonio Vallebona, per i

presentatori, ha eccepito preliminarmente che gli altri soggetti che hanno depositato memorie

non hanno in realtà titolo per partecipare al presente giudizio. Tesi, questa, contrastata

dall'avvocato Vittorio Angiolini.

Nel merito, l'avvocato Vallebona, insieme all'avvocato Edoardo Ghera, ha illustrato le

argomentazioni a sostegno dell'ammissibilità del referendum prospettate nella memoria.

Essendosi la Corte riservata di decidere in sentenza sull'ammissibilità delle memorie e

dell'audizione dei soggetti diversi dai presentatori, è stato, altresì, sentito per il Comitato

per la libertà e i diritti sociali, il Partito della Rifondazione comunista, la Federazione dei

Verdi, l'Associazione nazionale per la sinistra e "Alfiero Grandi nella sua qualità di

responsabile del lavoro dei D.S. - Democratici di sinistra", l'avvocato Piergiovanni Alleva, il

quale ha illustrato le già dedotte ragioni di inammissibilità della richiesta referendaria. A

tali argomentazioni si è associato l'avvocato Mario Salerni, per l'associazione Progetto

Diritti o.n.l.u.s., la Federazione delle rappresentanze sindacali di base, il Centro di ricerca

ed elaborazione per la democrazia.

Considerato in diritto

1. Va preliminarmente dichiarata, per le ragioni esposte nella sentenza n. 31 del 2000, la

ricevibilità delle memorie depositate dai soggetti diversi dai presentatori della richiesta di

referendum, con la conseguente illustrazione orale.

2. La richiesta di referendum abrogativo, sulla cui ammissibilità la Corte è chiamata a

pronunziarsi, investe l'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della

libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul

collocamento), nel testo vigente, quale risulta dalle modifiche di cui all'art. 1 della legge

11 maggio 1990, n. 108 (Disciplina dei licenziamenti individuali).

La disposizione oggetto del quesito prevede la c.d. tutela reale contro il licenziamento,

tutela il cui tratto fondamentale è rappresentato dal potere del giudice, nei casi di recesso

inefficace, nullo ovvero ingiustificato, di ordinare al datore di lavoro di reintegrare il

dipendente nel posto di lavoro e di corrispondergli una indennità dal giorno del licenziamento

a quello dell'effettiva reintegrazione.

3. E' opportuno rammentare, brevemente, in prospettiva diacronica, come l'originaria

normativa del codice civile del 1942 contemplasse la piena libertà di recesso (c.d. recesso ad

nutum) del datore di lavoro nel rapporto a tempo indeterminato, con il limite dell'obbligo di

preavviso, ovvero della corresponsione di un'indennità sostitutiva (art. 2118 cod. civ.);

obbligo che, peraltro, veniva meno in presenza di una giusta causa di risoluzione del rapporto

lavorativo, tale da non consentirne la prosecuzione, anche provvisoria (art. 2119 cod. civ.).

Detta disciplina sopravvisse, nella sua generale portata, sino alla legge 15 luglio 1966, n.

604, con la quale fu introdotto il diverso principio di necessaria giustificazione del

licenziamento (art. 1), richiedendosi a tal fine che l'atto di recesso del datore di lavoro

fosse, comunque, sorretto da una "giusta causa" (art. 2119 cod. civ.) ovvero da un

"giustificato motivo" (art. 3 della legge n. 604 del 1966), alla cui insussistenza conseguiva

l'obbligo del medesimo di riassumere il dipendente o, alternativamente, di versagli una

indennità risarcitoria, secondo quanto stabilito dall'art. 8 della stessa legge n. 604. A tale

regime, detto di tutela obbligatoria, dal quale erano esclusi, in linea generale (e salvo

ulteriori specifiche esclusioni), i datori di lavoro che occupassero sino a 35 dipendenti (art.

11), ha fatto poi seguito la legge 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. statuto dei lavoratori), che,

con l'art. 18, ha introdotto, per i casi di accertata inefficacia, nullità o mancanza di

giustificazione del licenziamento, il regime di c.d. tutela reale del posto di lavoro, sia pure

limitandone l'applicazione (art. 35 della stessa legge n. 300) alle imprese, industriali e

commerciali, che occupassero più di 15 dipendenti nell'ambito dell'unità produttiva ovvero

nell'ambito dello stesso comune, nonché alle imprese agricole che occupassero, in analoghe

situazioni, più di 5 dipendenti. La stessa norma ha, inoltre, previsto (dal quarto al settimo

comma) una speciale procedura atta a garantire, nello stesso ambito di materia, la sollecita

risoluzione delle controversie nelle quali è parte il lavoratore sindacalista.

La c.d. tutela reale, nei termini in cui risulta attualmente disciplinata dopo l'intervento in

materia della legge 11 maggio 1990, n. 108 (art. 1), comporta, oltre all'obbligo di

reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, quello del risarcimento del danno dal

medesimo subito, in ragione di una indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal

giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegrazione (e in ogni caso, non inferiore a

5 mensilità della retribuzione globale di fatto), cui si aggiunge il versamento, per lo stesso

periodo, dei contributi assistenziali e previdenziali. Spetta, inoltre, al lavoratore la

facoltà di richiedere, in luogo della reintegrazione nel posto di lavoro, il pagamento di una

indennità sostitutiva pari a 15 mensilità della retribuzione globale di fatto.

Dai sopra menzionati interventi normativi è derivato un quadro di disciplina che, secondo le

indicazioni della medesima legge n. 108 del 1990, comporta:

un'area di applicazione dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970 che riguarda tutti i datori

di lavoro, imprenditori o non, nell'ambito dei previsti limiti dimensionali, ma con estensione

dell'area stessa all'ulteriore ipotesi di datori di lavoro che occupino più di 60 dipendenti

(art. 1);

un'area di applicazione della legge n. 604 del 1966, estesa ai datori di lavoro,

imprenditori non agricoli e non imprenditori, che occupino sino a 15 dipendenti (sino a 5

dipendenti nei confronti degli imprenditori agricoli), ovvero che occupino sino a 60 dipendenti

qualora non sia applicabile l'art. 18 della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla stessa

legge n. 108 del 1990 (art. 2, comma 1);

l'applicazione della tutela reale, ex art. 18, nel caso di licenziamento discriminatorio,

quale che sia il numero dei dipendenti occupati, con estensione di siffatta tutela anche ai

dirigenti (art. 3);

la restrizione (art. 4), ferma restando la tutela di cui al precedente art. 3 nell'ipotesi

di licenziamento discriminatorio, dell'area di libera recedibilità a talune circoscritte

ipotesi, specificamente individuate ovvero chiaramente desumibili in via di interpretazione:

lavoro domestico (legge n. 339 del 1958); lavoratori ultrasessantenni in possesso dei requisiti

pensionistici (salvo che abbiano optato per la prosecuzione del rapporto lavorativo); dirigenti

(eccezione ricavabile dal fatto che l'art. 10 della legge n. 604 del 1966 non è stato oggetto

di modifica);

l'esclusione (art. 4), infine, della tutela reale nei confronti delle c.d. "organizzazioni

di tendenza" che non abbiano fini di lucro (le quali, secondo la consolidata giurisprudenza,

sono soggette al regime di tutela obbligatoria).

Per una più esauriente illustrazione delle disposizioni vigenti in materia, non va ignorata,

infine, la legge 9 febbraio 1999, n. 30, recante "Ratifica ed esecuzione della Carta sociale

europea, riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996". Detta Carta, entrata in

vigore il 1 settembre 1999, contiene disposizioni volte a circondare di specifiche garanzie la

posizione dei prestatori di lavoro contro i licenziamenti, prevedendo, in particolare (art.

24), l'impegno delle parti contraenti a riconoscere il diritto dei lavoratori a non essere

licenziati senza un valido motivo; il diritto dei lavoratori licenziati senza valido motivo "ad

un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione"; il diritto dei lavoratori stessi a

ricorrere davanti ad un organo imparziale.

3. Tanto premesso sulla normativa vigente in tema di licenziamenti individuali, la Corte

rileva che il quesito risulta formulato in modo univoco e chiaro, investendo una disciplina

unitaria, contenuta in un solo articolo di legge, in riferimento ad un tipo specifico di tutela

avverso il licenziamento individuale. Il tutto in vista di effetti meramente abrogativi e non

manipolativi.

4. Non ricorre, inoltre, alcuna delle ipotesi ostative espressamente elencate all'art. 75,

secondo comma, della Costituzione.

5. La richiesta non trova ostacolo nemmeno nei limiti impliciti al referendum che la

giurisprudenza di questa Corte ha individuato nella inammissibilità di quesiti che investono

leggi c.d. "a contenuto costituzionalmente vincolato", in quanto vertono su disposizioni la cui

abrogazione si traduce in una lesione di principi costituzionali. Ipotesi, questa, nella quale

la Corte, con successive puntualizzazioni, è venuta ad annoverare anche le leggi ordinarie la

cui eliminazione determinerebbe la soppressione di ogni tutela per situazioni che tale tutela

esigono secondo Costituzione.

Sotto questo profilo, va osservato che la disposizione oggetto di quesito è indubbiamente

manifestazione di quell'indirizzo di progressiva garanzia del diritto al lavoro previsto dagli

artt. 4 e 35 della Costituzione, che ha portato, nel tempo, ad introdurre temperamenti al

potere di recesso del datore di lavoro, secondo garanzie affidate alla discrezionalità del

legislatore, non solo quanto alla scelta dei tempi, ma anche dei modi d'attuazione (sentenze n.

194 del 1970, n. 129 del 1976 e n. 189 del 1980).

In riferimento a tale discrezionalità, è da escludere, tuttavia, che la disposizione che si

intende sottoporre a consultazione, per quanto espressiva di esigenze ricollegabili ai

menzionati principi costituzionali, concreti l'unico possibile paradigma attuativo dei principi

medesimi.

Pertanto, l'eventuale abrogazione della c.d. tutela reale avrebbe il solo effetto di espungere

uno dei modi per realizzare la garanzia del diritto al lavoro, che risulta ricondotta, nelle

discipline che attualmente vigono sia per la tutela reale che per quella obbligatoria, al

criterio di fondo della necessaria giustificazione del licenziamento. Né, una volta rimosso

l'art. 18 della legge n. 300 del 1970, verrebbe meno ogni tutela in materia di licenziamenti

illegittimi, in quanto resterebbe, comunque, operante nell'ordinamento, anche alla luce dei

principi desumibili dalla Carta sociale europea, ratificata e resa esecutiva con legge 9

febbraio 1999, n. 30, la tutela obbligatoria prevista dalla legge 15 luglio 1966, n. 604, come

modificata dalla legge 11 maggio 1990, n. 108, la cui tendenziale generalità deve essere qui

sottolineata.

6. Non costituisce, d'altro canto, ostacolo alla chiarezza del quesito l'esistenza di altre

disposizioni, non investite dal quesito stesso, quali gli artt. 5, comma 3, e 17 della legge 23

luglio 1991, n. 223, nonché l'art. 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, che in materia,

rispettivamente, di procedure di mobilità dei lavoratori e di licenziamento discriminatorio,

rinviano, sotto il profilo sanzionatorio, alla disciplina vigente dell'art. 18 della legge n.

300 del 1970.

Va da sé, infatti, che, per tali disposizioni, si produrranno, eventualmente, i normali effetti

caducatori o di adattamento, la cui individuazione esula dai compiti di questa Corte.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare, così come integrata a seguito

dell'ordinanza dell'Ufficio centrale per il referendum del 7-13 dicembre 1999, per

l'abrogazione della legge 20 maggio 1970, n. 300, recante "Norme sulla tutela della libertà e

dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro

e norme sul collocamento" e successive modificazioni, limitatamente all'art. 18, come

modificato dall'art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108; richiesta dichiarata legittima, con

la suddetta ordinanza, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di

cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3

febbraio 2000

F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata il 7 febbraio 2000

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

SENTENZA N.37

ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI Giudice

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Avv. Massimo VARI "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Guido NEPPI MODONA "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

- Dott. Franco BILE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11

marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 8

agosto 1995, n. 335, recante "Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare",

e successive modificazioni, limitatamente all'art. 1, limitatamente a:

comma 26: "Per i lavoratori dipendenti iscritti alle forme previdenziali di cui al comma 25,

fermo restando il requisito dell'anzianità contributiva pari o superiore a trentacinque anni,

nella fase di prima applicazione, il diritto alla pensione di anzianità si consegue in

riferimento agli anni indicati nell'allegata tabella B, con il requisito anagrafico di cui

alla medesima tabella B, colonna 1, ovvero, a prescindere dall'età anagrafica, al

conseguimento della maggiore anzianità contributiva di cui alla medesima tabella B, colonna

2.";

comma 27: "Il diritto alla pensione anticipata di anzianità per le forme esclusive

dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti è

conseguibile, nella fase transitoria, oltre che nei casi previsti dal comma 26, anche: a)

ferma restando l'età anagrafica prevista dalla citata tabella B, in base alla previgente

disciplina degli ordinamenti previdenziali di appartenenza ivi compresa l'applicazione delle

riduzioni percentuali sulle prestazioni di cui all'articolo 11, comma 16, della legge 24

dicembre 1993, n. 537; b) a prescindere dall'età anagrafica di cui alla lettera a), in

presenza dei requisiti di anzianità contributiva indicati nell'allegata tabella C, con

applicazione delle riduzioni percentuali sulle prestazioni di cui all'allegata tabella D che

operano altresì per i casi di anzianità contributiva ricompresa tra i 29 e i 37 anni alla data

del 31 dicembre 1995. I lavoratori, ai quali si applica la predetta tabella D, possono

accedere al pensionamento al 1 gennaio dell'anno successivo a quello di maturazione del

requisito contributivo prescritto.";

comma 28: "Per i lavoratori autonomi iscritti all'assicurazione generale obbligatoria, oltre

che nell'ipotesi di cui al comma 25, lettera b), il diritto alla pensione di anzianità si

consegue al raggiungimento di un'anzianità contributiva non inferiore a 35 anni ed al

compimento del cinquantasettesimo anno di età. Per il biennio 1996-1997 il predetto requisito

di età anagrafica è fissato al compimento del cinquantaseiesimo anno di età.";

comma 29: "I lavoratori, che risultano essere in possesso dei requisiti di cui ai commi 25,

26, 27, lettera a), e 28: entro il primo trimestre dell'anno, possono accedere al

pensionamento di anzianità al 1 luglio dello stesso anno, se di età pari o superiore a 57

anni; entro il secondo trimestre, possono accedere al pensionamento al 1 ottobre dello stesso

anno, se di età pari o superiore a 57 anni; entro il terzo trimestre, possono accedere al

pensionamento al 1 gennaio dell'anno successivo; entro il quarto trimestre, possono accedere

al pensionamento al 1 aprile dell'anno successivo. In fase di prima applicazione, la

decorrenza delle pensioni è fissata con riferimento ai requisiti di cui alla allegata tabella

E per i lavoratori dipendenti e autonomi, secondo le decorrenze ivi indicate. Per i lavoratori

iscritti ai regimi esclusivi dell'assicurazione generale obbligatoria, che accedono al

pensionamento secondo quanto previsto dal comma 27, lettera b), la decorrenza della pensione è

fissata al 1 gennaio dell'anno successivo a quello di maturazione del requisito di anzianità

contributiva.";

comma 30: "All'articolo 13, comma 5, lettera c), della legge 23 dicembre 1994, n. 724, le

parole: "fino a 30 anni" sono sostituite dalle seguenti: "inferiore a 31 anni". Per i

lavoratori dipendenti privati e pubblici in possesso alla data del 31 dicembre 1993 del

requisito dei 35 anni di contribuzione di cui all'articolo 13, comma 10, della legge 23

dicembre 1994, n. 724, la decorrenza della pensione, ove non già stabilita con decreto

ministeriale emanato ai sensi del medesimo comma, è fissata al 1 settembre 1995. I lavoratori

autonomi iscritti all'INPS, in possesso del requisito contributivo di cui al predetto articolo

13, alla data del 31 dicembre 1993 ivi indicata, possono accedere al pensionamento al 1

gennaio 1996.";

comma 36: "I limiti di età anagrafica, di cui ai commi 25, 26, 27 e 28, sono ridotti fino ad

un anno per i lavoratori nei cui confronti trovano applicazione le disposizioni di cui al

decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 374, come modificato ai sensi dei commi 34 e 35.",

giudizio iscritto al n. 130 del registro referendum.

Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum

presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Massimo Vari;

uditi gli avvocati Maurizio Cinelli e Beniamino Caravita di Toritto per i presentatori Daniele

Capezzone, Mariano Giustino e Michele De Lucia.

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza emessa il 7 dicembre 1999, l'Ufficio centrale per il referendum, costituito

presso la Corte di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, ha

dichiarato la legittimità (ai sensi dell'art. 32) della richiesta di referendum per sottoporre

a votazione popolare il seguente quesito:

"Volete voi che sia abrogata la legge 8 agosto 1995, n. 335, recante: "Riforma del sistema

pensionistico obbligatorio e complementare", e successive modificazioni, limitatamente all'art.

1, limitatamente a:

comma 26: "Per i lavoratori dipendenti iscritti alle forme previdenziali di cui al comma 25,

fermo restando il requisito dell'anzianità contributiva pari o superiore a trentacinque anni,

nella fase di prima applicazione, il diritto alla pensione di anzianità si consegue in

riferimento agli anni indicati nell'allegata tabella B, con il requisito anagrafico di cui

alla medesima tabella B, colonna 1, ovvero, a prescindere dall'età anagrafica, al

conseguimento della maggiore anzianità contributiva di cui alla medesima tabella B, colonna

2.";

comma 27: "Il diritto alla pensione anticipata di anzianità per le forme esclusive

dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti è

conseguibile, nella fase transitoria, oltre che nei casi previsti dal comma 26, anche: a)

ferma restando l'età anagrafica prevista dalla citata tabella B, in base alla previgente

disciplina degli ordinamenti previdenziali di appartenenza ivi compresa l'applicazione delle

riduzioni percentuali sulle prestazioni di cui all'articolo 11, comma 16, della legge 24

dicembre 1993, n. 537; b) a prescindere dall'età anagrafica di cui alla lettera a), in

presenza dei requisiti di anzianità contributiva indicati nell'allegata tabella C, con

applicazione delle riduzioni percentuali sulle prestazioni di cui all'allegata tabella D che

operano altresì per i casi di anzianità contributiva ricompresa tra i 29 e i 37 anni alla data

del 31 dicembre 1995. I lavoratori, ai quali si applica la predetta tabella D, possono

accedere al pensionamento al 1 gennaio dell'anno successivo a quello di maturazione del

requisito contributivo prescritto.";

comma 28: "Per i lavoratori autonomi iscritti all'assicurazione generale obbligatoria, oltre

che nell'ipotesi di cui al comma 25, lettera b), il diritto alla pensione di anzianità si

consegue al raggiungimento di un'anzianità contributiva non inferiore a 35 anni ed al

compimento del cinquantasettesimo anno di età. Per il biennio 1996-1997 il predetto requisito

di età anagrafica è fissato al compimento del cinquantaseiesimo anno di età.";

comma 29: "I lavoratori, che risultano essere in possesso dei requisiti di cui ai commi 25,

26, 27, lettera a), e 28: entro il primo trimestre dell'anno, possono accedere al

pensionamento di anzianità al 1 luglio dello stesso anno, se di età pari o superiore a 57

anni; entro il secondo trimestre, possono accedere al pensionamento al 1 ottobre dello stesso

anno, se di età pari o superiore a 57 anni; entro il terzo trimestre, possono accedere al

pensionamento al 1 gennaio dell'anno successivo; entro il quarto trimestre, possono accedere

al pensionamento al 1 aprile dell'anno successivo. In fase di prima applicazione, la

decorrenza delle pensioni è fissata con riferimento ai requisiti di cui alla allegata tabella

E per i lavoratori dipendenti e autonomi, secondo le decorrenze ivi indicate. Per i lavoratori

iscritti ai regimi esclusivi dell'assicurazione generale obbligatoria, che accedono al

pensionamento secondo quanto previsto dal comma 27, lettera b), la decorrenza della pensione è

fissata al 1 gennaio dell'anno successivo a quello di maturazione del requisito di anzianità

contributiva.";

comma 30: "All'articolo 13, comma 5, lettera c), della legge 23 dicembre 1994, n. 724, le

parole: "fino a 30 anni" sono sostituite dalle seguenti: "inferiore a 31 anni". Per i

lavoratori dipendenti privati e pubblici in possesso alla data del 31 dicembre 1993 del

requisito dei 35 anni di contribuzione di cui all'articolo 13, comma 10, della legge 23

dicembre 1994, n. 724, la decorrenza della pensione, ove non già stabilita con decreto

ministeriale emanato ai sensi del medesimo comma, è fissata al 1 settembre 1995. I lavoratori

autonomi iscritti all'INPS, in possesso del requisito contributivo di cui al predetto articolo

13, alla data del 31 dicembre 1993 ivi indicata, possono accedere al pensionamento al 1

gennaio 1996.";

comma 36: "I limiti di età anagrafica, di cui ai commi 25, 26, 27 e 28, sono ridotti fino ad

un anno per i lavoratori nei cui confronti trovano applicazione le disposizioni di cui al

decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 374, come modificato ai sensi dei commi 34 e 35."?".

L'annuncio della richiesta di referendum è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 10

marzo 1999, n. 57.

2. Al fine di identificarne l'oggetto, l'Ufficio centrale ha anche stabilito (in applicazione

dell'art. 32, ultimo comma, della legge n. 352 del 1970, introdotto dall'art. 1 della legge 17

maggio 1995, n. 173) che la denominazione del referendum sia: "Pensioni di anzianità:

abolizione delle norme sul regime transitorio".

3. Il Presidente di questa Corte, ricevuta comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio

centrale, ha fissato, per le conseguenti deliberazioni, l'adunanza in camera di consiglio per

il 13 gennaio 2000, disponendone comunicazione ai presentatori della richiesta di referendum

ed al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge

25 maggio 1970, n. 352.

4. Nell'imminenza della camera di consiglio, Daniele Capezzone, Mariano Giustino e Michele De

Lucia, presentatori della richiesta di referendum abrogativo di cui in epigrafe, hanno

depositato una memoria con la quale chiedono che la richiesta stessa sia dichiarata

ammissibile.

Considerato in diritto

1. Il quesito referendario in epigrafe indicato investe la legge 8 agosto 1995, n. 335

(Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), limitatamente ai commi 26,

27, 28, 29, 30 e 36 dell'art. 1.

Secondo le finalità dell'iniziativa, quali emergono obiettivamente dal contenuto delle

menzionate disposizioni e che, peraltro, risultano confermate dalla memoria depositata dai

presentatori e dalla denominazione assunta dal quesito, la richiesta referendaria tende

all'abrogazione del c.d. "regime transitorio" delle pensioni di anzianità.

Come è noto, tali trattamenti, essendo destinati a scomparire definitivamente soltanto nel

momento in cui avrà effetti a regime un'unica prestazione denominata "pensione di vecchiaia"

(art. 1, comma 19, della legge n. 335 del 1995), continuano a trovare attualmente applicazione,

sia pure in base alla disciplina riformata dalla legge n. 335 del 1995, per i lavoratori già

iscritti alle varie forme di previdenza alla data del 31 dicembre 1995.

Le condizioni per l'accesso ai medesimi trattamenti, da parte dei lavoratori dipendenti

(privati e pubblici), sono contemplate dal comma 25 dell'art. 1, il quale richiede,

alternativamente, un'anzianità contributiva di almeno 35 anni con il concorso di almeno 57 anni

di età anagrafica (lettera a) ovvero, quale unico requisito, un'anzianità contributiva di

almeno 40 anni (lettera b).

Nella fase di prima applicazione della legge n. 335 del 1995, l'acquisizione della pensione di

anzianità è, peraltro, consentita secondo criteri di minore rigore, fissati, per l'appunto,

dalle disposizioni sulle quali verte il quesito referendario, tali da comportare fino al 2008,

una disciplina di accesso "cadenzata", in base alla quale in sintesi:

1) per i lavoratori dipendenti, pubblici e privati, il conseguimento della pensione di

anzianità è possibile ove ricorrano i parametri di età anagrafica ed anzianità contributiva

stabiliti nella tabella B allegata alla legge stessa (comma 26);

2) per i soli dipendenti pubblici (iscritti alle forme di previdenza esclusive

dell'assicurazione generale obbligatoria), tale conseguimento è possibile, oltre che nelle

ipotesi di cui al predetto comma 26, in quelle contemplate dalla previgente disciplina

(comprensiva delle riduzioni percentuali previste dall'art. 11, comma 16, della legge n. 537

del 1993), nonché alternativamente in presenza dei parametri di anzianità contributiva

previsti dalla tabella C, e con le riduzioni percentuali di cui alla tabella D (comma 27,

lettere a e b).

Quanto ai lavoratori autonomi iscritti all'assicurazione generale obbligatoria, il comma 28,

fermo l'accesso in via generale alla pensione di anzianità in base al summenzionato comma 25,

lettera b), consente, altresì, detto accesso in presenza di un'anzianità contributiva non

inferiore a 35 anni in concorso con il compimento del 57 anno di età; requisito di età

abbassato al 56 anno per il biennio 1996-1997.

Ad ulteriore riassuntiva illustrazione della normativa investita dal quesito, va inoltre

considerato che:

a) il comma 29 disciplina in via generale, nonché "in fase di prima applicazione" (secondo

quanto previsto dalla tabella E) le c.d. "finestre" di accesso al pensionamento di

anzianità (e cioè il momento effettivo in cui, nel corso dell'anno solare, è possibile andare

in pensione) in base ad una precisa scansione temporale;

b) il comma 30 prevede una specifica disciplina di accesso al pensionamento di anzianità per

coloro che avessero già maturato, prima dell'entrata in vigore della legge n. 335 del 1995,

taluni requisiti per il conseguimento del relativo diritto;

c) il comma 36 contempla una particolare disposizione di favore per i lavoratori adibiti ad

attività "usuranti", riducendo di un anno i limiti di età anagrafica previsti dai precedenti

commi 25, 26, 27 e 28.

2. L'evidenziato regime "transitorio" costituisce, dunque, l'oggetto del quesito

referendario, il quale dovrebbe essere destinato, negli effetti e per la sua obiettiva

finalità, a rendere immediatamente operativo quello generale di cui al comma 25 dell'art. 1.

Tanto premesso occorre, tuttavia, considerare, al fine di stabilire se l'iniziativa

referendaria possa reputarsi ammissibile, che l'intera disciplina della materia qui considerata

è stata modificata, "con effetto sui trattamenti pensionistici di anzianità decorrenti dal 1

gennaio 1998", dall'art. 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione

della finanza pubblica), il quale ha previsto (commi da 6 a 8) che l'accesso avvenga secondo

nuovi requisiti fissati nelle apposite tabelle allegate alla legge, e cioè:

1) tabella C, per i lavoratori dipendenti iscritti all'assicurazione generale obbligatoria ed

alle forme sostitutive della medesima;

2) tabella D, per i lavoratori iscritti alle forme esclusive dell'assicurazione generale

obbligatoria.

Per i lavoratori autonomi la più recente normativa richiede un'anzianità contributiva di almeno

35 anni nel concorso del compimento del 58 anno di età, con una deroga per il periodo dal 1

gennaio 1998 al 31 dicembre 2000 (nel quale resta fermo il requisito anagrafico dei 57 anni).

La legge in parola, nel prevedere, inoltre, in via generale, per tutti i lavoratori, l'accesso

al pensionamento di anzianità in base al solo requisito dei 40 anni di anzianità contributiva

(comma 6), ha confermato (comma 7), per talune categorie (lavoratori qualificati dai contratti

collettivi come operai o "equivalenti"; lavoratori dipendenti già iscritti a forme

pensionistiche obbligatorie per non meno di un anno in età compresa tra 14 e 19 anni;

lavoratori collocati in mobilità o cassa integrazione), i requisiti già previsti dalla tabella

B allegata alla legge n. 335 del 1995, dettando, infine, (comma 8), anche una nuova

regolamentazione delle date a decorrere dalle quali (c.d. "finestre") è possibile, nel corso

dell'anno, accedere al pensionamento di anzianità.

3. L'avvenuta modifica, con decorrenza dal 1 gennaio 1998, del "regime transitorio"

contemplato dalla legge n. 335 del 1995, da parte della nuova disciplina di accesso al

pensionamento di anzianità recata dall'art. 59 della legge n. 449 del 1997, si pone come

circostanza ostativa all'ammissibilità del quesito referendario.

Per un verso è evidente, infatti, che l'effetto abrogativo del referendum, verificandosi ex

nunc, non potrebbe mettere in discussione i diritti acquisiti sotto l'impero della legge n.

335 del 1995, in quanto legge destinata a regolare la fattispecie legale attributiva del

diritto a pensione di anzianità in presenza dei requisiti maturati durante la sua vigenza. Per

altro verso, è chiaro che la proposta abrogazione non sarebbe suscettibile di esplicare alcun

effetto sull'accesso al pensionamento di anzianità, quale risulta regolato, dal 1 gennaio

1998, da normativa che non costituisce oggetto dell'iniziativa referendaria.

Tutto ciò comporta la carenza di un effettivo contenuto abrogativo della proposta indirizzata

agli elettori, in quanto essa, benché dichiaratamente rivolta ad eliminare la disciplina

transitoria in tema di accesso al pensionamento di anzianità, in realtà verrebbe a sottoporre

alla volontà popolare una abrogazione apparente, priva di effetti in ordine alla materia sulla

quale si intende incidere.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dei commi 26, 27,

28, 29, 30 e 36 dell'art. 1 della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema

pensionistico obbligatorio e complementare), richiesta dichiarata legittima, con ordinanza del

7-13 dicembre 1999, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di

cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3

febbraio 2000

F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata il 7 febbraio 2000

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

SENTENZA N.38

ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI Giudice

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Dott. Cesare RUPERTO "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Guido NEPPI MODONA "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

- Dott. Franco BILE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge

costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per

l'abrogazione del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 29 luglio

1947, n. 804, recante "Riconoscimento giuridico degli Istituti di patronato e di

assistenza sociale", e successive modificazioni; giudizio iscritto al n. 124 del

registro referendum.

Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di

cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;

udito nella camera di consiglio del 18 gennaio 2000 il Giudice relatore Cesare Ruperto;

uditi l'avvocato Nicolò Zanon per i presentatori Daniele Capezzone, Mariano Giustino e Michele De Lucia e gli avvocati

Amos Andreoni e Vittorio Angiolini per la Federazione dei Verdi ed altri, Comitato per le libertà e i diritti sociali e Partito

della rifondazione comunista.

Ritenuto in fatto

1. - L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio

1970, n. 352, e successive modifiche e integrazioni, esaminata la richiesta di referendum popolare presentata in data 28

settembre 1999 da Daniele Capezzone e altri quattro cittadini elettori sul seguente quesito: "Volete voi che sia abrogato il

decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 29 luglio 1947, n. 804, recante "Riconoscimento giuridico degli

Istituti di patronato e di assistenza sociale", e successive modificazioni?", con ordinanza del 7-13 dicembre 1999 ha

dichiarato la richiesta stessa conforme alle disposizioni della legge n. 352 del 1970, stabilendone altresì la seguente

denominazione: "Istituti di patronato e di assistenza sociale: abolizione della disciplina speciale e del finanziamento

pubblico".

2. - Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato il giorno 13 gennaio 2000 per la

conseguente deliberazione in camera di consiglio, dandone comunicazione, a norma dell'art. 33, secondo comma, della

legge n. 352 del 1970, ai presentatori della richiesta di referendum e al Presidente del Consiglio dei ministri.

3. - I presentatori del referendum hanno depositato in data 5 gennaio 2000 una memoria, sostenendo le ragioni

dell'ammissibilità della richiesta referendaria sotto i profili dell'omogeneità, della chiarezza e dell'univocità del quesito,

e della mancanza di preclusioni che in tal senso possano farsi derivare dall'art. 75, secondo comma, della Costituzione.

4. - In data 10 gennaio 2000 hanno depositato tre memorie, di contenuto sostanzialmente identico: a) il "Comitato per le

libertà e i diritti sociali", costituitosi al fine di contrastare l'iniziativa referendaria; b) il "Partito della rifondazione

comunista", e c) la "Federazione dei Verdi", unitamente all'"Associazione nazionale per la Sinistra" e ad Alfiero Grandi

quale responsabile lavoro dei "DS - Democratici di sinistra". Nelle tre memorie, previa illustrazione delle ragioni del

"contraddittorio" così esercitato, si sostiene l'inammissibilità, tra altre, della richiesta referendaria in argomento.

5. - In data 12 gennaio 2000 i presentatori del referendum hanno depositato ulteriore memoria, con la quale hanno

eccepito l'irricevibilità o inammissibilità degli atti "di intervento, memorie e contributo istruttorio" depositati dai soggetti

indicati al punto precedente.

6. - La discussione, già fissata per la camera di consiglio del 13 gennaio 2000, è stata in tale data rinviata alla camera

di consiglio del successivo 18 gennaio, previa comunicazione ai presentatori e al Presidente del Consiglio dei ministri,

nonché ai soggetti che hanno depositato memorie; questi ultimi hanno depositato ulteriore atto in data 17 gennaio 2000.

7. - Nella camera di consiglio del 18 gennaio 2000 sono stati ascoltati: in rappresentanza dei presentatori, l'avvocato

Nicolò Zanon e, in rappresentanza dei soggetti indicati al punto 4, gli avvocati Amos Andreoni e Vittorio Angiolini, che

hanno rispettivamente illustrato e ribadito le argomentazioni svolte negli atti depositati in precedenza.

Considerato in diritto

1. - Preliminarmente, a scioglimento della riserva formulata nella camera di consiglio, relativamente alla possibilità di

dare ingresso nel presente procedimento alle memorie presentate da soggetti diversi da quelli - delegati o presentatori

della richiesta di referendum, e Presidente del Consiglio dei ministri - ai quali tale facoltà è espressamente riconosciuta

dall'art. 33 della legge 25 maggio 1970, n. 352, e di consentirne l'illustrazione in camera di consiglio da parte dei

rispettivi rappresentanti, questa Corte non può che richiamare quanto osservato e stabilito al riguardo in senso

affermativo nella sentenza n. 31 del 2000 di pari data.

2. - La richiesta di referendum abrogativo in esame è diretta all'abrogazione del decreto legislativo del Capo provvisorio

dello Stato 29 luglio 1947, n. 804 (oggetto di "ratifica" con la legge 17 aprile 1956, n. 561), il quale detta la disciplina

degli Istituti di patronato e di assistenza sociale.

3. - Tale richiesta non è ammissibile.

3.1. - Agli Istituti di patronato e di assistenza sociale - enti di diritto privato, secondo l'art. 1 della legge 27 marzo 1980,

n. 112 - costituiti e gestiti da associazioni nazionali di lavoratori che annoverino nei propri statuti finalità assistenziali e

diano prova di potervi provvedere con mezzi adeguati (art. 2, primo comma, del decreto n. 804 del 1947), spetta

l'esercizio dell'assistenza e della tutela dei lavoratori e dei loro aventi causa per il conseguimento in sede amministrativa

delle prestazioni di qualsiasi genere previste da leggi, statuti e contratti regolanti la previdenza e la quiescenza, nonché

la rappresentanza dei lavoratori davanti agli organi di liquidazione di dette prestazioni o a collegi di conciliazione (art.

1, primo comma). In sede giurisdizionale, gli Istituti di patronato e di assistenza sociale possono inoltre, a richiesta

dell'assistito, rendere informazioni e osservazioni orali nelle controversie in materia previdenziale e assistenziale (art.

446 cod. proc. civ., non compreso nel quesito referendario).

Il fatto di essere oggi emanazioni di associazioni di lavoratori non impedisce, come generalmente ritenuto, che in tali

Istituti continui a essere presente una connotazione pubblicistica, connessa alla natura dei compiti, connotazione che in

passato spiegava la possibilità che la loro fondazione fosse promossa da province, comuni o altri enti morali (secondo

l'espressione dell'art. 119 del regolamento per l'esecuzione del decreto-legge 23 agosto 1917, n. 1450, approvato con

decreto luogotenenziale 21 novembre 1918, n. 1889). Manifestazione evidente e, al tempo stesso, riprova di ciò è l'art. 3,

secondo comma, del decreto n. 804, di cui si chiede l'abrogazione referendaria, il quale impone che lo statuto degli

Istituti di patronato deve espressamente stabilire che la loro attività "è svolta gratuitamente nei confronti di tutti i

lavoratori, senza alcuna limitazione". Questa disposizione, chiave di volta dell'intera disciplina legislativa, è quella che,

collocando gli Istituti al di là dell'ambito di attività riconducibili esclusivamente all'autonomia dei lavoratori e

inserendoli in quello della cura di interessi generali, giustifica il sistema pubblico del loro finanziamento (artt. 4 e 5), la

sottoposizione a vigilanza ministeriale (artt. 6 e 7), nonché l'equiparazione alle Amministrazioni dello Stato ai fini

tributari (art. 8).

3.2. - Secondo la Costituzione, i diritti di natura previdenziale dei lavoratori la cui difesa nei procedimenti amministrativi

(e giurisdizionali) costituisce la finalità degli Istituti di patronato, sono garantiti dall'art. 38, secondo comma: "I

lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio,

malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria" e la garanzia, non solo per ragioni di logica costituzionale

dei diritti ma anche per ragioni testuali ("preveduti e assicurati"), presenta necessariamente, accanto all'aspetto

sostanziale, anche un aspetto procedimentale, tanto più rilevante in quanto si tratta di diritti previsti in relazione a

condizioni di difficoltà, e quindi di debolezza, che possono realizzarsi nella vita dei lavoratori, la cui effettività si scontra

con la farraginosa complessità del sistema previdenziale attuale.

Sempre secondo la Costituzione (art. 38, quarto comma), la protezione di tali diritti, poi, non è rimessa soltanto

all'eventuale e sempre possibile libera iniziativa dei lavoratori, singoli o associati, ma rientra tra i fini e i compiti

costituzionalmente assegnati allo Stato - fini e compiti ai quali "provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo

Stato" medesimo (ai quali ultimi, oltre agli Istituti preposti alla erogazione delle prestazioni previdenziali, sono

riconducibili gli Istituti in questione). I fini previdenziali, infatti, corrispondono a un interesse pubblico direttamente

riconducibile all'art. 3, secondo comma, della Costituzione il quale stabilisce ancora essere "compito della Repubblica

rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini,

impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione

politica, economica e sociale del Paese".

Dalla connotazione pubblicistica dell'interesse previdenziale, quale definito dalla Costituzione, deriva poi, in via

conseguenziale diretta e necessaria, che le prestazioni alle quali devono provvedere gli organi e gli istituti predisposti o

integrati dallo Stato (a) sono sottratte all'ambito delle attività lucrative, pur non dovendo necessariamente essere

gratuite; e che (b) devono essere fornite in posizione di uguaglianza a tutti i lavoratori, non assumendo alcun rilievo la

circostanza che si tratti di lavoratori iscritti o non iscritti al sindacato, iscritti a questo o quel sindacato. Il carattere non

di lucro dell'attività e l'indirizzo generalizzato delle prestazioni sono, in sostanza, il connotato essenziale della

previdenza pubblica prevista dalla Costituzione. Al contrario, lo scopo di profitto e la possibilità di selezione tra le

richieste dei lavoratori rientra in un quadro di attività assicurative e assistenziali ulteriori e accessorie che, pur non

vietate dalla Costituzione, non entrano a comporre il quadro della protezione dei diritti dei lavoratori che deve essere

predisposto tramite gli organi e gli istituti di cui parla l'art. 38 della Costituzione.

3.3. - La Costituzione, dunque, esige che vi sia una specifica organizzazione per le prestazioni previdenziali - sostanziali

e strumentali - cioè gli "organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato" di cui all'art. 38 e che le prestazioni offerte

da tali strutture non siano oggetto di attività lucrativa e siano disponibili dalla generalità dei lavoratori. Questo è il

nucleo costituzionale irrinunciabile, un nucleo che lascia largo spazio alla discrezionalità legislativa, nella disciplina

degli aspetti organizzativi, finanziari e funzionali della materia. Di contro, l'abrogazione referendaria del decreto n. 804

del 1947 contraddice puntualmente questo nucleo, eliminando strutture operanti nel campo previdenziale direttamente

riconducibili a quelle previste dall'art. 38, quarto comma, della Costituzione e finendo per trasferire le loro attività, oggi

non lucrative e garantite a tutti i lavoratori, al campo dell'autonomia privata, cioè delle libere scelte individuali. E', in

proposito, rivelatrice la richiesta di abrogazione referendaria dell'art. 3, secondo comma, già ricordato come quello che,

dal punto di vista dei caratteri delle prestazioni, rispecchia direttamente e senza possibilità di opzioni diverse per il

legislatore - quanto alla natura non di lucro dell'attività e alla generalità delle prestazioni - il senso della garanzia

previdenziale voluta dalla Costituzione.

4. - Deve dunque trovare applicazione, nella specie, il criterio di giudizio, consolidato nella giurisprudenza di questa

Corte (ad esempio, sentenze nn. 26 del 1981, 17 e 35 del 1997, che precisano e applicano il principio per la prima volta

esplicitato nella sentenza n. 16 del 1978), il quale esclude l'ammissibilità del referendum abrogativo di disposizioni che

non possono essere soppresse senza con ciò ledere principi costituzionali.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione del decreto legislativo del Capo provvisorio

dello Stato 29 luglio 1947, n. 804 (Riconoscimento giuridico degli Istituti di patronato e di assistenza sociale), e

successive modificazioni, dichiarata legittima, con ordinanza del 7-13 dicembre 1999, dall'Ufficio centrale per il

referendum costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 2000

F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente

Gustavo ZAGREBLESKY, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata il 7 febbraio 2000

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

SENTENZA N.39

ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI Giudice

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Avv. Massimo VARI "

- Dott. Cesare RUPERTO "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Guido NEPPI MODONA "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

- Dott. Franco BILE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11

marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 4 giugno

1973, n. 311, recante "Estensione del servizio di riscossione dei contributi associativi

tramite gli enti previdenziali" e successive modificazioni; giudizio iscritto al n. 129 del

registro referendum.

Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum

presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;

udito nella camera di consiglio del 18 gennaio 2000 il Giudice relatore Cesare Ruperto;

uditi l'avvocato Nicolò Zanon per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De

Lucia Michele e l'avvocato Pier Luigi Panici per la Federazione dei Verdi ed altri, Comitato

per le libertà e i diritti sociali e Partito della Rifondazione Comunista.

Ritenuto in fatto

1.- L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, in

applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni - esaminata la

richiesta di referendum popolare presentata in data 8 marzo 1999 da quattordici cittadini

italiani sul seguente quesito: "Volete che sia abrogata la legge 4 giugno 1973, n. 311, recante

"Estensione del servizio di riscossione dei contributi associativi tramite gli enti

previdenziali", e successive modificazioni?" - ha, con ordinanza del 7-13 dicembre 1999,

dichiarato la richiesta stessa conforme alle disposizioni di cui all'art. 27 della legge n. 352

del 1970, stabilendone altresì la seguente denominazione: "Trattenute associative e sindacali

tramite gli enti previdenziali: abolizione".

2.- Ricevuta la comunicazione dell'ordinanza, il Presidente della Corte costituzionale ha

fissato il giorno 13 gennaio 2000 per la conseguente deliberazione in camera di consiglio,

dandone comunicazione, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970, ai

presentatori della richiesta ed al Presidente del Consiglio dei ministri.

3.- I promotori del referendum hanno depositato in data 5 gennaio 2000 una memoria, sostenendo

le ragioni dell'ammissibilità della suddetta richiesta.

Con tre atti di contenuto sostanzialmente identico, depositati il 10 gennaio 2000, hanno

dichiarato di voler intervenire, chiedendo la declaratoria di inammissibilità della richiesta

medesima: il "Comitato per le libertà e i diritti sociali", in persona del presidente, Paolo

Cagna Ninchi; il "Partito della Rifondazione Comunista", in persona del segretario generale,

on. Fausto Bertinotti; la "Federazione dei Verdi", in persona del responsabile nazionale del

settore economia-lavoro, sen. Natale Ripamonti; l'"Associazione Nazionale per la Sinistra", in

persona del presidente, on. Andrea Sergio Garavini; nonché Alfiero Grandi, quale responsabile

lavoro dei "DS-Democratici di sinistra".

La discussione, già fissata per la camera di consiglio del 13 gennaio 2000, è stata in tale

data rinviata alla camera di consiglio del successivo 18 gennaio, previa comunicazione ai

presentatori e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché ai soggetti che hanno

depositato memorie.

Nella discussione, alla quale sono stati ammessi con riserva i soggetti diversi dai

presentatori del referendum, sia questi sia i presentatori hanno ribadito, attraverso i

rispettivi difensori, le conclusioni come sopra rassegnate.

Considerato in diritto

1.- A scioglimento della riserva in precedenza formulata da questa Corte, va preliminarmente

riconosciuta - per le ragioni svolte nella sentenza n. 31 del 2000 - la ritualità del deposito

e dell'illustrazione orale delle memorie presentate da soggetti diversi dai presentatori del

referendum.

2.- Quanto al giudizio d'ammissibilità previsto dall'art. 33, quarto comma, della legge 25

maggio 1970, n. 352, va premesso che il quesito referendario investe l'intero testo della legge

4 giugno 1973, n. 311, recante "Estensione del servizio di riscossione dei contributi

associativi tramite gli enti previdenziali", e successive modificazioni.

Tale legge è composta da un unico articolo, suddiviso in tre commi, di cui il primo sancisce in

termini generali che "L'Istituto nazionale della previdenza sociale, l'Istituto nazionale per

l'assicurazione contro le malattie e l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli

infortuni sul lavoro possono essere autorizzati dal Ministro per il lavoro e la previdenza

sociale, su richiesta delle associazioni sindacali a carattere nazionale, ad assumere il

servizio di esazione dei contributi associativi dovuti dagli iscritti, nonché dei contributi

per assistenza contrattuale che siano stabiliti dai contratti di lavoro".

Il secondo e il terzo comma, poi, stabiliscono rispettivamente: a) che "I rapporti tra gli

istituti di cui al precedente comma e le organizzazioni sindacali saranno regolati da

convenzioni, da sottoporre all'approvazione del Ministero del lavoro e della previdenza

sociale, ai soli fini di accertare che il servizio di riscossione non sia pregiudizievole per

il corrente adempimento dei compiti di istituto, che siano rimborsate le spese incontrate per

l'espletamento del servizio e che gli istituti medesimi siano sollevati da ogni qualsiasi

responsabilità verso terzi derivante dall'applicazione della convenzione"; b) che "Nei casi in

cui l'esazione dei contributi avvenga a mezzo di ruoli esattoriali, per la riscossione dei

contributi di cui al presente articolo si applicano le disposizioni di cui all'articolo 3,

quarto comma, del testo unico delle leggi sui servizi della riscossione delle imposte dirette

approvato con decreto del Presidente della Repubblica 15 maggio 1963, n. 858".

3.- La richiesta è ammissibile.

3.1.- Essa non riguarda le leggi per le quali l'art. 75, secondo comma, della Costituzione

espressamente esclude il referendum, né quelle altre da ritenersi ugualmente escluse secondo

l'interpretazione logico-sistematica che di tale norma ha ripetutamente dato questa Corte.

3.2.- Trattasi inoltre di richiesta abrogativa riguardante disposizioni tra loro intimamente

connesse, le quali formano un autonomo e definito sistema - tuttora integralmente operante,

come dimostrano le molteplici convenzioni stipulate, anche di recente, dalle varie associazioni

sindacali con gli enti previdenziali - di previsione e regolamentazione della possibile

assunzione, da parte dei menzionati enti previdenziali (cui vanno aggiunte le Casse marittime

Adriatica, Meridionale e Tirrena, ai sensi dell'art. 18, comma 1, della legge 5 dicembre 1986,

n. 856, che richiama la legge in esame), del servizio di esazione, per conto delle associazioni

sindacali a carattere nazionale, dei contributi associativi e di assistenza contrattuale dovuti

dai loro iscritti.

Sussiste dunque la necessaria omogeneità del quesito, che peraltro è analogo a quello - a suo

tempo proposto per l'abrogazione del secondo e terzo comma dell'art. 26 della legge 20 maggio

1970, n. 300, e dell'art. 594 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 - dichiarato

ammissibile da questa Corte con sentenza n. 13 del 1995.

Chiaro è l'intendimento abrogativo, che non tocca il diritto dei sindacati ad ottenere i

contributi dai propri iscritti, ma è volto esclusivamente a non rendere più possibile

attraverso l'attività d'intermediazione svolta dagli enti previdenziali, in quanto autorizzati,

la riscossione dei contributi medesimi. Ed il fine ispiratore della richiesta risulta

perfettamente oggettivato nella struttura del quesito, il quale prospetta un'alternativa netta

all'elettore, posto così in grado di percepire con immediatezza ed esattezza le conseguenze del

suo voto.

3.3.- E' appena il caso di aggiungere che sul presente giudizio di ammissibilità non incide la

pur constatata residuale permanenza del riferimento alle trattenute sindacali attualmente

contenuto in altre leggi (v., ad esempio, art. 11 della legge 12 marzo 1968, n. 334; art.

23-octies della legge 11 agosto 1972, n. 485; art. 2 della legge 27 dicembre 1973, n. 852,

richiamato anche dall'art. 18 della legge 23 luglio 1991, n. 223; art. 19 della legge 23

dicembre 1994, n. 724), poiché le relative discipline hanno matrici proprie o comunque

rationes diverse rispetto alla normativa oggetto del quesito in esame.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 4

giugno 1973, n. 311, recante "Estensione del servizio di riscossione dei contributi associativi

tramite gli enti previdenziali" e successive modificazioni; richiesta dichiarata legittima con

ordinanza 7-13 dicembre 1999 dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la

Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3

febbraio 2000

F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata il 7 febbraio 2000

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

SENTENZA N.39

ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI Giudice

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Avv. Massimo VARI "

- Dott. Cesare RUPERTO "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Guido NEPPI MODONA "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

- Dott. Franco BILE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11

marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 4 giugno

1973, n. 311, recante "Estensione del servizio di riscossione dei contributi associativi

tramite gli enti previdenziali" e successive modificazioni; giudizio iscritto al n. 129 del

registro referendum.

Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum

presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;

udito nella camera di consiglio del 18 gennaio 2000 il Giudice relatore Cesare Ruperto;

uditi l'avvocato Nicolò Zanon per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De

Lucia Michele e l'avvocato Pier Luigi Panici per la Federazione dei Verdi ed altri, Comitato

per le libertà e i diritti sociali e Partito della Rifondazione Comunista.

Ritenuto in fatto

1.- L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, in

applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni - esaminata la

richiesta di referendum popolare presentata in data 8 marzo 1999 da quattordici cittadini

italiani sul seguente quesito: "Volete che sia abrogata la legge 4 giugno 1973, n. 311, recante

"Estensione del servizio di riscossione dei contributi associativi tramite gli enti

previdenziali", e successive modificazioni?" - ha, con ordinanza del 7-13 dicembre 1999,

dichiarato la richiesta stessa conforme alle disposizioni di cui all'art. 27 della legge n. 352

del 1970, stabilendone altresì la seguente denominazione: "Trattenute associative e sindacali

tramite gli enti previdenziali: abolizione".

2.- Ricevuta la comunicazione dell'ordinanza, il Presidente della Corte costituzionale ha

fissato il giorno 13 gennaio 2000 per la conseguente deliberazione in camera di consiglio,

dandone comunicazione, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970, ai

presentatori della richiesta ed al Presidente del Consiglio dei ministri.

3.- I promotori del referendum hanno depositato in data 5 gennaio 2000 una memoria, sostenendo

le ragioni dell'ammissibilità della suddetta richiesta.

Con tre atti di contenuto sostanzialmente identico, depositati il 10 gennaio 2000, hanno

dichiarato di voler intervenire, chiedendo la declaratoria di inammissibilità della richiesta

medesima: il "Comitato per le libertà e i diritti sociali", in persona del presidente, Paolo

Cagna Ninchi; il "Partito della Rifondazione Comunista", in persona del segretario generale,

on. Fausto Bertinotti; la "Federazione dei Verdi", in persona del responsabile nazionale del

settore economia-lavoro, sen. Natale Ripamonti; l'"Associazione Nazionale per la Sinistra", in

persona del presidente, on. Andrea Sergio Garavini; nonché Alfiero Grandi, quale responsabile

lavoro dei "DS-Democratici di sinistra".

La discussione, già fissata per la camera di consiglio del 13 gennaio 2000, è stata in tale

data rinviata alla camera di consiglio del successivo 18 gennaio, previa comunicazione ai

presentatori e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché ai soggetti che hanno

depositato memorie.

Nella discussione, alla quale sono stati ammessi con riserva i soggetti diversi dai

presentatori del referendum, sia questi sia i presentatori hanno ribadito, attraverso i

rispettivi difensori, le conclusioni come sopra rassegnate.

Considerato in diritto

1.- A scioglimento della riserva in precedenza formulata da questa Corte, va preliminarmente

riconosciuta - per le ragioni svolte nella sentenza n. 31 del 2000 - la ritualità del deposito

e dell'illustrazione orale delle memorie presentate da soggetti diversi dai presentatori del

referendum.

2.- Quanto al giudizio d'ammissibilità previsto dall'art. 33, quarto comma, della legge 25

maggio 1970, n. 352, va premesso che il quesito referendario investe l'intero testo della legge

4 giugno 1973, n. 311, recante "Estensione del servizio di riscossione dei contributi

associativi tramite gli enti previdenziali", e successive modificazioni.

Tale legge è composta da un unico articolo, suddiviso in tre commi, di cui il primo sancisce in

termini generali che "L'Istituto nazionale della previdenza sociale, l'Istituto nazionale per

l'assicurazione contro le malattie e l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli

infortuni sul lavoro possono essere autorizzati dal Ministro per il lavoro e la previdenza

sociale, su richiesta delle associazioni sindacali a carattere nazionale, ad assumere il

servizio di esazione dei contributi associativi dovuti dagli iscritti, nonché dei contributi

per assistenza contrattuale che siano stabiliti dai contratti di lavoro".

Il secondo e il terzo comma, poi, stabiliscono rispettivamente: a) che "I rapporti tra gli

istituti di cui al precedente comma e le organizzazioni sindacali saranno regolati da

convenzioni, da sottoporre all'approvazione del Ministero del lavoro e della previdenza

sociale, ai soli fini di accertare che il servizio di riscossione non sia pregiudizievole per

il corrente adempimento dei compiti di istituto, che siano rimborsate le spese incontrate per

l'espletamento del servizio e che gli istituti medesimi siano sollevati da ogni qualsiasi

responsabilità verso terzi derivante dall'applicazione della convenzione"; b) che "Nei casi in

cui l'esazione dei contributi avvenga a mezzo di ruoli esattoriali, per la riscossione dei

contributi di cui al presente articolo si applicano le disposizioni di cui all'articolo 3,

quarto comma, del testo unico delle leggi sui servizi della riscossione delle imposte dirette

approvato con decreto del Presidente della Repubblica 15 maggio 1963, n. 858".

3.- La richiesta è ammissibile.

3.1.- Essa non riguarda le leggi per le quali l'art. 75, secondo comma, della Costituzione

espressamente esclude il referendum, né quelle altre da ritenersi ugualmente escluse secondo

l'interpretazione logico-sistematica che di tale norma ha ripetutamente dato questa Corte.

3.2.- Trattasi inoltre di richiesta abrogativa riguardante disposizioni tra loro intimamente

connesse, le quali formano un autonomo e definito sistema - tuttora integralmente operante,

come dimostrano le molteplici convenzioni stipulate, anche di recente, dalle varie associazioni

sindacali con gli enti previdenziali - di previsione e regolamentazione della possibile

assunzione, da parte dei menzionati enti previdenziali (cui vanno aggiunte le Casse marittime

Adriatica, Meridionale e Tirrena, ai sensi dell'art. 18, comma 1, della legge 5 dicembre 1986,

n. 856, che richiama la legge in esame), del servizio di esazione, per conto delle associazioni

sindacali a carattere nazionale, dei contributi associativi e di assistenza contrattuale dovuti

dai loro iscritti.

Sussiste dunque la necessaria omogeneità del quesito, che peraltro è analogo a quello - a suo

tempo proposto per l'abrogazione del secondo e terzo comma dell'art. 26 della legge 20 maggio

1970, n. 300, e dell'art. 594 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 - dichiarato

ammissibile da questa Corte con sentenza n. 13 del 1995.

Chiaro è l'intendimento abrogativo, che non tocca il diritto dei sindacati ad ottenere i

contributi dai propri iscritti, ma è volto esclusivamente a non rendere più possibile

attraverso l'attività d'intermediazione svolta dagli enti previdenziali, in quanto autorizzati,

la riscossione dei contributi medesimi. Ed il fine ispiratore della richiesta risulta

perfettamente oggettivato nella struttura del quesito, il quale prospetta un'alternativa netta

all'elettore, posto così in grado di percepire con immediatezza ed esattezza le conseguenze del

suo voto.

3.3.- E' appena il caso di aggiungere che sul presente giudizio di ammissibilità non incide la

pur constatata residuale permanenza del riferimento alle trattenute sindacali attualmente

contenuto in altre leggi (v., ad esempio, art. 11 della legge 12 marzo 1968, n. 334; art.

23-octies della legge 11 agosto 1972, n. 485; art. 2 della legge 27 dicembre 1973, n. 852,

richiamato anche dall'art. 18 della legge 23 luglio 1991, n. 223; art. 19 della legge 23

dicembre 1994, n. 724), poiché le relative discipline hanno matrici proprie o comunque

rationes diverse rispetto alla normativa oggetto del quesito in esame.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 4

giugno 1973, n. 311, recante "Estensione del servizio di riscossione dei contributi associativi

tramite gli enti previdenziali" e successive modificazioni; richiesta dichiarata legittima con

ordinanza 7-13 dicembre 1999 dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la

Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3

febbraio 2000

F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata il 7 febbraio 2000

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

SENTENZA N.40

ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI Giudice

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Avv. Massimo VARI "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Guido NEPPI MODONA "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

- Dott. Franco BILE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11

marzo 1953, n. 1, delle richieste di referendum popolare per l'abrogazione del testo unico

delle leggi recanti norme per l'elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto del

Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi

recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), nel testo risultante dalle

modificazioni ed integrazioni ad esso successivamente apportate in particolare dalla legge 4

agosto 1993, n. 277 (Norme per l'elezione della Camera dei deputati), e dal decreto legislativo

20 dicembre 1993, n. 534 (Modificazioni al testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione

della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957,

n. 361), limitatamente alle seguenti parti:

Articolo 1, comma 2, limitatamente alle parole: "La ripartizione dei seggi attribuiti

secondo il metodo proporzionale, a norma degli articoli 77, 83 e 84, si effettua in sede di

Ufficio centrale nazionale."; comma 4, limitatamente alle parole: "in ragione proporzionale

mediante riparto tra liste concorrenti", nonché alla parola: ", 83";

Articolo 4, comma 2, n. 1), limitatamente alle parole: "per l'elezione del candidato nel

collegio uninominale" nonché alle parole: ", comma 1" e n. 2): "un voto per la scelta della

lista ai fini dell'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale, da esprimere su una diversa

scheda recante il contrassegno e l'elenco dei candidati di ciascuna lista. Il numero dei

candidati di ciascuna lista non può essere superiore ad un terzo dei seggi attribuiti in

ragione proporzionale alla circoscrizione con arrotondamento alla unità superiore.";

Articolo 14, comma 1, limitatamente alle parole: "o liste di candidati" e alle parole: "o le

liste medesime nelle singole circoscrizioni"; comma 2, limitatamente alle parole: "le loro

liste con"; comma 3, limitatamente alle parole: ", sia che si riferiscano a candidature nei

collegi uninominali sia che si riferiscano a liste,";

Articolo 16, comma 4, primo periodo, limitatamente alle parole: "e delle liste" e secondo

periodo, limitatamente alle parole: "e delle liste";

Articolo 17, comma 1, limitatamente alle parole: "e della lista dei candidati";

Articolo 18, comma 1, limitatamente alle parole: "i quali si collegano a liste di cui

all'articolo 1, comma 4, cui gli stessi aderiscono con l'accettazione della candidatura. La

dichiarazione di collegamento deve essere accompagnata dall'accettazione scritta del

rappresentante, di cui all'articolo 17, incaricato di effettuare il deposito della lista a cui

il candidato nel collegio uninominale si collega, attestante la conoscenza degli eventuali

collegamenti con altre liste. Nel caso di collegamenti con più liste, questi devono essere i

medesimi in tutti i collegi uninominali in cui è suddivisa la circoscrizione. Nell'ipotesi di

collegamento con più liste, il candidato, nella stessa dichiarazione di collegamento, indica il

contrassegno o i contrassegni che accompagnano il suo nome e il suo cognome sulla scheda

elettorale"; comma 2, limitatamente alle parole: ", nonché la lista o le liste alle quali il

candidato si collega ai fini di cui all'articolo 77, comma 1, n. 2). Qualora il contrassegno o

i contrassegni del candidato nel collegio uninominale siano gli stessi di una lista o di più

liste presentate per l'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale, il collegamento di cui

al presente articolo è effettuato, in ogni caso, d'ufficio dall'Ufficio centrale

circoscrizionale, senza che si tenga conto di dichiarazioni ed accettazioni difformi. Le

istanze di depositanti altra lista avverso il mancato collegamento d'ufficio sono presentate,

entro le ventiquattro ore successive alla scadenza dei termini per la presentazione delle

liste, all'Ufficio centrale nazionale che decide entro le successive ventiquattro ore";

Articolo 18-bis;

Articolo 19;

Articolo 20, comma 1, limitatamente alle parole: "Le liste dei candidati o"; comma 2,

limitatamente alle parole: "le liste dei candidati o", alle parole: "e della lista dei

candidati", nonché alle parole: "; alle candidature nei collegi uninominali deve essere

allegata la dichiarazione di collegamento e la relativa accettazione di cui all'articolo 18";

comma 3, limitatamente alle parole: "l'iscrizione nelle liste elettorali della circoscrizione,

e, per le candidature nei collegi uninominali,"; comma 5, limitatamente alle parole: "di

lista", nonché alle parole: "Le stesse disposizioni si applicano alle candidature nei collegi

uninominali."; comma 6, limitatamente alle parole: "più di una lista di candidati né"; comma

7, limitatamente alle parole: "della lista dei candidati o", nonché alle parole: "la lista o";

e comma 8: "La dichiarazione di presentazione della lista dei candidati deve contenere,

infine, la indicazione di due delegati effettivi e di due supplenti, autorizzati a fare le

designazioni previste dall'articolo 25.";

Articolo 21, comma 2, limitatamente alle parole: "e della lista dei candidati presentata",

nonché alle parole: "e a ciascuna lista";

Articolo 22, comma 1, limitatamente alle parole: "e delle liste dei candidati"; n. 1),

limitatamente alle parole: "e le liste"; n. 2), limitatamente alle parole: "e le liste"; n.

3), limitatamente alle parole: "e le liste" e alle parole: "riduce al limite prescritto le

liste contenenti un numero di candidati superiore a quello stabilito al comma 2 dell'art.

18-bis, cancellando gli ultimi nomi;"; n. 4), limitatamente alle parole: "e cancella dalle

liste i nomi"; n. 5), limitatamente alle parole: "e cancella dalle liste i nomi"; n. 6):

"cancella i nomi dei candidati compresi in altra lista già presentata nella circoscrizione;";

comma 2, limitatamente alle parole: "e di ciascuna lista" e alle parole: "e delle

modificazioni da questo apportate alla lista"; comma 3, limitatamente alle parole: "e delle

liste contestate o modificate";

Articolo 23, comma 1, limitatamente alle parole: "e di lista"; comma 2, limitatamente alle

parole: "di liste o" e alle parole: "e di lista";

Articolo 24, comma 1, n. 1), limitatamente alle parole: "e delle liste"; n. 2),

limitatamente alle parole: "e delle liste", nonché alle parole: "analogamente si procede per la

stampa delle schede e del manifesto delle liste e dei relativi contrassegni;"; n. 3),

limitatamente alle parole: "di lista e"; n. 4), limitatamente alle parole: "e le liste"; n.

5), limitatamente alle parole: "e delle liste";

Articolo 25, comma 1, limitatamente alle parole: "e all'art. 20", nonché alle parole: "o

della lista"; ultimo comma, limitatamente alle parole: "e di lista", alle parole: "e delle

liste dei candidati", alle parole: "e di lista", nonché alle parole: "e delle liste";

Articolo 26, comma 1, limitatamente alle parole: "e di ogni lista di candidati";

Articolo 30, comma 1, n. 4), limitatamente alle parole: "e tre copie del manifesto

contenente le liste dei candidati della circoscrizione", e n. 6), limitatamente alle parole:

"e di lista";

Articolo 31, comma 1, limitatamente alle parole: ", di tipo e colore diverso per i collegi

uninominali e per la circoscrizione", alla parola: ", C", alle parole: "e di tutte le liste",

nonché alle parole: "nella circoscrizione"; comma 2, limitatamente alle parole: "per

l'elezione dei candidati nei collegi uninominali" e alle parole: "Le schede per l'attribuzione

dei seggi in ragione proporzionale riportano accanto ad ogni contrassegno l'elenco dei

candidati della rispettiva lista, nell'ambito degli stessi spazi.";

Articolo 40, comma 3, limitatamente alle parole: "e di lista";

Articolo 41, comma 1, limitatamente alle parole: "e delle liste dei candidati"; comma 2,

limitatamente alle parole: "di liste";

Articolo 42, comma 4, limitatamente alle parole: "e di lista"; comma 7, limitatamente alle

parole: "due copie del manifesto contenente le liste dei candidati nonché";

Articolo 45, comma 8: "Le operazioni di cui ai commi precedenti sono compiute prima per le

schede per l'elezione dei candidati nei collegi uninominali e successivamente per le schede per

l'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale.";

Articolo 48, comma 1, limitatamente alle parole: "delle liste e" e alle parole: "o della

circoscrizione";

Articolo 53, comma 1, limitatamente alle parole: "di lista e";

Articolo 58, comma 1, limitatamente alla parola: "rispettive", nonché alle parole: "per

l'elezione del candidato del collegio uninominale e una scheda per la scelta della lista ai

fini dell'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale"; comma 2, limitatamente alle

parole: "per l'elezione del candidato nel collegio uninominale" nonché alle parole: "e, sulla

scheda per la scelta della lista un solo segno, comunque apposto, nel rettangolo contenente il

contrassegno ed il cognome e nome del candidato o dei candidati corrispondenti alla lista

prescelta"; comma 6: "Le disposizioni di cui ai commi terzo, quarto e quinto si applicano sia

per le schede per l'elezione del candidato nel collegio uninominale sia per le schede per la

scelta della lista ai fini dell'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale.";

Articolo 59, limitatamente alle parole: "Una scheda valida per la scelta della lista

rappresenta un voto di lista." e alle parole: "per l'elezione del candidato nel collegio

uninominale";

Articolo 67, comma 1, n. 2), limitatamente alle parole: "e delle liste dei candidati" e n.

3), limitatamente alla parola: "rispettive";

Articolo 68, comma 1, limitatamente alle parole: "per l'elezione del candidato nel collegio

uninominale"; comma 3: "Compiute le operazioni di scrutinio delle schede per l'elezione dei

candidati nei collegi uninominali, il presidente procede alle operazioni di spoglio delle

schede per l'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale. Uno scrutatore designato mediante

sorteggio estrae successivamente ciascuna scheda dall'urna contenente le schede per

l'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale e la consegna al presidente. Questi enuncia

ad alta voce il contrassegno della lista a cui è stato attribuito il voto. Passa quindi la

scheda ad altro scrutatore il quale, insieme con il segretario, prende nota dei voti di

ciascuna lista."; comma 3-bis: "Il segretario proclama ad alta voce i voti di lista. Un terzo

scrutatore pone le schede, i cui voti sono stati spogliati, nella cassetta o scatola dalla

quale sono state tolte le schede non utilizzate. Quando la scheda non contiene alcuna

espressione di voto, sul retro della scheda stessa viene subito impresso il timbro della

sezione."; comma 7, limitatamente alle parole: "La disposizione si applica sia con riferimento

alle schede scrutinate per l'elezione del candidato nel collegio uninominale sia alle schede

scrutinate per la scelta della lista ai fini dell'attribuzione dei seggi in ragione

proporzionale.";

Articolo 71, comma 1, n. 2), limitatamente alle parole: "dei voti di lista e"; comma 2,

limitatamente alle parole: "o per le singole liste per l'attribuzione dei seggi in ragione

proporzionale";

Articolo 72, comma 2: "Nei plichi di cui al comma precedente devono essere tenute

opportunamente distinte le schede per l'elezione del candidato nel collegio uninominale da

quelle per la scelta della lista ai fini dell'attribuzione dei seggi in ragione

proporzionale."; comma 3, limitatamente alle parole: "e di lista";

Articolo 73, comma 3, limitatamente alle parole: "e di lista";

Articolo 74, comma 1, limitatamente alle parole: "e delle liste"; comma 2, limitatamente

alle parole: "alle liste o";

Articolo 75, comma 1, limitatamente alle parole: "e delle liste";

Articolo 77, comma 1, limitatamente al n. 2): "determina la cifra elettorale

circoscrizionale di ogni lista. Tale cifra è data dalla somma dei voti conseguiti dalla lista

stessa nelle singole sezioni elettorali della circoscrizione, detratto, per ciascun collegio in

cui è stato eletto, ai sensi del numero 1), un candidato collegato alla medesima lista, un

numero di voti pari a quello conseguito dal candidato immediatamente successivo per numero di

voti, aumentati dell'unità e comunque non inferiore al venticinque per cento dei voti

validamente espressi nel medesimo collegio, sempreché tale cifra non risulti superiore alla

percentuale ottenuta dal candidato eletto; qualora il candidato eletto sia collegato a più

liste di candidati, la detrazione avviene pro quota in misura proporzionale alla somma dei voti

ottenuti da ciascuna delle liste suddette nell'ambito territoriale del collegio. A tale fine

l'Ufficio centrale circoscrizionale moltiplica il totale dei voti conseguiti nelle singole

sezioni del collegio da ciascuna delle liste collegate per il totale dei voti da detrarre, ai

sensi della disposizione del secondo periodo, alle liste collegate, e divide il prodotto per il

numero complessivo dei voti conseguiti da tali liste nel collegio; il numero dei voti da

detrarre a ciascuna lista è dato dalla parte intera dei quozienti così ottenuti;"; al n. 4),

limitatamente alle parole: "collegati ai sensi dell'articolo 18, comma 1, alla medesima lista",

nonché alle parole: "In caso di collegamento dei candidati con più liste, i candidati entrano a

far parte della graduatoria relativa a ciascuna delle liste con cui è stato dichiarato il

collegamento" e al n. 5): "comunica all'Ufficio centrale nazionale, a mezzo di estratto del

verbale, la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista nonché, ai fini di cui

all'articolo 83, comma 1, n. 2), il totale dei voti validi della circoscrizione ed il totale

dei voti validi ottenuti nella circoscrizione da ciascuna lista.";

Articolo 79, comma 5, limitatamente alle parole: "e delle liste dei candidati"; comma 6,

limitatamente alle parole: "e delle liste dei candidati";

Articolo 81, comma 1, limitatamente alle parole: "e di lista";

Articolo 83;

Articolo 84, comma 1, limitatamente alle parole: "Il presidente dell'Ufficio centrale

circoscrizionale, ricevute da parte dell'Ufficio centrale nazionale le comunicazioni di cui

all'articolo 83, comma 2, proclama eletti, nei limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha

diritto, i candidati compresi nella lista secondo l'ordine progressivo di presentazione. Se

qualcuno tra essi è già stato proclamato eletto ai sensi dell'articolo 77, comma 1, numero 1),

proclama eletti i candidati che seguono nell'ordine progressivo di presentazione. Qualora ad

una lista spettino più posti di quanti siano i suoi candidati,", alle parole: "spettanti alla

lista", nonché alle parole: ", che non risultino già proclamati eletti. Nel caso di graduatorie

relative a più liste collegate con gli stessi candidati nei collegi uninominali, si procede

alla proclamazione degli eletti partendo dalla lista con la cifra elettorale più elevata.

Qualora, al termine delle proclamazioni effettuate ai sensi del terzo e del quarto periodo,

rimangano ancora da attribuire dei seggi ad una lista, il presidente dell'Ufficio centrale

circoscrizionale ne dà comunicazione all'Ufficio centrale nazionale affinché si proceda ai

sensi dell'articolo 83, comma 1, numero 4), ultimo periodo.";

Articolo 85;

Articolo 86, comma 4, limitatamente alle parole: "nella lista", nonché alle parole: "di

lista"; comma 5: "Nel caso in cui una lista abbia già esaurito i propri candidati, si procede

con le modalità di cui all'articolo 84, comma 1, terzo, quarto e quinto periodo.";

giudizio iscritto al n. 115 del registro referendum.

Vista l'ordinanza del 7 dicembre 1999 - integrata da quella del 21 dicembre 1999 - con la

quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato conformi

alle disposizioni di legge le richieste suindicate, disponendone la concentrazione;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;

uditi gli avvocati Beniamino Caravita di Toritto e Federico Sorrentino per i presentatori

Segni Mariotto, Fini Gianfranco e Calderisi Giuseppe, e l'avvocato Giuseppe Morbidelli per i

presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano, De Lucia Michele e Stanzani Sergio.

Ritenuto in fatto

1.- In data 30 aprile 1999, dieci cittadini italiani, documentata la propria qualità di

elettori, dichiaravano nella cancelleria della Corte suprema di cassazione l'intento di

promuovere la raccolta delle firme per la richiesta di referendum popolare abrogativo di

articoli o parti di articoli del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico

delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati) nel testo risultante dalle

successive modificazioni ed integrazioni, apportate, in particolare, dalla legge 4 agosto 1993,

n. 277 (Norme per l'elezione della Camera dei deputati) e dal decreto legislativo 20 dicembre

1993, n. 534 (Modificazioni al testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione della

Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n.

361).

L'annuncio di tale iniziativa veniva pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 101 del 3 maggio

1999.

In data 28 settembre 1999 alcuni dei promotori depositavano presso la detta cancelleria i fogli

contenenti le firme dei sottoscrittori ed i relativi certificati elettorali.

Analoga dichiarazione da parte di altri ventisette cittadini italiani, muniti dei prescritti

certificati elettorali, dell'intento di promuovere la richiesta di referendum abrogativo

concernente la medesima materia veniva raccolta a verbale nella cancelleria della Corte di

cassazione in data 5 giugno 1999. Il relativo annuncio veniva pubblicato nella Gazzetta

Ufficiale n. 131 del 7 giugno 1999.

In data 9 settembre 1999 alcuni dei promotori di detta richiesta depositavano presso la stessa

cancelleria i fogli contenenti le sottoscrizioni, accompagnati dai certificati elettorali dei

sottoscrittori.

L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, con ordinanza

del 28 ottobre 1999, proponeva la concentrazione tra le due richieste, in quanto inerenti a

materia uniforme; quindi, con ordinanza del 7 dicembre 1999, ampiamente motivata e relativa

anche ad altri quesiti referendari, dichiarava le presenti richieste conformi alle disposizioni

di legge e ne disponeva la concentrazione sul seguente quesito (come riformulato a seguito

della successiva ordinanza dello stesso Ufficio centrale in data 21 dicembre 1999):

"Volete voi che sia abrogato il Testo Unico delle leggi recanti norme per l'elezione della

Camera dei Deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n.

361, nel testo risultante dalle modificazioni ed integrazioni ad esso successivamente apportate

in particolare dalla legge 4 agosto 1993, n. 277, e dal decreto legislativo 20 dicembre 1993,

n. 534, limitatamente alle seguenti parti:

Articolo 1, comma 2, limitatamente alle parole: "La ripartizione dei seggi attribuiti

secondo il metodo proporzionale, a norma degli articoli 77, 83 e 84, si effettua in sede di

Ufficio centrale nazionale."; comma 4, limitatamente alle parole: "in ragione proporzionale

mediante riparto tra liste concorrenti", nonché alla parola: ", 83";

Articolo 4, comma 2, n. 1), limitatamente alle parole: "per l'elezione del candidato nel

collegio uninominale" nonché alle parole: ", comma 1", e n. 2): "un voto per la scelta della

lista ai fini dell'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale, da esprimere su una diversa

scheda recante il contrassegno e l'elenco dei candidati di ciascuna lista. Il numero dei

candidati di ciascuna lista non può essere superiore ad un terzo dei seggi attribuiti in

ragione proporzionale alla circoscrizione con arrotondamento alla unità superiore.";

Articolo 14, comma 1, limitatamente alle parole: "o liste di candidati" e alle parole: "o le

liste medesime nelle singole circoscrizioni"; comma 2, limitatamente alle parole: "le loro

liste con"; comma 3, limitatamente alle parole: ", sia che si riferiscano a candidature nei

collegi uninominali sia che si riferiscano a liste,";

Articolo 16, comma 4, primo periodo, limitatamente alle parole: "e delle liste" e secondo

periodo, limitatamente alle parole: "e delle liste";

Articolo 17, comma 1, limitatamente alle parole: "e della lista dei candidati";

Articolo 18, comma 1, limitatamente alle parole: "i quali si collegano a liste di cui

all'articolo 1, comma 4, cui gli stessi aderiscono con l'accettazione della candidatura. La

dichiarazione di collegamento deve essere accompagnata dall'accettazione scritta del

rappresentante, di cui all'articolo 17, incaricato di effettuare il deposito della lista a cui

il candidato nel collegio uninominale si collega, attestante la conoscenza degli eventuali

collegamenti con altre liste. Nel caso di collegamenti con più liste, questi devono essere i

medesimi in tutti i collegi uninominali in cui è suddivisa la circoscrizione. Nell'ipotesi di

collegamento con più liste, il candidato, nella stessa dichiarazione di collegamento, indica il

contrassegno o i contrassegni che accompagnano il suo nome e il suo cognome sulla scheda

elettorale"; comma 2, limitatamente alle parole: ", nonché la lista o le liste alle quali il

candidato si collega ai fini di cui all'articolo 77, comma 1, n. 2). Qualora il contrassegno o

i contrassegni del candidato nel collegio uninominale siano gli stessi di una lista o di più

liste presentate per l'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale, il collegamento di cui

al presente articolo è effettuato, in ogni caso, d'ufficio dall'Ufficio centrale

circoscrizionale, senza che si tenga conto di dichiarazioni ed accettazioni difformi. Le

istanze di depositanti altra lista avverso il mancato collegamento d'ufficio sono presentate,

entro le ventiquattro ore successive alla scadenza dei termini per la presentazione delle

liste, all'Ufficio centrale nazionale che decide entro le successive ventiquattro ore";

Articolo 18-bis;

Articolo 19;

Articolo 20, comma 1, limitatamente alle parole: "Le liste dei candidati o"; comma 2,

limitatamente alle parole: "le liste dei candidati o", alle parole: "e della lista dei

candidati", nonché alle parole: "; alle candidature nei collegi uninominali deve essere

allegata la dichiarazione di collegamento e la relativa accettazione di cui all'articolo 18";

comma 3, limitatamente alle parole: "l'iscrizione nelle liste elettorali della circoscrizione,

e, per le candidature nei collegi uninominali,"; comma 5, limitatamente alle parole: "di

lista", nonché alle parole: "Le stesse disposizioni si applicano alle candidature nei collegi

uninominali."; comma 6, limitatamente alle parole: "più di una lista di candidati né"; comma

7, limitatamente alle parole: "della lista dei candidati o", nonché alle parole: "la lista o";

e comma 8: "La dichiarazione di presentazione della lista dei candidati deve contenere,

infine, la indicazione di due delegati effettivi e di due supplenti, autorizzati a fare le

designazioni previste dall'articolo 25.";

Articolo 21, comma 2, limitatamente alle parole: "e della lista dei candidati presentata",

nonché alle parole: "e a ciascuna lista";

Articolo 22, comma 1, limitatamente alle parole: "e delle liste dei candidati"; n. 1),

limitatamente alle parole: "e le liste"; n. 2), limitatamente alle parole: "e le liste"; n.

3), limitatamente alle parole: "e le liste" e alle parole: "riduce al limite prescritto le

liste contenenti un numero di candidati superiore a quello stabilito al comma 2 dell'art.

18-bis, cancellando gli ultimi nomi;"; n. 4), limitatamente alle parole: "e cancella dalle

liste i nomi"; n. 5), limitatamente alle parole: "e cancella dalle liste i nomi"; n. 6):

"cancella i nomi dei candidati compresi in altra lista già presentata nella circoscrizione;";

comma 2, limitatamente alle parole: "e di ciascuna lista" e alle parole: "e delle

modificazioni da questo apportate alla lista"; comma 3, limitatamente alle parole: "e delle

liste contestate o modificate";

Articolo 23, comma 1, limitatamente alle parole: "e di lista"; comma 2, limitatamente alle

parole: "di liste o" e alle parole: "e di lista";

Articolo 24, comma 1, n. 1), limitatamente alle parole: "e delle liste"; n. 2),

limitatamente alle parole: "e delle liste", nonché alle parole: "analogamente si procede per la

stampa delle schede e del manifesto delle liste e dei relativi contrassegni;"; n. 3),

limitatamente alle parole: "di lista e"; n. 4), limitatamente alle parole: "e le liste"; n.

5), limitatamente alle parole: "e delle liste";

Articolo 25, comma 1, limitatamente alle parole: "e all'art. 20", nonché alle parole: "o

della lista"; ultimo comma, limitatamente alle parole: "e di lista", alle parole: "e delle

liste dei candidati", alle parole: "e di lista", nonché alle parole: "e delle liste";

Articolo 26, comma 1, limitatamente alle parole: "e di ogni lista di candidati";

Articolo 30, comma 1, n. 4), limitatamente alle parole: "e tre copie del manifesto

contenente le liste dei candidati della circoscrizione", e n. 6), limitatamente alle parole:

"e di lista";

Articolo 31, comma 1, limitatamente alle parole: ", di tipo e colore diverso per i collegi

uninominali e per la circoscrizione", alla parola: ", C", alle parole: "e di tutte le liste",

nonché alle parole: "nella circoscrizione"; comma 2, limitatamente alle parole: "per

l'elezione dei candidati nei collegi uninominali" e alle parole: "Le schede per l'attribuzione

dei seggi in ragione proporzionale riportano accanto ad ogni contrassegno l'elenco dei

candidati della rispettiva lista, nell'ambito degli stessi spazi.";

Articolo 40, comma 3, limitatamente alle parole: "e di lista";

Articolo 41, comma 1, limitatamente alle parole: "e delle liste dei candidati"; comma 2,

limitatamente alle parole: "di liste";

Articolo 42, comma 4, limitatamente alle parole: "e di lista"; comma 7, limitatamente alle

parole: "due copie del manifesto contenente le liste dei candidati nonché";

Articolo 45, comma 8: "Le operazioni di cui ai commi precedenti sono compiute prima per le

schede per l'elezione dei candidati nei collegi uninominali e successivamente per le schede per

l'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale.";

Articolo 48, comma 1, limitatamente alle parole: "delle liste e" e alle parole: "o della

circoscrizione";

Articolo 53, comma 1, limitatamente alle parole: "di lista e";

Articolo 58, comma 1, limitatamente alla parola: "rispettive", nonché alle parole: "per

l'elezione del candidato del collegio uninominale e una scheda per la scelta della lista ai

fini dell'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale"; comma 2, limitatamente alle

parole: "per l'elezione del candidato nel collegio uninominale" nonché alle parole: "e, sulla

scheda per la scelta della lista un solo segno, comunque apposto, nel rettangolo contenente il

contrassegno ed il cognome e nome del candidato o dei candidati corrispondenti alla lista

prescelta"; comma 6: "Le disposizioni di cui ai commi terzo, quarto e quinto si applicano sia

per le schede per l'elezione del candidato nel collegio uninominale sia per le schede per la

scelta della lista ai fini dell'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale.";

Articolo 59, limitatamente alle parole: "Una scheda valida per la scelta della lista

rappresenta un voto di lista." e alle parole: "per l'elezione del candidato nel collegio

uninominale";

Articolo 67, comma 1, n. 2), limitatamente alle parole: "e delle liste dei candidati" e n.

3), limitatamente alla parola: "rispettive";

Articolo 68, comma 1, limitatamente alle parole: "per l'elezione del candidato nel collegio

uninominale"; comma 3: "Compiute le operazioni di scrutinio delle schede per l'elezione dei

candidati nei collegi uninominali, il presidente procede alle operazioni di spoglio delle

schede per l'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale. Uno scrutatore designato mediante

sorteggio estrae successivamente ciascuna scheda dall'urna contenente le schede per

l'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale e la consegna al presidente. Questi enuncia

ad alta voce il contrassegno della lista a cui è stato attribuito il voto. Passa quindi la

scheda ad altro scrutatore il quale, insieme con il segretario, prende nota dei voti di

ciascuna lista."; comma 3-bis: "Il segretario proclama ad alta voce i voti di lista. Un terzo

scrutatore pone le schede, i cui voti sono stati spogliati, nella cassetta o scatola dalla

quale sono state tolte le schede non utilizzate. Quando la scheda non contiene alcuna

espressione di voto, sul retro della scheda stessa viene subito impresso il timbro della

sezione."; comma 7, limitatamente alle parole: "La disposizione si applica sia con riferimento

alle schede scrutinate per l'elezione del candidato nel collegio uninominale sia alle schede

scrutinate per la scelta della lista ai fini dell'attribuzione dei seggi in ragione

proporzionale.";

Articolo 71, comma 1, n. 2), limitatamente alle parole: "dei voti di lista e"; comma 2,

limitatamente alle parole: "o per le singole liste per l'attribuzione dei seggi in ragione

proporzionale";

Articolo 72, comma 2: "Nei plichi di cui al comma precedente devono essere tenute

opportunamente distinte le schede per l'elezione del candidato nel collegio uninominale da

quelle per la scelta della lista ai fini dell'attribuzione dei seggi in ragione

proporzionale."; comma 3, limitatamente alle parole: "e di lista";

Articolo 73, comma 3, limitatamente alle parole: "e di lista";

Articolo 74, comma 1, limitatamente alle parole: "e delle liste"; comma 2, limitatamente

alle parole: "alle liste o";

Articolo 75, comma 1, limitatamente alle parole: "e delle liste";

Articolo 77, comma 1, limitatamente al n. 2): "determina la cifra elettorale

circoscrizionale di ogni lista. Tale cifra è data dalla somma dei voti conseguiti dalla lista

stessa nelle singole sezioni elettorali della circoscrizione, detratto, per ciascun collegio in

cui è stato eletto, ai sensi del numero 1), un candidato collegato alla medesima lista, un

numero di voti pari a quello conseguito dal candidato immediatamente successivo per numero di

voti, aumentati dell'unità e comunque non inferiore al venticinque per cento dei voti

validamente espressi nel medesimo collegio, sempreché tale cifra non risulti superiore alla

percentuale ottenuta dal candidato eletto; qualora il candidato eletto sia collegato a più

liste di candidati, la detrazione avviene pro quota in misura proporzionale alla somma dei voti

ottenuti da ciascuna delle liste suddette nell'ambito territoriale del collegio. A tale fine

l'Ufficio centrale circoscrizionale moltiplica il totale dei voti conseguiti nelle singole

sezioni del collegio da ciascuna delle liste collegate per il totale dei voti da detrarre, ai

sensi della disposizione del secondo periodo, alle liste collegate, e divide il prodotto per il

numero complessivo dei voti conseguiti da tali liste nel collegio; il numero dei voti da

detrarre a ciascuna lista è dato dalla parte intera dei quozienti così ottenuti;"; al n. 4),

limitatamente alle parole: "collegati ai sensi dell'articolo 18, comma 1, alla medesima lista",

nonché alle parole: "In caso di collegamento dei candidati con più liste, i candidati entrano a

far parte della graduatoria relativa a ciascuna delle liste con cui è stato dichiarato il

collegamento", e al n. 5): "comunica all'Ufficio centrale nazionale, a mezzo di estratto del

verbale, la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista nonché, ai fini di cui

all'articolo 83, comma 1, n. 2), il totale dei voti validi della circoscrizione ed il totale

dei voti validi ottenuti nella circoscrizione da ciascuna lista.";

Articolo 79, comma 5, limitatamente alle parole: "e delle liste dei candidati"; comma 6,

limitatamente alle parole: "e delle liste dei candidati";

Articolo 81, comma 1, limitatamente alle parole: "e di lista";

Articolo 83;

Articolo 84, comma 1, limitatamente alle parole: "Il presidente dell'Ufficio centrale

circoscrizionale, ricevute da parte dell'Ufficio centrale nazionale le comunicazioni di cui

all'articolo 83, comma 2, proclama eletti, nei limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha

diritto, i candidati compresi nella lista secondo l'ordine progressivo di presentazione. Se

qualcuno tra essi è già stato proclamato eletto ai sensi dell'articolo 77, comma 1, numero 1),

proclama eletti i candidati che seguono nell'ordine progressivo di presentazione. Qualora ad

una lista spettino più posti di quanti siano i suoi candidati,", alle parole: "spettanti alla

lista", nonché alle parole: ", che non risultino già proclamati eletti. Nel caso di graduatorie

relative a più liste collegate con gli stessi candidati nei collegi uninominali, si procede

alla proclamazione degli eletti partendo dalla lista con la cifra elettorale più elevata.

Qualora, al termine delle proclamazioni effettuate ai sensi del terzo e del quarto periodo,

rimangano ancora da attribuire dei seggi ad una lista, il presidente dell'Ufficio centrale

circoscrizionale ne dà comunicazione all'Ufficio centrale nazionale affinché si proceda ai

sensi dell'articolo 83, comma 1, numero 4), ultimo periodo.";

Articolo 85;

Articolo 86, comma 4, limitatamente alle parole: "nella lista", nonché alle parole: "di

lista"; comma 5: "Nel caso in cui una lista abbia già esaurito i propri candidati, si procede

con le modalità di cui all'articolo 84, comma 1, terzo, quarto e quinto periodo."?"

Con la predetta ordinanza del 7 dicembre 1999, veniva attribuita al referendum in oggetto la

seguente denominazione: "Elezione della Camera dei deputati: abolizione del voto di lista per

l'attribuzione con metodo proporzionale del 25% dei seggi".

L'ordinanza veniva comunicata e notificata a norma dell'art. 13 della legge 25 maggio 1970, n.

352.

2.- Ricevuta l'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato per la camera di consiglio

la data del 13 gennaio 2000, della quale è stata data regolare comunicazione, ai sensi

dell'art. 33, secondo comma, della predetta legge n. 352 del 1970.

3. - Nel procedimento innanzi alla Corte si sono costituiti, in data 28 dicembre 1999, gli

onorevoli Mariotto Segni, Gianfranco Fini e Giuseppe Calderisi, promotori del referendum in

esame, depositando, in qualità di promotori e presentatori del referendum, una memoria con la

quale ribadiscono l'ammissibilità del quesito proposto, e ricordano che l'Ufficio centrale per

il referendum presso la Suprema Corte di cassazione si è già pronunciato, con l'ordinanza del

13 dicembre 1999, nel senso della riproponibilità entro il quinquennio di un quesito che non

abbia raggiunto il quorum dei votanti, non residuando, pertanto - si osserva nella memoria -,

alcuno spazio per ulteriori valutazioni al riguardo.

In data 30 dicembre 1999, si sono altresì costituiti Daniele Capezzone, Marco Cappato e Sergio

Stanzani, dichiaratisi promotori e presentatori del referendum, i quali hanno chiesto di

essere uditi in camera di consiglio, ed hanno concluso per l'ammissibilità della richiesta,

sottolineando che il quesito proposto è identico a quello già esaminato e dichiarato

ammissibile dalla Corte con la sentenza n. 13 del 1999, e in relazione al quale, nella

precedente consultazione referendaria del 18 aprile 1999, non fu raggiunto il quorum dei

votanti richiesto dall'art. 75, quarto comma, della Costituzione.

4.- Il giorno 8 gennaio 2000, nell'imminenza della data fissata per la camera di consiglio,

Daniele Capezzone, Mariano Giustino e Michele De Lucia hanno depositato una nuova memoria-atto

di costituzione, nella qualità di "presentatori" del referendum, come previsto dall'art. 33

della legge n. 352 del 1970, ribadendo, altresì, le proprie conclusioni in ordine

all'ammissibilità del quesito referendario in oggetto, nonché la propria richiesta di essere

uditi in camera di consiglio.

5.- Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000, i rappresentanti dei predetti presentatori

hanno illustrato ulteriormente le ragioni dell'ammissibilità della richiesta di referendum.

6.- Successivamente, in data 19 gennaio 2000, largamente fuori termine - pertanto non

suscettibile di essere presa in considerazione - è stata depositata, dall'Avvocato Gustavo

Schiavello, in proprio, quale cittadino italiano iscritto nelle liste elettorali del Comune di

Roma, e nella asserita qualità di legale rappresentante del "Comitato per la democrazia

pluralista", una memoria per contestare la validità della proposta referendaria in questione.

Considerato in diritto

1.- Le richieste di referendum abrogativo - concentrate in unico quesito - sulla cui

ammissibilità questa Corte è chiamata a pronunciarsi riguardano alcuni articoli e parti di

articoli (indicati in epigrafe) del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico

delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati) nel testo risultante dalle

successive modificazioni ed integrazioni, apportate, in particolare, dalla legge 4 agosto 1993,

n. 277 (Norme per l'elezione della Camera dei deputati) e dal decreto legislativo 20 dicembre

1993, n. 534 (Modificazioni al testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione della

Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n.

361).

Al referendum è stata data dall'ordinanza 7 dicembre 1999 dell'Ufficio centrale presso la

Corte di cassazione la denominazione: "Elezione della Camera dei Deputati, abolizione del voto

di lista per l'attribuzione con metodo proporzionale del 25% dei seggi".

2.- Il quesito in esame è identico a quello già oggetto di pronuncia di ammissibilità della

richiesta di referendum con sentenza 28 gennaio 1999 n. 13, mentre non sussistono motivi per

discostarsi da detta pronuncia.

Pertanto, ai fini dell'ammissibilità, è sufficiente il richiamo alla predetta sentenza n. 13

del 1999 e ai principi, cui la sentenza stessa fa rinvio, quali individuati più volte dalla

Corte, relativi ai requisiti di matrice unitaria e di omogeneità dei quesiti referendari

(sentenze n. 26 del 1997; n. 47 del 1991 e n. 16 del 1978) e alle caratteristiche proprie della

materia elettorale (sentenza n. 429 del 1995; v. anche sentenza n. 107 del 1996), con

riferimento in particolare alla esigenza di poter disporre, in ogni tempo, di una normativa

operante (sentenza n. 26 del 1997; n. 32 del 1993 e n. 29 del 1987) e al dettato del testo

della Costituzione quale risulta dalla votazione finale 27 dicembre 1947 e dalla promulgazione

(sentenza n. 47 del 1991).

3.- Anche in questa occasione si può, altresì, escludere che il referendum in esame abbia

carattere surrettiziamente propositivo. Esso, infatti, abrogando parzialmente la disciplina

stabilita dal legislatore, per ciò che attiene alla ripartizione del 25% dei seggi, non la

sostituisce con un'altra disciplina assolutamente diversa ed estranea al contesto normativo -

disciplina che il quesito ed il corpo elettorale, si sottolinea ancora una volta, non possono

creare ex novo né direttamente costruire (sentenza n. 36 del 1997) -, "ma utilizza un criterio

specificamente esistente (sia pure residuale) e rimasto in via di normale applicazione nella

specifica parte di risulta della legge oggetto del referendum (art. 77, numero 3)" (sentenza

n. 13 del 1999).

In definitiva, caducati, come effetto della proposta abrogazione referendaria, le liste, il

voto di lista e la ripartizione del 25% dei seggi secondo il metodo proporzionale collegato

alle liste stesse, rimarrebbe, con il contenuto prescrittivo proprio, il criterio per

l'attribuzione dei seggi in base alla cifra individuale di ogni candidato, criterio che

continuerebbe ad applicarsi con le modalità consentite dal sistema residuo (sentenza n. 13 del

1999).

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibili le richieste di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti

indicate in epigrafe, del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361

(Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei

deputati), nel testo risultante dalle successive modificazioni ed integrazioni, apportate in

particolare dalla legge 4 agosto 1993, n. 277 (Norme per l'elezione della Camera dei deputati)

e dal decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 534 (Modificazioni al testo unico delle leggi

recanti norme per l'elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente

della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361), richieste dichiarate conformi a legge e concentrate in

un unico quesito con le ordinanze dell'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di

cassazione 7 e 21 dicembre 1999.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3

febbraio 2000

F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata il 7 febbraio 2000

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

SENTENZA N.41

ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI Giudice

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Avv. Massimo VARI "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Guido NEPPI MODONA "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

- Dott. Franco BILE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge

costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, delle richieste di referendum popolare per

l'abrogazione della legge 3 giugno 1999, n. 157, recante "Nuove norme in materia di

rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie e abrogazione delle

disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti

politici", limitatamente agli articoli 1, 2 e 3; giudizio iscritto al n. 114 del

registro referendum.

Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il

referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato conformi a legge le

richieste;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Gustavo

Zagrebelsky;

udito l'avvocato Achille Chiappetti per i presentatori Daniele Capezzone e altri e

Gianfranco Fini e altri.

Ritenuto in fatto

1. - L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione,

in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modifiche e

integrazioni, esaminate due richieste di referendum popolare - presentate,

rispettivamente, il 9 settembre 1999 da Gianfranco Fini e altri ventidue cittadini

elettori e il 28 settembre 1999 da Rita Bernardini e altri sette cittadini elettori

- concernenti l'abrogazione parziale della legge 3 giugno 1999, n. 157, ha

verificato la regolarità delle richieste e, con ordinanza del 7-13 dicembre 1999, ne

ha dichiarato la legittimità, disponendone la concentrazione e stabilendo la

seguente denominazione del referendum: "Rimborso delle spese per consultazioni

elettorali e referendarie: Abrogazione".

Le richieste di referendum hanno per oggetto il seguente quesito: "Volete voi che

sia abrogata la legge 3 giugno 1999, n. 157 recante "Nuove norme in materia di

rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie e abrogazione delle

disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti

politici", limitatamente agli articoli 1, 2 e 3 ?".

2. - Ricevuta comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale, il Presidente di

questa Corte ha fissato, per la conseguente deliberazione, la camera di consiglio

del 13 gennaio 2000, dandone comunicazione ai presentatori delle richieste di

referendum e al Presidente del Consiglio dei ministri, a norma dell'art. 33, secondo

comma, della legge n. 352 del 1970.

3. - Nell'imminenza della camera di consiglio i presentatori delle due richieste di

referendum hanno depositato due memorie, di identico contenuto, sostenendo che il

quesito referendario si presenta chiaro e omogeneo, corrispondente all'effetto

abrogativo che ne deriverebbe in caso di esito positivo della consultazione:

eliminare i rimborsi pubblici per le spese elettorali e referendarie dei movimenti e

partiti politici, sì che essi sostengano le spese solo con mezzi propri o giovandosi

di erogazioni liberali private. I presentatori sottolineano inoltre che l'oggetto

del quesito è completo e unitario, e che nessuna incidenza possono avere i rinvii ad

altre fonti normative contenuti nell'art. 2 della legge n. 157 del 1999, trattandosi

di mere disposizioni di richiamo destinate a rimanere inoperanti una volta abrogato

l'istituto del rimborso stesso. Del resto, rilevano le memorie, norme analoghe di

contribuzione pubblica ai partiti politici sono state già oggetto in passato di due

richieste referendarie, entrambe dichiarate ammissibili (sentenze nn. 16 del 1978 e

30 del 1993); nessuna preclusione all'ammissibilità del referendum sussiste dunque,

concludono i presentatori.

4. - Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 è stato ascoltato, in

rappresentanza dei presentatori, l'avvocato Achille Chiappetti che ha ribadito gli

argomenti a favore dell'ammissibilità delle richieste referendarie.

Considerato in diritto

Le richieste di referendum abrogativo oggetto di esame sono dirette all'abrogazione

degli artt. 1, 2 e 3 della legge 3 giugno 1999, n. 157 (Nuove norme in materia di

rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie e abrogazione delle

disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti

politici). Le disposizioni indicate (artt. 1 e 2) contengono la disciplina del

rimborso per le spese elettorali sostenute da movimenti o partiti politici nelle

campagne per il rinnovo del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, del

Parlamento europeo e dei consigli regionali, nonché del rimborso delle spese

sostenute dai comitati promotori di referendum abrogativi e prescrivono (art. 3) la

destinazione di una quota parte delle somme ricevute alla promozione della

partecipazione politica delle donne. La restante parte della legge, non sottoposta

alle richieste di referendum abrogativo, contiene la previsione di agevolazioni per

le erogazioni liberali a favore di partiti e movimenti politici, nonché norme

transitorie per regolare le situazioni pendenti formatesi sotto la precedente legge

2 gennaio 1997, n. 2, e relative norme di copertura finanziaria.

Le disposizioni degli artt. 1, 2 e 3 costituiscono dunque un corpo normativo

omogeneo, all'interno della legge che li contiene, e si prestano quindi a essere

investite dalle richieste di referendum abrogativo parziale, la cui ammissibilità

risulta dall'inesistenza di limiti e impedimenti costituzionali - derivanti

esplicitamente dall'art. 75 della Costituzione o implicitamente dal sistema

costituzionale di cui esso fa parte - invocabili nella specie.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibili le richieste di referendum popolare per l'abrogazione degli

artt. 1, 2 e 3 della legge 3 giugno 1999, n. 157 (Nuove norme in materia di rimborso

delle spese per consultazioni elettorali e referendarie e abrogazione delle

disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti

politici), dichiarate legittime e concentrate in un unico quesito, con ordinanza del

7-13 dicembre 1999, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la

Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,

il 3 febbraio 2000

F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata il 7 febbraio 2000

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

SENTENZA N.42

ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI Giudice

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Avv. Massimo VARI "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Guido NEPPI MODONA "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

- Dott. Franco BILE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di

referendum popolare per l'abrogazione del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, recante "Ordinamento giudiziario", e successive

modificazioni - ed in particolare di quelle recate dall'art. 29 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449 - , limitatamente a:

- articolo 190, comma 2: "Il passaggio dei magistrati dalle funzioni giudicanti alle requirenti e da queste a quelle può essere disposto,

a domanda dell'interessato, solo quando il Consiglio superiore della magistratura, previo parere del consiglio giudiziario, abbia

accertato la sussistenza di attitudini alla nuova funzione.";

- articolo 191;

- articolo 192, comma 6, limitatamente alle parole: ", salvo che per tale passaggio esista il parere favorevole del Consiglio superiore

della magistratura";

- articolo 198, limitatamente alle parole: "Tali destinazioni possono avvenire, a giudizio del Ministro, tanto con le funzioni giudicanti,

quanto con quelle requirenti, indipendentemente dalla qualifica posseduta dal magistrato.";

giudizio iscritto al n. 119 del registro referendum.

Viste l'ordinanza del 7 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato

conforme a legge la richiesta, e la successiva ordinanza di correzione di errore materiale del 21 dicembre 1999;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Valerio Onida;

uditi gli avvocati Federico Sorrentino e Giuseppe Frigo per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De Lucia

Michele e per i promotori Cappato Marco e Della Vedova Benedetto.

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza del 7-13 dicembre 1999 l'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ha

dichiarato legittima la richiesta di referendum, presentata da oltre 500.000 elettori, sul seguente quesito:

"Volete voi che sia abrogato il r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, recante "Ordinamento giudiziario", e successive modificazioni, ed in

particolare l'art. 29 d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449, limitatamente a:

- articolo 190, comma 2: "Il passaggio dei magistrati dalle funzioni giudicanti alle requirenti e da queste a quelle può essere disposto,

a domanda dell'interessato, solo quando il Consiglio superiore della magistratura, previo parere del consiglio giudiziario, abbia

accertato la sussistenza di attitudini alla nuova funzione.";

- articolo 191;

- articolo 192, comma 6, limitatamente alle parole: ", salvo che per tale passaggio esista il parere favorevole del Consiglio superiore

della magistratura";

- articolo 198, limitatamente alle parole: "Tali destinazioni possono avvenire, a giudizio del Ministro, tanto con le funzioni giudicanti,

quanto con quelle requirenti, indipendentemente dalla qualifica posseduta dal magistrato."?".

Al quesito l'Ufficio centrale ha attribuito il seguente titolo: "Ordinamento giudiziario: separazione delle carriere dei magistrati

giudicanti e requirenti".

2.- Ricevuta comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale, il Presidente di questa Corte ha fissato per la conseguente

deliberazione la camera di consiglio del 13 gennaio 2000, disponendo che ne fosse data comunicazione ai presentatori della

richiesta e al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352.

Si sono avvalsi della facoltà di presentare memorie, ai sensi dell'art. 33, terzo comma, della legge n. 352 del 1970, solo i

presentatori della richiesta, chiedendo che il quesito sia dichiarato ammissibile.

Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 i difensori dei presentatori hanno illustrato la loro memoria, insistendo per la

dichiarazione di ammissibilità della richiesta.

Considerato in diritto

1.- La richiesta di referendum investe quattro disposizioni dell'ordinamento giudiziario di cui al r.d. n. 12 del 1941, e precisamente:

a) il comma 2 dell'art. 190 (Passaggio dalle funzioni requirenti alle giudicanti e viceversa), che, nel testo sostituito dall'art. 29

del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449 (Approvazione delle norme per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario al nuovo processo

penale ed a quello a carico degli imputati minorenni), facendo seguito all'affermazione del comma 1 secondo cui "la magistratura,

unificata nel concorso di ammissione, nel tirocinio e nel ruolo di anzianità, è distinta relativamente alle funzioni giudicanti e

requirenti", stabilisce che il passaggio dalle funzioni giudicanti alle requirenti o viceversa "può essere disposto, a domanda

dell'interessato, solo quando il Consiglio superiore della magistratura, previo parere del consiglio giudiziario, abbia accertato la

sussistenza di attitudini alla nuova funzione". Può ricordarsi che il testo originario dell'art. 190 disciplinava a sua volta il passaggio

dei magistrati dalle funzioni requirenti alle giudicanti o da queste a quelle, a domanda dell'interessato o per esigenze di servizio,

sottoponendo tale passaggio, durante la permanenza del magistrato nel medesimo grado, ad alcune condizioni procedurali, in

particolare al parere conforme del Consiglio superiore della magistratura (allora organo consultivo), e ad alcuni limiti sostanziali, fra

cui, nel caso di passaggio dalle funzioni giudicanti alle requirenti, la sussistenza di "speciali attitudini alle funzioni del pubblico

ministero" (quinto comma);

b) l'intero articolo 191 (Anzianità in caso di cambio di funzioni), il quale dispone che "i magistrati che, per la speciale loro

idoneità alle funzioni requirenti, ottengono la promozione nel pubblico ministero con anticipazione sui loro colleghi parimenti

classificati promossi nella magistratura giudicante, se successivamente fanno passaggio alle funzioni giudicanti, perdono l'anzianità

derivante dalla promozione anticipata ed è ad essi attribuita quella che sarebbe loro spettata se fossero stati promossi nella

magistratura giudicante. Se non è giunto il loro turno per tale promozione, essi non possono ottenere che il richiamo alle funzioni e

al grado anteriore alla promozione, ferma in ogni caso la classifica per effetto della quale conseguirono l'anticipata promozione";

c) un inciso contenuto nel sesto comma dell'articolo 192 (Assegnazione delle sedi per tramutamento), il cui testo recita: "Non

sono ammesse domande di tramutamento con passaggio dalle funzioni giudicanti alle requirenti o viceversa, salvo che per tale

passaggio esista il parere favorevole del consiglio superiore della magistratura". Il quesito propone l'abrogazione del solo inciso

"salvo che per tale passaggio esista il parere favorevole del consiglio superiore della magistratura", tendendo dunque a lasciare in

vita un disposto che si limiti a sancire la non ammissione di domande di tramutamento con passaggio dalle une alle altre funzioni;

d) il secondo periodo dell'art. 198 (Ricollocamento in ruolo di magistrati già destinati al Ministero): l'articolo prevede che "i

magistrati addetti con funzioni amministrative al Ministero di grazia e giustizia possono, anche di ufficio, essere ricollocati nel ruolo

organico della magistratura e destinati agli uffici giudiziari per esercitarvi le funzioni del loro grado"; il secondo periodo, del quale si

chiede l'abrogazione, prosegue stabilendo che "tali destinazioni possono avvenire, a giudizio del Ministro, tanto con le funzioni

giudicanti, quanto con quelle requirenti, indipendentemente dalla qualifica posseduta dal magistrato".

2.- Le disposizioni oggetto del quesito sono del tutto estranee alle categorie di leggi per le quali l'art. 75, secondo comma, della

Costituzione preclude il ricorso all'abrogazione referendaria: onde, sotto questo profilo, non sussistono ostacoli all'ammissibilità del

quesito.

3.- La proposta di abrogazione concerne, come si è visto, alcune disposizioni o parti di disposizioni, in tema di passaggio dei

magistrati dalle funzioni giudicanti alle requirenti o da queste a quelle, che disciplinano tale passaggio, in particolare in sede di

"tramutamento" a domanda, stabilendone modalità e condizioni; l'art. 191 dell'ordinamento giudiziario, di cui si chiede l'abrogazione

totale, a sua volta disciplina un aspetto particolare, concernente l'ordine di anzianità dei magistrati nel ruolo, nei casi di passaggio

alle funzioni giudicanti di magistrato già promosso anticipatamente nella magistratura requirente. Si può pertanto riconoscere nel

quesito - in base ai criteri adottati nella pregressa giurisprudenza di questa Corte (ad esempio, sentenze n. 41 del 1997, n. 13 del

1999) - un carattere effettivamente abrogativo e non "introduttivo". Parimenti si può convenire sulla sussistenza di una "matrice

razionalmente unitaria" che caratterizza il quesito, consentendo di ritenerlo conforme, sotto questo aspetto, alla logica del

referendum abrogativo come "strumento di genuina manifestazione della sovranità popolare" (cfr. sentenza n. 16 del 1978).

4.- Ciò non significa, peraltro, che l'eventuale abrogazione, che discenderebbe dalla approvazione del quesito referendario, appaia

in grado di realizzare, tanto meno in modo esaustivo, un ordinamento caratterizzato da una vera e propria "separazione delle

carriere" dei magistrati addetti alle funzioni giudicanti e rispettivamente a quelle requirenti, obiettivo, questo, che richiederebbe una

nuova organica disciplina, suscettibile di essere introdotta solo attraverso una complessa operazione legislativa, e non attraverso la

semplice abrogazione di alcune disposizioni vigenti. A questo riguardo, la Corte non può non rilevare che il titolo attribuito al quesito

dall'Ufficio centrale per il referendum - "Ordinamento giudiziario: separazione delle carriere dei magistrati giudicanti e requirenti"

- appare non del tutto adeguato, e in sostanza eccedente, rispetto alla oggettiva portata delle abrogazioni proposte, concernenti

piuttosto, come si è detto, l'attuale disciplina sostanziale e procedimentale dei passaggi dall'una all'altra funzione in occasione dei

trasferimenti dei magistrati a domanda.

Restano, in particolare, di per sé estranei al quesito il tema dei criteri per la iniziale assegnazione del magistrato, vincitore dell'unico

concorso, e a seguito dell'unico tirocinio, alle une o alle altre funzioni, nonché quello delle assegnazioni di funzioni che avvengano,

nei casi in cui ciò è consentito, d'ufficio (cfr., ad esempio, artt. 4 e 5 della legge 25 luglio 1966, n. 570, sulla destinazione dei

magistrati di Corte d'appello e rispettivamente sul conferimento a detti magistrati di uffici direttivi; art. 10 della legge 20 dicembre

1973, n. 831, sul conferimento delle funzioni di magistrato di Cassazione; art. 19 della stessa legge, sul conferimento degli uffici

direttivi superiori; art. 37, comma 4, del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, sulla destinazione d'ufficio dei magistrati già

titolari dei posti soppressi a seguito della istituzione del giudice unico di primo grado: ancorché poi il comma 5 stabilisca che le

eventuali nuove destinazioni "sono considerate come trasferimenti a domanda a tutti gli effetti"; artt. 2 e 21, sesto comma, del r.d.l.

31 maggio 1946, n. 511, sui trasferimenti d'ufficio disposti, rispettivamente, per incompatibilità o per soppressione di posti, e con

provvedimento disciplinare).

Tuttavia è la descritta portata oggettiva del quesito, e non già la corrispondenza ad essa del titolo attribuito, che costituisce

elemento decisivo per ritenere, da tale punto di vista, la ammissibilità della richiesta di referendum: ancorché debba auspicarsi -

nell'ambito della tante volte invocata revisione della legge di attuazione del referendum - un'attenta considerazione anche di

siffatti aspetti.

5.- Non può dirsi che il quesito investa disposizioni il cui contenuto normativo essenziale sia costituzionalmente vincolato, così da

violare sostanzialmente il divieto di sottoporre a referendum abrogativo norme della Costituzione o di altre leggi costituzionali (cfr.

ancora sentenza n. 16 del 1978, nonché, da ultimo, ad esempio, sentenze n. 18 e n. 19 del 1997). La Costituzione, infatti, pur

considerando la magistratura come un unico "ordine", soggetto ai poteri dell'unico Consiglio superiore (art. 104), non contiene alcun

principio che imponga o al contrario precluda la configurazione di una carriera unica o di carriere separate fra i magistrati addetti

rispettivamente alle funzioni giudicanti e a quelle requirenti, o che impedisca di limitare o di condizionare più o meno severamente il

passaggio dello stesso magistrato, nel corso della sua carriera, dalle une alle altre funzioni. Mentre ogni altra considerazione, pur

attendibile, sull'esigenza che, a seguito dell'eventuale abrogazione referendaria, si pongano in essere gli interventi legislativi

necessari per rivedere organicamente la normativa "di risulta", eliminandone disarmonie o incongruità eventualmente discendenti

dalla parzialità dell'intervento abrogativo o dall'assenza di discipline transitorie e conseguenziali, non è tale da pregiudicare

l'ammissibilità del referendum.

6.- Non ostandovi alcuna ragione di ordine costituzionale, la richiesta di referendum deve dunque essere giudicata ammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione delle seguenti disposizioni o parti di disposizioni del

regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), e successive modificazioni: articolo 190, comma 2: "Il passaggio dei

magistrati dalle funzioni giudicanti alle requirenti e da queste a quelle può essere disposto, a domanda dell'interessato, solo quando

il Consiglio superiore della magistratura, previo parere del consiglio giudiziario, abbia accertato la sussistenza di attitudini alla nuova

funzione"; articolo 191; articolo 192, sesto comma, limitatamente alle parole ", salvo che per tale passaggio esista il parere

favorevole del Consiglio superiore della magistratura"; articolo 198, limitatamente alle parole "Tali destinazioni possono avvenire, a

giudizio del Ministro, tanto con le funzioni giudicanti, quanto con quelle requirenti, indipendentemente dalla qualifica posseduta dal

magistrato."; richiesta dichiarata legittima dall'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, con

l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il il 3 febbraio 2000

F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata il 7 febbraio 2000

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

SENTENZA

N.43

ANNO

2000

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI Giudice

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Guido NEPPI MODONA "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

- Dott. Franco BILE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'articolo 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, numero 1, della

richiesta di referendum popolare per l'abrogazione del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, recante "Conferimento alle

regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell'articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n.

59", limitatamente a: articolo 10, comma 3: "I soggetti di cui al comma 2 debbono avere quale oggetto sociale esclusivo l'attività di

mediazione tra domanda e offerta di lavoro."; comma 7, limitatamente alle parole: "devono: a) disporre di uffici idonei nonché di

operatori con competenze professionali idonee allo svolgimento dell'attività di selezione di manodopera; l'idoneità delle competenze

professionali è comprovata da esperienze lavorative relative, anche in via alternativa, alla gestione, all'orientamento, alla selezione

e alla formazione del personale almeno biennale; b) avere amministratori, direttori generali,

dirigenti muniti di rappresentanza e soci accomandatari, in possesso di titoli di studio adeguati ovvero di comprovata esperienza nel

campo della gestione, selezione e formazione del personale della durata di almeno tre anni. Tali soggetti"; comma 10: "Nei

confronti dei prestatori di lavoro l'attività di mediazione deve essere esercitata a titolo gratuito."; comma 12, lett. b), limitatamente

alle parole: "e 10", giudizio iscritto al n. 121 del registro referendum.

Vista l'ordinanza depositata il 13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha

dichiarato legittima la richiesta;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;

uditi gli avvocati Edoardo Ghera per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De Lucia Michele e l'avvocato

Piergiovanni Alleva per la Federazione dei Verdi ed altri, Comitato per le libertà e i diritti sociali e Partito della Rifondazione

Comunista.

Ritenuto in fatto

1. - L'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n.

352, e successive modificazioni, ha esaminato la richiesta di referendum popolare - presentata l'8 marzo 1999 da quattordici

cittadini italiani e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, serie generale, n. 57 del 10 marzo 1999 - sul seguente

quesito: "Volete voi che sia abrogato il D.Lgs. 23 dicembre 1997, n. 469, recante "Conferimento alle regioni e agli enti locali di

funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell'articolo 1 della L. 15 marzo 1997, n. 59", e successive

modificazioni, limitatamente a: articolo 10, comma 3: "I soggetti di cui al comma 2 debbono avere quale oggetto sociale esclusivo

l'attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro."; comma 7, limitatamente alle parole: "devono: a) disporre di uffici idonei

nonché di operatori con competenze professionali idonee allo svolgimento dell'attività di selezione di manodopera; l'idoneità delle

competenze professionali è comprovata da esperienze lavorative relative, anche in via alternativa, alla gestione, all'orientamento,

alla selezione e alla formazione del personale almeno biennale; b) avere amministratori, direttori generali, dirigenti muniti di

rappresentanza e soci accomandatari, in possesso di titoli di studio adeguati ovvero di comprovata esperienza nel campo della

gestione, selezione e formazione del personale della durata di almeno tre anni. Tali soggetti"; comma 10: "Nei confronti dei

prestatori di lavoro l'attività di mediazione deve essere esercitata a titolo gratuito."; comma 12, lett. b), limitatamente alle parole: "e

10"?".

2. - Con ordinanza depositata in data 13 dicembre 1999, l'Ufficio centrale per il referendum ha rilevato che nel quesito in

questione non sono specificate le "successive modificazioni" dei testi delle norme indicate e che esse non risultano essere

intervenute.

La richiesta di referendum è stata, quindi, dichiarata legittima sul seguente quesito, così riformulato:

"Volete voi che sia abrogato il D.Lgs. 23 dicembre 1997, n. 469, recante "Conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e

compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell'articolo 1 della l. 15 marzo 1997, n. 59", limitatamente a: art. 10, comma 3: "I

soggetti di cui al comma 2 debbono avere quale oggetto sociale esclusivo l'attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro.";

comma 7, limitatamente alle parole: "devono: a) disporre di uffici idonei nonché di operatori con competenze professionali idonee

allo svolgimento dell'attività di selezione di manodopera; l'idoneità delle competenze professionali è comprovata da esperienze

lavorative relative, anche in via alternativa, alla gestione, all'orientamento, alla selezione e alla formazione del personale almeno

biennale; b) avere amministratori, direttori generali, dirigenti muniti di rappresentanza e soci accomandatari, in possesso di titoli di

studio adeguati ovvero di comprovata esperienza nel campo della gestione, selezione e formazione del personale della durata di

almeno tre anni. Tali soggetti"; comma 10: "Nei confronti dei prestatori di lavoro l'attività di mediazione deve essere esercitata a

titolo gratuito."; comma 12, lett. b), limitatamente alle parole: "e 10"?".

L'Ufficio centrale ha infine stabilito che la denominazione del referendum in questione sia: "Collocamento al lavoro:

liberalizzazione".

3. - Ricevuta comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale per il referendum, il Presidente ha convocato questa Corte in

camera di consiglio per il 13 gennaio 2000, dandone comunicazione ai presentatori della richiesta referendaria ed al Presidente del

Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970.

I presentatori, avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 33, terzo comma, della citata legge, hanno depositato in data 7 gennaio

2000 una memoria per ribadire l'ammissibilità della richiesta.

Essi sostengono innanzitutto che le disposizioni oggetto della richiesta di abrogazione verterebbero su materie del tutto diverse da

quelle per le quali l'art. 75, secondo comma, della Costituzione esclude la possibilità di ricorso al referendum. In particolare, per

ciò che attiene al profilo della gratuità dell'attività di mediazione nei confronti dei prestatori di lavoro, la Convenzione

dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) n. 88 del 9 luglio 1948, ratificata dall'Italia a seguito della legge 30 luglio 1952,

n. 1089 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione n. 88, concernente l'organizzazione del servizio d'impiego, adottata a San

Francisco dalla Conferenza generale della Organizzazione internazionale del lavoro, il 9 luglio 1948), riguarderebbe il solo servizio

pubblico di collocamento e solo in riferimento a questo prevederebbe la gratuità dell'attività svolta a favore dei lavoratori, mentre la

richiesta di referendum in questione avrebbe ad oggetto la disciplina del collocamento privato, del quale non sarebbe affatto

vietato l'esercizio a titolo oneroso.

Né un ostacolo all'ammissibilità del referendum, sempre per il profilo della gratuità dell'attività di mediazione per i prestatori di

lavoro, potrebbe desumersi, ad avviso dei promotori, dalla Convenzione OIL n. 181 del 19 giugno 1997, in tema di Agenzie private

di collocamento, poiché la stessa non sarebbe stata ancora ratificata dall'Italia, riconoscerebbe, in ogni caso, il ruolo decisivo delle

agenzie private nel funzionamento del mercato del lavoro, e non escluderebbe, pur ribadendo il principio della gratuità, all'art. 7,

comma 2, eventuali costi della mediazione a carico dei lavoratori, a differenza di quanto avrebbe fatto il legislatore italiano ponendo

il divieto senza eccezioni oggetto del quesito referendario.

Quanto ai criteri di ammissibilità elaborati dalla giurisprudenza costituzionale, i presentatori rilevano che il quesito stesso avrebbe

natura meramente abrogativa, in quanto investirebbe specifiche disposizioni e sarebbe formulato senza far ricorso a tecniche

manipolative, ed ancora che la disciplina di cui si chiede l'abrogazione non avrebbe carattere costituzionalmente vincolato, dal

momento che la regolamentazione del collocamento non sarebbe prevista in Costituzione e sarebbe rimessa alla discrezionalità del

legislatore.

Il quesito, infine, risponderebbe anche ai criteri di omogeneità, chiarezza ed univocità, essendo evidenti la finalità intrinseca della

richiesta referendaria, di abrogare determinati vincoli posti a carico delle agenzie private di collocamento, l'intima connessione delle

disposizioni da abrogare, tutte volte a porre limitazioni, e l'effetto dell'eventuale accoglimento della richiesta, abrogativo di tali

limitazioni.

4. - Hanno depositato memorie e chiesto di poterle illustrare, per sostenere l'inammissibilità del quesito, il Comitato per le libertà

e i diritti sociali, il Partito della Rifondazione comunista, la Federazione dei Verdi, l'Associazione nazionale per la sinistra, e Alfiero

Grandi nella sua qualità di Responsabile lavoro dei D.S. (Democratici di sinistra).

5. - Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 sono stati ascoltati l'avv. Edoardo Ghera per i promotori e l'avv. Piergiovanni

Alleva per i soggetti indicati al precedente punto 4.

Considerato in diritto

1. - Questa Corte, sciogliendo la riserva formulata nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000, dichiara rituali, per le ragioni

esposte nella sentenza n. 31 del 2000, anche le memorie depositate e illustrate oralmente da soggetti diversi dai presentatori.

2. - La richiesta di referendum abrogativo, sulla cui ammissibilità la Corte è chiamata a pronunciarsi, investe l'articolo 10 del

decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, che regola l'attività privata di mediazione tra domanda e offerta di lavoro. Il quesito

referendario propone l'abrogazione di alcune disposizioni: il comma 3, a mente del quale i soggetti privati che svolgono attività di

mediazione tra domanda e offerta di lavoro devono avere tale attività quale oggetto sociale esclusivo; il comma 7, lettera a), il

quale stabilisce che essi devono disporre di uffici idonei nonché di operatori con competenze professionali idonee allo svolgimento

dell'attività di selezione di manodopera, soggiungendo che l'idoneità di tali competenze professionali è comprovata da esperienze

lavorative relative, anche in via alternativa, alla gestione, all'orientamento, alla selezione e alla formazione almeno biennale; il

comma 7, lettera b), limitatamente alla parte che prescrive che i predetti soggetti debbono avere amministratori, direttori generali,

dirigenti muniti di rappresentanza e soci accomandatari in possesso di titoli di studio adeguati, ovvero di comprovata esperienza nel

campo della gestione, selezione e formazione del personale della durata di almeno tre anni; il comma 10, che prevede che l'attività

di mediazione tra domanda e offerta di lavoro debba essere esercitata a titolo gratuito nei confronti dei prestatori di lavoro; infine, il

comma 12, lettera b), nella parte in cui, mediante rinvio al comma 10, prevede la revoca, anche su richiesta delle Regioni,

dell'autorizzazione allo svolgimento dell'attività di mediazione nell'ipotesi di violazione del dovere di gratuità nei confronti dei

lavoratori.

3. - Il quesito referendario è inammissibile, poiché con esso si chiede l'abrogazione di più disposizioni non omogenee tra loro, nei

confronti delle quali l'elettore deve essere lasciato libero di esprimere valutazioni autonome e anche potenzialmente divergenti.

I commi 3 e 7 dell'art. 10 del d.lgs. n. 469 del 1997 hanno infatti riguardo ai requisiti soggettivi dell'imprenditore o degli

amministratori (esclusività dell'oggetto sociale; professionalità degli amministratori, dei dirigenti e degli operatori), ovvero a

caratteristiche oggettive dell'azienda (disponibilità di uffici idonei). Il comma 10 non concerne requisiti soggettivi o aziendali ma

pone un limite all'attività negoziale dell'impresa (gratuità della mediazione nei confronti dei prestatori di lavoro).

Non vale sostenere che le disposizioni inserite nel quesito siano unificate tra loro dal fine di liberalizzare ulteriormente il mercato

del lavoro, rimuovendo ogni limite potenzialmente incidente sulla libertà dell'impresa. Ciascuno dei limiti ai quali le singole

disposizioni interessate dalla richiesta abrogativa mettono capo risponde a una diversa istanza legislativa. L'esclusività riguarda la

purezza dell'oggetto dell'impresa che la legge vuole indenne da qualsiasi contaminazione, anche la più lieve, al punto di precludere

in questo settore l'assunzione della qualità di imprenditore alla persona fisica per l'altrimenti inevitabile commistione con altre

attività negoziali del soggetto. I requisiti di professionalità specifica attengono ancora all'impresa nella sua globalità e non all'uno o

all'altro dei suoi rapporti contrattuali e mirano alla salvaguardia della qualità del servizio offerto. Con il vincolo di gratuità

dell'attività nei confronti dei lavoratori, il legislatore si propone di proteggere una soltanto delle parti dell'istituendo rapporto di

lavoro, quella parte che anche in un contesto di liberalizzazione del collocamento è valutata come la più debole, sia rispetto al

datore di lavoro che all'agente intermediario. Unificare questi eterogenei ordini di limiti sotto l'indistinta rubrica "liberalizzazione"

significa appunto precludere agli elettori l'opportunità di modulare la propria risposta sulla diversità dei valori legislativi sottesi alle

singole disposizioni che formano oggetto del quesito.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, dell'articolo 10 del

decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, recante "Conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di

mercato del lavoro, a norma dell'articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59", richiesta dichiarata legittima, con ordinanza

depositata in data 13 dicembre 1999, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 2000

F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata il 7 febbraio 2000

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

SENTENZA

N.44

ANNO

2000

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI Giudice

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Avv. Massimo VARI "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Guido NEPPI MODONA "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

- Dott. Franco BILE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'articolo 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, numero 1, della

richiesta di referendum popolare per l'abrogazione del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447,

"Approvazione del codice di procedura penale", e successive modificazioni, limitatamente a: - articolo 303, comma 1, lettera a),

limitatamente alle parole: "senza che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio ovvero senza che sia stata

pronunciata una delle sentenze previste dagli articoli 442, 448, comma 1, 561 e 563" e alle parole: "o la pena della reclusione non

inferiore nel massimo a venti anni ovvero per uno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), sempre che per lo stesso

la legge preveda la pena della reclusione superiore nel massimo a sei anni", lettera b): "dall'emissione del provvedimento che

dispone il giudizio o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi i seguenti termini senza che sia stata pronunciata

sentenza di condanna di primo grado: 1) sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della

reclusione non superiore nel massimo a sei anni; 2) un anno, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena

della reclusione non superiore nel massimo a vent'anni, salvo quanto previsto al numero 1); 3) un anno e sei mesi, quando si

procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o la pena della reclusione superiore nel massimo a venti

anni;" lettera c): "dalla pronuncia della sentenza di condanna di primo grado o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono

decorsi i seguenti termini senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna in grado di appello: 1) nove mesi, se vi è stata

condanna alla pena della reclusione non superiore a tre anni; 2) un anno, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non

superiore a dieci anni; 3) un anno e sei mesi, se vi è stata condanna alla pena dell'ergastolo o della reclusione superiore a dieci

anni;", lettera d): "dalla pronuncia della sentenza di condanna in grado di appello o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia

sono decorsi gli stessi termini previsti dalla lettera c) senza che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna. Tuttavia,

se vi è stata condanna in primo grado, ovvero se la impugnazione è stata proposta esclusivamente dal pubblico ministero, si applica

soltanto la disposizione del comma 4.", comma 2 e comma 3, limitatamente alle parole: "relativamente a ciascuno stato e grado del

procedimento", comma 4: "La durata complessiva della custodia cautelare, considerate anche le proroghe previste dall'articolo 305,

non può superare i seguenti termini: a) due anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della

reclusione non superiore nel massimo a sei anni; b) quattro anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la

pena della reclusione non superiore nel massimo a venti anni, salvo quanto previsto dalla lettera a); c) sei anni, quando si procede

per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a venti anni."; - articolo

304, comma 6, limitatamente alle parole: "commi 1, 2, e 3 e i termini aumentati della metà previsti dall'articolo 303, comma 4,",

giudizio iscritto al n. 132 del registro referendum.

Vista l'ordinanza depositata il 13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha

dichiarato legittima la richiesta;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;

uditi gli avvocati Federico Sorrentino e Giuseppe Frigo per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De Lucia

Michele e per i promotori Cappato Marco e Della Vedova Benedetto.

Ritenuto in fatto

1. - L'ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n.

352, e successive modificazioni, ha esaminato la richiesta di referendum popolare - presentata l'8 marzo 1999 da quattordici

cittadini italiani e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, serie generale, n. 57 del 10 marzo 1999 - sul seguente

quesito: "Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, "Approvazione del

codice di procedura penale", e successive modificazioni, limitatamente a: - articolo 303, comma 1, lettera a), limitatamente alle

parole: "senza che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio ovvero senza che sia stata pronunciata una delle

sentenze previste dagli articoli 442, 448, comma 1, 561 e 563" e alle parole: "o la pena della reclusione non inferiore nel massimo a

venti anni ovvero per uno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), sempre che per lo stesso la legge preveda la

pena della reclusione superiore nel massimo a sei anni", lettera b): "dall'emissione del provvedimento che dispone il giudizio o dalla

sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi i seguenti termini senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna di

primo grado: 1) sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel

massimo a sei anni; 2) un anno, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non

superiore nel massimo a vent'anni, salvo quanto previsto al numero 1); 3) un anno e sei mesi, quando si procede per un delitto per

il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o la pena della reclusione superiore nel massimo a venti anni;", lettera c): "dalla

pronuncia della sentenza di condanna di primo grado o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi i seguenti termini

senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna in grado di appello: 1) nove mesi, se vi è stata condanna alla pena della

reclusione non superiore a tre anni; 2) un anno, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a dieci anni; 3) un

anno e sei mesi, se vi è stata condanna alla pena dell'ergastolo o della reclusione superiore a dieci anni", lettera d): "dalla pronuncia

della sentenza di condanna in grado di appello o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi gli stessi termini previsti

dalla lettera c) senza che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna. Tuttavia, se vi è stata condanna in primo grado,

ovvero se la impugnazione è stata proposta esclusivamente dal pubblico ministero, si applica soltanto la disposizione del comma 4.",

comma 2 e comma 3, limitatamente alle parole: "relativamente a ciascuno stato e grado del procedimento", comma 4: "La durata

complessiva della custodia cautelare, considerate anche le proroghe previste dall'articolo 305, non può superare i seguenti termini:

a) due anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei

anni; b) quattro anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel

massimo a venti anni, salvo quanto previsto dalla lettera a); c) sei anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge

stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a venti anni."; - articolo 304, comma 6, limitatamente alle

parole: "commi 1, 2, e 3 e i termini aumentati della metà previsti dall'articolo 303, comma 4,"?".

2. - Con ordinanza depositata in data 13 dicembre 1999, l'Ufficio centrale per il referendum ha dichiarato la legittimità della

richiesta, stabilendo come denominazione del referendum: "Termini massimi di custodia cautelare: contenimento".

3. - Ricevuta comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale per il referendum, il Presidente ha convocato questa Corte in

camera di consiglio per il 13 gennaio 2000, dandone comunicazione ai presentatori della richiesta referendaria ed al Presidente del

Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970.

4. - I presentatori, avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 33, terzo comma, della legge n. 352 del 1970, hanno depositato in

data 7 gennaio 2000 una memoria, per sostenere l'ammissibilità della richiesta. Essi hanno precisato che il quesito referendario

mira a rendere, attraverso una complessiva semplificazione della disciplina, la durata massima della custodia cautelare insensibile

alle vicende del processo penale e a produrre un rilevante abbassamento dei termini massimi di custodia cautelare.

La difesa dei promotori osserva che la attuale previsione di termini di custodia corrispondenti alle varie fasi del processo andrebbe

a discapito non solo del principio della presunzione di non colpevolezza sino alla condanna definitiva, sancito dall'art. 27 della

Costituzione, ma anche dell'esigenza di certezza circa la durata massima della custodia cautelare, espressa dall'art. 13, ultimo

comma, della Costituzione.

Nella memoria si rileva che il quesito incide principalmente sull'art. 303 del codice di procedura penale [parte della lettera a) del

comma 1; lettere b), c) e d) del comma 1 per intero; l'ultimo inciso del comma 2; lo stesso inciso del comma 3; l'intero comma 4],

mentre in relazione all'art. 304 dello stesso codice il ritaglio proposto svolgerebbe una mera funzione di "cosmesi normativa",

diretta ad eliminare il riferimento alle disposizioni alla cui abrogazione è in via primaria finalizzata la proposta referendaria, con il

risultato di lasciare una disciplina autosufficiente del computo dei termini massimi di custodia cautelare.

Il fine della proposta referendaria (e cioè l'impermeabilità del sistema di computo dei termini massimi della custodia cautelare alle

vicende processuali e il sensibile contenimento degli stessi) sarebbe raggiunto attraverso la generalizzazione della regola del

comma 1, lettera a) dell'art. 303, e attraverso la sua estensione - mediante l'abrogazione (oltre che delle espressioni che ne

limitano la portata alla prima fase del giudizio) del comma 4, e delle lettere b), c), e d) del comma 1 dello stesso art. 303 - a tutta

la durata del processo penale. Conseguentemente sono colpite dall'iniziativa referendaria parti del comma 2 e del comma 3

dell'art. 303, nonché del comma 6 dell'art. 304, strettamente collegate alle precedenti.

Il risultato di impedire che i termini ricomincino a decorrere nuovamente "all'inizio di ogni stato e grado del procedimento"

eviterebbe, secondo i promotori, il prolungamento indefinito della custodia anche quando l'esigenza cautelare derivante dal pericolo

di inquinamento delle prove non si giustifichi più, dato il lasso di tempo trascorso dall'inizio delle indagini, mentre alle altre esigenze

cautelari, legate al pericolo di reiterazione del reato ed al pericolo di fuga, si potrebbe far fronte con altrettanta efficacia con

misure meno afflittive.

La memoria si conclude sottolineando che il quesito, oltre ad essere rispettoso dei limiti contenuti nell'art. 75, secondo comma,

della Costituzione, avrebbe anche i necessari requisiti di chiarezza ed intelligibilità, ed evidenziando l'univocità del fine perseguito

dai promotori e la "matrice razionalmente unitaria" delle disposizioni di cui si chiede l'abrogazione, tale da non coartare la volontà

dell'elettore. Infine, i promotori rilevano che la normativa superstite risulterebbe pienamente autosufficiente e che l'inclusione nel

quesito di un frammento normativo dell'art. 304, comma 6, del codice di procedura penale, che rinvia ai commi dell'art. 303 di cui

si chiede l'abrogazione, sarebbe volta a soddisfare esigenze di omogeneità e completezza della proposta referendaria.

Nell'illustrare la memoria nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000, i difensori dei promotori hanno ribadito le argomentazioni

già svolte, precisando che con il quesito referendario non ci si proporrebbe di vanificare l'istituto della custodia cautelare quanto

piuttosto di promuovere l'attuazione del principio di ragionevole durata del processo, reso oggi cogente dal nuovo testo dell'articolo

111 della Costituzione.

Considerato in diritto

1. - La richiesta di referendum abrogativo, sulla cui ammissibilità la Corte è chiamata a pronunciarsi, investe la disciplina dei

termini della custodia cautelare. Tale disciplina è attualmente articolata in relazione alle singole fasi e ai diversi gradi del

procedimento penale (indagini preliminari, giudizio di primo grado, giudizio di appello, restante corso del procedimento), che

vengono assunti autonomamente l'uno dall'altro onde impedire che il termine di custodia cautelare non utilizzato in una fase o in un

grado precedente venga economizzato per essere utilizzato nelle fasi o nei gradi successivi. Per la fase delle indagini preliminari, ai

fini della durata della custodia cautelare, si ha riguardo all'inizio della esecuzione della misura. Per le fasi che seguono, il momento

iniziale è costituito rispettivamente dal rinvio a giudizio per il primo grado, dalla sentenza di primo grado per la fase d'appello e dalla

sentenza d'appello per la restante parte del procedimento, ovvero, in tutti i casi, dalla sopravvenuta esecuzione della custodia. La

perdita di efficacia è a sua volta collegata alla mancata pronuncia del provvedimento conclusivo della fase o del grado (decreto

che dispone il giudizio; sentenza non definitiva; sentenza irrevocabile) entro il termine rispettivamente stabilito.

Quanto all'entità dei termini, essa varia con le fasi e con la gravità dei reati. Per la fase delle indagini preliminari, il termine

massimo di custodia è di tre mesi quando si procede per delitti puniti con la reclusione non superiore nel massimo a sei anni, di sei

mesi per i delitti puniti con pena superiore nel massimo a sei anni, di un anno se la pena edittale è l'ergastolo o la reclusione non

inferiore nel massimo a venti anni ovvero se si procede per uno dei delitti indicati dall'art. 407, comma 2, lettera a), del codice di

procedura penale, sempre che la pena prevista sia superiore nel massimo a sei anni (articolo 303, comma 1, lettera a), cod. proc.

pen.).

Per il giudizio di primo grado, il termine massimo di custodia è di sei mesi per i delitti puniti con la reclusione non superiore nel

massimo a sei anni, di un anno se la pena prevista non è superiore nel massimo a venti anni, salve le ipotesi ora menzionate, e di un

anno e sei mesi se la pena prevista è l'ergastolo o la reclusione superiore nel massimo a venti anni (articolo 303, comma 1, lettera

b), cod. proc. pen.).

Per il giudizio di appello, i termini massimi di custodia cautelare sono di nove mesi se vi è stata condanna alla pena della reclusione

non superiore a tre anni, di un anno se la condanna alla pena della reclusione non è stata superiore a dieci anni, di un anno e sei

mesi se vi è stata condanna all'ergastolo o alla reclusione superiore a dieci anni (articolo 303, comma 1, lettera c), cod. proc. pen.).

Per il restante corso del procedimento, i termini sono uguali a quelli previsti per il giudizio di appello (articolo 303, comma 1, lettera

d), cod. proc. pen.).

Oltre ai termini stabiliti fase per fase, la durata della custodia cautelare incontra limiti che investono globalmente l'intera durata del

procedimento e che tengono in vario modo conto degli istituti della proroga (articolo 305 cod. proc. pen.), della sospensione dei

termini (articolo 304 cod. proc. pen.) e della cosiddetta "neutralizzazione" di periodi processuali all'interno delle singole fasi

(articolo 297, comma 4, cod. proc. pen.). L'articolo 303, comma 4, cod. proc. pen. stabilisce infatti che la durata complessiva della

custodia cautelare, considerate anche le proroghe previste dall'art. 305, non può superare i due anni quando si procede per un

delitto punito con la reclusione non superiore nel massimo a sei anni, i quattro anni quando si procede per un delitto punito con la

reclusione non superiore nel massimo a venti anni, salva l'ipotesi precedente, e i sei anni quando si procede per un delitto per il

quale è previsto l'ergastolo o la reclusione superiore nel massimo a venti anni. L'articolo 304, comma 6, cod. proc. pen., pur

consentendo il superamento del termine complessivo determinato ai sensi dell'articolo 303, comma 4, introduce un termine che

viene denominato "massimo dei massimi", assolutamente invalicabile, stabilendo che "la durata della custodia cautelare non può

comunque superare il doppio dei termini previsti dall'articolo 303, commi 1, 2 e 3 e i termini aumentati della metà previsti dall'art.

303, comma 4, ovvero, se più favorevole, i due terzi del massimo della pena temporanea prevista per il reato contestato o ritenuto

in sentenza".

Infine, i commi 2 e 3 dell'articolo 303 cod. proc. pen. prevedono il nuovo decorso dei termini stabiliti per ciascuna fase in caso di

regresso del procedimento o di rinvio ad altro giudice ovvero nel caso di evasione dell'imputato sottoposto a custodia cautelare.

2. - Il quesito referendario si propone di pervenire ad una disciplina dei termini di durata massima della custodia cautelare nel

senso che questa perda efficacia quando dall'inizio della sua esecuzione siano decorsi i seguenti termini: 1) tre mesi allorquando si

procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore a sei anni; 2) sei mesi quando si procede

per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione in misura superiore a sei anni, salvo quanto previsto dal

successivo numero 3; 3) un anno quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo. Si perviene

a questa disciplina di risulta attraverso il taglio di parti dell'originario testo (articolo 303: parte della lettera a) del comma 1; lettere

b), c), e d) del comma 1 per intero; l'ultimo inciso del comma 2; lo stesso inciso del comma 3; l'intero comma 4), così che i termini

attualmente previsti per la sola fase delle indagini preliminari divengano i limiti massimi di custodia cautelare per tutta la durata del

processo, indipendentemente dalle fasi e dai gradi in cui esso si articola. Il quesito incide anche sul comma 6 dell'articolo 304, nel

senso che il limite finale verrebbe fatto consistere esclusivamente nel doppio dei termini previsti dal riformulato articolo 303 o, se

più favorevole, nei due terzi del massimo della pena prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza.

Ne risulterebbe altresì, rispetto all'attuale disciplina, un diverso apprezzamento, in riferimento alla durata della custodia cautelare,

dei reati per i quali è stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a venti anni e di quelli indicati nell'articolo 407,

comma 2, lettera a), cod. proc. pen. per i quali sia prevista la pena della reclusione superiore nel massimo a sei anni. In relazione a

tali reati, che per la fase delle indagini preliminari il legislatore ha accomunato quanto a gravità, ai fini della determinazione dei

termini di custodia cautelare, a quelli per i quali è prevista la pena dell'ergastolo, il quesito referendario propone, attraverso la

tecnica del ritaglio, a questi fini, ma per l'intero procedimento, l'assimilazione a tutti gli altri delitti per i quali il massimo edittale è

superiore a sei anni.

3. - Il quesito trascende, inammissibilmente, i limiti segnati dall'articolo 75 della Costituzione, che consente il referendum

abrogativo totale o parziale di una legge o di un atto avente valore di legge, e non il referendum introduttivo di discipline legislative

completamente nuove.

L'effetto innovativo sulla disciplina vigente, connaturale alla abrogazione, non conseguirebbe, nella specie, alla fisiologica

espansione della sfera di operatività di una norma già presente, dotata, in ipotesi, di un suo ambito di applicazione più circoscritto,

riguardante i termini massimi della custodia cautelare riferibili direttamente all'intero procedimento penale, ma alla posizione di un

sistema di norme radicalmente nuovo che andrebbe a sostituirsi alle norme da eliminare grazie ad una operazione di taglio di parole

o di parti del testo e di ricucitura delle parole o delle parti residue, con sostanziale stravolgimento della struttura delle originarie

disposizioni e del loro significato normativo. Alcune parole impiegate dal legislatore per stabilire il limite massimo della custodia

cautelare nell'ambito della sola fase delle indagini preliminari verrebbero tenute ferme ("la custodia cautelare perde efficacia

quando "), estrapolandole dal contesto che conferisce ad esse significato; altre parole prive di un autonomo significato ("senza

che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio ") e intere proposizioni [parte del numero 3 dell'articolo 303,

comma 1, lettera a); le intere lettere b), c) e d) del medesimo comma] verrebbero eliminate, così che le parole e le proposizioni

residue assumerebbero, saldandosi tra loro, un significato totalmente diverso.

Si è qui in presenza non già di un quesito meramente abrogativo ma di un quesito introduttivo, teso a porre, per via referendaria,

norme che attualmente non esistono, in quanto in nessun caso nella disciplina vigente i termini massimi di custodia cautelare che

risulterebbero dall'abrogazione referendaria sono individuati come tali dal legislatore per l'intero procedimento.

Di fronte a un quesito siffatto, questa Corte non può non sottolineare la differenza dall'ipotesi considerata nella sentenza n. 13 del

1999, con la quale, nonostante la tecnica del ritaglio, non è stato negato il carattere puramente abrogativo del quesito referendario

in quanto ordinato a provocare, mediante una soppressione di una parte più o meno estesa del testo, l'espansione di una disciplina

già esistente, provvista di un suo proprio ambito di applicazione, ancorché originariamente residuale.

Al caso di specie si attagliano i rilievi già formulati da questa Corte con la sentenza n. 36 del 1997 nei confronti dei quesiti non

meramente abrogativi, ma espressivi di una potestà legislativa in positivo, estranea alla configurazione del referendum previsto

dell'articolo 75 della Costituzione. E' agevole individuare nella struttura del quesito, accanto al profilo di soppressione di locuzioni

verbali prive in sé di significato normativo, un profilo di sostituzione della norma abroganda con altra assolutamente diversa "non

derivante direttamente dall'estensione di preesistenti norme o dal ricorso a forme autointegrative ma costruita attraverso la

saldatura di frammenti lessicali eterogenei". E come nel caso risolto con la sentenza n. 36 del 1997, così nel caso presente non si

propone tanto al corpo elettorale una ablazione di contenuti normativi quanto una nuova norma direttamente costruita con una

tecnica di tagli e cuciture, per di più necessariamente condizionata dal limite di non poter calibrare la volontà innovativa attraverso

l'uso di parole e termini diversi da quelli presenti nel testo.

Si aggiunga che la nuova disciplina che con il quesito si intende porre avrebbe imponenti effetti di sistema, tali da far sì che, quali

che siano le finalità che possono essere legittimamente perseguite dal legislatore attraverso l'istituto della carcerazione preventiva

previsto dall'articolo 13, ultimo comma, della Costituzione, esse, nel contesto del vigente ordinamento processualpenale, non

potrebbero in alcun modo realizzarsi. Basti considerare che nel termine di sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la

legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a sei anni (ipotesi questa che, a seguito dell'abrogazione

referendaria, si riferirebbe anche a reati per i quali è stabilita la pena della reclusione fino a trenta anni, come ad esempio il

sequestro di persona a scopo di estorsione o talune ipotesi di omicidio aggravato), o nel termine di un anno, quando si procede per

un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo, si dovrebbero svolgere il processo di primo grado, quello di appello e

il giudizio di legittimità affinché la sentenza definitiva sia pronunciata nei confronti di un imputato in stato di custodia. Senza dire

che nei procedimenti a carico dei minorenni, ai sensi dell'articolo 23 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, gli anzidetti termini sono

ridotti della metà per i reati commessi dai minori degli anni diciotto e dei due terzi per quelli commessi da minori degli anni sedici.

Né la vanificazione delle finalità della carcerazione preventiva risulterebbe meno evidente a causa della possibilità, che il quesito

referendario fa salva, che il termine di custodia cautelare, nelle ipotesi di sospensione previste dall'articolo 304 cod. proc. pen.,

possa espandersi sino al doppio, termine massimo che comunque potrebbe essere in larga parte consumato già prima dell'inizio del

processo a causa delle proroghe concesse, durante le indagini, ai sensi dell'articolo 305, comma 2, cod. proc. pen., non toccato dal

quesito referendario.

A una diversa valutazione circa l'ammissibilità della richiesta non inducono le considerazioni svolte nella discussione dalla difesa

dei promotori, secondo cui l'intendimento sotteso al quesito non sarebbe la vanificazione dell'istituto della custodia cautelare, ma la

promozione del principio di ragionevole durata del processo. Si tratta di un intendimento riformatore che, pur rispondendo a una

esigenza generalmente avvertita ed anzi oramai costituzionalmente imposta dal nuovo testo dell'articolo 111, richiederebbe una

riforma complessiva del sistema della giustizia penale, non attuabile in via referendaria, tanto meno attraverso l'abrogazione

manipolativa della disciplina dei termini della custodia cautelare, che da quel sistema non può restare avulsa.

4. - Sotto un concorrente profilo, il quesito è inammissibile perché privo del carattere di omogeneità, individuato nella

giurisprudenza costituzionale, a tutela della libertà di scelta dell'elettore, quale requisito delle richieste di referendum abrogativo.

Non risponde ad alcuna necessità logica o giuridica che l'eventuale propensione negli elettori a ridurre anche drasticamente i

termini massimi di custodia cautelare significhi altresì, per ciascuno di essi, apprezzare diversamente la gravità di intere categorie di

reati, come suppone il quesito referendario là dove propone, attraverso l'abrogazione manipolativa dell'inciso contenuto

nell'articolo 303, comma 1, lettera a), cod. proc. pen. ["o la pena della reclusione non inferiore nel massimo a venti anni ovvero per

uno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), sempre che per lo stesso la legge preveda la pena della reclusione

superiore nel massimo a sei anni"], l'assimilazione di queste ipotesi, quanto alla durata del termine massimo della custodia

cautelare, a quelle meno gravemente valutate dal legislatore nel numero 2 del citato articolo 303, comma 1, lettera a).

Le norme che stabiliscono i termini massimi di custodia cautelare e quelle nelle quali si esprime l'apprezzamento del legislatore

circa la gravità dei reati, sia pure al fine di calibrare la durata della custodia stessa, corrispondono a scelte potenzialmente

autonome sulle quali gli elettori devono essere lasciati liberi di compiere scelte distinte. Fa dunque difetto quella matrice

razionalmente unitaria che sola può rendere ammissibile la proposta di un unico quesito.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, dei commi 1, 2, 3 e 4

dell'articolo 303 e del comma 6 dell'articolo 304 del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447,

"Approvazione del codice di procedura penale", e successive modificazioni, richiesta dichiarata legittima, con ordinanza depositata

in data 13 dicembre 1999, dall'Ufficio centrale per il referendum costituto presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 2000

F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata il 7 febbraio 2000

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

Presidente Giuliano Vassalli

Redattore Carlo Mezzanotte

SENTENZA N.45

ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI Giudice

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Avv. Massimo VARI "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Guido NEPPI MODONA "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

- Dott. Franco BILE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di

referendum popolare per l'abrogazione della legge 13 aprile 1988, n. 117 recante "Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio

delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati" e successive modificazioni, limitatamente alle seguenti parti:

- articolo 2, comma 1, limitatamente alle parole: "contro lo Stato";

- articolo 4;

- articolo 5;

- articolo 6;

- articolo 7;

- articolo 8;

- articolo 9, comma 1, limitatamente alle parole: "dalla comunicazione di cui al comma 5 dell'articolo 5";

- articolo 13, comma 1, limitatamente alle parole "costituente reato";

giudizio iscritto al n. 120 del registro referendum.

Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha

dichiarato conforme a legge la richiesta;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Fernanda Contri;

udito l'avvocato Giuseppe Morbidelli per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De Lucia Michele.

Ritenuto in fatto

1. - L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione in applicazione della legge 25 maggio 1970, n.

352, e successive modificazioni, ha esaminato la richiesta di referendum popolare abrogativo - presentata da Capezzone Daniele,

De Lucia Michele, Giustini Mariano, Bernardini Rita e Marzano Antonio - sul seguente quesito:

» Volete voi che sia abrogata la legge 13 aprile 1988, n. 117, recante "Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni

giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati" e successive modificazioni, limitatamente alle seguenti parti:

- articolo 2, comma 1, limitatamente alle parole: "contro lo Stato";

- articolo 4;

- articolo 5;

- articolo 6;

- articolo 7;

- articolo 8;

- articolo 9, comma 1, limitatamente alle parole: "dalla comunicazione di cui al comma 5 dell'articolo 5";

- articolo 13, comma 1, limitatamente alle parole "costituente reato" ?

1.2. - Con ordinanza del 7-13 dicembre 1999 l'Ufficio centrale, verificata la regolarità della richiesta, l'ha dichiarata legittima,

stabilendo la seguente denominazione del referendum in oggetto: "Responsabilità civile diretta dei magistrati: Abrogazione delle

norme contrarie".

2. - Ricevuta la comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale, il Presidente di questa Corte ha fissato il giorno 13 gennaio

2000 per le conseguenti deliberazioni.

Il Comitato promotore del referendum ha depositato memoria a sostegno dell'ammissibilità della richiesta referendaria.

3. - Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 è stato udito l'Avvocato Giuseppe Morbidelli, che ha illustrato le ragioni a

sostegno dell'ammissibilità della richiesta referendaria.

Considerato in diritto

1. - La richiesta di referendum abrogativo, sulla cui ammissibilità questa Corte è chiamata a pronunciarsi, ha ad oggetto molteplici

disposizioni della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e

responsabilità civile dei magistrati), di cui propone la soppressione di articoli o di parti di comma. Più precisamente la richiesta

investe:

- l'articolo 2, che prevede la responsabilità per dolo o colpa grave del magistrato, limitatamente alle parole "contro lo Stato", in

modo da consentire l'azione diretta per il risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie;

- l'intero articolo 4, che determina la competenza e stabilisce i termini per l'esercizio dell'azione di risarcimento del danno contro lo

Stato;

- gli interi articoli 5 e 6, che disciplinano l'ammissibilità della domanda risarcitoria contro lo Stato e l'intervento del magistrato nel

relativo giudizio;

- gli interi articoli 7 e 8, che prevedono rispettivamente l'azione di rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato, nonché la

competenza per la detta azione e la misura della rivalsa;

- l'articolo 9, limitatamente alle parole "dalla comunicazione di cui al comma 5 dell'articolo 5", in quanto il termine per l'esercizio

dell'azione disciplinare decorre dalla comunicazione del provvedimento di ammissibilità della domanda risarcitoria;

- l'articolo 13, limitatamente alle parole "costituente reato", poiché tale norma afferma il diritto del danneggiato al risarcimento dei

danni nei confronti sia del magistrato che dello Stato solo in conseguenza di un fatto "costituente reato".

2. - Le disposizioni oggetto dell'iniziativa referendaria non appartengono ad alcuna delle categorie di leggi espressamente sottratte

a referendum dall'art. 75, secondo comma, della Costituzione.

E' nondimeno necessario, in relazione alla struttura e alla formulazione del quesito, accertare "se non s'impongono altre ragioni,

costituzionalmente rilevanti, in nome delle quali si renda indispensabile precludere il ricorso al corpo elettorale, ad integrazione delle

ipotesi che la Costituzione ha previsto in maniera puntuale ed espressa" (sentenza n. 16 del 1978).

La domanda referendaria, benché formulata in termini parzialmente diversi rispetto a quella dichiarata inammissibile da questa

Corte con sentenza n. 34 del 1997, non si sottrae ad una serie di rilievi che ne precludono l'ammissibilità.

3. - Il quesito referendario investe una disciplina che, pur avendo ad oggetto gli atti o i comportamenti posti in essere da magistrati

nell'esercizio delle loro funzioni e la conseguente responsabilità, assegna la preminenza all'azione diretta contro lo Stato sia - come

questa Corte ha già avuto occasione di rilevare, con la menzionata sentenza n. 34 del 1997 - per garantire l'interesse del cittadino

alla riparazione risarcitoria; sia per determinare, in base ad una valutazione discrezionale, un punto di equilibrio tra tale interesse e

la costituzionale esigenza di salvaguardare l'indipendenza e l'indefettibilità della funzione giurisdizionale.

La domanda referendaria tende ad affermare una responsabilità civile dei magistrati piena e diretta, destinata a coesistere con la

perdurante possibilità di proporre un'azione rivolta contro lo Stato.

Si tratta di una modifica dell'impianto della speciale disciplina - delineata dal legislatore ai ricordati fini - perseguita tanto attraverso

la proposta di abrogazione popolare di interi articoli della legge oggetto della richiesta referendaria, quanto mediante la tecnica del

ritaglio, da singole disposizioni, di parole e locuzioni insuscettibili, isolatamente riguardate, di esprimere un qualsivoglia significato:

dall'art. 2, comma 1, della legge n. 117 del 1988, che disciplina le ipotesi tipiche di responsabilità per dolo o colpa grave,

prevedendo come unico rimedio l'azione contro lo Stato, si propone di sottrarre le parole "contro lo Stato" per far residuare un

"diritto di agire" non limitato sotto il profilo dei soggetti destinatari dell'azione; dall'art. 13, comma 1, norma speciale che disciplina

l'unica ipotesi - l'illecito penale - in cui è ammessa l'azione di responsabilità anche nei confronti del magistrato, si propone di

eliminare la locuzione "costituente reato", per far residuare una disposizione che ammette l'azione risarcitoria diretta nei confronti

del magistrato, oltre che dello Stato, da parte di chi abbia "subito un danno in conseguenza di un fatto", senza ulteriore

qualificazione, "commesso dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni".

In più di una occasione, questa Corte ha chiarito che con la tecnica del ritaglio non può essere perseguito l'effetto, proprio di un

referendum propositivo, di sostituire la disciplina investita dalla domanda referendaria "con un'altra disciplina assolutamente

diversa ed estranea al contesto normativo, che il quesito ed il corpo elettorale non possono creare ex novo né direttamente

costruire" (sentenza n. 13 del 1999); né può dirsi, con riguardo alla richiesta ora sottoposta allo scrutinio di ammissibilità, che

l'introduzione dell'azione diretta nei confronti del magistrato, accanto alla perdurante possibilità di proporre l'azione contro lo Stato,

possa realizzarsi grazie a meccanismi di riespansione o autointegrazione dell'ordinamento attivati dall'eventuale abrogazione

popolare.

Il risultato che i promotori si propongono di provocare, in altri termini, non deriverebbe "come effetto di sistema da un'operazione in

se stessa conforme alla natura abrogativa dell'istituto previsto dall'art. 75 della Costituzione" (sentenza n. 31 del 1997).

Invece il fine che i promotori si propongono e che risulta oggettivato nella domanda referendaria è perseguito in modo contrario

alla natura dell'istituto e pertanto inammissibile, poiché la proposta referendaria non si presenta come puramente ablativa, bensì

come innovativa e sostitutiva di norme.

Nel presente caso, in altri termini, il quesito assumendo carattere propositivo non può ricondursi allo schema dell'abrogazione

parziale, "perché non si propone tanto al corpo elettorale una sottrazione di contenuto normativo, ma si propone piuttosto una nuova

norma direttamente costruita" (sentenza n. 36 del 1997).

4. - Come questa Corte ha già avuto modo di sottolineare, quando l'abrogazione parziale venga perseguita mediante la

soppressione dal testo normativo di singole parole, "si accentua l'esigenza di garantire al popolo, nell'esercizio del suo potere

sovrano, la possibilità di una scelta chiara" (sentenza n. 39 del 1997).

Nel presente giudizio di ammissibilità, quanto al requisito della chiarezza, non si può omettere il rilievo di alcune gravi carenze. La

formulazione della domanda referendaria presenta infatti numerosi elementi idonei a ingenerare confusione nell'elettore.

4.1. - E' sufficiente enunciare, quale conseguenza automatica dell'eventuale abrogazione dell'art. 7, l'unificazione del regime di

responsabilità per tutti i soggetti che a vario titolo partecipano all'esercizio della funzione giudiziaria - dalla legge a seconda del

titolo differentemente considerati - e ancora, quale conseguenza dell'eventuale abrogazione degli artt. 7 e 8, la commistione

dell'azione di regresso con quella di rivalsa, ben distinte ed autonome nell'impianto della legge n.117 del 1988.

4.2. - Ancora e più specificatamente si consideri la richiesta di abrogazione della disposizione concernente il dies a quo per

l'esercizio dell'azione disciplinare, che deve essere esercitata entro due mesi dalla comunicazione del provvedimento di

ammissibilità della domanda risarcitoria, anche se persegue l'evidente finalità di eliminare ogni riferimento al giudizio di

ammissibilità della domanda di cui all'art. 5; una volta eliminata la previsione del termine iniziale, si potrebbe ritenere che l'azione

disciplinare debba essere esercitata entro due mesi dalla notizia del fatto, ovvero entro due mesi dalla proposizione dell'azione

risarcitoria. Ciò costituisce elemento di obiettiva incertezza, tanto più grave ove si consideri che la norma in esame pone l'obbligo,

non la mera facoltà, dell'esercizio dell'azione disciplinare, a differenza di quanto stabilito dalle disposizioni generali relative al

procedimento disciplinare dei magistrati.

4.3. - Un profilo particolarmente evidente di mancanza di chiarezza del quesito si ravvisa nella richiesta di abrogazione delle parole

"costituente reato", contenute nell'art. 13 della legge, che disciplina la responsabilità civile per fatti costituenti reato commessi dal

magistrato nell'esercizio delle sue funzioni, stabilendo in tal caso il diritto del danneggiato al risarcimento dei danni nei confronti sia

del magistrato che dello Stato come responsabile civile.

A seguito della eventuale abrogazione del menzionato inciso, il magistrato sarebbe chiamato a rispondere per qualunque "fatto"

commesso nell'esercizio delle sue funzioni: la eventuale abrogazione non potrebbe sensatamente accreditare una estensione della

responsabilità a qualsiasi "fatto" commesso dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni. Dall'abrogazione peraltro potrebbe

derivare l'effetto per cui, in assenza di qualunque riferimento alle fattispecie disciplinate dagli artt. 2 e 3 della legge, la disposizione

residua introdurrebbe ipotesi di responsabilità diverse e più ampie rispetto a quelle tipiche di cui ai citati articoli 2 e 3; ipotesi di

responsabilità che sarebbero poste a carico indistintamente di tutti coloro che partecipano all'esercizio della funzione giudiziaria. Si

tratta di un risultato evidentemente contraddittorio con la finalità oggettivata nello stesso quesito, che rappresenta un elemento di

grave incertezza e confusione, potenziata dalla permanenza nella rubrica del medesimo articolo della qualificazione del fatto come

reato.

5. - In conclusione, la rilevata natura propositiva e non meramente abrogativa della richiesta referendaria in esame e la

complessiva mancanza di chiarezza del quesito da sottoporre al corpo elettorale, inducono ad un giudizio di inammissibilità.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, della legge 13 aprile

1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), richiesta

dichiarata legittima con ordinanza del 7-13 dicembre 1999 dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di

cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il

3 febbraio 2000

F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata il 7 febbraio 2000

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

SENTENZA N.46

ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI Giudice

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Avv. Massimo VARI "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Guido NEPPI MODONA "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

- Dott. Franco BILE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di

referendum popolare per l'abrogazione del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, recante "Ordinamento giudiziario", limitatamente

a:

- articolo 16, comma 2, limitatamente alle parole: ", senza l'autorizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura", e comma 3:

"In tal caso, possono assumere le funzioni di arbitro unico o di presidente del collegio arbitrale ed esclusivamente negli arbitrati nei

quali è parte l'Amministrazione dello Stato ovvero aziende o enti pubblici, salvo quanto previsto dal capitolato generale per le opere

di competenza del Ministero dei lavori pubblici, approvato con D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063.", come sostituiti dall'art. 14 della

legge 2 aprile 1979, n. 97;

giudizio iscritto al n. 126 del registro referendum.

Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha

dichiarato conforme a legge la richiesta;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Fernanda Contri;

udito l'avvocato Claudio Chiola per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De Lucia Michele.

Ritenuto in fatto

1. - L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352

e successive modificazioni, ha esaminato la richiesta di referendum popolare abrogativo - presentata da Capezzoni Daniele, De

Lucia Michele, Giustino Mariano, Stanzani Ghedini Sergio Augusto e Bernardini Rita - sul seguente quesito:

"Volete voi che sia abrogato il Regio Decreto 30 gennaio 1941, n. 12, recante "Ordinamento giudiziario" limitatamente a: - articolo

16, comma 2, limitatamente alle parole: ", senza l'autorizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura", nonché comma 3: "In

tal caso, possono assumere le funzioni di arbitro unico o di presidente del collegio arbitrale ed esclusivamente negli arbitrati nei

quali è parte l'Amministrazione dello Stato ovvero aziende o enti pubblici, salvo quanto previsto dal capitolato generale per le opere

di competenza del Ministero dei lavori pubblici, approvato con D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063."? ".

1.2. - Con ordinanza del 7-13 dicembre 1999, l'Ufficio centrale ha dichiarato legittima la richiesta, dopo averne verificato la

regolarità; inoltre, il medesimo Ufficio, rilevando che la proposta referendaria non faceva menzione delle modifiche apportate

dall'art. 14, commi 2 e 3, della legge 2 aprile 1979, n. 97, ha provveduto ad integrare il testo del quesito con la indicazione della

citata legge di modifica, ed ha infine stabilito per il referendum in esame la seguente denominazione: "Incarichi extragiudiziari dei

magistrati: Abolizione della possibilità per i magistrati di assumere incarichi al di fuori delle loro attività giudiziarie".

2. - Ricevuta la comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale, il Presidente di questa Corte ha fissato il giorno 13 gennaio 2000

per le conseguenti deliberazioni, dandone regolare comunicazione.

Il Comitato promotore del referendum ha depositato memoria a sostegno dell'ammissibilità della richiesta referendaria.

3. - Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 è stato udito l'avvocato Claudio Chiola, che ha illustrato le ragioni

dell'ammissibilità del referendum.

Considerato in diritto

1. - La richiesta di referendum abrogativo, sottoposta all'esame di ammissibilità di questa Corte, investe alcune disposizioni del

regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), e precisamente il secondo comma dell'art. 16, limitatamente alle

parole ", senza l'autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura", nonché l'intero terzo comma della medesima norma.

La proposta referendaria è diretta all'abrogazione delle disposizioni che prevedono la possibilità per i magistrati, previa

l'autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura, di accettare incarichi di qualsiasi specie e di assumere le funzioni di

arbitro.

2. - La richiesta di referendum in oggetto è ammissibile.

Deve anzitutto escludersi la sussistenza delle cause ostative espressamente indicate dall'art. 75, secondo comma, della

Costituzione, in quanto le disposizioni di legge che si intendono sottoporre a consultazione referendaria abrogativa sono del tutto

estranee alle materie ivi menzionate.

Il quesito risponde ai requisiti di chiarezza ed omogeneità; la possibilità per i magistrati di accettare incarichi estranei al loro ruolo

istituzionale e di assumere le funzioni di arbitro costituisce infatti un principio unitario, alla cui eliminazione è indirizzata la richiesta

referendaria, la quale propone appunto l'abrogazione delle disposizioni che detto principio contengono.

Alle stesse conclusioni, del resto, è pervenuta questa Corte con la sentenza n. 41 del 1997, dichiarando l'ammissibilità della

richiesta di referendum formulata nei medesimi termini di quella in esame.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, recante

"Ordinamento giudiziario", limitatamente alle seguenti parti: articolo 16, comma 2, limitatamente alle parole ", senza l'autorizzazione

del Consiglio Superiore della Magistratura", e comma 3: "In tal caso, possono assumere le funzioni di arbitro unico o di presidente

del collegio arbitrale ed esclusivamente negli arbitrati nei quali è parte l'Amministrazione dello Stato ovvero aziende o enti pubblici,

salvo quanto previsto dal capitolato generale per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici, approvato con D.P.R. 16

luglio 1962, n. 1063.", come sostituiti dall'art. 14 della legge 2 aprile 1979, n. 97; richiesta dichiarata legittima, con ordinanza del

7-13 dicembre 1999, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 2000

F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata il 7 febbraio 2000

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

SENTENZA N.47

ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI Giudice

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Avv. Massimo VARI "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Guido NEPPI MODONA "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

- Dott. Franco BILE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge

costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare, iscritto

al n. 117 del registro referendum, per l'abrogazione:

a) della legge 23 aprile 1959, n. 189, recante "Ordinamento del Corpo della Guardia

di finanza" e successive modificazioni, limitatamente a:

articolo 1, secondo comma, limitatamente alle parole: "delle Forze armate dello

Stato e", nonché alle parole: "concorrere alla difesa politico-militare delle

frontiere e, in caso di guerra, alle operazioni militari;";

articolo 4, primo comma, limitatamente alle parole: "è scelto fra i generali di

Corpo d'armata dell'Esercito in servizio permanente effettivo ed" nonché alle

parole: "di concerto col Ministro per la difesa", secondo comma, limitatamente alle

parole: "Prende accordi con gli stati maggiori delle Forze armate per quanto è

necessario in relazione all'addestramento militare ed al concorso dei reparti del

Corpo alle operazioni militari in caso di emergenza.", e terzo comma, limitatamente

alle parole: "Assume la carica di Comandante in seconda il generale di divisione più

anziano della Guardia di finanza.";

articolo 5, primo comma, limitatamente alle parole: "possono esservi assegnati

ufficiali di altre Forze armate, ai sensi del successivo art. 7", e secondo comma:

"Per le esigenze addestrative di carattere militare e per il collegamento con lo

stato maggiore dell'Esercito è assegnato al Comando generale un generale di brigata

dell'Esercito in servizio permanente.";

articolo 7;

articolo 8, primo comma, limitatamente alla parola: "altre", e comma 2,

limitatamente alle parole: "non militari";

articolo 9, limitatamente alle parole: "sottufficiali e truppa";

articolo 10;

articolo 12;

b) del regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303, recante il codice penale militare di

pace, limitatamente all'articolo 2, limitatamente alle parole: "della Guardia di

finanza".

Vista l'ordinanza 7-13 dicembre 1999, come corretta con l'ordinanza 21 dicembre

1999, con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di

cassazione ha dichiarato legittima la richiesta;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Guido Neppi

Modona;

udito l'avvocato Claudio Chiola per i presentatori Daniele Capezzone, Mariano

Giustino e Michele De Lucia.

Ritenuto in fatto

1.- L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione,

in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni, ha

esaminato la richiesta di referendum popolare presentata il 28 settembre 1999 da

Daniele Capezzone, Michele De Lucia, Mariano Giustino, Sergio Augusto Stanzani

Ghedini e Rita Bernardini sul seguente quesito:

"Volete voi che siano abrogati la legge 23 aprile 1959, n. 189, recante "Ordinamento

del Corpo della Guardia di finanza" e successive modificazioni, limitatamente a:

articolo 1, comma 2, limitatamente alle parole: "delle forze armate dello Stato e"

nonché alle parole "concorrere alla difesa politico-militare delle frontiere e, in

caso di guerra, alle operazioni militari;"; articolo 2, come modificato

dall'articolo 75 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 199; articolo 4, comma

1, limitatamente alle parole: "è scelto fra i generali di Corpo d'armata

dell'Esercito in servizio permanente effettivo ed", nonché alle parole: "di concerto

col Ministro per la difesa"; comma 2, limitatamente alle parole: "Prende accordi con

gli stati maggiori delle Forze armate per quanto è necessario in relazione

all'addestramento militare e al concorso dei reparti del Corpo alle operazioni

militari in caso di emergenza." e comma 3, limitatamente alle parole: "Assume la

carica di Comandante in seconda il generale di divisione più anziano della Guardia

di finanza."; articolo 5, comma 1, limitatamente alle parole: "possono esservi

assegnati ufficiali di altre Forze armate, ai sensi del successivo articolo 7";

comma 2: "Per le esigenze addestrative di carattere militare e per il collegamento

con lo stato maggiore dell'Esercito è assegnato al Comando generale un generale di

brigata dell'Esercito in servizio permanente."; articolo 7; articolo 8, comma 1,

limitatamente alla parola: "altre"; comma 2, limitatamente alle parole: "non

militari"; articolo 9, limitatamente alle parole: "sottufficiali e truppa"; articolo

10; articolo 12; nonché il regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303, recante il codice

penale militare di pace, limitatamente all'articolo 2, limitatamente alle parole:

"della Guardia di finanza"?".

2. - Con ordinanza del 7-13 dicembre 1999, l'Ufficio centrale ha ritenuto che

dovesse essere escluso il riferimento all'art. 2 della legge 23 aprile 1959 n. 189,

in quanto l'art 27 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, prevede, al comma 3, che

con regolamento, da emanare ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto

1988 n. 400, venga determinata la nuova struttura ordinativa del Corpo della Guardia

di finanza in sostituzione di quella prevista dagli artt. 2, 3 e 6 della legge 23

aprile 1959 n. 189, con contestuale abrogazione delle citate norme e di ogni altra

contrastante con la nuova disciplina, e, al comma 4, che con il medesimo regolamento

vengano determinate le corrispondenze tra le denominazioni dei comandi e reparti

individuati e quelli previgenti: il 29 gennaio 1999 è stato quindi emanato, in

conformità a tale disposizione, il d.P.R. n. 34.

L'Ufficio centrale per il referendum - ritenuta conforme a legge la richiesta

referendaria e stabilitane la denominazione "Guardia di finanza: Abolizione del

carattere di corpo militare della Guardia di finanza" - con la ordinanza menzionata,

integrata dalla ordinanza di correzione di errore materiale del 21 dicembre 1999, ha

pertanto disposto che il quesito fosse così riformulato:

"Volete voi che siano abrogati:

- la legge 23 aprile 1959, n. 189, recante "Ordinamento del Corpo della Guardia di

Finanza" e successive modificazioni, limitatamente a: articolo 1, comma 2,

limitatamente alle parole: "delle forze armate dello Stato e" nonché alle parole:

"concorrere alla difesa politico-militare delle frontiere e, in caso di guerra, alle

operazioni militari;"; articolo 4, comma 1, limitatamente alle parole: "è scelto fra

i generali di Corpo d'armata dell'Esercito in servizio permanente effettivo ed",

nonché alle parole: "di concerto col Ministro per la difesa"; comma 2, limitatamente

alle parole: "Prende accordi con gli stati maggiori delle Forze armate per quanto e'

necessario in relazione all'addestramento militare e al concorso dei reparti del

Corpo alle operazioni militari in caso di emergenza." e comma 3, limitatamente alle

parole: "Assume la carica di Comandante in seconda il generale di divisione più

anziano della Guardia di Finanza."; articolo 5, comma 1, limitatamente alle parole:

"possono esservi assegnati ufficiali di altre Forze armate, ai sensi del successivo

articolo 7"; comma 2: "Per le esigenze addestrative di carattere militare e per il

collegamento con lo stato maggiore dell'Esercito è assegnato al Comando generale un

generale di brigata dell'Esercito in servizio permanente."; articolo 7; articolo 8,

comma 1, limitatamente alla parola: "altre"; comma 2, limitatamente alle parole:

"non militari"; articolo 9, limitatamente alle parole: "sottufficiali e truppa";

articolo 10; articolo 12;

- nonché il regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303, recante il codice militare di

pace, limitatamente all'articolo 2, limitatamente alle parole: "della Guardia di

Finanza"?".

3.- Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato

il giorno 13 gennaio 2000 per la deliberazione in camera di consiglio

sull'ammissibilità della richiesta, dandone comunicazione, ai sensi dell'art. 33,

secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352, ai presentatori della richiesta

ed al Presidente del Consiglio dei ministri.

4.- In prossimità della camera di consiglio, il Comitato promotore ha depositato una

memoria nella quale si insiste per l'ammissibilità del quesito referendario, di cui,

ad avviso dei presentatori, sussistono i necessari requisiti di

omogeneità-univocità, coerenza-completezza e idoneità al raggiungimento dello scopo

di abolire il carattere militare del Corpo della Guardia di finanza. In particolare,

nella memoria si sottolinea che la mancata richiesta di abrogazione di altre

disposizioni, contenute in leggi diverse da quella oggetto della richiesta

referendaria, che presuppongono il carattere militare della Guardia di finanza, non

determina incompletezza del quesito, in quanto a tali norme va assegnato un ruolo

meramente "derivato" rispetto a quelle di cui si chiede l'abrogazione.

5.- Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 è stato udito l'avvocato Claudio

Chiola, per i presentatori Daniele Capezzone, Mariano Giustino e Michele De Lucia.

Considerato in diritto

1. - La richiesta referendaria investe varie disposizioni della legge 23 aprile

1959, n. 189 (Ordinamento del Corpo della Guardia di finanza), le medesime che erano

già state oggetto del quesito dichiarato inammissibile con la sentenza n. 30 del

1997, salvo l'art. 2, in quanto abrogato (unitamente agli artt. 3 e 6) - come

rilevato dall'Ufficio centrale per il referendum della Corte di cassazione -

dall'art. 27, comma 3, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la

stabilizzazione della finanza pubblica). Il comma 3 dell'art. 27 della legge ora

citata ha inoltre previsto che, con regolamento da emanare a norma del comma 2

dell'art. 17 della legge n. 400 del 1988, venisse determinata la nuova struttura

ordinativa del Corpo della Guardia di finanza; regolamento poi emanato con d.P.R. 29

gennaio 1999, n. 34, che ha sostanzialmente riprodotto il contenuto degli articoli

abrogati della legge n. 189 del 1959. L'Ufficio centrale per il referendum della

Corte di cassazione ha poi ritenuto che nel quesito referendario non deve essere

compresa la norma primaria di delegificazione, in quanto nessuno dei criteri

contenuti nei commi 3 e 4 dell'art. 27 della legge n. 449 del 1997 coinvolge il

punto relativo alla natura militare del Corpo della Guardia di finanza.

In particolare, con la richiesta referendaria viene proposta la soppressione dei

seguenti articoli, commi o parti di comma:

- nell'art. 1, secondo comma, l'inciso "delle Forze armate dello Stato e", in modo

che la Guardia di finanza non farebbe più parte delle Forze armate dello Stato;

- nell'art. 1, secondo comma, l'inciso "concorrere alla difesa politico-militare

delle frontiere e, in caso di guerra, alle operazioni militari", in modo da

escludere tali funzioni da quelle attribuite alla Guardia di finanza;

- negli articoli 4 e 5, parti di vari commi, nonché l'intero secondo comma dell'art.

5, ove sono a vario titolo disciplinate forme di collegamento con le altre Forze

armate dello Stato, ai fini, ad esempio, della designazione del Comandante generale

della Guardia di finanza, che deve essere scelto tra i generali di Corpo d'armata

dell'esercito, dell'addestramento militare del Corpo della Guardia di finanza, per

il quale sono previsti accordi con gli stati maggiori delle Forze armate,

dell'assegnazione di ufficiali di altre Forze armate al Comando generale della

Guardia di finanza;

- l'intero art. 7, che prevede la possibilità di destinare ufficiali e sottufficiali

in servizio permanente effettivo dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica a

prestare servizio presso il Corpo della Guardia di finanza;

- nell'art. 8, primo comma, l'inciso "altre", nel contesto della disposizione che

prevede che "all'insegnamento nelle scuole e nei corsi di addestramento si provvede

con ufficiali della Guardia di finanza o di altre Forze armate", al fine di evitare

che la Guardia di finanza possa continuare ad essere ricompresa tra le Forze armate;

- nell'art. 8, secondo comma, l'inciso "non militari", al fine di eliminare la

distinzione tra le materie insegnate da ufficiali della Guardia di finanza e da

docenti di diversa estrazione;

- nell'art. 9, l'inciso "sottufficiali e truppa", al fine di escludere tali

categorie dall'aliquota del personale destinata al contingente di mare e alle varie

categorie di specializzazione;

- l'intero art. 10, ove è previsto che ai militari del Corpo della Guardia di

finanza si applicano il regolamento di disciplina militare per l'esercito e la legge

penale militare, nonché varie disposizioni, tra cui quelle sulle licenze, valevoli

per l'Arma dei carabinieri;

- l'intero art. 12, relativo alla disciplina dell'avanzamento ai gradi di

maresciallo capo e di brigadiere.

La richiesta referendaria investe, infine, l'art. 2 del codice penale militare di

pace, limitatamente all'inciso "della Guardia di finanza", al fine di escludere gli

appartenenti al Corpo dalle categorie dei militari cui si applica la legge penale

militare.

2. - Il referendum è dunque sostanzialmente identico a quello già presentato nella

tornata referendaria del 1997, e medesima è anche la denominazione identificativa

"Guardia di Finanza: Abolizione del carattere militare della Guardia di Finanza"

attribuita dall'Ufficio centrale per il referendum della Corte di cassazione.

Con riferimento alla formulazione letterale del quesito, l'unica differenza

riguarda, infatti, la mancata inclusione dell'art. 2 della legge n. 189 del 1959,

abrogato dall'art. 27, comma 3, della legge n. 449 del 1997, e sostituito dall'art.

1 del d.P.R. n. 34 del 1999, evidentemente sottratto, per il suo contenuto

regolamentare, allo strumento referendario.

Per quanto attiene, poi, al quadro legislativo complessivo dell'ordinamento della

Guardia di finanza, nel quale si inseriscono le specifiche norme oggetto del quesito

referendario, si deve tenere presente che, anche successivamente al 1997, una

copiosa produzione normativa ha inciso a vario titolo sull'ordinamento, sulla

struttura organizzativa e sullo status del personale delle Forze armate e dei corpi

armati organizzati militarmente, ivi compresa la Guardia di finanza, nell'ambito del

programma generale del nuovo modello di difesa.

Nonostante queste differenze, conservano piena validità le ragioni poste a

fondamento della sentenza di inammissibilità n. 30 del 1997.

3. - La richiesta di soppressione degli articoli compresi nel quesito referendario,

dopo l'abrogazione, disposta dall'art. 27, comma 3, della legge n. 449 del 1997, non

solo dell'art. 2 della legge n. 189 del 1959 - ove erano indicate le varie categorie

che compongono il personale militare della Guardia di finanza (ufficiali,

sottufficiali e truppa) -, ma anche degli artt. 3 e 6 - ove erano disciplinati altri

aspetti della struttura e dell'organizzazione militari del Corpo -, depurerebbe

certamente la legge che costituisce l'oggetto centrale del referendum dai più

significativi frammenti lessicali che evocano il carattere militare dell'ordinamento

della Guardia di finanza. Peraltro, a seguito dell'esame della legislazione in

materia, anche successiva al 1997, questa Corte non può che ribadire la convinzione

che il carattere militare della Guardia di finanza (su cui v. la sentenza n. 70 del

1976) è talmente compenetrato nella struttura, nell'organizzazione, nello status del

personale, nelle funzioni e nelle modalità di esercizio dei compiti istituzionali

del Corpo, che lo strumento referendario si presenta inidoneo a raggiungere

l'obiettivo della sua "smilitarizzazione".

4. - Anche dopo gli interventi abrogativi proposti su alcune delle norme contenute

nella legge n. 189 del 1959, il carattere militare della Guardia di finanza

continuerebbe, infatti, a connotare l'assetto normativo del Corpo, dal reclutamento

all'avanzamento in carriera del personale militare, dallo stato giuridico alla

disciplina e alla rappresentanza militare, dalle funzioni connesse a compiti di

difesa militare ad alcuni profili dello statuto penale, non toccati dal quesito

referendario.

Al riguardo, è sufficiente qui ricordare, in estrema sintesi:

- che per il reclutamento dei militari della Guardia di finanza destinati a fare

parte del contingente di mare, chiamato a svolgere anche fuori delle acque

territoriali funzioni tipicamente militari in collaborazione con la Marina militare,

sono previsti requisiti equipollenti a quelli richiesti per il reclutamento nella

Marina militare (artt. 4 della legge 31 maggio 1975, n. 191 - Nuove norme per il

servizio di leva -, e 38 della legge 24 dicembre 1986, n. 958 - Nuove norme sul

servizio militare di leva e sulla ferma di leva prolungata -);

- che le unità navali in dotazione della Guardia di finanza sono qualificate navi

militari, iscritte in ruoli speciali del naviglio militare dello Stato (art. 1,

primo comma, del d.P.R. 31 dicembre 1973, n. 1199 - Disciplina per l'iscrizione nel

quadro del naviglio militare dello Stato di unità dell'Arma dei Carabinieri, del

Corpo della Guardia di finanza, del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza e del

Corpo delle capitanerie di porto -); battono "bandiera da guerra" e sono assimilate

a quelle della Marina militare (artt. 63 e 156 del r.d. 6 novembre 1930, n. 1643 -

Approvazione del nuovo regolamento di servizio per la Regia Guardia di finanza -);

sono quindi considerate navi militari agli effetti della legge penale militare (art.

11 del codice penale militare di pace); quando operano fuori delle acque

territoriali ovvero in porti esteri ove non vi sia un'autorità consolare esercitano

le funzioni di polizia proprie delle "navi da guerra" (art. 200 del codice della

navigazione) e nei loro confronti sono applicabili gli artt. 1099 e 1100 del codice

della navigazione (rifiuto di obbedienza o resistenza e violenza a nave da guerra),

richiamati dagli artt. 5 e 6 della legge 13 dicembre 1956, n. 1409 (Norme per la

vigilanza marittima ai fini della repressione del contrabbando dei tabacchi);

- che il riordino della Guardia di finanza, nel quadro del programma generale del

nuovo modello di difesa militare, continua ad essere impostato sul presupposto del

carattere militare del Corpo (decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195 -Attuazione

dell'art. 2 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di procedure per

disciplinare i contenuti del rapporto di impiego del personale delle Forze di

polizia e delle Forze armate -, ove tra le forze di polizia a ordinamento militare è

compresa la Guardia di finanza; decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 199 -

Attuazione dell'art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di nuovo

inquadramento del personale non direttivo e non dirigente del Corpo della Guardia di

finanza -; legge 27 dicembre 1990, n. 404 - Nuove norme in materia di avanzamento

degli ufficiali e sottufficiali delle Forze armate e del Corpo della Guardia di

finanza; legge 25 maggio 1989, n. 190 - Disposizioni sulla revisione dei ruoli degli

ufficiali, sull'incremento degli organici e sull'impiego della Guardia di finanza,

nonché sulla durata in carica del comandante in seconda e sulla vigilanza e il

controllo in tema di distribuzione e vendita di generi di monopolio -; legge 1

febbraio 1989, n. 53 - Modifiche sullo stato giuridico e sull'avanzamento dei

vicebrigadieri, dei graduati e militari di truppa dell'Arma dei carabinieri e del

Corpo della Guardia di finanza -);

- che il Regolamento di disciplina militare, emanato con d.P.R. 18 luglio 1986, n.

545, a norma dell'art. 5, comma 1, della legge n. 382 del 1978, continua a dettare

specifiche disposizioni che presuppongono il carattere e la disciplina militare del

Corpo della Guardia di finanza, e che gli organi di rappresentanza militare,

istituiti dall'art. 18 della legge 11 luglio 1978, n. 382 (Norme di principio sulla

disciplina militare), e attuati dal d.P.R. 4 novembre 1979, n. 691 (Regolamento che

disciplina l'attuazione della rappresentanza militare), sono espressamente previsti,

nelle loro varie articolazioni a livello centrale, intermedio e di base, anche per

il personale militare della Guardia di finanza.

Da questa sia pure sommaria e non esaustiva elencazione emerge dunque che la

"militarità" caratterizza l'intera attuale disciplina del Corpo, tradizionalmente

appartenente, a differenza di altri corpi militari dello Stato, alle Forze armate:

anche in caso di esito positivo della consultazione referendaria, permarrebbero i

modelli militari ai quali si è storicamente uniformata - e continua ad uniformarsi -

la Guardia di finanza; modelli non suscettibili di essere modificati mediante mere

abrogazioni, in particolare della norma che sancisce l'appartenenza del Corpo alle

Forze armate ovvero delle norme che si richiamano alla tipica terminologia militare

adottata per definirne il personale o la struttura organizzativa.

Tanto è vero che - come già rilevato nella sentenza n. 30 del 1997 - la

"smilitarizzazione" di altri corpi militari dello Stato, quali il Corpo delle

guardie di pubblica sicurezza e il Corpo degli agenti di custodia, è stata attuata

mediante complessi interventi legislativi (rispettivamente, legge 1 aprile 1981, n.

121, e legge 15 dicembre 1990, n. 395), che ne hanno disposto l'espresso

scioglimento e che hanno contestualmente istituito la Polizia di Stato e il Corpo di

polizia penitenziaria e adottato una disciplina legislativa volta a regolamentare in

chiave civile struttura, organizzazione e stato giuridico del personale.

5. - Il presente referendum deve pertanto essere dichiarato inammissibile a causa

dell'incongruenza e dell'inidoneità del quesito a conseguire l'abolizione del

carattere militare del Corpo della Guardia di finanza.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle

parti indicate in epigrafe, della legge 23 aprile 1959, n. 189 (Ordinamento del

Corpo della Guardia di finanza), e dell'articolo 2 del codice penale militare di

pace, approvato con regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303, richiesta dichiarata

legittima, con ordinanza in data 7-13 dicembre 1999 dall'Ufficio centrale per il

referendum costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,

il 3 febbraio 2000

F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata il 7 febbraio 2000

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

SENTENZA N.48

ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI Giudice

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Avv. Massimo VARI "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Guido NEPPI MODONA "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

- Dott. Franco BILE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge

costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare, iscritto

al n. 122 del registro referendum, per l'abrogazione:

a) del regio decreto 28 ottobre 1940, n. 1443, recante: "Approvazione del Codice di

procedura civile", e successive modificazioni, limitatamente a:

articolo 152, primo comma, limitatamente alle parole: "anche a pena di decadenza", e

secondo comma, limitatamente alle parole: "stabiliti dalla legge" e alle parole:

"ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente";

articolo 153;

articolo 154, rubrica, limitatamente alla parola: "ordinatorio", e primo comma,

limitatamente alle parole: "che non sia stabilito a pena di decadenza";

b) del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, recante:

"Approvazione del codice di procedura penale", e successive modificazioni,

limitatamente a:

articolo 173, comma 1, limitatamente alle parole: "soltanto nei casi previsti dalla

legge", e comma 2, limitatamente alle parole: "a pena di decadenza";

articolo 175, comma 1, limitatamente alle parole: "a pena di decadenza".

Vista l'ordinanza 7-13 dicembre 1999, come corretta con l'ordinanza 21 dicembre

1999, con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di

cassazione ha dichiarato legittima la richiesta;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Guido Neppi

Modona;

udito l'avvocato Gustavo Pansini per i presentatori Daniele Capezzone, Mariano

Giustino e Michele De Lucia.

Ritenuto in fatto

1. - L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione,

in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni, ha

esaminato la richiesta di referendum popolare presentata da Daniele Capezzone,

Mariano Giustino, Michele De Lucia, Sergio Augusto Stanzani Ghedini e Rita

Bernardini, sul seguente quesito:

"Volete voi che sia abrogato il Regio decreto 28 ottobre 1940, n. 1443, recante:

"Approvazione del Codice di procedura civile", e successive modificazioni,

limitatamente a: - articolo 152, comma 1, limitatamente alle parole: "anche a pena

di decadenza", e comma 2, limitatamente alle parole: "stabiliti dalla legge" e alle

parole: "ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente"; -

articolo 153; - articolo 154, rubrica, limitatamente alla parola: "ordinatorio", e

comma 1, limitatamente alle parole: "che non sia stabilito a pena di decadenza";

nonché il Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447,

recante: "Approvazione del codice di procedura penale" e successive modificazioni,

limitatamente a: - articolo 173, comma 1, limitatamente alle parole: "soltanto nei

casi previsti dalla legge", e comma 2, limitatamente alle parole "a pena di

decadenza"; - articolo 175, comma 1, limitatamente alle parole: "a pena di

decadenza"?".

2. - L'Ufficio centrale per il referendum, con ordinanza 7-13 dicembre 1999, ha

dichiarato che la richiesta è conforme alle disposizioni di legge.

Con successiva ordinanza di correzione del 21 dicembre 1999 l'iniziale denominazione

del referendum ("Termini processuali perentori: Abrogazione") è stata modificata

come segue: "Sistema dei termini processuali: Abrogazione parziale".

3. - Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato

il giorno 13 gennaio 2000 per la deliberazione in camera di consiglio

sull'ammissibilità della richiesta, dandone comunicazione, ai sensi dell'art. 33,

secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352, ai presentatori della richiesta e

al Presidente del Consiglio dei ministri.

4. - In prossimità della camera di consiglio, il Comitato promotore ha depositato

una memoria nella quale si insiste per l'ammissibilità del referendum, sotto i

profili della chiarezza e completezza del quesito, nonché della "individuabilità

delle conseguenze" in caso di voto favorevole.

5. - Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 è stato udito l'avvocato Gustavo

Pansini, per i presentatori Daniele Capezzone, Mariano Giustino e Michele De Lucia.

Considerato in diritto

1. - La richiesta referendaria investe alcune disposizioni del codice di procedura

civile (regio decreto 28 ottobre 1940, n. 1443, recante: "Approvazione del codice di

procedura civile") e del codice di procedura penale (decreto del Presidente della

Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, recante: "Approvazione del codice di procedura

penale"), che dettano, rispettivamente per la materia civile e per la materia

penale, la disciplina generale dei termini processuali.

In relazione al codice di procedura civile, viene proposta la soppressione dei

seguenti articoli e parti di comma:

- articolo 152, primo comma, limitatamente alle parole: "anche a pena di decadenza",

e secondo comma, limitatamente alle parole: "stabiliti dalla legge" e alle parole

"ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente";

- articolo 153;

- articolo 154, limitatamente alla parola: "ordinatorio", contenuta nella rubrica, e

primo comma, limitatamente alle parole: "che non sia stabilito a pena di decadenza".

In relazione al codice di procedura penale, viene proposta la soppressione delle

seguenti parti di comma:

- articolo 173, comma 1, limitatamente alle parole: "soltanto nei casi previsti

dalla legge", e comma 2, limitatamente alle parole: "a pena di decadenza";

- articolo 175, comma 1, limitatamente alle parole: "a pena di decadenza".

2. - La disciplina dei termini processuali (vale a dire, dei limiti di tempo

assegnati a un soggetto per il compimento di un atto processuale) è contenuta, per

il processo civile, negli artt. 152-155 cod. proc. civ. e, per il processo penale,

negli artt. 172-176 cod. proc. pen.

Per quanto interessa la presente decisione, i termini processuali civili sono

distinti in "ordinatori" e "perentori". Si considerano ordinatori tutti i termini

che la legge non dichiara espressamente perentori o che non sono stabiliti a pena di

decadenza dal giudice, quando la legge lo permette (art. 152 cod. proc. civ.). I

termini ordinatori possono essere abbreviati o prorogati dal giudice, prima della

scadenza, per una sola volta e per una durata non superiore al termine prorogato

(art. 154 cod. proc. civ.). Per contro, i termini perentori non possono essere

abbreviati o prorogati "nemmeno sull'accordo delle parti" (art. 153 cod. proc.

civ.).

Con riferimento al processo penale, i termini "si considerano stabiliti a pena di

decadenza soltanto nei casi previsti dalla legge" (art. 173, comma 1, cod. proc.

pen.). L'inosservanza dei termini comunemente definiti "ordinatori" non produce,

invece, l'effetto della decadenza, ma comporta eventuali conseguenze

extraprocessuali (ad esempio, la responsabilità disciplinare cui fa espresso

richiamo l'art. 124 cod. proc. pen.).

Nel processo penale, verosimilmente in considerazione del carattere pubblico

dell'azione penale e della natura degli interessi in gioco, non è in via generale

contemplato l'istituto della abbreviazione o della proroga dei termini assegnati

alle parti ex lege o per provvedimento del giudice. Sono invece espressamente

previsti la non prorogabilità dei termini stabiliti dalla legge a pena di decadenza,

salvo che la legge disponga altrimenti (art. 173, comma 2, cod. proc. pen.) e

l'istituto della restituzione nel termine per il caso fortuito o la forza maggiore

(art. 175 cod. proc. pen.).

3. - Emerge immediata ed evidente una duplice ragione di inammissibilità della

richiesta referendaria.

In primo luogo, la formulazione del quesito non rispetta il carattere meramente

abrogativo del referendum, ma mira piuttosto, attraverso la tecnica del "ritaglio"

di singole parole o gruppi di parole privi di autonomo significato normativo, a

creare, sia nel processo civile che in quello penale, discipline dei termini

processuali nuove e assolutamente diverse, sostituendole a quelle esistenti (v.

sentenza n. 36 del 1997).

Per quanto riguarda il processo civile, gli interventi soppressivi delle parole

"anche a pena di decadenza" operati sul primo comma dell'art. 152 cod. proc. civ.,

nonché delle parole "stabiliti dalla legge" e "ordinatori, tranne che la legge li

dichiari espressamente", operati sul secondo comma del medesimo articolo,

trasformerebbero tutti i termini in perentori. Viene peraltro proposta anche

l'abrogazione dell'intero art. 153 cod. proc. civ., ove si stabilisce che i termini

perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull'accordo delle

parti, nonché della parola "ordinatorio" nella rubrica dell'art. 154 cod. proc. civ.

e delle parole "che non sia stabilito a pena di decadenza" nel primo comma del

medesimo articolo, con la conseguenza che tutti i termini, ricondotti all'unica

categoria dei termini perentori, potrebbero essere abbreviati o prorogati, prima

della scadenza, dal giudice anche d'ufficio.

In caso di esito positivo del referendum verrebbe, quindi, introdotta

nell'ordinamento l'inedita categoria dei termini processuali perentori, ma nello

stesso tempo abbreviabili o prorogabili dal giudice anche d'ufficio, oltretutto in

contrasto con le esigenze di certezza e di uniformità che ineriscono alla natura

stessa dei termini perentori.

Anche per quanto concerne i termini processuali penali, la richiesta referendaria,

attraverso interventi ablativi di mere locuzioni verbali, operati sull'art. 173 (e

marginalmente sull'art. 175) del codice di procedura penale, tende a sostituire a

quella esistente una disciplina radicalmente diversa, che fa perno su un'unica

categoria di termini indiscriminatamente stabiliti a pena di decadenza, quale che

sia l'atto o l'attività cui ineriscono, e non prorogabili, salvo che la legge stessa

disponga diversamente.

4. - Sono altresì evidenti la disomogeneità e l'intrinseca contraddittorietà del

quesito referendario, che a loro volta si riflettono nella anodina e generica

formulazione dell'intitolazione "Sistema dei termini processuali: Abrogazione

parziale".

La pretesa di sottoporre a referendum discipline accomunate solo dal mero

riferimento nominalistico all'istituto dei termini processuali, ma operanti nei

diversi sistemi del processo civile e del processo penale, pone la libertà di scelta

dell'elettore di fronte a prospettive tra loro non conferenti. Inoltre con il

medesimo quesito si chiede, da un lato, di introdurre nell'ordinamento processuale

civile termini qualificati come perentori, ma in realtà sempre abbreviabili o

prorogabili anche d'ufficio dal giudice; dall'altro di sopprimere nell'ordinamento

processuale penale la categoria dei termini ordinatori e di trasformarli tutti in

termini sanzionati a pena di decadenza.

Risulta così disatteso proprio lo scopo, dichiarato dai promotori del referendum

nella memoria illustrativa, di conseguire l'accelerazione dei procedimenti,

imponendo anche al giudice il rigoroso rispetto dei nuovi termini processuali

perentori: al contrario, nel processo civile i termini diverrebbero tutti

abbreviabili o prorogabili sulla base di scelte discrezionali dello stesso giudice;

nel processo penale la sanzione della decadenza, prevista in caso di inosservanza

per tutti i termini, potrebbe addirittura determinare la paralisi dell'esercizio

della giurisdizione.

5. - Per le concorrenti ragioni sopra esposte, la richiesta referendaria va pertanto

dichiarata inammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle

parti indicate in epigrafe, degli artt. 152, 153 e 154 del regio decreto 28 ottobre

1940, n. 1443, recante "Approvazione del Codice di procedura civile", e degli artt.

173 e 175 del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447,

recante "Approvazione del codice di procedura penale", richiesta dichiarata

legittima, con ordinanza in data 7-13 dicembre 1999, dall'Ufficio centrale per il

referendum costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,

il 3 febbraio 2000

F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente

Guido Neppi MODONA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata il 7 febbraio 2000

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

SENTENZA

N. 49

ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI Giudice

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Guido NEPPI MODONA "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

- Dott.. Franco BILE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di

referendum popolare per l'abrogazione del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito in legge, con modificazioni, dalla

legge 19 dicembre 1984, n. 863, recante: "Misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli occupazionali" e successive

modificazioni, limitatamente all'articolo 5, come modificato - quanto al comma 7 - dall'articolo 1, del decreto-legge 9 ottobre 1989,

n. 338, convertito dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389, e come integrato - quanto ai commi 9-bis e ter - dall'art. 2, del

decreto-legge 1 ottobre 1996, n. 510, convertito dalla legge 28 novembre 1996, n. 608, giudizio iscritto al n. 127 del registro

referendum.

Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha

dichiarato conforme a legge la richiesta;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;

uditi l'avvocato Edoardo Ghera per i presentatori Daniele Capezzone, Mariano Giustino e Michele De Lucia, l'avvocato Mario

Salerni per l'associazione Progetto Diritti ed altri, e l'avvocato Piergiovanni Alleva per la Federazione dei Verdi ed altri, Comitato

per le libertà e i diritti sociali e Partito della Rifondazione Comunista.

Ritenuto in fatto

1. L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n.

352, e successive modificazioni, ha esaminato la richiesta di referendum popolare previsto dall'art. 75 della Costituzione,

presentata l'8 marzo 1999 da quattordici cittadini italiani, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 10 marzo 1999, n. 57, sul seguente

quesito: <19 dicembre 1984, n. 863, recante "Misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli occupazionali" e successive modificazioni,

limitatamente all'articolo 5 ?>>.

2. L'Ufficio centrale per il referendum, con ordinanza in data 7-13 dicembre 1999, verificata la regolarità della richiesta, ha

provveduto ad integrare il quesito, in considerazione del fatto che la norma che ne costituisce oggetto è stata, in parte, modificata

dall'art. 1, del decreto legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito in legge 7 dicembre 1989, n. 389, nonché dall'art. 2, del decreto legge

1 ottobre 1996, n. 510, convertito in legge 28 novembre 1996, n. 608. L'Ufficio centrale ha quindi dichiarato legittima la richiesta

sul seguente quesito, così riformulato: <con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, recante "Misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli

occupazionali" e successive modificazioni, limitatamente all'articolo 5, come modificato - quanto al comma 7 - dall'art. 1, decreto

legge 9 ottobre 1989, n. 338, conv. dalla legge 7 dicembre 1989 n. 389, e come integrato - quanto ai commi 9 bis e ter - dall'art.

2, decreto legge 1 ottobre 1996, n. 510, conv. dalla legge 28 novembre 1996, n. 608 ?>>, stabilendo altresì che la denominazione

del referendum sia: <>.

3. Ricevuta comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale, il Presidente di questa Corte, ha fissato il giorno 13 gennaio 2000

per la conseguente deliberazione, dandone comunicazione ai presentatori della richiesta ed al Presidente del Consiglio dei ministri,

ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352.

Daniele Capezzone, Mariano Giustino e Michele De Lucia, quali presentatori della richiesta, hanno depositato memoria, ai sensi

dell'art. 33, terzo comma, della legge da ultimo citata, nella quale sostengono che il quesito non contrasterebbe con i limiti stabiliti

dall'art. 75 della Costituzione e neppure riguarderebbe una norma strumentale all'attuazione di trattati internazionali, dato che il

termine per il recepimento della direttiva n. 97/81/CE del 15 dicembre 1997 non è ancora scaduto e, comunque, l'abrogazione della

norma non violerebbe i principi da essa stabiliti. Il quesito avrebbe anche i previsti requisiti di omogeneità, univocità e chiarezza, in

quanto sarebbe palese l'intento di eliminare la disciplina vincolistica del rapporto di lavoro part-time, allo scopo di liberalizzarlo ed

assoggettarlo alle disposizioni generali sui contratti.

4. Hanno altresì presentato, in persona dei rispettivi legali rappresentanti, una memoria unica l'associazione Progetto Diritti, la

Federazione delle Rappresentanze Sindacali di Base, il Centro di ricerca ed elaborazione per la democrazia le quali deducono

l'inammissibilità della richiesta referendaria, in quanto il quesito sarebbe privo dei requisiti di univocità e chiarezza.

4.1. Tre distinte memorie, di contenuto sostanzialmente identico, sono state depositate il 10 gennaio 2000: la prima, dalla

Federazione dei Verdi, in persona del responsabile nazionale del settore economia, dall'Associazione nazionale per la sinistra, in

persona del presidente pro-tempore e da Alfiero Grandi, nella qualità di responsabile lavoro dei D.S.-Democratici di sinistra; la

seconda, dal Partito della Rifondazione comunista, in persona del segretario generale; la terza dal Comitato per le libertà e i diritti

sociali, in persona del presidente pro-tempore.

Nelle memorie, premessa la ritenuta ammissibilità del deposito degli atti, si sostiene che la richiesta referendaria violerebbe gli artt.

3, secondo comma, 4, 32 e 35 della Costituzione e sarebbe comunque inammissibile in quanto contrastante con gli obblighi della

direttiva comunitaria n. 97/81/CE.

5. Alla camera di consiglio del 13 gennaio 2000 hanno partecipato, per i presentatori della richiesta, gli avvocati Edoardo Ghera,

Sergio Magrini e Antonio Vallebona, illustrando e ribadendo le argomentazioni a sostegno del referendum.

Inoltre, sono stati ammessi ad illustrare le rispettive memorie, con riserva di ogni decisione in ordine all'ammissibilità della loro

partecipazione, gli avvocati Piergiovanni Alleva e Mario Salerni.

Considerato in diritto

1. La richiesta di referendum abrogativo, sulla cui ammissibilità la Corte è chiamata a pronunciarsi, a seguito dell'ordinanza

dell'Ufficio centrale per il referendum del 7-13 dicembre 1999, che ne ha dichiarato la legittimità, provvedendo all'integrazione del

quesito, investe l'art. 5 del decreto legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre

1984, n. 863 (Misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli occupazionali), come modificato ed integrato - quanto ai commi

7, 9-bis e 9-ter - dall'art. 1, decreto legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito in legge 7 dicembre 1989, n. 339, e dall'art. 2, decreto

legge 1 ottobre 1996, n. 510, convertito in legge 28 novembre 1996, n. 608, il quale disciplina il rapporto di lavoro subordinato

privato a tempo parziale.

2. In via preliminare va dichiarata, per le ragioni specificamente indicate da questa Corte nella sentenza n. 31 del 2000, la

ricevibilità delle memorie provenienti dai soggetti diversi dai presentatori del referendum ed è altresì ammissibile la loro

illustrazione orale, avvenuta nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000.

3. Il giudizio per l'ammissibilità della richiesta referendaria postula che si accerti se la stessa sia in contrasto con i limiti posti

dall'art. 75, secondo comma, della Costituzione, o con quelli desumibili, secondo la giurisprudenza di questa Corte, da

un'interpretazione logico-sistematica della Costituzione (ex plurimis: sentenza n. 33 del 1997). Il giudizio va in particolare esteso,

secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. sentenza n. 27 del 1997), a verificare la compatibilità del quesito con le prescrizioni

delle direttive comunitarie (sentenze n. 36 del 1997, n. 64 del 1990), qualora, come accade nella specie, queste siano idonee a

produrre effetti tali da inibire l'abrogazione delle norme interne, in quanto preclusiva del corretto adempimento degli obblighi

derivanti allo Stato italiano dal diritto comunitario derivato (sentenza n. 36 del 1997).

Sotto questo profilo va premesso che la disciplina recata dall'art. 5 della legge n. 863 del 1984 rientra nel campo di applicazione

della direttiva comunitaria 97/81/CE del 15 dicembre 1997, allo stato non ancora recepita nel nostro ordinamento, la quale è diretta

specificamente ad attuare l'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso il 6 giugno 1997 tra le organizzazioni

intercategoriali a carattere generale UNICE, CEEP e CES. Il predetto accordo, dopo avere stabilito, tra l'altro, il principio di non

discriminazione nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e il principio di agevolazione dello sviluppo del lavoro a tempo parziale,

in particolare prevede l'opzione di fondo per il principio "pro rata temporis" (clausola 4.2), nonché la tendenziale eliminazione degli

"ostacoli di natura giuridica o amministrativa che possono limitare le possibilità di lavoro a tempo parziale" (clausola 5.1, lett. a).

Premesso che, in forza dell'art. 11 della Costituzione, di fronte alla normativa comunitaria "l'ordinamento interno si ritrae e non è

più operante" (sentenza n. 285 del 1990), si può dire che gli indicati obiettivi comunitari trovano una sia pure parziale ed anticipata

conformazione nel vigente ordinamento interno, appunto nella disciplina recata dall'art. 5 della legge n. 863 del 1984. Ed infatti la

giurisprudenza ordinaria ha valorizzato la ratio legis di questo atto normativo individuandola nell'intento di agevolare, anche sul

piano previdenziale, il modulo lavorativo del tempo parziale e anche la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto che il

legislatore ha avuto di mira in questa legge "la "flessibilità" e l'occupazione nel loro complesso" (sentenza n. 202 del 1999). In

particolare si può ritenere che, nell'ambito di questa disciplina, siano sostanzialmente coerenti con la direttiva alcune disposizioni

della citata disciplina legislativa, poiché appaiono già di per sé stessi ispirati al principio "pro rata temporis" sia il comma 5 dell'art.

5, che regola il calcolo dei contributi, sia il comma 12, che stabilisce il criterio di computo dei lavoratori part-time ai fini del calcolo

del numero dei lavoratori dell'azienda. Mentre al principio della rimozione degli ostacoli di natura giuridica al lavoro a tempo

parziale appaiono ispirati sia la disposizione del comma 3-bis, che regola alcune situazioni di prelazione dei lavoratori a tempo

parziale in caso di assunzione di lavoratori con contratti a tempo pieno, sia il comma 11, che disciplina il trattamento pensionistico in

caso di trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale e viceversa.

Si può quindi ritenere che le predette disposizioni e, più in generale, la complessiva disciplina posta dallo stesso art. 5 abbiano già

realizzato, in una sorta di anticipazione della citata direttiva 97/81/CE, un nucleo minimo di regole che, da un lato, agevolano il

lavoro a tempo parziale e, dall'altro lato, costituiscono una forma di protezione del lavoratore part-time. Tale nucleo minimo

essenziale non può essere totalmente rimosso, nell'ordinamento interno, se non attraverso la contemporanea sostituzione con

disposizioni a loro volta conformi, proprio perché l'entrata in vigore della direttiva ha determinato il formarsi, durante la pendenza

del termine, di una situazione di pre-conformazione all'obbligo di adeguamento, che preclude l'adozione di atti collidenti con i

principi della direttiva.

E' invero pacifico, nella giurisprudenza comunitaria, che gli Stati membri hanno il dovere, ai sensi degli artt. 5 e 189 del Trattato, di

leale cooperazione, che impone, tra l'altro, di astenersi dall'adottare, nel periodo intercorrente tra l'entrata in vigore della direttiva ed

il termine assegnato per il suo recepimento, qualsiasi misura che possa compromettere il conseguimento del risultato prescritto

(Corte di giustizia, 18 dicembre 1997 in causa C-129/96). Ciò è tanto più vero, nel caso di specie, non solo perché il termine di

attuazione della direttiva è già scaduto il 20 gennaio 2000 rendendo così formalmente inadempiente lo Stato italiano, ma anche

perché sia il ventiduesimo "considerando" della direttiva sia la clausola 6.2 dell'allegato accordo quadro stabiliscono espressamente

che in ragione della direttiva non può essere giustificato alcun "regresso" rispetto alla situazione vigente in ciascuno Stato membro

per quanto riguarda il livello generale di protezione dei lavoratori nell'ambito coperto dall'accordo stesso. L'abrogazione, in via

referendaria, del citato art. 5 determinerebbe invece l'eliminazione pura e semplice della tutela contenuta nella vigente disciplina

specifica del rapporto di lavoro a tempo parziale, così da porre in essere una situazione tale da far sorgere la responsabilità dello

Stato italiano per inadempimento di uno specifico obbligo comunitario (cfr. sentenze n. 26 del 1993 e n. 64 del 1990), con

conseguente violazione dell'art. 75, secondo comma, della Costituzione.

Sotto questo profilo sussiste quindi una precisa ragione di inammissibilità del quesito referendario relativo all'art. 5 della legge n.

863 del 1984, il quale, peraltro, allo stato, è tuttora vigente, non risultando fino ad ora pubblicati ed efficaci preannunciati atti

legislativi, che, recependo la direttiva comunitaria, stabiliscano una differente disciplina.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dell'art. 5 e successive modificazioni del decreto

legge 30 ottobre 1984, n. 726 convertito in legge 19 dicembre 1984, n. 863 (Misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli

occupazionali), richiesta dichiarata legittima con ordinanza in data 7-13 dicembre 1999 dall'Ufficio centrale per il referendum

costituito presso la Corte di Cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 2000

F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente

Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata il 7 febbraio 2000

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

SENTENZA N.50

ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI Giudice

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Guido NEPPI MODONA "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

- Dott. Franco BILE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della

richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 18 dicembre 1973, n. 877, recante "Nuove norme per

la tutela del lavoro a domicilio" e successive modificazioni, limitatamente a:

- articolo 2, comma 2: "E' fatto divieto alle aziende interessate da programmi di ristrutturazione, riorganizzazione e di

conversione che abbiano comportato licenziamenti o sospensioni dal lavoro, di affidare lavoro a domicilio per la

durata di un anno rispettivamente dall'ultimo provvedimento di licenziamento e dalla cessazione delle sospensioni.",

comma 3: "Le domande di iscrizione al registro di cui all'art. 3 dovranno essere respinte quando risulti che la

richiesta di lavoro da eseguirsi a domicilio viene fatta a seguito di cessione - a qualsiasi titolo - di macchinari e

attrezzature trasferite fuori dell'azienda richiedente e che questa intenda in tal modo proseguire lavorazioni per le

quali aveva organizzato propri reparti con lavoratori da essa dipendenti.", nonché comma 4: "E' fatto divieto ai

committenti di lavoro a domicilio di valersi dell'opera di mediatori o di intermediari comunque denominati i quali,

unitamente alle persone alle quali hanno commesso lavoro a domicilio, sono considerati, a tutti gli effetti, alle

dipendenze del datore di lavoro per conto e nell'interesse del quale hanno svolto la loro attività.";

- articolo 3;

- articolo 4;

- articolo 5;

- articolo 6;

- articolo 7;

- articolo 8;

- articolo 9;

- articolo 10;

- articolo 11;

- articolo 12;

- articolo 13;

articolo 14;

giudizio iscritto al numero 131 del registro referendum.

Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di

cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Annibale Marini;

uditi l'avvocato Ghera Edoardo per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De Lucia Michele e

l'avvocato Alleva Piergiovanni per la Federazione dei Verdi, l'Associazione Nazionale per la Sinistra, Grandi Alfiero

nella sua qualità di responsabile lavoro dei D.S. -Democratici di Sinistra, il Comitato per le libertà e i diritti sociali e il

Partito della Rifondazione Comunista.

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza del 7-13 dicembre 1999 l'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione

ai sensi dell'art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352 e successive modificazioni ed integrazioni, ha dichiarato

legittima la richiesta di referendum popolare, presentata l'8 marzo 1999 da quattordici cittadini elettori, sul seguente

quesito:

"Volete voi che sia abrogata la legge 18 dicembre 1973, n. 877, recante "Nuove norme per la tutela del lavoro a

domicilio" e successive modificazioni, limitatamente a: articolo 2, comma 2: "E' fatto divieto alle aziende interessate

da programmi di ristrutturazione, riorganizzazione e di conversione che abbiano comportato licenziamenti o

sospensioni dal lavoro, di affidare lavoro a domicilio per la durata di un anno rispettivamente dall'ultimo

provvedimento di licenziamento e dalla cessazione delle sospensioni.", comma 3: "Le domande di iscrizione al

registro di cui all'art. 3 dovranno essere respinte quando risulti che la richiesta di lavoro da eseguirsi a domicilio

viene fatta a seguito di cessione - a qualsiasi titolo - di macchinari e attrezzature trasferite fuori dell'azienda

richiedente e che questa intenda in tal modo proseguire lavorazioni per le quali aveva organizzato propri reparti con

lavoratori da essa dipendenti.", nonché comma 4: "E' fatto divieto ai committenti di lavoro a domicilio di valersi

dell'opera di mediatori o di intermediari comunque denominati i quali, unitamente alle persone alle quali hanno

commesso lavoro a domicilio, sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze del datore di lavoro per conto e

nell'interesse del quale hanno svolto la loro attività."; articolo 3; articolo 4; articolo 5; articolo 6; articolo 7; articolo

8; articolo 9; articolo 10; articolo 11; articolo 12; articolo 13; articolo 14 ?".

Al quesito l'Ufficio centrale ha attribuito il seguente titolo: "Lavoro a domicilio: abolizione delle norme di tutela

speciale".

2.- Ricevuta comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale, il Presidente di questa Corte ha fissato, per la

conseguente deliberazione, la camera di consiglio del 13 gennaio 2000, disponendo che ne fosse data comunicazione

ai presentatori della richiesta di referendum e al Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell'art. 33, secondo

comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352.

3.- Nell'imminenza della camera di consiglio hanno depositato memoria i Signori Daniele Capezzone, Mariano

Giustino e Michele De Lucia, presentatori del referendum, insistendo per la declaratoria di ammissibilità della

richiesta.

Rilevano innanzitutto i presentatori come le disposizioni che si intenderebbero abrogare non rientrino tra quelle per

le quali l'art. 75, secondo comma, della Costituzione esclude la possibilità di referendum abrogativo. Il quesito, infatti,

oltre ad essere estraneo alle materie elencate nella predetta norma costituzionale, non andrebbe neanche incontro ai

limiti posti da leggi strumentali all'attuazione di trattati internazionali in quanto, allo stato, l'Italia non ha ancora

provveduto a ratificare la convenzione OIL n. 177 del 22 giugno 1996 sul lavoro a domicilio. D'altronde, detta

convenzione si limiterebbe a stabilire un generale principio di non discriminazione o parità di trattamento in favore

dei lavoratori a domicilio, nonché ad impegnare gli Stati membri dell'OIL all'adozione di appropriate misure di

politica nazionale per controllare e monitorare il fenomeno del lavoro a domicilio, lasciando agli Stati ampia libertà di

scelta sugli strumenti e sulle norme protettive. Sicché, l'eventuale abrogazione delle norme speciali di tutela dei

lavoratori, attualmente vigenti, non potrebbe determinare una situazione di inadempienza rispetto agli obblighi che

deriverebbero dalla possibile ratifica della convenzione, i cui principi, in tal caso, potranno essere attuati dal

legislatore nell'ambito della sua discrezionalità. Sempre ad avviso dei presentatori, e conclusivamente sul punto, il

quesito, non incidendo sulla norma dell'art. 1 della legge n. 877 del 1973 concernente la definizione del lavoro a

domicilio, e lasciando comunque in vigore la norma generale di cui all'art. 2128 del codice civile (che estende al

lavoro a domicilio le disposizioni sul lavoro subordinato nell'impresa in quanto compatibili con la specialità del

rapporto), non si porrebbe in contrasto con i principi - peraltro generici - di detta convenzione.

Il quesito risulterebbe, poi, di natura semplicemente abrogativa, investendo l'intera legge con le sole eccezioni

dell'intero art. 1 e del primo comma dell'art. 2. Non sarebbe stata infatti adottata alcuna tecnica manipolativa

cosiddetta di ritaglio diretta a creare nuove norme, tant'è che all'esito abrogativo corrisponderebbe la naturale

espansione della disciplina generale prevista nell'ordinamento per il lavoro subordinato senza la creazione di alcuna

disciplina innovativa di risulta.

Non si sarebbe inoltre in presenza, proseguono i presentatori, di norme costituzionalmente necessitate, né a

contenuto costituzionalmente vincolato, poiché la disciplina del lavoro a domicilio non è prevista dalla Costituzione

ed è rimessa alla discrezionalità del legislatore ordinario. Ciò, anche per quel che riguarda la tutela previdenziale

garantita dall'art. 38, secondo comma, della Costituzione. Spetterebbe infatti al legislatore ordinario stabilire

discrezionalmente quali tipi di assicurazione sociale debbano essere previsti per i lavoratori a domicilio e quale debba

essere la misura della loro tutela previdenziale. In ogni caso, il quesito referendario, pur comprendendo

l'abrogazione dell'art. 9 che, al primo comma, richiama l'applicazione delle norme vigenti in materia di assicurazioni

sociali (ad esclusione della integrazione salariale), non determinerebbe alcuna riduzione degli attuali livelli di tutela.

In particolare, ai sensi dell'art. 37, secondo comma, del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, rimarrebbe

garantita l'assicurazione per i casi di invalidità e vecchiaia e per la tubercolosi nonché, ai sensi del secondo comma

dell'art. 4 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, l'assicurazione obbligatoria contro gli

infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

Infine, conclude la difesa dei presentatori, il quesito risponderebbe ai requisiti di omogeneità, chiarezza ed univocità.

Risulterebbe, infatti, evidente la finalità intrinseca della richiesta referendaria che consentirebbe agli elettori

l'espressione di un voto consapevole sul mantenimento o meno della vigente disciplina vincolativa del lavoro a

domicilio. L'effetto dell'eventuale accoglimento della richiesta referendaria sarebbe, dunque, chiarissimo,

conseguendone l'eliminazione della disciplina speciale del lavoro a domicilio subordinato, al quale rimarrebbe

applicabile la regola generale dell'art. 2128 del codice civile che estende al lavoro a domicilio le disposizioni sul

lavoro subordinato nell'impresa in quanto compatibili con la specialità del rapporto.

4.- Nell'imminenza della camera di consiglio hanno depositato memorie la Federazione dei Verdi in persona del

responsabile nazionale del settore economia-lavoro senatore Natale Ripamonti, l'Associazione Nazionale per la

Sinistra in persona del presidente onorevole Andrea Sergio Garavini, Alfiero Grandi nella sua qualità di responsabile

lavoro dei D.S. - Democratici di Sinistra, il Comitato per le libertà e i diritti sociali in persona del presidente Paolo

Cagna Ninchi, ed il Partito della Rifondazione Comunista in persona del segretario generale onorevole Fausto

Bertinotti, deducendo tutti l'inammissibilità della richiesta referendaria. Questa, infatti, da un lato sarebbe inidonea al

dichiarato fine di definitiva "liberalizzazione" del contratto di lavoro a domicilio, risolvendosi nella mera ablazione

della disciplina vigente; dall'altro, se intesa come introduttiva di un divieto di normazione limitativa di quel rapporto,

assumerebbe un non consentito carattere propositivo. L'iniziativa referendaria si porrebbe altresì in contrasto con

specifici obblighi internazionali derivanti dalla sottoscrizione della convenzione OIL n. 177 del 1996, che all'art. 4

indica espressamente i profili del rapporto di lavoro a domicilio che devono essere regolati onde realizzare la parità

di trattamento con gli altri lavoratori.

5.- Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 è stato ascoltato per i presentatori, l'avv. Edoardo Ghera, il quale

ha eccepito preliminarmente che le memorie e l'audizione della Federazione dei Verdi, dell'Associazione nazionale

per la Sinistra, di Alfiero Grandi, del Comitato per le libertà ed i diritti sociali e del Partito della Rifondazione

Comunista costituirebbero un inammissibile intervento in giudizio di soggetti non legittimati ed ha richiamato sul

punto la giurisprudenza di questa Corte che, secondo quanto sostenuto, sarebbe ostativa all'ammissibilità sia delle

memorie che dell'audizione dei soggetti sopra specificati. Nel merito, l'avvocato Ghera ha illustrato le

argomentazioni a sostegno dell'ammissibilità del referendum prospettate nella memoria difensiva.

Essendosi la Corte riservata di decidere in sentenza sull'ammissibilità delle memorie e dell'audizione, è stato

ascoltato per la Federazione dei Verdi, l'Associazione Nazionale per la Sinistra, Alfiero Grandi, il Comitato per le

libertà e i diritti sociali ed il Partito della Rifondazione Comunista, l'avvocato Piergiovanni Alleva il quale, ribadita la

ritualità delle memorie e dell'audizione dei soggetti dallo stesso rappresentati, ha illustrato le già dedotte ragioni di

inammissibilità della richiesta referendaria.

Considerato in diritto

1.- La richiesta di referendum investe l'intera legge 18 dicembre 1973, n. 877 (Nuove norme per la tutela del lavoro a

domicilio) e successive modificazioni, ad eccezione dell'articolo 1 e del primo comma dell'articolo 2.

Più precisamente essa riguarda:

A)le disposizioni contenute nei commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 2. La prima di tali disposizioni fa

divieto "alle aziende interessate da programmi di ristrutturazione, riorganizzazione e di conversione che

abbiano comportato licenziamenti o sospensioni dal lavoro, di affidare lavoro a domicilio per la durata di un

anno rispettivamente dall'ultimo provvedimento di licenziamento e dalla cessazione della sospensione".

Secondo la disposizione successiva le domande di iscrizione al registro dei committenti di cui all'art. 3 della

legge "dovranno essere respinte quando risulti che la richiesta di lavoro da eseguirsi a domicilio viene fatta a

seguito di cessione - a qualsiasi titolo - di macchinari e attrezzature trasferite fuori dell'azienda richiedente e

che questa intenda in tal modo proseguire lavorazioni per le quali aveva organizzato propri reparti con

lavoratori da essa dipendenti".

Il quarto comma dello stesso articolo vieta ai committenti di lavoro a domicilio di valersi dell'opera di

mediatori o di intermediari comunque denominati;

B)l'intero articolo 3, che istituisce presso l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione un

registro dei committenti nel quale devono iscriversi coloro che intendono commettere lavoro a domicilio e

impone al datore di lavoro che faccia eseguire lavoro al di fuori della propria azienda di tenere un apposito

registro "sul quale debbono essere trascritti il nominativo ed il relativo domicilio dei lavoratori esterni all'unità

produttiva, nonché l'indicazione del tipo e della quantità del lavoro da eseguire e la misura della retribuzione"

(comma quinto);

C)l'intero articolo 4, che istituisce presso ciascuna sezione comunale dell'ufficio provinciale del lavoro e della

massima occupazione un registro dei lavoratori a domicilio e stabilisce che l'impiego dei lavoratori a domicilio

avviene esclusivamente per il tramite delle sezioni comunali di collocamento. Ferma restando l'ammissibilità

della richiesta nominativa;

D)l'intero articolo 5, che prevede l'istituzione presso ogni ufficio provinciale del lavoro e della massima

occupazione di una commissione per il controllo del lavoro a domicilio definendone i relativi compiti;

E)l'intero articolo 6, che prevede la istituzione presso ogni ufficio regionale del lavoro e della massima

occupazione di una commissione regionale per il lavoro a domicilio disciplinandone la composizione, i compiti e

la durata in carica dei membri.

Occorre, peraltro, precisare che, ai sensi di quanto disposto dal comma 2 dell'art. 6 del d.lgs. 23 dicembre

1997, n. 469, "con effetto dalla costituzione della commissione provinciale di cui al comma 1 (e cioè della

commissione al livello provinciale per le politiche del lavoro) i seguenti organi collegiali sono soppressi e le

relative funzioni e competenze sono trasferite alla provincia:

a)(omissis)

b)(omissis)

c)commissione regionale per il lavoro a domicilio;

d)commissione provinciale per il lavoro a domicilio;

e)commissione comunale per il lavoro a domicilio".

F)l'intero articolo 7, che istituisce presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale la commissione

centrale per il lavoro a domicilio e ne disciplina la composizione, i compiti e la durata in carica dei membri;

G)l'intero articolo 8, che dispone che i lavoratori a domicilio debbono essere retribuiti sulla base di tariffe di

cottimo pieno;

H)l'intero articolo 9, che estende, nel primo comma, ai lavoratori a domicilio le norme vigenti per i lavoratori

subordinati in materia di assicurazioni sociali e di assegni familiari, fatta eccezione di quelle in materia di

integrazione salariale; mentre nel secondo comma si prevede che, con decreto del Ministro per il lavoro e la

previdenza sociale di concerto con il Ministro per il tesoro, siano stabilite, anche per singole zone territoriali,

tabelle di retribuzioni convenzionali ai fini del calcolo dei contributi previdenziali e assistenziali;

I)l'intero articolo 10, che dispone che il lavoratore a domicilio debba essere munito a cura dell'imprenditore di

uno speciale libretto personale di controllo;

L)l'intero articolo 11, che stabilisce nel primo comma che il lavoratore a domicilio "deve prestare la sua

attività con diligenza, custodire il segreto sui modelli del lavoro affidatogli e attenersi alle istruzioni ricevute

dall'imprenditore nell'esecuzione del lavoro".

Il divieto di svolgere attività lavorativa per conto proprio o di terzi in concorrenza con l'imprenditore è

disposto dal secondo comma dello stesso articolo ed è condizionato all'affidamento di una quantità di lavoro

atta a procurare al lavoratore una prestazione continuativa corrispondente all'orario normale di lavoro secondo

le disposizioni vigenti e quelle stabilite dal contratto collettivo di lavoro di categoria;

M)l'intero articolo 12, che affida la vigilanza sull'applicazione della legge al Ministero del lavoro e della

previdenza sociale per il tramite dell'ispettorato del lavoro;

N)l'intero articolo 13, che per il caso di inosservanza delle disposizioni contenute nella legge prevede a carico

del committente lavoro a domicilio un articolato sistema di sanzioni sia di carattere penale che amministrativo;

O)l'intero articolo 14, che dispone espressamente l'abrogazione della legge 13 marzo 1958, n. 264 per la tutela

del lavoro a domicilio.

2.- Va preliminarmente dichiarata - per tutte le considerazioni esposte nella sentenza n. 31 del 2000 - la ricevibilità

delle memorie depositate dai soggetti diversi dai presentatori e, conseguentemente, l'ammissibilità dell'illustrazione

orale delle memorie stesse effettuata nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000.

3.- Il referendum è inammissibile.

Va evidenziato come il lavoro a domicilio, avuto riguardo sia al luogo ed alle modalità di svolgimento della

prestazione lavorativa che ai criteri di retribuzione, costituisca una di quelle forme speciali di lavoro che la

Repubblica, secondo quanto dispone l'art. 35 della Costituzione, deve tutelare.

La doverosità, espressa da tale precetto, di una tutela del lavoro non già generica ed indistinta, ma articolata e

coerente con la specificità delle varie forme (ed applicazioni) del lavoro si pone, dunque, alla base di quella disciplina

speciale del lavoro a domicilio, già introdotta dal legislatore con la legge n. 264 del 1958, (poi sostituita appunto dalla

legge n. 877 del 1973) e che la proposta referendaria vorrebbe ora abrogare, così eliminando una specifica e diretta

attuazione di un principio costituzionale.

I modi e le forme dell'attuazione della tutela costituzionale sono ovviamente rimessi alla discrezionalità del

legislatore, cosicché le leggi attraverso le quali di volta in volta si realizza la tutela del lavoro, nelle sue diverse

manifestazioni, pur essendo costituzionalmente necessarie, non sono a contenuto vincolato. Esse, in quanto dirette a

rendere effettivo un diritto fondamentale della persona, una volta venute ad esistenza possono essere dallo stesso

legislatore modificate o sostituite con altra disciplina, ma non possono essere puramente e semplicemente abrogate,

così da eliminare la tutela precedentemente concessa, pena la violazione diretta di quel medesimo precetto

costituzionale della cui attuazione costituiscono strumento (si veda, sul punto, con specifico riferimento

all'abrogazione referendaria, la sentenza n. 35 del 1997, nonché le sentenze n. 134 del 1994 e n. 106 del 1992).

Tale limite si oppone all'abrogazione della vigente normativa di tutela speciale del lavoro a domicilio e determina

l'inammissibilità della proposta referendaria.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, della

legge 18 dicembre 1973, n. 877 (Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio) e successive modificazioni,

richiesta dichiarata legittima con ordinanza del 7-13 dicembre 1999 dall'Ufficio centrale per il referendum costituito

presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 2000

F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata il 7 febbraio 2000

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

SENTENZA N.51

ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI Giudice

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Guido NEPPI MODONA "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

- Dott. Franco BILE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11

marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 18

aprile 1962, n. 230 recante "Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato" e

successive modificazioni limitatamente a:

- articolo 1, comma 1: "Il contratto di lavoro si reputa a tempo indeterminato, salvo le

eccezioni appresso indicate." e comma 2, come modificato dall'art. unico della legge 23 maggio

1977, n. 266 (il quale ha sostituito la lettera "e"), nonché come integrato dall'art. unico

della legge 25 marzo 1986, n. 84 (il quale ha aggiunto la lettera "f"), limitatamente alle

parole: "a) quando ciò sia richiesto dalla speciale natura dell'attività lavorativa derivante

dal carattere stagionale della medesima; b) quando l'assunzione abbia luogo per sostituire

lavoratori assenti e per i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto, sempreché

nel contratto di lavoro a termine sia indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa

della sua sostituzione; c) quando l'assunzione abbia luogo per la esecuzione di un'opera o di

un servizio definiti e predeterminati nel tempo aventi carattere straordinario od occasionale;

d) per le lavorazioni a fasi successive che richiedono maestranze diverse, per

specializzazioni, da quelle normalmente impiegate e limitatamente alle fasi complementari od

integrative per le quali non vi sia continuità di impiego nell'ambito dell'azienda; e) nelle

assunzioni di personale riferite a specifici spettacoli ovvero a specifici programmi

radiofonici o televisivi; f) quando l'assunzione venga effettuata da aziende di trasporto

aereo o da aziende esercenti i servizi aeroportuali ed abbia luogo per lo svolgimento dei

servizi operativi di terra e di volo, di assistenza a bordo ai passeggeri e merci, per un

periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di

quattro mesi per periodi diversamente distribuiti, e nella percentuale non superiore al 15 per

cento dell'organico aziendale che, al 1 gennaio dell'anno a cui le assunzioni si riferiscono,

risulti complessivamente adibito ai servizi sopra indicati. Negli aeroporti minori detta

percentuale può essere aumentata da parte delle aziende esercenti i servizi aeroportuali,

previa autorizzazione dell'ispettorato del lavoro, su istanza documentata delle aziende stesse.

In ogni caso, le organizzazioni sindacali provinciali di categoria ricevono comunicazione delle

richieste di assunzione da parte delle aziende di cui alla presente lettera.", comma 3:

"L'apposizione del termine è priva di effetto se non risulta da atto scritto.", comma 4: "Copia

dell'atto scritto deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore.", comma 5: "La

scrittura non è tuttavia necessaria quando la durata del rapporto di lavoro puramente

occasionale non sia superiore a 12 giorni lavorativi.", nonché comma 6: "L'elenco delle

attività di cui al secondo comma, lettera a), del presente articolo sarà determinato con

decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza

sociale, entro un anno dalla pubblicazione della presente legge. L'elenco suddetto potrà essere

successivamente modificato con le medesime procedure. In attesa dell'emanazione di tale

provvedimento, per la determinazione di dette attività si applica il decreto ministeriale 11

dicembre 1939 che approva l'elenco delle lavorazioni che si compiono annualmente in periodi di

durata inferiore a sei mesi.";

- articolo 2, come sostituito (quanto al comma 2) dall'art. 12 della legge 24 giugno 1997, n.

196;

- articolo 3;

- articolo 4;

- articolo 5;

- articolo 6;

- articolo 7, come sostituito dall'art. 14 del d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758;

- articolo 8;

- articolo 9;

- articolo 10;

- articolo 11;

nonché il decreto-legge 3 dicembre 1977, n. 876, convertito in legge, con modificazioni dalla

legge 3 febbraio 1978, n. 18, recante "Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato

nei settori del commercio e del turismo" e successive modificazioni, nonché la legge 28

febbraio 1987, n. 56, recante "Norme sull'organizzazione del mercato del lavoro" e successive

modificazioni, limitatamente all'articolo 23, come sostituito (quanto al comma 2) dall'art. 9

bis d.l. 20 maggio 1993, n. 148, convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236; giudizio iscritto

al n. 123 del registro referendum.

Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum

presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta e la successiva

ordinanza di correzione di errore materiale del 21 dicembre 1999;

Udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 1999 il Giudice relatore Franco Bile;

uditi l'avvocato Sergio Magrini per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De

Lucia Michele, l'avvocato Mario Salerni per l'associazione Progetto Diritti, per la Federazione

delle Rappresentanze Sindacali di Base e per il Centro di ricerca ed elaborazione per la

democrazia e l'avvocato Piergiovanni Alleva per la Federazione dei Verdi ed altri, Comitato per

le libertà e i diritti sociali e Partito della Rifondazione Comunista.

Ritenuto in fatto

1. - L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ai sensi

della legge 25 maggio 1970, n. 352, ha esaminato la richiesta di referendum popolare

depositata in data 8 marzo 1999 da Daniele Capezzone ed altri (pubblicata nella Gazzetta

Ufficiale n. 57 del 10 marzo 1999), presentata sul seguente quesito: << Volete voi che sia

abrogata la legge 18 aprile 1962, n. 230, recante "Disciplina del contratto di lavoro a tempo

determinato" e successive modificazioni, limitatamente a:

- art. 1, comma 1: "Il contratto di lavoro si reputa a tempo indeterminato, salvo le eccezioni

appresso indicate."; comma 2, come modificato dall'articolo unico della legge 23 maggio 1977 n.

266 il quale ha sostituito la lett. "e"), nonché come integrato dall'articolo unico della

legge 25 marzo 1986, n. 84 (il quale ha aggiunto la lettera "f"), limitatamente alle parole:

"a) quando ciò sia richiesto dalla speciale natura dell'attività lavorativa derivante dal

carattere stagionale della medesima; b) quando l'assunzione abbia luogo per sostituire

lavoratori assenti e per i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto, sempreché

nel contratto di lavoro a termine sia indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa

della sua sostituzione; c) quando l'assunzione abbia luogo per la esecuzione di un'opera o di

un servizio definiti e predeterminati nel tempo aventi carattere straordinario od occasionale;

d) per le lavorazioni a fasi successive che richiedono maestranze diverse, per

specializzazioni, da quelle normalmente impiegate e limitatamente alle fasi complementari od

integrative per le quali non vi sia continuità di impiego nell'ambito dell'azienda; e) nelle

assunzioni di personale riferite a specifici spettacoli ovvero a specifici programmi

radiofonici o televisivi; f) quando l'assunzione venga effettuata da aziende di trasporto

aereo o da aziende esercenti i servizi aeroportuali ed abbia luogo per lo svolgimento dei

servizi operativi di terra e di volo, di assistenza a bordo ai passeggeri e merci, per un

periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di

quattro mesi per periodi diversamente distribuiti e nella percentuale non superiore al 15 per

cento dell'organico aziendale che, al 10 gennaio dell'anno a cui le assunzioni si riferiscono,

risulti complessivamente adibito ai servizi sopraindicati. Negli aeroporti minori detta

percentuale può essere aumentata da parte delle aziende esercenti i servizi aeroportuali,

previa autorizzazione dell'ispettorato del lavoro, su istanza documentata delle aziende stesse.

In ogni caso, le organizzazioni sindacali provinciali di categoria ricevono comunicazione delle

richieste di assunzione da parte delle aziende di cui alla presente lettera."; comma 3:

"L'apposizione del termine è priva di effetto se non risulta da atto scritto."; comma 4: "Copia

dell'atto scritto deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore."; comma 5: "La

scrittura non è tuttavia necessaria quando la durata del rapporto di lavoro puramente

occasionale non sia superiore a dodici giorni lavorativi."; nonché comma 6: "L'elenco delle

attività di cui al secondo comma, lettera a), del presente articolo sarà determinato con

decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza

sociale, entro un anno dalla pubblicazione della presente legge. L'elenco suddetto potrà essere

successivamente modificato con le medesime procedure. In attesa dell'emanazione di tale

provvedimento, per la determinazione di dette attività si applica il decreto ministeriale 11

dicembre 1939 che approva l'elenco delle lavorazioni che si compiono annualmente in periodi di

durata inferiore a sei mesi.";

- art. 2, come sostituito (quanto al comma 2) dall'art. 12 della legge 24 giugno 1997, n. 196;

- art. 3;

- art. 4;

- art. 5;

- art. 6;

- art. 7, come sostituito dall'art. 14 del d. lgs. 19 dicembre 1994, n. 758;

- art. 8;

- art. 9;

- art. 10;

- art. 11"

nonché il decreto legge 3 dicembre 1977, n. 876, convertito in legge, con modificazione, dalla

legge 3 febbraio 1978, n. 18, recante "Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato

nei settori del commercio e del turismo" e successive modificazioni, nonché la legge 28

febbraio 1987, n. 56, recante "Norme sull'organizzazione del mercato del lavoro" e successive

modificazioni, limitatamente all'art. 23, come sostituito (quanto al comma 2) dall'art. 9 bis

del decreto legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito in legge dalla legge 19 luglio 1993, n.

236?>>.

2. - L'Ufficio centrale per il referendum, con ordinanza pronunciata in data 7-13 dicembre

1999 - ritenuta la tempestività della presentazione della richiesta referendaria e dato atto

che le sottoscrizioni raccolte dai promotori avevano raggiunto il numero di cinquecentomila -

ha dichiarato che la richiesta è conforme alle disposizioni di legge.

Al quesito l'Ufficio centrale ha assegnato la seguente denominazione: "Contratti di lavoro

a tempo determinato: Liberalizzazione della stipulazione".

3. - Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente della Corte costituzionale ha fissato

il giorno 13 gennaio 2000 per la deliberazione in camera di consiglio sull'ammissibilità della

richiesta, dandone comunicazione, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge 25 maggio

1970, n. 352, ai presentatori della richiesta ed al Presidente del Consiglio dei ministri.

4. - In prossimità della camera di consiglio, i promotori hanno depositato una memoria nella

quale si chiede la dichiarazione di ammissibilità del referendum.

5. - Sono state presentate memorie dall'Associazione Progetto Diritti O.N.L.U.S., dalla

Federazione delle Rappresentanze Sindacali di Base e dal Centro di Ricerca ed Elaborazione per

la Democrazia, dal Comitato per le Libertà e i diritti sociali, dal Partito della Rifondazione

Comunista e, congiuntamente, dalla Federazione dei Verdi, dall'Associazione Nazionale per la

Sinistra e da Alfiero Grandi, nella dedotta qualità di responsabile lavoro dei D.S. -

Democratici di Sinistra.

6. - Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 sono stati uditi l'avv.Sergio Magrini per i

presentatori; l'avv.Mario Salerni per l'Associazione Progetto Diritti O.N.L.U.S., la

Federazione delle Rappresentanze Sindacali di Base e il Centro di Ricerca ed Elaborazione per

la Democrazia; e l'avv. Piergiovanni Alleva per il Partito della Rifondazione Comunista, la

Federazione dei Verdi, e l'Associazione Nazionale per la Sinistra.

Considerato in diritto

1. - Sciogliendo la riserva formulata dal Presidente della Corte nella camera di consiglio del

13 gennaio 2000, in via preliminare va dichiarata, per le ragioni specificamente indicate da

questa Corte nella sentenza n. 31 del 2000, la ritualità del deposito delle memorie provenienti

da soggetti diversi dai presentatori del referendum, nonché della loro illustrazione orale,

avvenuta nella camera di consiglio citata.

2. - Si può quindi passare all'esame della sussistenza dei requisiti per l'ammissibilità della

richiesta del referendum abrogativo - dichiarata legittima dall'Ufficio centrale per il

referendum, costituito presso la Corte di cassazione, con ordinanza 7/13 dicembre 1999 - al

fine di accertare se, riguardo all'oggetto della richiesta stessa, ricorra qualcuno dei limiti

espressamente previsti dall'art. 75, secondo comma, della Costituzione o comunque impliciti nel

sistema e se il quesito presenti struttura e caratteri conformi alla funzione che la

Costituzione assegna all'istituto del referendum abrogativo, che la Corte ha individuato fin

dalla sentenza n.16 del 1978.

3. - Si deve subito rilevare - quanto all'area della normativa costituzionalmente interdetta

all'iniziativa referendaria ratione materiae - che il quesito in esame concerne la disciplina

del rapporto di lavoro a tempo determinato e, quindi, certamente non riguarda alcuna legge

tributaria o di bilancio, né di amnistia o di indulto.

4. - Con riferimento all'ultimo dei limiti indicati nel secondo comma dell'art.75 della

Costituzione, il referendum non propone specificamente l'abrogazione di una legge di

autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Peraltro ai fini della decisione

sull'ammissibilità occorre tener conto delle precisazioni fornite dalla giurisprudenza

costituzionale.

Sotto tale profilo giova richiamare (ed ulteriormente ribadire) i princìpi ripetutamente

affermati da questa Corte fin dalla sentenza n. 30 del 1981 (e successivamente confermati dalle

sentenze n. 31 del 1981, n. 25 del 1987, n. 63 del 1990 e, più recentemente, dalla sentenza

n.27 del 1997). In base a tali principi, nella categoria delle leggi per cui l'art. 75 della

Costituzione esclude il ricorso al referendum abrogativo sono ricomprese - oltre alle leggi di

autorizzazione a ratificare trattati internazionali - anche "le disposizioni produttive di

effetti collegati in modo così stretto all'ambito di operatività" di queste leggi che "la

preclusione debba ritenersi sottintesa".

A siffatta conclusione la Corte è pervenuta considerando in primo luogo che dall'abrogazione di

tali norme deriverebbe l'esposizione dello Stato italiano a responsabilità nei confronti delle

altre parti contraenti a causa della violazione degli impegni assunti in sede internazionale; e

aggiungendo inoltre che la Costituzione "ha voluto riservare (tale responsabilità) alla

valutazione politica del Parlamento, sottraendo le norme in questione alla consultazione

popolare, alla quale si rivolge il referendum abrogativo previsto dall'art. 75 della

Costituzione" (sentenze n. 30 del 1981 e n. 27 del 1997, citate, nonché n. 28 del 1993).

5. - Tra le leggi di ratifica di trattati internazionali deve essere ricordata in particolare

quella concernente il trattato istitutivo della Comunità europea (legge 14 ottobre 1957, n.

1203, di ratifica ed esecuzione degli accordi internazionali firmati a Roma il 25 marzo 1957,

cui hanno fatto seguito la legge 3 novembre 1992, n. 454, di ratifica ed esecuzione del

trattato sull'Unione europea firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, e la legge 16 giugno

1998, n. 209, di ratifica ed esecuzione del trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997).

Questa Corte (a partire dalla sentenza n.170 del 1984) ha precisato che l'ordinamento

comunitario e quello statale si configurano come autonomi e distinti, secondo la ripartizione

di competenza stabilita dal trattato, ed ha ricondotto il coordinamento fra essi esistente

all'ambito dell'art.11 della Costituzione.

Il processo di progressiva integrazione degli ordinamenti giuridici nazionale e comunitario ha

comportato, pur a Costituzione invariata, delle profonde modifiche all'ordinamento interno.

Infatti - poiché nelle materie previste dal trattato la normativa regolatrice è quella emanata

dalle istituzioni comunitarie secondo le previsioni del trattato stesso (entro il quadro

precisato dalla ricordata sentenza n.170 del 1984) - di fronte a tale normativa, come ha

rilevato la sentenza n.285 del 1990, "l'ordinamento interno si ritrae e non è più operante".

Questa ritrazione per un verso consente la diretta applicabilità del diritto comunitario

derivato, nei termini riconosciuti dalla giurisprudenza di questa Corte e della Corte di

giustizia delle Comunità europee, e per altro verso attribuisce una posizione di preminenza

all'adempimento, da parte dello Stato italiano, degli obblighi comunitari, garantendolo con una

rete di protezione che - come emerge dalla giurisprudenza di questa Corte - incide, per vari

aspetti, sui poteri del legislatore, dei giudici e della pubblica amministrazione.

6. - Nel quadro fin qui delineato si colloca la giurisprudenza della Corte concernente i

rapporti fra ordinamento comunitario e referendum abrogativo.

Con specifico riferimento all'interferenza con il trattato di Roma, le sentenze n. 31 e n. 15

del 1997 hanno espressamente verificato se le abrogazioni oggetto delle richieste referendarie

rispettivamente esaminate avrebbero potuto comportare, in concreto, una violazione degli

obblighi posti allo Stato italiano dal trattato stesso.

7. - Anche l'obbligo - imposto dal trattato agli Stati membri, in vista dell'obiettivo di

conformazione degli ordinamenti interni - di ottemperare alle prescrizioni poste dalla

normativa comunitaria derivata, ha una precisa ricaduta - come già ritenuto dalla Corte - in

termini di inammissibilità del referendum che in ipotesi esponga lo Stato italiano al rischio

dell'inadempienza.

In particolare, le direttive comunitarie sono state espressamente considerate rilevanti ai fini

del giudizio di ammissibilità di richieste referendarie - sia pure per escludere che il

risultato del referendum confliggesse con le direttive che venivano in considerazione - dalla

sentenza n. 64 del 1990 e (congiuntamente a trattati internazionali) dalle sentenze n. 63 del

1990, n. 26 del 1993 e n. 36 del 1997.

8. - Si tratta allora di verificare se il quesito referendario si ponga, o meno, in contrasto

con la direttiva 1999/70/CE del Consiglio dell'Unione europea del 28 giugno 1999.

8.1. - La citata direttiva concerne specificamente il rapporto di lavoro a tempo determinato, e

recepisce l'accordo-quadro stipulato al riguardo dalle parti sociali.

Tale accordo richiede che il termine apposto al contratto di lavoro sia determinato da

condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito

specifico o il verificarsi di un evento specifico. E nel contempo dispone che gli Stati membri,

ove nella loro legislazione non abbiano già una normativa equivalente, debbano, non oltre il 10

luglio 2001, dettarne una diretta ad evitare l'abuso del contratto di lavoro a termine,

mediante l'adozione di misure idonee ad individuare le ragioni obbiettive che giustifichino la

sua rinnovazione, la durata massima dei contratti successivi, ed il numero di rinnovi

possibili; nonché a stabilire quando i contratti a termine debbano considerarsi "successivi" e

quando si convertano in contratti a tempo indeterminato.

8.2. - Ora - quando, come nel caso in esame, la direttiva prevede un termine per l'adeguamento

di ciascun ordinamento nazionale alle sue prescrizioni - l'obbligo di conformazione sorge come

tale a carico dello Stato fin dal momento dell'entrata in vigore della direttiva (ai sensi

dell'art. 254 del trattato, già art. 191), e quindi, anche durante la pendenza del termine, la

sopravveniente normazione interna dello Stato non può estrinsecarsi con contenuti confliggenti

con i principi della direttiva.

8.3. - La menzionata direttiva dispone che gli Stati membri debbano introdurre nei propri

ordinamenti misure idonee a prevenire abusi in tema di contratto di lavoro a tempo determinato,

solo "in assenza di norme equivalenti".

Pertanto negli Stati in cui tali norme esistano si determina una situazione di anticipata

conformazione dell'ordinamento interno a quello comunitario.

In tal caso, pur in pendenza del termine di recepimento, l'ordinamento interno - se può, nel

rispetto delle scelte di fondo della normativa comunitaria, modificare le garanzie esistenti -

sicuramente non può rimuoverle del tutto senza violare gli obblighi nascenti dalla direttiva.

A tale vincolo è in modo particolare assoggettato il referendum abrogativo, che non può, in

quanto atto-fonte di diritto interno (sentenza n.64 del 1990, citata), condurre ad un risultato

tale da esporre lo Stato italiano a responsabilità per violazione di impegni assunti in sede

comunitaria.

Pertanto non può ritenersi ammissibile un referendum che miri all'abrogazione di una normativa

interna, avente contenuto tale da costituire per lo Stato italiano il soddisfacimento di un

preciso obbligo derivante dall'appartenenza all'Unione europea, ove tale abrogazione lasci

quest'obbligo del tutto inadempiuto.

8.4. - Qualora si consideri la lettera e lo spirito della direttiva in questione (come

evidenziata in chiusura del precedente punto 8.1), l'ordinamento italiano risulta

anticipatamente conformato agli obblighi da essa derivanti.

Infatti, proprio la legge n.230 del 1962 assoggettata a referendum, come risultante dalle

successive modifiche e integrazioni, ha da molto tempo adottato una serie di misure

puntualmente dirette ad evitare l'utilizzo della fattispecie contrattuale del lavoro a tempo

determinato per finalità elusive degli obblighi nascenti da un rapporto di lavoro a tempo

indeterminato, in particolare circondando di garanzie l'ipotesi della proroga o del rinnovo del

contratto e precisando i casi in cui il contratto prorogato o rinnovato si debba considerare a

tempo indeterminato (art.2 della stessa legge).

8.5. - La proposta referendaria mira per contro all'abrogazione di queste garanzie, lasciando

nella legge n.230 del 1962 unicamente l'affermazione della generale (e quindi indiscriminata)

liceità dell'apposizione del termine al contratto di lavoro.

Orbene, è vero che il legislatore nazionale mantiene una considerevole discrezionalità

nell'attuazione della direttiva nell'ordinamento interno, ma la liberalizzazione derivante

dall'eventuale abrogazione dell'art.2 comporterebbe non una mera modifica della tutela

richiesta dalla direttiva, ma una radicale carenza di garanzie in frontale contrasto con la

lettera e lo spirito della direttiva suddetta, che neppure nel suo contenuto minimo essenziale

risulterebbe più rispettata.

8.6. - I promotori affermano che un'eventuale abrogazione referendaria non escluderebbe

l'applicazione alla materia della disciplina generale dei contratti dettata dal codice civile.

Ma tale disciplina, limitandosi a sancire disposizioni meramente comminatorie della nullità del

contratto, appare assolutamente inidonea ad assolvere l'obbligo, imposto dalla direttiva, di

introdurre nell'ordinamento norme volte a regolamentare sia le ragioni ed i limiti del rinnovo

del contratto di lavoro a tempo determinato, sia le ipotesi di trasformazione di esso in

contratto a tempo indeterminato.

9. - Da quanto precede deriva l'inammissibilità del referendum, dovendo ancora una volta

escludersi che dall'abrogazione referendaria di norme interne possa derivare l'esposizione

dello Stato italiano a responsabilità nei confronti della Comunità europea.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 18

aprile 1962, n.230 (Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato), e successive

modificazioni, nelle parti indicate in epigrafe; del decreto legge 3 dicembre 1977, n.876

(Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato nei settori del commercio e del

turismo), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 3 febbraio 1978, n.18, e

successive modificazioni; e dell'art.23 della legge 28 febbraio 1987, n.56 (Norme

sull'organizzazione del mercato del lavoro), come sostituito, quanto al secondo comma,

dall'art.9 bis del decreto legge 20 maggio 1993, n.148, convertito in legge dalla legge 19

luglio 1993, n.236, dichiarata legittima dall'Ufficio centrale per il referendum costituito

presso la Corte di cassazione, con ordinanza 7-13 dicembre 1999.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3

febbraio 2000

F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente

Franco BILE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata il 7 febbraio 2000

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

 
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