SENTENZA N.32
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI Giudice
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Avv. Massimo VARI "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Prof. Annibale MARINI "
- Dott. Franco BILE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11
marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 24
marzo 1958, n. 195, recante "Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio
Superiore della Magistratura" (così come modificata dall'art. 5 della legge 22 dicembre 1975,
n. 695, dagli artt. 18, 19 e 20 della legge 3 gennaio 1981, n. 1, dall'art. 2 della legge 22
novembre 1985, n. 655 e dagli artt. 7, 10 e 13 della legge 12 aprile 1990, n. 74) limitatamente
alle seguenti parti:
art. 25, comma 14, lettera b), limitatamente alle parole: "il voto di lista ed", alla parola
"eventuale", nonché alle parole "nell'ambito della lista votata";
art. 27, comma 3, limitatamente alla lettera a): "provvede alla determinazione del quoziente
per l'assegnazione dei seggi dividendo la cifra dei voti validi espressi nel collegio per il
numero dei seggi del collegio stesso;", alla lettera b): "determina il numero dei seggi
spettante a ciascuna lista dividendo la cifra elettorale dei voti da essa conseguiti per il
quoziente base. I seggi non assegnati in tal modo vengono attribuiti in ordine decrescente alle
liste cui corrispondono i maggiori resti e, in caso di parità di resti, a quelle che abbiano
avuto la maggiore cifra elettorale; a parità di cifra elettorale si procede per sorteggio.
Partecipano all'assegnazione dei seggi in ciascun collegio territoriale le liste che abbiano
complessivamente conseguito almeno il 9 per cento dei suffragi rispetto al totale dei votanti
sul piano nazionale;" e lettera c) limitatamente alle seguenti parole: "nell'ambito dei posti
attribuiti ad ogni lista";
art. 39, comma 1, limitatamente alle parole: "nell'ambito della stessa lista"; comma 2:
"Qualora, per difetto di candidati non eletti e forniti dei requisiti di eleggibilità, la
sostituzione di cui al comma 1 non possa aver luogo nell'ambito della stessa lista, essa
avviene mediante il primo dei non eletti nella lista che abbia riportato nel medesimo collegio
la maggior cifra elettorale o, in caso di parità, che preceda le altre nell'ordine di
presentazione; se in detta lista non vi sono candidati non eletti e forniti dei requisiti di
eleggibilità, si passa alle liste successive."; comma 4, limitatamente alle parole: "e 2";
giudizio iscritto al n. 116 del registro referendum.
Viste l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum
presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta e la successiva
ordinanza di correzione di errore materiale dello stesso Ufficio centrale del 21 dicembre 1999;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;
udito l'avvocato Beniamino Caravita di Toritto per i presentatori Daniele Capezzone, Mariano
Giustino e Michele De Lucia.
Ritenuto in fatto
1. L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione in
applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, esaminata la richiesta di referendum popolare
presentata da quattordici elettori per l'abrogazione di una parte della legge 24 marzo 1958, n.
195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura),
verificata la regolarità della richiesta, ne ha dichiarato la legittimità con ordinanza del
7-13 dicembre 1999.
La richiesta di referendum, quale risulta anche dalla successiva ordinanza del 21 dicembre
1999 con la quale l'Ufficio centrale ha apportato correzioni materiali al quesito, ha per
oggetto la seguente domanda: "Volete voi che sia abrogata la legge 24 marzo 1958, n. 195,
recante "Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della
magistratura" (così come modificata dall'art. 5 della legge 22 dicembre 1975, n. 695, dagli
artt. 18, 19 e 20 della legge 3 gennaio 1981, n. 1, dall'art. 2 della legge 22 novembre 1985,
n. 655 e dagli artt. 7, 10 e 13 della legge 12 aprile 1990, n. 74) limitatamente alle seguenti
parti:
art. 25, comma 14, lettera b), limitatamente alle parole: "il voto di lista ed", alla parola
"eventuale", nonché alle parole "nell'ambito della lista votata";
art. 27, comma 3, limitatamente alla lettera a): "provvede alla determinazione del quoziente
[base] per l'assegnazione dei seggi dividendo la cifra dei voti validi espressi nel collegio
per il numero dei seggi del collegio stesso;", alla lettera b): "determina il numero dei seggi
spettante a ciascuna lista dividendo la cifra elettorale dei voti da essa conseguiti per il
quoziente base. I seggi non assegnati in tale modo vengono attribuiti in ordine decrescente
alle liste cui corrispondono i maggiori resti e, in caso di parità di resti, a quelle che
abbiano avuto la maggiore cifra elettorale; a parità di cifra elettorale si procede per
sorteggio. Partecipano all'assegnazione dei seggi in ciascun collegio territoriale le liste che
abbiano complessivamente conseguito almeno il 9 per cento dei suffragi rispetto al totale dei
votanti sul piano nazionale;", e lettera c) limitatamente alle seguenti parole: "nell'ambito
dei posti attribuiti ad ogni lista";
art. 39, comma 1, limitatamente alle parole: "nell'ambito della stessa lista"; comma 2:
"Qualora, per difetto di candidati non eletti e forniti dei requisiti di eleggibilità, la
sostituzione di cui al comma 1 non possa aver luogo nell'ambito della stessa lista, essa
avviene mediante il primo dei non eletti nella lista che abbia riportato nel medesimo collegio
la maggiore cifra elettorale o, in caso di parità, che preceda le altre nell'ordine di
presentazione; se in detta lista non vi sono candidati non eletti e forniti dei requisiti di
eleggibilità, si passa alle liste successive."; comma 4, limitatamente alle parole "e 2" ?".
Al fine di identificare l'oggetto del referendum, l'Ufficio centrale ha anche stabilito (in
applicazione dell'art. 32, ultimo comma, della legge n. 352 del 1970, introdotto dall'art. 1
della legge 17 maggio 1995, n. 173) la seguente denominazione: "Elezione del Consiglio
superiore della magistratura: Abrogazione dell'attuale sistema elettorale dei componenti
magistrati con metodo proporzionale per liste contrapposte".
2. Ricevuta comunicazione della ordinanza dell'Ufficio centrale, il Presidente ha convocato
la Corte in camera di consiglio per il 13 gennaio 2000, disponendo (ai sensi dell'art. 33,
secondo comma, della legge n. 352 del 1970) che ne fosse data comunicazione ai promotori della
richiesta di referendum ed al Presidente del Consiglio dei ministri.
3. Avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 33, terzo comma, della legge n. 352 del
1970, i promotori e presentatori del referendum, rappresentati e difesi dall'avv. Beniamino
Caravita di Toritto, hanno depositato, il 7 gennaio 2000, una memoria per illustrare le ragioni
a sostegno dell'ammissibilità del referendum.
L'obiettivo perseguito dal quesito referendario sarebbe quello di superare l'attuale sistema
elettorale, basato su un metodo rigidamente proporzionale per liste contrapposte, a favore di
un sistema più rispondente a criteri maggioritari e in cui valga la scelta della persona da
eleggere piuttosto che la indicazione della lista.
La richiesta di abrogazione investirebbe solo parte delle norme relative all'elezione dei
magistrati componenti del Consiglio superiore della magistratura, in modo da evitare
l'abrogazione dell'intero sistema elettorale (secondo quanto richiesto dalla sentenza n. 28 del
1997), e da non lasciare l'organo privo di normativa elettorale (secondo quanto prescrive la
sentenza n. 29 del 1987).
La richiesta di abrogazione riguarderebbe soltanto la possibilità di esprimere il voto di lista
nei quattro collegi territoriali (previsto dall'art. 25 della legge), e di conseguenza il
riparto proporzionale per liste contrapposte dei diciotto seggi da attribuire ai magistrati che
svolgono funzioni di merito (art. 27) e le modalità di sostituzione in caso di cessazione dalla
carica prima della scadenza del Consiglio (art. 39). La normativa residua sarebbe
immediatamente applicabile e sarebbe coerente con la finalità perseguita dal referendum, di
eliminare gli aspetti di proporzionalità insiti nell'attuale sistema elettorale.
L'elezione dei due magistrati della Corte di cassazione con effettivo esercizio delle funzioni
di legittimità rimarrebbe effettuata, secondo una disciplina non toccata dal quesito
referendario, in un collegio nazionale con il voto ad uno solo dei candidati (art. 25, comma 1,
lettera a, e comma 14, lettera a).
I promotori del referendum sostengono che l'abrogazione proposta risponde a tutti i requisiti
considerati dalla giurisprudenza costituzionale per l'ammissibilità dei referendum. In
particolare al nuovo quesito non potrebbe essere rimproverata la disomogeneità, che aveva
condotto alla dichiarazione di inammissibilità di una precedente richiesta di referendum sulla
elezione del Consiglio superiore della magistratura (sentenza n. 28 del 1997); né quest'organo
verrebbe lasciato privo della propria normativa elettorale, ritenuta sempre necessaria
(sentenza n. 29 del 1987), giacché la disciplina che residuerebbe a seguito dell'abrogazione
consentirebbe in qualsiasi momento di procedere alle elezioni per rinnovare il Consiglio.
Ad avviso dei promotori sono rispettati anche i criteri elaborati dalla Corte nel ritenere
inammissibili quesiti referendari che, attraverso una operazione di ritaglio di parole, si
risolvano nella proposta di introdurre una nuova statuizione del tutto estranea al contesto
normativo (sentenza n. 36 del 1997). Il referendum da essi proposto, difatti, sarebbe
abrogativo parziale: il quesito si limiterebbe a sottrarre dalla legge elettorale un contenuto
normativo in essa esistente, abrogando il voto di lista ed il conseguente riparto proporzionale
tra liste, per permettere l'espansione del criterio residuale e secondario, già esistente nella
stessa legge, dell'individuazione degli eletti sulla base delle preferenze raccolte.
4. In camera di consiglio è stato ascoltato, per i promotori, l'avvocato Beniamino Caravita
di Toritto, il quale ha ribadito ed illustrato gli argomenti a sostegno dell'ammissibilità del
referendum.
Considerato in diritto
1. La richiesta di referendum riguarda la disciplina delle elezioni dei componenti
magistrati del Consiglio superiore della magistratura ed investe alcune parti di articoli della
legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio
superiore della magistratura), quale risulta a seguito di successive modificazioni (art. 5
della legge 22 dicembre 1975, n. 695; artt. 18, 19 e 20 della legge 3 gennaio 1981, n. 1; art.
2 della legge 22 novembre 1985, n. 655; artt. 7, 10 e 13 della legge 12 aprile 1990, n. 74).
L'abrogazione proposta colpisce il voto di lista nei quattro collegi territoriali previsti per
la elezione dei magistrati che esercitano funzioni di merito (art. 25, comma 14, lettera b).
In connessione a ciò si chiede la soppressione del criterio di assegnazione dei seggi alle
liste, in base ai voti riportati da ciascuna di esse, sia per la iniziale proclamazione degli
eletti (art. 27, comma 3, lettere a e b e parte della lettera c), sia per la sostituzione di
quanti cessano dalla carica prima della scadenza del Consiglio (art. 39, comma 2 e parte dei
commi 1 e 4). A seguito dell'abrogazione, i seggi verrebbero attribuiti ai candidati
esclusivamente in base ai voti riportati da ciascuno di essi, secondo il maggior numero di
preferenze.
2. Nel quesito referendario sottoposto all'esame della Corte non ricorre alcuno dei limiti
preclusivi del ricorso al referendum espressamente previsti dall'art. 75 della Costituzione.
Altre richieste di referendum che investivano parte della legge n. 195 del 1958 erano state in
precedenza dichiarate inammissibili, considerando i limiti impliciti al referendum regolato
nell'art. 75 della Costituzione (sentenze n. 29 del 1987 e n. 28 del 1997).
L'attuale quesito referendario non comprende l'intero capo III della legge n. 195 del 1958, che
contiene una pluralità di disposizioni eterogenee, alcune del tutto estranee al sistema
elettorale, altre che rispecchiano enunciazioni normative già espresse dalla Costituzione
(sentenza n. 28 del 1997).
Il quesito riguarda ora solo le norme che prevedono il voto di lista e la conseguente
attribuzione dei seggi in base a quozienti e cifre elettorali riferiti alle liste. Sono chiari,
dunque, il contenuto del quesito e gli effetti della proposta abrogazione. Venendo meno il voto
di lista, nel sistema normativo residua quello attribuito ai candidati, i quali sono proclamati
eletti in base al maggior numero di voti ottenuti da ciascuno di essi: in tal modo, oltretutto,
il Consiglio superiore della magistratura non rimarrebbe privo di norme elettorali che ne
consentano in ogni tempo il rinnovo.
3. Il quesito referendario è diretto ad abrogare parzialmente la disciplina stabilita dal
legislatore, senza sostituire ad essa una disciplina estranea allo stesso contesto normativo:
si tratta di una abrogazione parziale, da ritenere ammissibile, e non della costruzione di una
nuova norma mediante la saldatura di frammenti lessicali eterogenei, che caratterizzerebbe un
inammissibile quesito propositivo (sentenza n. 36 del 1997), il quale non rientra nello schema
dell'art. 75 della Costituzione perché, anziché far deliberare la abrogazione anche solo
parziale di una legge, sarebbe invece destinato a far costruire direttamente dal corpo
elettorale una disciplina assolutamente diversa ed estranea al contesto normativo (sentenza n.
13 del 1999). Nel caso in esame, invece, caducato, per effetto dell'abrogazione referendaria,
il voto di lista, rimarrebbe il criterio dell'attribuzione dei seggi in base ai voti ottenuti
da ciascun candidato.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti
indicate in epigrafe, degli artt. 25, comma 14, 27, comma 3, e 39, commi 1, 2 e 4, della legge
24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore
della magistratura), nel testo risultante dalle successive modificazioni, apportate dall'art. 5
della legge 22 dicembre 1975, n. 695, dagli artt. 18, 19 e 20 della legge 3 gennaio 1981, n. 1,
dall'art. 2 della legge 22 novembre 1985, n. 655 e dagli artt. 7, 10 e 13 della legge 12 aprile
1990, n. 74; richiesta dichiarata legittima, con ordinanza del 7 - 13 dicembre 1999,
dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3
febbraio 2000
F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente
Cesare MIRABELLI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata il 7 febbraio 2000
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
SENTENZA N.33
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI Giudice
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Avv. Massimo VARI "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Prof. Annibale MARINI "
- Dott. Franco BILE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11
marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 23
dicembre 1978, n. 833, recante: "Istituzione del servizio sanitario nazionale", e successive
modificazioni e integrazioni, limitatamente a:
articolo 63, comma 2: "I cittadini che, secondo le leggi vigenti, non sono tenuti
all'iscrizione ad un istituto mutualistico di natura pubblica sono assicurati presso il
servizio sanitario nazionale nel limite delle prestazioni sanitarie erogate agli assicurati del
disciolto INAM."; comma 3, limitatamente alle parole: "di cui al comma precedente", alle
parole: "per l'assistenza di malattia," e alle parole ",valido anche per i familiari che si
trovino nelle condizioni indicate nel precedente comma";
nonché del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, recante: "Riordino della disciplina in
materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421", così come
sostituito dall'articolo 10 del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517, limitatamente a:
articolo 9, comma 1, primo periodo, limitatamente alla parola: "integrativi" e alle parole:
"aggiuntive rispetto a quelle" e, secondo periodo, limitatamente alla parola: "integrativi";
comma 2, limitatamente alla parola: "integrativo"; comma 3, limitatamente alla parola:
"integrativi"; comma 4, limitatamente alla parola: "integrativi"; giudizio iscritto al n. 125
del registro referendum.
Viste l'ordinanza del 7- 13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum
presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta e la successiva
ordinanza di correzione di errore materiale del 21 dicembre 1999;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;
uditi l'avvocato Gianfranco Palermo per i presentatori Daniele Capezzone, Mariano Giustino e
Michele De Lucia e gli avvocati Amos Andreoni e Vittorio Angiolini per la Federazione dei Verdi
ed altri, per il Comitato per le libertà e i diritti sociali e per il Partito della
Rifondazione comunista.
Ritenuto in fatto
1. L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione in
applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, esaminata la richiesta di referendum
popolare, presentata da quattordici elettori, concernente parti di alcuni articoli della legge
23 dicembre 1978, n. 833 e del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, verificata la
regolarità della richiesta, ne ha dichiarato la legittimità con ordinanza del 7-13 dicembre
1999.
La richiesta di referendum, quale risulta anche dalla successiva ordinanza del 21 dicembre
1999 con la quale l'Ufficio centrale ha apportato una correzione materiale al quesito, ha per
oggetto la seguente domanda: "Volete voi che sia abrogata la legge 23 dicembre 1978, n. 833,
recante: "Istituzione del servizio sanitario nazionale", e successive modificazioni e
integrazioni, limitatamente a:
articolo 63, comma 2: "I cittadini che, secondo le leggi vigenti, non sono tenuti
all'iscrizione ad un istituto mutualistico di natura pubblica sono assicurati presso il
servizio sanitario nazionale nel limite delle prestazioni sanitarie erogate agli assicurati del
disciolto INAM."; comma 3, limitatamente alle parole: "di cui al comma precedente", alle
parole: "per l'assistenza di malattia," e alle parole: ",valido anche per i familiari che si
trovino nelle condizioni indicate nel precedente comma";
nonché il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, recante: "Riordino della disciplina in
materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421", così come
sostituito dall'articolo 10 del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517, limitatamente a:
articolo 9, comma 1, primo periodo, limitatamente alla parola: "integrativi" e alle parole:
"aggiuntive rispetto a quelle" e, secondo periodo, limitatamente alla parola: "integrativi";
comma 2, limitatamente alla parola: "integrativo"; comma 3, limitatamente alla parola:
"integrativi"; comma 4, limitatamente alla parola: "integrativi"?".
Al fine di identificare l'oggetto del referendum, l'Ufficio centrale ha anche stabilito (in
applicazione dell'art. 32, ultimo comma, della legge n. 352 del 1970, introdotto dall'art. 1
della legge 17 maggio 1995, n. 173) la seguente denominazione: "Servizio sanitario nazionale:
Abolizione dell'obbligo di iscrizione al Servizio per l'assicurazione obbligatoria contro le
malattie. Libertà di scegliere tra Servizio e assistenza privata".
2. Avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 33, terzo comma, della legge n. 352 del
1970, i signori Daniele Capezzone, Michele De Lucia, Mariano Giustino, presentatori della
richiesta di referendum, rappresentati e difesi dall'avv. Gianfranco Palermo, hanno depositato
l'8 gennaio 2000 una memoria, per illustrare le ragioni a sostegno dell'ammissibilità del
referendum.
I promotori ritengono che il quesito referendario non incida sull'esistenza e
sull'organizzazione del Servizio sanitario nazionale né sulla garanzia costituzionale di tutela
della salute e sulla erogazione delle prestazioni gratuite dovute agli indigenti. Il quesito
non riguarderebbe, inoltre, né il sistema di finanziamento mediante lo strumento fiscale né la
contribuzione solidaristica.
Ad avviso dei promotori, rimarrebbe inalterato l'obbligo di assicurazione contro le malattie
(previsto dall'art. 63, primo comma, della legge n. 833 del 1978, non coinvolto nella richiesta
di abrogazione), mentre verrebbe abrogata la norma che ne attribuisce l'esclusiva al Servizio
sanitario nazionale, mediante l'automatica costituzione per legge di un rapporto assicurativo
con tale Servizio. Questa esclusiva non sarebbe parte inscindibile del diritto alla tutela
della salute, garantito dalla Costituzione (art. 32).
Ad avviso dei promotori, a seguito dell'eventuale abrogazione il principio di obbligatorietà
del rapporto assicurativo troverebbe attuazione in un sistema pluralistico, nel quale, secondo
princìpi di diritto comune, non potrebbero essere imposti contributi assicurativi a favore del
Servizio sanitario nazionale, in mancanza di un rapporto di assicurazione con lo stesso. La
generale previsione di un obbligo contributivo sarebbe da tener ferma nei limiti della funzione
solidaristica, mentre tale obbligo risulterebbe privo di causa per il rapporto assicurativo
facoltativo.
Sarebbe coerente con questa impostazione la richiesta abrogazione anche di alcune parole
dell'art. 9 del decreto legislativo n. 502 del 1992 e del terzo comma dell'art. 63 della legge
n. 833 del 1978.
3. Il 10 gennaio 2000 hanno depositato separati "atti di intervento, memoria e contributo
istruttorio" il Partito della Rifondazione comunista, in persona del segretario generale on.
Fausto Bertinotti; la Federazione dei Verdi, in persona del responsabile nazionale del settore
economia-lavoro sen. Natale Ripamonti, l'Associazione nazionale per la sinistra, in persona del
presidente on. Sergio Garavini, e Alfiero Grandi, nella sua qualità di responsabile lavoro dei
D.S.-Democratici di sinistra; il Comitato per le libertà e i diritti sociali, costituito in
Milano in data 2 dicembre 1999, in persona del presidente Paolo Cagna Ninchi. Tutti sostengono,
preliminarmente, la propria legittimazione ad intervenire nel procedimento ed a presentare una
memoria e un contributo istruttorio, ed offrono argomenti a sostegno della inammissibilità del
referendum.
Il 12 gennaio 2000 anche il Sindacato dirigenti medici e professionisti del Servizio sanitario
nazionale- DIRSAN, in persona del segretario generale Giuseppe Di Pietro, ha depositato una
memoria per esporre argomenti a sostegno dell'inammissibilità del referendum.
4. In camera di consiglio è stato ascoltato, per i promotori, l'avvocato Gianfranco Palermo,
il quale ha ribadito ed illustrato le argomentazioni a sostegno dell'ammissibilità del
referendum.
Sono stati inoltre ascoltati gli avvocati Angiolini e Andreoni per la Federazione dei Verdi e
gli altri che con essa hanno depositato una memoria, per il Partito della Rifondazione
comunista e per il Comitato per le libertà e i diritti sociali.
Considerato in diritto
1. La richiesta di referendum abrogativo, sulla cui ammissibilità la Corte è chiamata a
pronunciarsi a seguito della ordinanza dell'Ufficio centrale per il referendum del 7 - 13
dicembre 1999, che ne ha dichiarato la legittimità, investe:
a) parte della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale):
precisamente l'intero secondo comma dell'art. 63 (il quale dispone che i cittadini che, secondo
le leggi vigenti, non sono tenuti all'iscrizione ad un istituto mutualistico di natura pubblica
sono assicurati presso il Servizio sanitario nazionale nel limite delle prestazioni sanitarie
erogate agli assicurati del disciolto INAM) ed alcune parole del terzo comma dello stesso
articolo;
b) parte del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia
sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421): precisamente alcune
parole o locuzioni dell'art. 9, relativo a forme integrative di assistenza sanitaria.
2. Sciogliendo la riserva formulata nel consentire l'audizione in camera di consiglio, oltre
che dei presentatori del referendum, anche degli altri soggetti interessati che hanno
depositato nei termini una memoria, si deve preliminarmente ritenere che, in questo particolare
procedimento, è in facoltà della Corte compatibilmente con la struttura, la funzione e la
scansione temporale della procedura stabilita dal legislatore raccogliere ed ascoltare le
osservazioni relative alla legittimità costituzionale della richiesta di referendum, anche se
esse provengono da soggetti diversi da coloro ai quali l'art. 33 della legge 25 maggio 1970, n.
352 espressamente attribuisce il diritto di depositare memorie (v. sentenza n. 31 del 2000).
3. Nella parte in cui investe l'art. 63 della legge istitutiva del Servizio sanitario
nazionale, l'attuale quesito referendario ripropone sostanzialmente una analoga richiesta di
referendum in precedenza dichiarata inammissibile (sentenza n. 39 del 1997). Allora si
proponeva la soppressione non dell'intero testo normativo recato dal secondo comma dell'art. 63
della legge n. 833 del 1978, ma solo di una parte di quest'ultima disposizione. La proposta di
soppressione riguardava un insieme di locuzioni, sottratte le quali dall'art. 63, comma 2,
della legge n. 833 del 1978, sarebbe risultato che i cittadini non sono tenuti all'iscrizione
presso il Servizio sanitario nazionale. Al medesimo esito normativo, della non obbligatorietà
della iscrizione al Servizio sanitario nazionale, si perverrebbe ora sopprimendo l'intero
comma. In entrambi i casi l'effetto prefigurato dai promotori è il medesimo: rendere possibile
l'adempimento dell'obbligo di assicurazione contro le malattie, che permarrebbe, mediante la
scelta di una assicurazione privata in alternativa al Servizio sanitario nazionale, cui
verrebbe sottratta la esclusiva titolarità del rapporto assicurativo.
Ma il contenuto obiettivo della proposta abrogazione non raggiunge questo esito, pur indicato
nella denominazione della richiesta di referendum, e si manifesta anzi completamente
infruttuoso.
La principale disposizione investita dalla proposta di abrogazione (art. 63, comma 2, della
legge n. 833 del 1978), nello stabilire che i cittadini, i quali non erano tenuti (quando la
legge è stata emanata) all'iscrizione ad un istituto mutualistico, venivano assicurati presso
il Servizio sanitario nazionale nel limite delle prestazioni sanitarie erogate agli assicurati
del disciolto INAM, stabiliva una regola diretta ad attuare la transizione dal sistema
mutualistico, basato su un regime di assicurazione per categorie, ad un sistema di sicurezza
sociale per tutta la popolazione, attuato mediante il Servizio sanitario nazionale, sin
dall'origine costituito da funzioni, strutture e servizi diretti a garantire a tutti i
cittadini i livelli di protezione stabiliti dal piano sanitario. Tale transizione è ormai
compiuta. Non si è più, dunque, in presenza di un rapporto assicurativo, sia pure obbligatorio,
né di prestazioni sanitarie dovute in ragione, se non in corrispettivo, di un contributo. Il
sistema complessivo delineato dalla legge n. 833 del 1978, sul quale non incide il quesito
referendario, è caratterizzato dalla universalità dell'assistenza, garantita dal Servizio
sanitario nazionale a tutti i cittadini, il cui diritto deriva direttamente dalla legge, mentre
l'iscrizione negli elenchi degli utenti (prevista dall'art. 19 della stessa legge) costituisce
solo un adempimento amministrativo per l'organizzazione delle prestazioni (sentenza n. 39 del
1997).
La non configurabilità, nel contesto del sistema legislativo, di un meccanismo assicurativo, il
quale costituirebbe invece il presupposto dell'iniziativa referendaria, è ancor più accentuata
dalla avvenuta abrogazione dei contributi per il Servizio sanitario nazionale, disposta
contestualmente al finanziamento dello stesso Servizio mediante il gettito fiscale previsto dal
decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, che ha istituito l'imposta regionale sulle
attività produttive (in particolare artt. 36, 38 e 39).
In definitiva l'eventuale soppressione del secondo comma dell'art. 63 della legge n. 833 del
1978 non conseguirebbe l'effetto abrogativo prefigurato, che si vorrebbe far consistere nella
possibilità di uscire dal Servizio sanitario nazionale scegliendo una assicurazione privata.
Mentre la soppressione di alcune parole del terzo comma dello stesso art. 63 prefigurerebbe la
reintroduzione del contributo che, per i cittadini, è stato soppresso.
4. Neppure la complementare richiesta di intervento soppressivo nel testo dell'art. 9 del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 vale a conseguire l'effetto abrogativo
prefigurato.
La eliminazione sia dell'aggettivo che qualifica come "integrativi" i fondi destinati a forme
integrative di assistenza sanitaria, sia della locuzione che qualifica come "aggiuntive" le
prestazioni da essi assicurate, non porta alla soppressione di parole di per sé espressive di
un autonomo e proprio contenuto normativo e non determina la sottrazione di alcun contenuto
normativo dalla disposizione nella quale tali parole sono inserite. Difatti, soppresse quelle
parole, non muterebbe la configurazione della struttura e della funzione dei fondi sanitari
integrativi, quali risultano dal contesto della disciplina normativa complessiva (si vedano,
tra l'altro, l'art. 8-quater, comma 1, del decreto legislativo n. 502 del 1992 e l'art. 122
del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112).
Ciò senza considerare che l'art. 9 del decreto legislativo n. 502 del 1992 è stato
integralmente sostituito dall'art. 9 del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 (Norme per
la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell'articolo 1 della legge 30
novembre 1998, n. 419), che è entrato in vigore, anche se le sue disposizioni, relative ai
fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale, acquistano efficacia e, quindi, divengono
operative con la nuova disciplina del loro trattamento fiscale.
5. In conclusione per un verso la richiesta di referendum non è idonea ad incorporare il
quesito referendario prefigurato dai proponenti e non consente all'elettore una scelta che
consegua gli effetti annunciati, sicché manca la possibilità per gli elettori di esprimere un
voto referendario consapevole dei suoi effetti normativi. Per altro verso, in assenza di un
significativo contenuto abrogativo - non essendo tale la soppressione di disposizioni e di
frammenti di disposizione cui non consegua alcun utile risultato, né tantomeno il risultato
prefigurato dai promotori quale si desume, tra l'altro, dalla denominazione del referendum -
si attribuirebbe al quesito referendario in esame una funzione esclusivamente propositiva,
estranea all'istituto del referendum per la abrogazione totale o parziale di una legge, quale
è previsto dall'art. 75 della Costituzione.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti
indicate in epigrafe, dell'art. 63, commi 2 e 3, della legge 23 dicembre 1978, n. 833
(Istituzione del servizio sanitario nazionale) e dell'art. 9 del decreto legislativo 30
dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1
della legge 23 ottobre 1992, n. 421); richiesta dichiarata legittima, con ordinanza del 7- 13
dicembre 1999, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di
cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3
febbraio 2000
F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente
Cesare MIRABELLI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata il 7 febbraio 2000
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
SENTENZA N.34
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI Giudice
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Prof. Annibale MARINI "
- Dott. Franco BILE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n.
1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione del decreto del Presidente della Repubblica 30
giugno 1965, n. 1124, recante "Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali" e successive modificazioni, limitatamente a:
Articolo 10, comma 8: "Agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l'indennità d'infortunio è
rappresentata dal valore capitale della rendita liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39.";
Articolo 11, comma 1, limitatamente alle parole: "calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39";
Articolo 16;
Articolo 18;
Articolo 28, comma 1, limitatamente alle parole: "con le modalità e nei termini di cui agli articoli 44 - così
come modificato dal successivo punto 2) - e seguenti", e comma 5, limitatamente alle parole: "e versata
con le modalità e nei termini di cui all'art. 44, così come modificato dal successivo punto 2) ";
Articolo 34;
Articolo 35;
Articolo 36;
Articolo 37;
Articolo 38;
Articolo 39;
Articolo 40;
Articolo 41;
Articolo 42;
Articolo 43;
Articolo 44, nell'attuale testo così come risultante ai sensi dell'art. 10, comma 2, del decreto-legge 30
dicembre 1987, n. 536, convertito in legge 29 febbraio 1988, n. 48, nonché come integrato (quanto al
comma 3) dall'art. 59, comma 19, della legge 27 dicembre 1997, n. 449;
Articolo 45, come modificato (quanto al secondo comma) dall'art. 4 decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338,
convertito dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389;
Articolo 46;
Articolo 47;
Articolo 48;
Articolo 49;
Articolo 126;
Articolo 127, come modificato dall'art. 53, comma 7, della legge 27
dicembre 1997, n. 449;
Articolo 128;
Articolo 129;
Articolo 148, comma 2, limitatamente alle parole: "da parte dell'Istituto nazionale per l'assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro";
Articolo 149;
Articolo 152;
Articolo 154;
Articolo 157, comma 7, limitatamente alle parole: "con il concorso dell'Istituto nazionale della previdenza
sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro";
Articolo 177, lettera e), limitatamente alle parole: "all'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro";
nonché del D.lgs. 30 giugno 1994, n. 479, recante "Attuazione della delega conferita dall'art. 1, comma
32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di riordino e soppressione di enti pubblici di
previdenza e assistenza", e successive modificazioni, limitatamente a:
Articolo 8, comma 3: "Al consiglio di amministrazione dell'INAIL, in aggiunta ai compiti di cui all'art. 3, è
attribuita anche la competenza a decidere in via definitiva i ricorsi attribuiti alla commissione di cui all'art.
39, terzo comma, del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965,
n. 1124, che è soppressa"; giudizio iscritto al n. 118 del registro referendum.
Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte
di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta e la successiva ordinanza di correzione di errore
materiale del 21 dicembre 1999;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;
uditi l'avvocato Gianfranco Palermo per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De Lucia
Michele e l'avvocato Amos Andreoni per la Federazione dei Verdi ed altri, Comitato per le libertà e i diritti
sociali e Partito della Rifondazione Comunista.
Ritenuto in fatto
1.-- L'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione, in applicazione della
legge 25 maggio 1970, n. 352, ha esaminato la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione di una
serie di disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, recante "Testo
unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali", nonché dell'art. 8, comma 3, del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 479 (Attuazione
della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di riordino e
soppressione di enti pubblici di previdenza e assistenza).
2.-- L'Ufficio centrale, dopo aver verificato, con esito positivo, la regolarità della richiesta, ha rilevato che
il quesito era stato formulato senza tenere conto delle modifiche apportate dalle successive norme
contenute nel decreto-legge 30 dicembre 1987, n. 536 (convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, della legge 29 febbraio 1988, n. 48), nel decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338 (convertito in
legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 1989, n. 389) e nella legge 27
dicembre 1997, n. 449.
Di conseguenza, detto Ufficio ha provveduto a riformulare il quesito referendario nei seguenti termini:
"Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, recante
"Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali", limitatamente a:
art. 10, comma 8: "Agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l'indennità d'infortunio è
rappresentata dal valore capitale della rendita liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39"; art.
11, comma 1, limitatamente alle parole: "calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39"; art. 16; art. 18;
art. 28, comma 1, limitatamente alle parole: "con le modalità e nei termini di cui agli articoli 44 - così
come modificato dal successivo punto 2) - e seguenti", e comma 5, limitatamente alle parole: "e versata
con le modalità e nei termini di cui all'art. 44, così come modificato dal successivo punto 2)"; art. 34; art.
35; art. 36; art. 37; art. 38; art. 39; art. 40; art. 41; art. 42; art. 43; art. 44, nell'attuale testo così come
risultante ai sensi dell'art. 10, comma 2, del decreto-legge 30.12.1987, n. 536, convertito in legge
29.2.1988, n. 48, nonché come integrato (quanto al comma 3) dall'art. 59. comma 19, della legge 27
dicembre 1997, n. 449; art. 45, come modificato (quanto al secondo comma) dall'art. 4 del decreto legge
9 ottobre 1989, n. 338, convertito dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389; art. 46; art. 47; art. 48; art. 49;
art. 126; art. 127, come modificato dall'art. 53, comma 7, della legge 27 dicembre 1997, n. 449; art. 128;
art. 129; art. 148, comma 2, limitatamente alle parole: "da parte dell'Istituto nazionale per l'assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro; art. 149; art. 152; art. 154; l'art. 157, comma 7, limitatamente alle parole:
"con il concorso dell'Istituto nazionale della previdenza sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro; art. 177, lettera e), limitatamente alle parole: "all'Istituto nazionale per
l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro"; nonché il decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 479,
recante "Attuazione della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in
materia di riordino e soppressione di enti pubblici di previdenza e assistenza", e successive modificazioni
limitatamente a: art. 8, comma 3: "Al consiglio di amministrazione dell'INAIL, in aggiunta ai compiti di cui
all'art. 3, è attribuita anche la competenza a decidere in via definitiva i ricorsi attribuiti alla commissione di
cui all'art. 39, terzo comma, del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30
giugno 1965, n. 1124, che è soppressa"?
Contestualmente, l'Ufficio centrale ha assegnato a detta richiesta il numero 6, denominando il referendum
col titolo "Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali: abrogazione
dell'esclusiva INAIL in materia".
3.-- Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato il giorno 13 gennaio
2000 per l'udienza in camera di consiglio, dandone regolare comunicazione ai sensi dell'art. 33 della legge
25 maggio 1970, n. 352.
4.-- In prossimità dell'udienza il Comitato promotore ha presentato una memoria, sollecitando una
pronuncia di ammissibilità del referendum.
Osserva detto Comitato che il quesito in esame non tocca in alcun modo il principio dell'obbligatorietà
della tutela assicurativa fissato dall'art. 38 della Costituzione, tanto più che il legislatore non ha provveduto
a dare adeguata attuazione a tale norma, non essendo state approntate le strutture indicate nella Carta
fondamentale. L'obiettivo che il referendum intende promuovere è quello dell'eliminazione di un ostacolo
alla libera affermazione del sistema pluralistico nella materia previdenziale, obiettivo che lo stesso
legislatore dimostra di aver perseguito attraverso la privatizzazione degli enti previdenziali disposta dal
decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509; e d'altra parte resterebbe sempre aperta per il legislatore la
possibilità di un intervento di armonizzazione dell'intero settore.
Nessun dubbio poi sussiste, a dire del Comitato, in ordine ai requisiti di chiarezza e di omogeneità del
quesito referendario, perché la molteplicità delle norme delle quali si chiede l'abrogazione è sorretta da
un'unica ratio ispiratrice, ossia quella del monopolio dell'INAIL nella materia dell'assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Una volta liberalizzato l'intero settore, la permanenza di
norme come quelle oggetto del quesito si risolverebbe in un ingiustificato privilegio, idoneo a determinare
disparità di trattamento a seconda dell'ente col quale il lavoratore stipula la polizza assicurativa.
5.-- In prossimità del giorno della deliberazione hanno presentato memorie, in cui sostengono
l'inammissibilità del referendum in esame, la Federazione dei verdi, in persona del sen. Natale Ripamonti,
l'Associazione nazionale per la sinistra, in persona dell'on. Sergio Garavini, Alfiero Grandi, nella qualità di
responsabile lavoro dei Democratici di sinistra, nonché il Partito della rifondazione comunista, in persona
del segretario politico on. Fausto Bertinotti, ed il Comitato per le libertà ed i diritti sociali, in persona del
Presidente Paolo Cagna Ninchi.
Considerato in diritto
1.-- La richiesta di referendum abrogativo sulla quale la Corte è chiamata a pronunciarsi riguarda una
serie di articoli del testo unico 30 giugno 1965, n. 1124, contenente la disciplina dell'assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, nonché l'art. 8, comma 3, del decreto
legislativo 30 giugno 1994, n. 479, strettamente connesso ai precedenti. Scopo del quesito è quello di
eliminare la gestione della predetta assicurazione, in regime di sostanziale esclusiva, da parte dell'INAIL, e
consentire ai datori di lavoro l'accesso, in alternativa, alle assicurazioni private; il tutto presupponendo che
la liberalizzazione del mercato di quel settore sia più idonea a garantire la tutela dei lavoratori infortunati.
In ordine a tale obiettivo, il quesito referendario investe, fra gli altri, l'art. 126 del testo unico, che contiene
l'affidamento in esclusiva all'INAIL della predetta assicurazione (per i lavoratori dell'industria), le
procedure per la diffida al datore di lavoro in caso di inadempimento dell'obbligo di denunzia di inizio
dell'attività, le norme che consentono all'ente previdenziale di avvalersi del sistema previsto per la
riscossione dei tributi (artt. 34 e ss.), nonché il metodo di calcolo dei valori capitali delle rendite ed il
meccanismo di ricorso avverso le deliberazioni dell'INAIL in materia di tariffe (artt. 39 e ss.). La
complessa opera di abrogazione, peraltro, dovrebbe svolgersi nella permanenza del principio, sancito
dall'art. 1 del testo unico, dell'obbligatorietà dell'assicurazione contro gli infortuni e le malattie
professionali, e di quello dell'automaticità delle prestazioni (art. 67).
2.-- Preliminarmente va sciolta la riserva sulla ammissibilità della presentazione e dell'illustrazione orale
delle memorie da parte dei soggetti diversi dai presentatori del referendum. Tali soggetti, benché non
menzionati dall'art. 33 della legge n. 352 del 1970, possono tuttavia, per le ragioni indicate da questa
Corte nella sentenza n. 31 del 2000, presentare memorie con la conseguente facoltà di illustrazione orale
in camera di consiglio.
3 -- La materia oggetto della presente proposta referendaria impone un previo richiamo all'art. 38 della
Costituzione: il secondo comma di tale articolo, infatti, garantisce ai lavoratori il diritto "che siano
preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita" anche in caso di infortunio o di malattia
professionale, mentre dal quarto comma deriva l'obbligo che gli obiettivi di tutela previdenziale indicati
nell'articolo stesso vengano conseguiti mediante l'intervento di "organi ed istituti predisposti o integrati
dallo Stato".
Il carattere pubblicistico dell'assicurazione in esame, ravvisabile già in queste disposizioni, informa anche
le peculiarità dell'attuale assetto normativo, i cui connotati furono già evidenziati nella sentenza n. 160 del
1974 di questa Corte, ove si affermò, tra l'altro, che l'utile di impresa è un "fattore estraneo" alle
assicurazioni sociali, la cui funzione è invece esclusivamente quella di "garantire ai beneficiari la sicurezza
del soddisfacimento delle necessità di vita". Ciò è confermato da una serie di disposizioni, quali quella
dell'obbligo per l'INAIL di pagare le rendite in modo automatico ed indipendentemente dalla regolarità dei
versamenti contributivi; quella della suddivisione dell'onere economico complessivo, che grava in gran
parte su di un'ampia platea di datori di lavoro, e solo in misura minima sui lavoratori; e quella relativa
all'esercizio dell'assicurazione con forme di assistenza e di servizio sociale.
Occorre pertanto ribadire in questa sede quanto la Corte ebbe occasione di affermare nella sentenza ora
citata in accordo con la migliore dottrina, ossia che la norma costituzionale "lascia piena libertà allo Stato
di scegliere i modi, le forme, le strutture organizzative ritenute più idonee ed efficienti allo scopo", sempre
che la scelta degli stessi sia tale da costituire "piena garanzia, per i lavoratori, al conseguimento delle
previdenze alle quali hanno diritto, senza dar vita a squilibri e sperequazioni".
4. - Tanto premesso sul piano costituzionale e legislativo, la Corte, richiamandosi alla propria
giurisprudenza in tema di motivi di inammissibilità del referendum, osserva che nel presente caso lo
strumento referendario appare inidoneo a raggiungere il menzionato fine dei proponenti così come
oggettivato nel quesito, dal momento che il medesimo non è suscettibile di essere conseguito per via di
semplice abrogazione parziale della normativa esistente, ma richiederebbe una complessa operazione
legislativa di trasformazione di tale assetto.
Quest'ultimo, infatti, è essenzialmente informato, come si è detto, ai ben diversi criteri: della gestione
pubblicistica, della copertura generale ed indipendente dall'effettivo pagamento dei contributi, e del
finanziamento mediante somme fissate in modo autoritativo, al fine di assicurare il complessivo equilibrio
del sistema. Basti rilevare, in proposito, che il principio di automaticità delle prestazioni - punto essenziale
dell'attuale disciplina - non è di per sé compatibile con un regime nel quale la copertura assicurativa venga
affidata alla libera contrattazione fra singoli datori di lavoro e compagnie private operanti in regime di
concorrenza, quanto meno senza l'introduzione di ulteriori meccanismi di garanzia, cui solo il legislatore
potrebbe dar vita.
In definitiva, agli elettori verrebbe proposta una falsa alternativa che, impedendo loro di conseguire
realmente l'obiettivo annunciato - di assicurare, cioè, un diverso sistema pluralistico compatibile con i
principi della permanente e generalizzata soddisfazione dei diritti garantiti in modo indefettibile dalla
Costituzione - si riverbera sulla stessa possibilità di esprimere correttamente il proprio voto, traducendosi
quindi nell'inammissibilità del referendum.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti indicate in
epigrafe, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nonché dell'art. 8, comma 3, del
decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 479 (Attuazione della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della
legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di riordino e soppressione di enti pubblici di previdenza e
assistenza), richiesta dichiarata legittima, con ordinanza del 13 dicembre 1999, dall'Ufficio centrale per il
referendum costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 2000
F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente
Fernando SANTOSUOSSO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata il 7 febbraio 2000
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
SENTENZA N.34
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI Giudice
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Prof. Annibale MARINI "
- Dott. Franco BILE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n.
1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione del decreto del Presidente della Repubblica 30
giugno 1965, n. 1124, recante "Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali" e successive modificazioni, limitatamente a:
Articolo 10, comma 8: "Agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l'indennità d'infortunio è
rappresentata dal valore capitale della rendita liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39.";
Articolo 11, comma 1, limitatamente alle parole: "calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39";
Articolo 16;
Articolo 18;
Articolo 28, comma 1, limitatamente alle parole: "con le modalità e nei termini di cui agli articoli 44 - così
come modificato dal successivo punto 2) - e seguenti", e comma 5, limitatamente alle parole: "e versata
con le modalità e nei termini di cui all'art. 44, così come modificato dal successivo punto 2) ";
Articolo 34;
Articolo 35;
Articolo 36;
Articolo 37;
Articolo 38;
Articolo 39;
Articolo 40;
Articolo 41;
Articolo 42;
Articolo 43;
Articolo 44, nell'attuale testo così come risultante ai sensi dell'art. 10, comma 2, del decreto-legge 30
dicembre 1987, n. 536, convertito in legge 29 febbraio 1988, n. 48, nonché come integrato (quanto al
comma 3) dall'art. 59, comma 19, della legge 27 dicembre 1997, n. 449;
Articolo 45, come modificato (quanto al secondo comma) dall'art. 4 decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338,
convertito dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389;
Articolo 46;
Articolo 47;
Articolo 48;
Articolo 49;
Articolo 126;
Articolo 127, come modificato dall'art. 53, comma 7, della legge 27
dicembre 1997, n. 449;
Articolo 128;
Articolo 129;
Articolo 148, comma 2, limitatamente alle parole: "da parte dell'Istituto nazionale per l'assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro";
Articolo 149;
Articolo 152;
Articolo 154;
Articolo 157, comma 7, limitatamente alle parole: "con il concorso dell'Istituto nazionale della previdenza
sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro";
Articolo 177, lettera e), limitatamente alle parole: "all'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro";
nonché del D.lgs. 30 giugno 1994, n. 479, recante "Attuazione della delega conferita dall'art. 1, comma
32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di riordino e soppressione di enti pubblici di
previdenza e assistenza", e successive modificazioni, limitatamente a:
Articolo 8, comma 3: "Al consiglio di amministrazione dell'INAIL, in aggiunta ai compiti di cui all'art. 3, è
attribuita anche la competenza a decidere in via definitiva i ricorsi attribuiti alla commissione di cui all'art.
39, terzo comma, del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965,
n. 1124, che è soppressa"; giudizio iscritto al n. 118 del registro referendum.
Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte
di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta e la successiva ordinanza di correzione di errore
materiale del 21 dicembre 1999;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;
uditi l'avvocato Gianfranco Palermo per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De Lucia
Michele e l'avvocato Amos Andreoni per la Federazione dei Verdi ed altri, Comitato per le libertà e i diritti
sociali e Partito della Rifondazione Comunista.
Ritenuto in fatto
1.-- L'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione, in applicazione della
legge 25 maggio 1970, n. 352, ha esaminato la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione di una
serie di disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, recante "Testo
unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali", nonché dell'art. 8, comma 3, del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 479 (Attuazione
della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di riordino e
soppressione di enti pubblici di previdenza e assistenza).
2.-- L'Ufficio centrale, dopo aver verificato, con esito positivo, la regolarità della richiesta, ha rilevato che
il quesito era stato formulato senza tenere conto delle modifiche apportate dalle successive norme
contenute nel decreto-legge 30 dicembre 1987, n. 536 (convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, della legge 29 febbraio 1988, n. 48), nel decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338 (convertito in
legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 1989, n. 389) e nella legge 27
dicembre 1997, n. 449.
Di conseguenza, detto Ufficio ha provveduto a riformulare il quesito referendario nei seguenti termini:
"Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, recante
"Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali", limitatamente a:
art. 10, comma 8: "Agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l'indennità d'infortunio è
rappresentata dal valore capitale della rendita liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39"; art.
11, comma 1, limitatamente alle parole: "calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39"; art. 16; art. 18;
art. 28, comma 1, limitatamente alle parole: "con le modalità e nei termini di cui agli articoli 44 - così
come modificato dal successivo punto 2) - e seguenti", e comma 5, limitatamente alle parole: "e versata
con le modalità e nei termini di cui all'art. 44, così come modificato dal successivo punto 2)"; art. 34; art.
35; art. 36; art. 37; art. 38; art. 39; art. 40; art. 41; art. 42; art. 43; art. 44, nell'attuale testo così come
risultante ai sensi dell'art. 10, comma 2, del decreto-legge 30.12.1987, n. 536, convertito in legge
29.2.1988, n. 48, nonché come integrato (quanto al comma 3) dall'art. 59. comma 19, della legge 27
dicembre 1997, n. 449; art. 45, come modificato (quanto al secondo comma) dall'art. 4 del decreto legge
9 ottobre 1989, n. 338, convertito dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389; art. 46; art. 47; art. 48; art. 49;
art. 126; art. 127, come modificato dall'art. 53, comma 7, della legge 27 dicembre 1997, n. 449; art. 128;
art. 129; art. 148, comma 2, limitatamente alle parole: "da parte dell'Istituto nazionale per l'assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro; art. 149; art. 152; art. 154; l'art. 157, comma 7, limitatamente alle parole:
"con il concorso dell'Istituto nazionale della previdenza sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro; art. 177, lettera e), limitatamente alle parole: "all'Istituto nazionale per
l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro"; nonché il decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 479,
recante "Attuazione della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in
materia di riordino e soppressione di enti pubblici di previdenza e assistenza", e successive modificazioni
limitatamente a: art. 8, comma 3: "Al consiglio di amministrazione dell'INAIL, in aggiunta ai compiti di cui
all'art. 3, è attribuita anche la competenza a decidere in via definitiva i ricorsi attribuiti alla commissione di
cui all'art. 39, terzo comma, del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30
giugno 1965, n. 1124, che è soppressa"?
Contestualmente, l'Ufficio centrale ha assegnato a detta richiesta il numero 6, denominando il referendum
col titolo "Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali: abrogazione
dell'esclusiva INAIL in materia".
3.-- Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato il giorno 13 gennaio
2000 per l'udienza in camera di consiglio, dandone regolare comunicazione ai sensi dell'art. 33 della legge
25 maggio 1970, n. 352.
4.-- In prossimità dell'udienza il Comitato promotore ha presentato una memoria, sollecitando una
pronuncia di ammissibilità del referendum.
Osserva detto Comitato che il quesito in esame non tocca in alcun modo il principio dell'obbligatorietà
della tutela assicurativa fissato dall'art. 38 della Costituzione, tanto più che il legislatore non ha provveduto
a dare adeguata attuazione a tale norma, non essendo state approntate le strutture indicate nella Carta
fondamentale. L'obiettivo che il referendum intende promuovere è quello dell'eliminazione di un ostacolo
alla libera affermazione del sistema pluralistico nella materia previdenziale, obiettivo che lo stesso
legislatore dimostra di aver perseguito attraverso la privatizzazione degli enti previdenziali disposta dal
decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509; e d'altra parte resterebbe sempre aperta per il legislatore la
possibilità di un intervento di armonizzazione dell'intero settore.
Nessun dubbio poi sussiste, a dire del Comitato, in ordine ai requisiti di chiarezza e di omogeneità del
quesito referendario, perché la molteplicità delle norme delle quali si chiede l'abrogazione è sorretta da
un'unica ratio ispiratrice, ossia quella del monopolio dell'INAIL nella materia dell'assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Una volta liberalizzato l'intero settore, la permanenza di
norme come quelle oggetto del quesito si risolverebbe in un ingiustificato privilegio, idoneo a determinare
disparità di trattamento a seconda dell'ente col quale il lavoratore stipula la polizza assicurativa.
5.-- In prossimità del giorno della deliberazione hanno presentato memorie, in cui sostengono
l'inammissibilità del referendum in esame, la Federazione dei verdi, in persona del sen. Natale Ripamonti,
l'Associazione nazionale per la sinistra, in persona dell'on. Sergio Garavini, Alfiero Grandi, nella qualità di
responsabile lavoro dei Democratici di sinistra, nonché il Partito della rifondazione comunista, in persona
del segretario politico on. Fausto Bertinotti, ed il Comitato per le libertà ed i diritti sociali, in persona del
Presidente Paolo Cagna Ninchi.
Considerato in diritto
1.-- La richiesta di referendum abrogativo sulla quale la Corte è chiamata a pronunciarsi riguarda una
serie di articoli del testo unico 30 giugno 1965, n. 1124, contenente la disciplina dell'assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, nonché l'art. 8, comma 3, del decreto
legislativo 30 giugno 1994, n. 479, strettamente connesso ai precedenti. Scopo del quesito è quello di
eliminare la gestione della predetta assicurazione, in regime di sostanziale esclusiva, da parte dell'INAIL, e
consentire ai datori di lavoro l'accesso, in alternativa, alle assicurazioni private; il tutto presupponendo che
la liberalizzazione del mercato di quel settore sia più idonea a garantire la tutela dei lavoratori infortunati.
In ordine a tale obiettivo, il quesito referendario investe, fra gli altri, l'art. 126 del testo unico, che contiene
l'affidamento in esclusiva all'INAIL della predetta assicurazione (per i lavoratori dell'industria), le
procedure per la diffida al datore di lavoro in caso di inadempimento dell'obbligo di denunzia di inizio
dell'attività, le norme che consentono all'ente previdenziale di avvalersi del sistema previsto per la
riscossione dei tributi (artt. 34 e ss.), nonché il metodo di calcolo dei valori capitali delle rendite ed il
meccanismo di ricorso avverso le deliberazioni dell'INAIL in materia di tariffe (artt. 39 e ss.). La
complessa opera di abrogazione, peraltro, dovrebbe svolgersi nella permanenza del principio, sancito
dall'art. 1 del testo unico, dell'obbligatorietà dell'assicurazione contro gli infortuni e le malattie
professionali, e di quello dell'automaticità delle prestazioni (art. 67).
2.-- Preliminarmente va sciolta la riserva sulla ammissibilità della presentazione e dell'illustrazione orale
delle memorie da parte dei soggetti diversi dai presentatori del referendum. Tali soggetti, benché non
menzionati dall'art. 33 della legge n. 352 del 1970, possono tuttavia, per le ragioni indicate da questa
Corte nella sentenza n. 31 del 2000, presentare memorie con la conseguente facoltà di illustrazione orale
in camera di consiglio.
3 -- La materia oggetto della presente proposta referendaria impone un previo richiamo all'art. 38 della
Costituzione: il secondo comma di tale articolo, infatti, garantisce ai lavoratori il diritto "che siano
preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita" anche in caso di infortunio o di malattia
professionale, mentre dal quarto comma deriva l'obbligo che gli obiettivi di tutela previdenziale indicati
nell'articolo stesso vengano conseguiti mediante l'intervento di "organi ed istituti predisposti o integrati
dallo Stato".
Il carattere pubblicistico dell'assicurazione in esame, ravvisabile già in queste disposizioni, informa anche
le peculiarità dell'attuale assetto normativo, i cui connotati furono già evidenziati nella sentenza n. 160 del
1974 di questa Corte, ove si affermò, tra l'altro, che l'utile di impresa è un "fattore estraneo" alle
assicurazioni sociali, la cui funzione è invece esclusivamente quella di "garantire ai beneficiari la sicurezza
del soddisfacimento delle necessità di vita". Ciò è confermato da una serie di disposizioni, quali quella
dell'obbligo per l'INAIL di pagare le rendite in modo automatico ed indipendentemente dalla regolarità dei
versamenti contributivi; quella della suddivisione dell'onere economico complessivo, che grava in gran
parte su di un'ampia platea di datori di lavoro, e solo in misura minima sui lavoratori; e quella relativa
all'esercizio dell'assicurazione con forme di assistenza e di servizio sociale.
Occorre pertanto ribadire in questa sede quanto la Corte ebbe occasione di affermare nella sentenza ora
citata in accordo con la migliore dottrina, ossia che la norma costituzionale "lascia piena libertà allo Stato
di scegliere i modi, le forme, le strutture organizzative ritenute più idonee ed efficienti allo scopo", sempre
che la scelta degli stessi sia tale da costituire "piena garanzia, per i lavoratori, al conseguimento delle
previdenze alle quali hanno diritto, senza dar vita a squilibri e sperequazioni".
4. - Tanto premesso sul piano costituzionale e legislativo, la Corte, richiamandosi alla propria
giurisprudenza in tema di motivi di inammissibilità del referendum, osserva che nel presente caso lo
strumento referendario appare inidoneo a raggiungere il menzionato fine dei proponenti così come
oggettivato nel quesito, dal momento che il medesimo non è suscettibile di essere conseguito per via di
semplice abrogazione parziale della normativa esistente, ma richiederebbe una complessa operazione
legislativa di trasformazione di tale assetto.
Quest'ultimo, infatti, è essenzialmente informato, come si è detto, ai ben diversi criteri: della gestione
pubblicistica, della copertura generale ed indipendente dall'effettivo pagamento dei contributi, e del
finanziamento mediante somme fissate in modo autoritativo, al fine di assicurare il complessivo equilibrio
del sistema. Basti rilevare, in proposito, che il principio di automaticità delle prestazioni - punto essenziale
dell'attuale disciplina - non è di per sé compatibile con un regime nel quale la copertura assicurativa venga
affidata alla libera contrattazione fra singoli datori di lavoro e compagnie private operanti in regime di
concorrenza, quanto meno senza l'introduzione di ulteriori meccanismi di garanzia, cui solo il legislatore
potrebbe dar vita.
In definitiva, agli elettori verrebbe proposta una falsa alternativa che, impedendo loro di conseguire
realmente l'obiettivo annunciato - di assicurare, cioè, un diverso sistema pluralistico compatibile con i
principi della permanente e generalizzata soddisfazione dei diritti garantiti in modo indefettibile dalla
Costituzione - si riverbera sulla stessa possibilità di esprimere correttamente il proprio voto, traducendosi
quindi nell'inammissibilità del referendum.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti indicate in
epigrafe, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nonché dell'art. 8, comma 3, del
decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 479 (Attuazione della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della
legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di riordino e soppressione di enti pubblici di previdenza e
assistenza), richiesta dichiarata legittima, con ordinanza del 13 dicembre 1999, dall'Ufficio centrale per il
referendum costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 2000
F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente
Fernando SANTOSUOSSO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata il 7 febbraio 2000
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
SENTENZA N.35
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI Giudice
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Avv. Massimo VARI "
- Dott. Cesare RUPERTO "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Prof. Annibale MARINI "
- Dott. Franco BILE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n.
1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 600, recante "Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi"
e successive modificazioni, limitatamente a:
- articolo 23;
- articolo 25, comma 1: "I soggetti indicati nel primo comma dell'art. 23, che corrispondono a soggetti
residenti nel territorio dello Stato compensi comunque denominati, anche sotto forma di partecipazione
agli utili, per prestazioni di lavoro autonomo, ancorché non esercitate abitualmente ovvero siano rese a
terzi o nell'interesse di terzi, devono operare all'atto del pagamento una ritenuta del 20 per cento a titolo di
acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai percipienti, con l'obbligo di rivalsa. La
predetta ritenuta deve essere operata dal condominio quale sostituto d'imposta anche sui compensi
percepiti dall'amministratore di condominio. La stessa ritenuta deve essere operata sulla parte imponibile
delle somme di cui alla lettera b) e sull'intero ammontare delle somme di cui alle lettere a) e c) del terzo
comma dell'art. 49 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597. La ritenuta è elevata al 20 per cento per le
indennità di cui alle lettere f) e g) dell'art. 12 del decreto stesso. La ritenuta non deve essere operata per le
prestazioni effettuate nell'esercizio di imprese";
- nonché la legge 27 dicembre 1997, n. 449, recante "Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica"
e successive modificazioni, limitatamente all'articolo 21, comma 15, in ordine alle parole: "Le disposizioni
in materia di ritenute alla fonte previste nel titolo III del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, nonché," giudizio iscritto al n. 133 del registro
referendum.
Vista l'ordinanza del 7 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di
cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;
udito nella camera di consiglio del 18 gennaio 2000 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;
udito l'avvocato Giulio Tremonti per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De Lucia
Michele.
Ritenuto in fatto
1.- L'Ufficio centrale per il referendum istituito presso la Corte di cassazione, in applicazione della legge
25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni, ha esaminato la richiesta di referendum popolare sul
seguente quesito: Volete voi che sia abrogato il decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre
1973, n. 600 recante "Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi" e
successive modificazioni, limitatamente all'art. 23 e all'art. 25, primo comma (I soggetti indicati nel primo
comma dell'art. 23, che corrispondono a soggetti residenti nel territorio dello Stato compensi comunque
denominati, anche sotto forma di partecipazione agli utili, per prestazioni di lavoro autonomo, ancorché
non esercitate abitualmente ovvero siano rese a terzi o nell'interesse di terzi, devono operare all'atto del
pagamento una ritenuta del venti per cento a titolo di acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche
dovuta dai percepienti, con l'obbligo di rivalsa. La stessa ritenuta deve essere operata dal condominio
quale sostituto di imposta anche sui compensi percepiti dall'amministratore di condominio. La stessa
ritenuta deve essere operata sulla parte imponibile delle somme di cui alla lettera b) e sull'intero
ammontare delle somme di cui alle lettere a) e c) del terzo comma dell'art. 49 del d.P.R. 29 settembre
1973, n. 597. La ritenuta è elevata al venti per cento per le indennità di cui alle lettere f) e g) dell'art. 12
del decreto stesso. La ritenuta non deve essere operata per le prestazioni effettuate nell'esercizio di
imprese)?; nonché la legge 27 dicembre 1997, n.449, recante "Misure per la stabilizzazione della finanza
pubblica" e successive modificazioni, limitatamente all'art. 21, comma 15, in ordine alle parole:"(Le
disposizioni in materia di ritenute alla fonte previste nel titolo III del decreto del Presidente della
Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, nonché)?"
2.- L'Ufficio centrale, verificata con esito positivo la regolarità della richiesta e la persistente vigenza
dell'atto normativo cui si riferisce, l'ha dichiarata legittima.
Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato il giorno 13 gennaio 2000
per la conseguente deliberazione, dandone regolare comunicazione. Con successivo decreto la data di
deliberazione è stata rinviata al 18 gennaio.
3.- In prossimità della camera di consiglio hanno presentato memoria i promotori del referendum,
insistendo per la declaratoria di ammissibilità della richiesta.
Premette la difesa che la ratio dell'art. 75, secondo comma, della Costituzione non sarebbe quella di
introdurre un limite assoluto alla sovranità popolare in materia tributaria, ma solo quella di contrastare
possibili forme di demagogia fiscale che potrebbero privare lo Stato dei mezzi finanziari per effetto del
referendum abrogativo. Da ciò discenderebbe che non tutte le leggi che disciplinano il rapporto
Fisco-contribuente rientrano nel campo d'applicazione dell'art. 75 della Costituzione, ma solo quelle di
imposizione del tributo, la cui rimozione unilaterale altererebbe la struttura del bilancio; con la
conseguenza che le leggi strumentali o complementari che disciplinano solo una modalità di riscossione del
tributo, quali sono quelle oggetto della presente richiesta referendaria, andrebbero ritenute estranee al
divieto di cui alla norma citata.
4.- Nella camera di consiglio del 18 gennaio 2000 è stato udito, per i promotori del referendum,
l'avvocato Giulio Tremonti.
Considerato in diritto
1.- La richiesta di referendum abrogativo, sulla cui ammissibilità la Corte è chiamata a pronunciarsi a
seguito della ordinanza dell'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione, investe il
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 recante "Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte
sui redditi" e successive modificazioni, limitatamente agli artt. 23 e 25, primo comma, nonché l'art. 2l,
comma 15, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 recante "Misure per la stabilizzazione della finanza
pubblica".
Le prime di tali disposizioni prevedono che i soggetti indicati nel primo comma dell'art 23, che
corrispondono a soggetti residenti nel territorio dello Stato compensi comunque denominati, per
prestazioni sia di lavoro dipendente sia di lavoro autonomo, ancorché non esercitate abitualmente, ovvero
rese a terzi o nell'interesse degli stessi (art 25, primo comma), devono operare all'atto del pagamento una
ritenuta a titolo di acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai percipienti.
L'art. 21, comma 15, della legge n. 449 del 1997 estende la portata delle precedenti disposizioni al caso in
cui il pagamento sia eseguito mediante pignoramento anche presso terzi, in base ad ordinanza di
assegnazione, qualora il credito sia riferito a somme per le quali, ai sensi delle predette disposizioni, deve
essere operata una ritenuta alla fonte.
2.- La richiesta referendaria sottoposta al presente giudizio non è ammissibile.
Deve essere anzitutto osservato che le sentenze di questa Corte n. 37 del 1997 e n. 11 del 1995, hanno
già dichiarato inammissibili analoghe richieste referendarie.
Nel confermare le motivazioni di quelle decisioni, ritiene la Corte che con la dizione "leggi tributarie"
contenuta nell'art. 75, secondo comma, della Costituzione, il legislatore costituente abbia fatto riferimento
a tutte quelle disposizioni che disciplinano il rapporto tributario nel suo insieme. In essa rientrano,
pertanto, sia le norme che riguardano il momento costitutivo dell'imposizione sia quelle che disciplinano gli
aspetti dinamici del rapporto, e cioè il suo svolgimento nell'accertamento e nell'applicazione del tributo con
la riscossione dello stesso. Orbene, le disposizioni oggetto della presente richiesta referendaria attengono e
al momento accertativo ed a quello attuativo della fattispecie impositrice.
Giova ribadire in proposito che gli strumenti di attuazione della pretesa fiscale possono ritenersi parte
integrante della normativa tributaria sol che si consideri che la mancanza di una disciplina idonea a
garantire l'applicazione del prelievo renderebbe inefficace il mero apprestamento della norma sostanziale
del tributo. Per quanto riguarda il sistema del prelievo alla fonte, la sussistenza di uno stretto legame tra
tale disciplina e la concreta realizzazione del tributo non può essere messa in dubbio, in quanto la
effettività dell'imposizione sul reddito dipende in modo rilevante dai particolari meccanismi previsti, non
tanto per la conoscibilità dei soggetti percettori di reddito, quanto per la riscossione materiale dei tributi.
Va pertanto confermato che il sistema della ritenuta alla fonte, come ritenuto più volte da questa Corte
(sentenze nn. 364 del 1987, 128 del 1986 e 92 del 1972), risponde vuoi all'interesse fiscale della
immediata percezione delle somme, vuoi a criteri di tecnica tributaria che ne agevolano il prelievo; e
nessun pregio può avere, al riguardo, il fatto che possano utilizzarsi anche altri strumenti di accertamento e
documentazione diversi da quello scelto dal legislatore e che si intende abrogare con la consultazione
popolare.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti indicate in
epigrafe, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle
imposte sui redditi) e successive modificazioni, nonché della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per
la stabilizzazione della finanza pubblica) richiesta dichiarata legittima, con ordinanza in data 7 dicembre
1999, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 2000
F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente
Fernando SANTOSUOSSO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata il 7 febbraio 2000
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
SENTENZA N.36
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI Giudice
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Avv. Massimo VARI "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Prof. Annibale MARINI "
- Dott. Franco BILE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11
marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 20
maggio 1970, n. 300, recante "Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della
libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento" e
successive modificazioni, limitatamente all'art. 18, come modificato dall'art. 1 della legge 11
maggio 1990, n. 108, giudizio iscritto al n. 128 del registro referendum.
Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum
presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Massimo Vari;
uditi gli avvocati Edoardo Ghera e Antonio Vallebona per i presentatori Daniele Capezzone,
Mariano Giustino e Michele De Lucia; l'avvocato Mario Salerni per l'associazione Progetto
Diritti o.n.l.u.s., per la Federazione delle Rappresentanze Sindacali di Base e per il Centro
di ricerca ed elaborazione per la democrazia; gli avvocati Piergiovanni Alleva e Vittorio
Angiolini per la Federazione dei Verdi ed altri, per il Comitato per le libertà e i diritti
sociali e per il Partito della Rifondazione Comunista.
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza emessa il 7 dicembre 1999, l'Ufficio centrale per il referendum, costituito
presso la Corte di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, ha preso in
esame la richiesta di referendum per sottoporre a votazione popolare il seguente quesito:
"Volete voi che sia abrogata la legge 20 maggio 1970, n. 300, recante "Norme sulla tutela della
libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi
di lavoro e norme sul collocamento" e successive modificazioni, limitatamente all'art. 18?".
2. Detto Ufficio, nel dichiarare che la richiesta di referendum di iniziativa popolare è
conforme alla legge (ai sensi dell'art. 32 della menzionata legge n. 352 del 1970), ha disposto
l'integrazione del testo del quesito con il richiamo alle modificazioni apportate dall'art. 1
della legge 11 maggio 1990, n. 108, e lo ha così riformulato:
"Volete voi che sia abrogata la legge 20 maggio 1970, n. 300, recante "Norme sulla tutela della
libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi
di lavoro e norme sul collocamento" e successive modificazioni, limitatamente all'art. 18, come
modificato dall'art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108?".
Al fine di identificare l'oggetto del referendum, l'Ufficio medesimo ha, inoltre, stabilito
(in applicazione dell'art. 32, ultimo comma, della già menzionata legge n. 352 del 1970,
introdotto dall'art. 1 della legge 17 maggio 1995, n. 173) che la denominazione del referendum
sia: "Licenziamenti: Abrogazione delle norme sulla reintegrazione del posto di lavoro".
3. Il Presidente di questa Corte, ricevuta comunicazione della sopra menzionata ordinanza
del 7 dicembre 1999, ha fissato, per le conseguenti deliberazioni, l'adunanza in camera di
consiglio per il 13 gennaio 2000, disponendone comunicazione ai presentatori della richiesta di
referendum ed al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo comma,
della legge 25 maggio 1970, n. 352.
4. Nell'imminenza della camera di consiglio, Daniele Capezzone, Mariano Giustino e Michele De
Lucia, presentatori della richiesta di referendum abrogativo di cui in epigrafe, hanno
depositato, con il patrocinio degli avvocati Edoardo Ghera, Sergio Magrini e Antonio Vallebona,
una memoria con la quale chiedono che il referendum sia dichiarato ammissibile.
5. L'associazione Progetto Diritti o.n.l.u.s., la Federazione delle rappresentanze sindacali
di base e il Centro di ricerca ed elaborazione per la democrazia hanno congiuntamente
depositato, con il patrocinio dell'avvocato Mario Salerni, un "atto di intervento e memoria",
al fine di sentire dichiarare inammissibile il quesito.
6. A loro volta, il Comitato per la libertà e i diritti sociali, il Partito della
Rifondazione Comunista, nonché la Federazione dei Verdi, congiuntamente con l'Associazione
nazionale per la sinistra e con "Alfiero Grandi, nella sua qualità di responsabile del lavoro
dei D.S. - Democratici di Sinistra", hanno depositato, con il patrocinio degli avvocati
Piergiovanni Alleva, Amos Andreoni, Vittorio Angiolini e Pier Luigi Panici, tre distinti "atti
di intervento, memoria e contributo", nei quali vengono svolte identiche considerazioni al fine
di sentire dichiarare inammissibile il quesito referendario.
7. Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000, l'avv. Antonio Vallebona, per i
presentatori, ha eccepito preliminarmente che gli altri soggetti che hanno depositato memorie
non hanno in realtà titolo per partecipare al presente giudizio. Tesi, questa, contrastata
dall'avvocato Vittorio Angiolini.
Nel merito, l'avvocato Vallebona, insieme all'avvocato Edoardo Ghera, ha illustrato le
argomentazioni a sostegno dell'ammissibilità del referendum prospettate nella memoria.
Essendosi la Corte riservata di decidere in sentenza sull'ammissibilità delle memorie e
dell'audizione dei soggetti diversi dai presentatori, è stato, altresì, sentito per il Comitato
per la libertà e i diritti sociali, il Partito della Rifondazione comunista, la Federazione dei
Verdi, l'Associazione nazionale per la sinistra e "Alfiero Grandi nella sua qualità di
responsabile del lavoro dei D.S. - Democratici di sinistra", l'avvocato Piergiovanni Alleva, il
quale ha illustrato le già dedotte ragioni di inammissibilità della richiesta referendaria. A
tali argomentazioni si è associato l'avvocato Mario Salerni, per l'associazione Progetto
Diritti o.n.l.u.s., la Federazione delle rappresentanze sindacali di base, il Centro di ricerca
ed elaborazione per la democrazia.
Considerato in diritto
1. Va preliminarmente dichiarata, per le ragioni esposte nella sentenza n. 31 del 2000, la
ricevibilità delle memorie depositate dai soggetti diversi dai presentatori della richiesta di
referendum, con la conseguente illustrazione orale.
2. La richiesta di referendum abrogativo, sulla cui ammissibilità la Corte è chiamata a
pronunziarsi, investe l'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della
libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento), nel testo vigente, quale risulta dalle modifiche di cui all'art. 1 della legge
11 maggio 1990, n. 108 (Disciplina dei licenziamenti individuali).
La disposizione oggetto del quesito prevede la c.d. tutela reale contro il licenziamento,
tutela il cui tratto fondamentale è rappresentato dal potere del giudice, nei casi di recesso
inefficace, nullo ovvero ingiustificato, di ordinare al datore di lavoro di reintegrare il
dipendente nel posto di lavoro e di corrispondergli una indennità dal giorno del licenziamento
a quello dell'effettiva reintegrazione.
3. E' opportuno rammentare, brevemente, in prospettiva diacronica, come l'originaria
normativa del codice civile del 1942 contemplasse la piena libertà di recesso (c.d. recesso ad
nutum) del datore di lavoro nel rapporto a tempo indeterminato, con il limite dell'obbligo di
preavviso, ovvero della corresponsione di un'indennità sostitutiva (art. 2118 cod. civ.);
obbligo che, peraltro, veniva meno in presenza di una giusta causa di risoluzione del rapporto
lavorativo, tale da non consentirne la prosecuzione, anche provvisoria (art. 2119 cod. civ.).
Detta disciplina sopravvisse, nella sua generale portata, sino alla legge 15 luglio 1966, n.
604, con la quale fu introdotto il diverso principio di necessaria giustificazione del
licenziamento (art. 1), richiedendosi a tal fine che l'atto di recesso del datore di lavoro
fosse, comunque, sorretto da una "giusta causa" (art. 2119 cod. civ.) ovvero da un
"giustificato motivo" (art. 3 della legge n. 604 del 1966), alla cui insussistenza conseguiva
l'obbligo del medesimo di riassumere il dipendente o, alternativamente, di versagli una
indennità risarcitoria, secondo quanto stabilito dall'art. 8 della stessa legge n. 604. A tale
regime, detto di tutela obbligatoria, dal quale erano esclusi, in linea generale (e salvo
ulteriori specifiche esclusioni), i datori di lavoro che occupassero sino a 35 dipendenti (art.
11), ha fatto poi seguito la legge 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. statuto dei lavoratori), che,
con l'art. 18, ha introdotto, per i casi di accertata inefficacia, nullità o mancanza di
giustificazione del licenziamento, il regime di c.d. tutela reale del posto di lavoro, sia pure
limitandone l'applicazione (art. 35 della stessa legge n. 300) alle imprese, industriali e
commerciali, che occupassero più di 15 dipendenti nell'ambito dell'unità produttiva ovvero
nell'ambito dello stesso comune, nonché alle imprese agricole che occupassero, in analoghe
situazioni, più di 5 dipendenti. La stessa norma ha, inoltre, previsto (dal quarto al settimo
comma) una speciale procedura atta a garantire, nello stesso ambito di materia, la sollecita
risoluzione delle controversie nelle quali è parte il lavoratore sindacalista.
La c.d. tutela reale, nei termini in cui risulta attualmente disciplinata dopo l'intervento in
materia della legge 11 maggio 1990, n. 108 (art. 1), comporta, oltre all'obbligo di
reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, quello del risarcimento del danno dal
medesimo subito, in ragione di una indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal
giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegrazione (e in ogni caso, non inferiore a
5 mensilità della retribuzione globale di fatto), cui si aggiunge il versamento, per lo stesso
periodo, dei contributi assistenziali e previdenziali. Spetta, inoltre, al lavoratore la
facoltà di richiedere, in luogo della reintegrazione nel posto di lavoro, il pagamento di una
indennità sostitutiva pari a 15 mensilità della retribuzione globale di fatto.
Dai sopra menzionati interventi normativi è derivato un quadro di disciplina che, secondo le
indicazioni della medesima legge n. 108 del 1990, comporta:
un'area di applicazione dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970 che riguarda tutti i datori
di lavoro, imprenditori o non, nell'ambito dei previsti limiti dimensionali, ma con estensione
dell'area stessa all'ulteriore ipotesi di datori di lavoro che occupino più di 60 dipendenti
(art. 1);
un'area di applicazione della legge n. 604 del 1966, estesa ai datori di lavoro,
imprenditori non agricoli e non imprenditori, che occupino sino a 15 dipendenti (sino a 5
dipendenti nei confronti degli imprenditori agricoli), ovvero che occupino sino a 60 dipendenti
qualora non sia applicabile l'art. 18 della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla stessa
legge n. 108 del 1990 (art. 2, comma 1);
l'applicazione della tutela reale, ex art. 18, nel caso di licenziamento discriminatorio,
quale che sia il numero dei dipendenti occupati, con estensione di siffatta tutela anche ai
dirigenti (art. 3);
la restrizione (art. 4), ferma restando la tutela di cui al precedente art. 3 nell'ipotesi
di licenziamento discriminatorio, dell'area di libera recedibilità a talune circoscritte
ipotesi, specificamente individuate ovvero chiaramente desumibili in via di interpretazione:
lavoro domestico (legge n. 339 del 1958); lavoratori ultrasessantenni in possesso dei requisiti
pensionistici (salvo che abbiano optato per la prosecuzione del rapporto lavorativo); dirigenti
(eccezione ricavabile dal fatto che l'art. 10 della legge n. 604 del 1966 non è stato oggetto
di modifica);
l'esclusione (art. 4), infine, della tutela reale nei confronti delle c.d. "organizzazioni
di tendenza" che non abbiano fini di lucro (le quali, secondo la consolidata giurisprudenza,
sono soggette al regime di tutela obbligatoria).
Per una più esauriente illustrazione delle disposizioni vigenti in materia, non va ignorata,
infine, la legge 9 febbraio 1999, n. 30, recante "Ratifica ed esecuzione della Carta sociale
europea, riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996". Detta Carta, entrata in
vigore il 1 settembre 1999, contiene disposizioni volte a circondare di specifiche garanzie la
posizione dei prestatori di lavoro contro i licenziamenti, prevedendo, in particolare (art.
24), l'impegno delle parti contraenti a riconoscere il diritto dei lavoratori a non essere
licenziati senza un valido motivo; il diritto dei lavoratori licenziati senza valido motivo "ad
un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione"; il diritto dei lavoratori stessi a
ricorrere davanti ad un organo imparziale.
3. Tanto premesso sulla normativa vigente in tema di licenziamenti individuali, la Corte
rileva che il quesito risulta formulato in modo univoco e chiaro, investendo una disciplina
unitaria, contenuta in un solo articolo di legge, in riferimento ad un tipo specifico di tutela
avverso il licenziamento individuale. Il tutto in vista di effetti meramente abrogativi e non
manipolativi.
4. Non ricorre, inoltre, alcuna delle ipotesi ostative espressamente elencate all'art. 75,
secondo comma, della Costituzione.
5. La richiesta non trova ostacolo nemmeno nei limiti impliciti al referendum che la
giurisprudenza di questa Corte ha individuato nella inammissibilità di quesiti che investono
leggi c.d. "a contenuto costituzionalmente vincolato", in quanto vertono su disposizioni la cui
abrogazione si traduce in una lesione di principi costituzionali. Ipotesi, questa, nella quale
la Corte, con successive puntualizzazioni, è venuta ad annoverare anche le leggi ordinarie la
cui eliminazione determinerebbe la soppressione di ogni tutela per situazioni che tale tutela
esigono secondo Costituzione.
Sotto questo profilo, va osservato che la disposizione oggetto di quesito è indubbiamente
manifestazione di quell'indirizzo di progressiva garanzia del diritto al lavoro previsto dagli
artt. 4 e 35 della Costituzione, che ha portato, nel tempo, ad introdurre temperamenti al
potere di recesso del datore di lavoro, secondo garanzie affidate alla discrezionalità del
legislatore, non solo quanto alla scelta dei tempi, ma anche dei modi d'attuazione (sentenze n.
194 del 1970, n. 129 del 1976 e n. 189 del 1980).
In riferimento a tale discrezionalità, è da escludere, tuttavia, che la disposizione che si
intende sottoporre a consultazione, per quanto espressiva di esigenze ricollegabili ai
menzionati principi costituzionali, concreti l'unico possibile paradigma attuativo dei principi
medesimi.
Pertanto, l'eventuale abrogazione della c.d. tutela reale avrebbe il solo effetto di espungere
uno dei modi per realizzare la garanzia del diritto al lavoro, che risulta ricondotta, nelle
discipline che attualmente vigono sia per la tutela reale che per quella obbligatoria, al
criterio di fondo della necessaria giustificazione del licenziamento. Né, una volta rimosso
l'art. 18 della legge n. 300 del 1970, verrebbe meno ogni tutela in materia di licenziamenti
illegittimi, in quanto resterebbe, comunque, operante nell'ordinamento, anche alla luce dei
principi desumibili dalla Carta sociale europea, ratificata e resa esecutiva con legge 9
febbraio 1999, n. 30, la tutela obbligatoria prevista dalla legge 15 luglio 1966, n. 604, come
modificata dalla legge 11 maggio 1990, n. 108, la cui tendenziale generalità deve essere qui
sottolineata.
6. Non costituisce, d'altro canto, ostacolo alla chiarezza del quesito l'esistenza di altre
disposizioni, non investite dal quesito stesso, quali gli artt. 5, comma 3, e 17 della legge 23
luglio 1991, n. 223, nonché l'art. 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, che in materia,
rispettivamente, di procedure di mobilità dei lavoratori e di licenziamento discriminatorio,
rinviano, sotto il profilo sanzionatorio, alla disciplina vigente dell'art. 18 della legge n.
300 del 1970.
Va da sé, infatti, che, per tali disposizioni, si produrranno, eventualmente, i normali effetti
caducatori o di adattamento, la cui individuazione esula dai compiti di questa Corte.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare, così come integrata a seguito
dell'ordinanza dell'Ufficio centrale per il referendum del 7-13 dicembre 1999, per
l'abrogazione della legge 20 maggio 1970, n. 300, recante "Norme sulla tutela della libertà e
dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro
e norme sul collocamento" e successive modificazioni, limitatamente all'art. 18, come
modificato dall'art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108; richiesta dichiarata legittima, con
la suddetta ordinanza, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di
cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3
febbraio 2000
F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente
Massimo VARI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata il 7 febbraio 2000
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
SENTENZA N.37
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI Giudice
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Avv. Massimo VARI "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Prof. Annibale MARINI "
- Dott. Franco BILE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11
marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 8
agosto 1995, n. 335, recante "Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare",
e successive modificazioni, limitatamente all'art. 1, limitatamente a:
comma 26: "Per i lavoratori dipendenti iscritti alle forme previdenziali di cui al comma 25,
fermo restando il requisito dell'anzianità contributiva pari o superiore a trentacinque anni,
nella fase di prima applicazione, il diritto alla pensione di anzianità si consegue in
riferimento agli anni indicati nell'allegata tabella B, con il requisito anagrafico di cui
alla medesima tabella B, colonna 1, ovvero, a prescindere dall'età anagrafica, al
conseguimento della maggiore anzianità contributiva di cui alla medesima tabella B, colonna
2.";
comma 27: "Il diritto alla pensione anticipata di anzianità per le forme esclusive
dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti è
conseguibile, nella fase transitoria, oltre che nei casi previsti dal comma 26, anche: a)
ferma restando l'età anagrafica prevista dalla citata tabella B, in base alla previgente
disciplina degli ordinamenti previdenziali di appartenenza ivi compresa l'applicazione delle
riduzioni percentuali sulle prestazioni di cui all'articolo 11, comma 16, della legge 24
dicembre 1993, n. 537; b) a prescindere dall'età anagrafica di cui alla lettera a), in
presenza dei requisiti di anzianità contributiva indicati nell'allegata tabella C, con
applicazione delle riduzioni percentuali sulle prestazioni di cui all'allegata tabella D che
operano altresì per i casi di anzianità contributiva ricompresa tra i 29 e i 37 anni alla data
del 31 dicembre 1995. I lavoratori, ai quali si applica la predetta tabella D, possono
accedere al pensionamento al 1 gennaio dell'anno successivo a quello di maturazione del
requisito contributivo prescritto.";
comma 28: "Per i lavoratori autonomi iscritti all'assicurazione generale obbligatoria, oltre
che nell'ipotesi di cui al comma 25, lettera b), il diritto alla pensione di anzianità si
consegue al raggiungimento di un'anzianità contributiva non inferiore a 35 anni ed al
compimento del cinquantasettesimo anno di età. Per il biennio 1996-1997 il predetto requisito
di età anagrafica è fissato al compimento del cinquantaseiesimo anno di età.";
comma 29: "I lavoratori, che risultano essere in possesso dei requisiti di cui ai commi 25,
26, 27, lettera a), e 28: entro il primo trimestre dell'anno, possono accedere al
pensionamento di anzianità al 1 luglio dello stesso anno, se di età pari o superiore a 57
anni; entro il secondo trimestre, possono accedere al pensionamento al 1 ottobre dello stesso
anno, se di età pari o superiore a 57 anni; entro il terzo trimestre, possono accedere al
pensionamento al 1 gennaio dell'anno successivo; entro il quarto trimestre, possono accedere
al pensionamento al 1 aprile dell'anno successivo. In fase di prima applicazione, la
decorrenza delle pensioni è fissata con riferimento ai requisiti di cui alla allegata tabella
E per i lavoratori dipendenti e autonomi, secondo le decorrenze ivi indicate. Per i lavoratori
iscritti ai regimi esclusivi dell'assicurazione generale obbligatoria, che accedono al
pensionamento secondo quanto previsto dal comma 27, lettera b), la decorrenza della pensione è
fissata al 1 gennaio dell'anno successivo a quello di maturazione del requisito di anzianità
contributiva.";
comma 30: "All'articolo 13, comma 5, lettera c), della legge 23 dicembre 1994, n. 724, le
parole: "fino a 30 anni" sono sostituite dalle seguenti: "inferiore a 31 anni". Per i
lavoratori dipendenti privati e pubblici in possesso alla data del 31 dicembre 1993 del
requisito dei 35 anni di contribuzione di cui all'articolo 13, comma 10, della legge 23
dicembre 1994, n. 724, la decorrenza della pensione, ove non già stabilita con decreto
ministeriale emanato ai sensi del medesimo comma, è fissata al 1 settembre 1995. I lavoratori
autonomi iscritti all'INPS, in possesso del requisito contributivo di cui al predetto articolo
13, alla data del 31 dicembre 1993 ivi indicata, possono accedere al pensionamento al 1
gennaio 1996.";
comma 36: "I limiti di età anagrafica, di cui ai commi 25, 26, 27 e 28, sono ridotti fino ad
un anno per i lavoratori nei cui confronti trovano applicazione le disposizioni di cui al
decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 374, come modificato ai sensi dei commi 34 e 35.",
giudizio iscritto al n. 130 del registro referendum.
Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum
presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Massimo Vari;
uditi gli avvocati Maurizio Cinelli e Beniamino Caravita di Toritto per i presentatori Daniele
Capezzone, Mariano Giustino e Michele De Lucia.
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza emessa il 7 dicembre 1999, l'Ufficio centrale per il referendum, costituito
presso la Corte di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, ha
dichiarato la legittimità (ai sensi dell'art. 32) della richiesta di referendum per sottoporre
a votazione popolare il seguente quesito:
"Volete voi che sia abrogata la legge 8 agosto 1995, n. 335, recante: "Riforma del sistema
pensionistico obbligatorio e complementare", e successive modificazioni, limitatamente all'art.
1, limitatamente a:
comma 26: "Per i lavoratori dipendenti iscritti alle forme previdenziali di cui al comma 25,
fermo restando il requisito dell'anzianità contributiva pari o superiore a trentacinque anni,
nella fase di prima applicazione, il diritto alla pensione di anzianità si consegue in
riferimento agli anni indicati nell'allegata tabella B, con il requisito anagrafico di cui
alla medesima tabella B, colonna 1, ovvero, a prescindere dall'età anagrafica, al
conseguimento della maggiore anzianità contributiva di cui alla medesima tabella B, colonna
2.";
comma 27: "Il diritto alla pensione anticipata di anzianità per le forme esclusive
dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti è
conseguibile, nella fase transitoria, oltre che nei casi previsti dal comma 26, anche: a)
ferma restando l'età anagrafica prevista dalla citata tabella B, in base alla previgente
disciplina degli ordinamenti previdenziali di appartenenza ivi compresa l'applicazione delle
riduzioni percentuali sulle prestazioni di cui all'articolo 11, comma 16, della legge 24
dicembre 1993, n. 537; b) a prescindere dall'età anagrafica di cui alla lettera a), in
presenza dei requisiti di anzianità contributiva indicati nell'allegata tabella C, con
applicazione delle riduzioni percentuali sulle prestazioni di cui all'allegata tabella D che
operano altresì per i casi di anzianità contributiva ricompresa tra i 29 e i 37 anni alla data
del 31 dicembre 1995. I lavoratori, ai quali si applica la predetta tabella D, possono
accedere al pensionamento al 1 gennaio dell'anno successivo a quello di maturazione del
requisito contributivo prescritto.";
comma 28: "Per i lavoratori autonomi iscritti all'assicurazione generale obbligatoria, oltre
che nell'ipotesi di cui al comma 25, lettera b), il diritto alla pensione di anzianità si
consegue al raggiungimento di un'anzianità contributiva non inferiore a 35 anni ed al
compimento del cinquantasettesimo anno di età. Per il biennio 1996-1997 il predetto requisito
di età anagrafica è fissato al compimento del cinquantaseiesimo anno di età.";
comma 29: "I lavoratori, che risultano essere in possesso dei requisiti di cui ai commi 25,
26, 27, lettera a), e 28: entro il primo trimestre dell'anno, possono accedere al
pensionamento di anzianità al 1 luglio dello stesso anno, se di età pari o superiore a 57
anni; entro il secondo trimestre, possono accedere al pensionamento al 1 ottobre dello stesso
anno, se di età pari o superiore a 57 anni; entro il terzo trimestre, possono accedere al
pensionamento al 1 gennaio dell'anno successivo; entro il quarto trimestre, possono accedere
al pensionamento al 1 aprile dell'anno successivo. In fase di prima applicazione, la
decorrenza delle pensioni è fissata con riferimento ai requisiti di cui alla allegata tabella
E per i lavoratori dipendenti e autonomi, secondo le decorrenze ivi indicate. Per i lavoratori
iscritti ai regimi esclusivi dell'assicurazione generale obbligatoria, che accedono al
pensionamento secondo quanto previsto dal comma 27, lettera b), la decorrenza della pensione è
fissata al 1 gennaio dell'anno successivo a quello di maturazione del requisito di anzianità
contributiva.";
comma 30: "All'articolo 13, comma 5, lettera c), della legge 23 dicembre 1994, n. 724, le
parole: "fino a 30 anni" sono sostituite dalle seguenti: "inferiore a 31 anni". Per i
lavoratori dipendenti privati e pubblici in possesso alla data del 31 dicembre 1993 del
requisito dei 35 anni di contribuzione di cui all'articolo 13, comma 10, della legge 23
dicembre 1994, n. 724, la decorrenza della pensione, ove non già stabilita con decreto
ministeriale emanato ai sensi del medesimo comma, è fissata al 1 settembre 1995. I lavoratori
autonomi iscritti all'INPS, in possesso del requisito contributivo di cui al predetto articolo
13, alla data del 31 dicembre 1993 ivi indicata, possono accedere al pensionamento al 1
gennaio 1996.";
comma 36: "I limiti di età anagrafica, di cui ai commi 25, 26, 27 e 28, sono ridotti fino ad
un anno per i lavoratori nei cui confronti trovano applicazione le disposizioni di cui al
decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 374, come modificato ai sensi dei commi 34 e 35."?".
L'annuncio della richiesta di referendum è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 10
marzo 1999, n. 57.
2. Al fine di identificarne l'oggetto, l'Ufficio centrale ha anche stabilito (in applicazione
dell'art. 32, ultimo comma, della legge n. 352 del 1970, introdotto dall'art. 1 della legge 17
maggio 1995, n. 173) che la denominazione del referendum sia: "Pensioni di anzianità:
abolizione delle norme sul regime transitorio".
3. Il Presidente di questa Corte, ricevuta comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio
centrale, ha fissato, per le conseguenti deliberazioni, l'adunanza in camera di consiglio per
il 13 gennaio 2000, disponendone comunicazione ai presentatori della richiesta di referendum
ed al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge
25 maggio 1970, n. 352.
4. Nell'imminenza della camera di consiglio, Daniele Capezzone, Mariano Giustino e Michele De
Lucia, presentatori della richiesta di referendum abrogativo di cui in epigrafe, hanno
depositato una memoria con la quale chiedono che la richiesta stessa sia dichiarata
ammissibile.
Considerato in diritto
1. Il quesito referendario in epigrafe indicato investe la legge 8 agosto 1995, n. 335
(Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), limitatamente ai commi 26,
27, 28, 29, 30 e 36 dell'art. 1.
Secondo le finalità dell'iniziativa, quali emergono obiettivamente dal contenuto delle
menzionate disposizioni e che, peraltro, risultano confermate dalla memoria depositata dai
presentatori e dalla denominazione assunta dal quesito, la richiesta referendaria tende
all'abrogazione del c.d. "regime transitorio" delle pensioni di anzianità.
Come è noto, tali trattamenti, essendo destinati a scomparire definitivamente soltanto nel
momento in cui avrà effetti a regime un'unica prestazione denominata "pensione di vecchiaia"
(art. 1, comma 19, della legge n. 335 del 1995), continuano a trovare attualmente applicazione,
sia pure in base alla disciplina riformata dalla legge n. 335 del 1995, per i lavoratori già
iscritti alle varie forme di previdenza alla data del 31 dicembre 1995.
Le condizioni per l'accesso ai medesimi trattamenti, da parte dei lavoratori dipendenti
(privati e pubblici), sono contemplate dal comma 25 dell'art. 1, il quale richiede,
alternativamente, un'anzianità contributiva di almeno 35 anni con il concorso di almeno 57 anni
di età anagrafica (lettera a) ovvero, quale unico requisito, un'anzianità contributiva di
almeno 40 anni (lettera b).
Nella fase di prima applicazione della legge n. 335 del 1995, l'acquisizione della pensione di
anzianità è, peraltro, consentita secondo criteri di minore rigore, fissati, per l'appunto,
dalle disposizioni sulle quali verte il quesito referendario, tali da comportare fino al 2008,
una disciplina di accesso "cadenzata", in base alla quale in sintesi:
1) per i lavoratori dipendenti, pubblici e privati, il conseguimento della pensione di
anzianità è possibile ove ricorrano i parametri di età anagrafica ed anzianità contributiva
stabiliti nella tabella B allegata alla legge stessa (comma 26);
2) per i soli dipendenti pubblici (iscritti alle forme di previdenza esclusive
dell'assicurazione generale obbligatoria), tale conseguimento è possibile, oltre che nelle
ipotesi di cui al predetto comma 26, in quelle contemplate dalla previgente disciplina
(comprensiva delle riduzioni percentuali previste dall'art. 11, comma 16, della legge n. 537
del 1993), nonché alternativamente in presenza dei parametri di anzianità contributiva
previsti dalla tabella C, e con le riduzioni percentuali di cui alla tabella D (comma 27,
lettere a e b).
Quanto ai lavoratori autonomi iscritti all'assicurazione generale obbligatoria, il comma 28,
fermo l'accesso in via generale alla pensione di anzianità in base al summenzionato comma 25,
lettera b), consente, altresì, detto accesso in presenza di un'anzianità contributiva non
inferiore a 35 anni in concorso con il compimento del 57 anno di età; requisito di età
abbassato al 56 anno per il biennio 1996-1997.
Ad ulteriore riassuntiva illustrazione della normativa investita dal quesito, va inoltre
considerato che:
a) il comma 29 disciplina in via generale, nonché "in fase di prima applicazione" (secondo
quanto previsto dalla tabella E) le c.d. "finestre" di accesso al pensionamento di
anzianità (e cioè il momento effettivo in cui, nel corso dell'anno solare, è possibile andare
in pensione) in base ad una precisa scansione temporale;
b) il comma 30 prevede una specifica disciplina di accesso al pensionamento di anzianità per
coloro che avessero già maturato, prima dell'entrata in vigore della legge n. 335 del 1995,
taluni requisiti per il conseguimento del relativo diritto;
c) il comma 36 contempla una particolare disposizione di favore per i lavoratori adibiti ad
attività "usuranti", riducendo di un anno i limiti di età anagrafica previsti dai precedenti
commi 25, 26, 27 e 28.
2. L'evidenziato regime "transitorio" costituisce, dunque, l'oggetto del quesito
referendario, il quale dovrebbe essere destinato, negli effetti e per la sua obiettiva
finalità, a rendere immediatamente operativo quello generale di cui al comma 25 dell'art. 1.
Tanto premesso occorre, tuttavia, considerare, al fine di stabilire se l'iniziativa
referendaria possa reputarsi ammissibile, che l'intera disciplina della materia qui considerata
è stata modificata, "con effetto sui trattamenti pensionistici di anzianità decorrenti dal 1
gennaio 1998", dall'art. 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione
della finanza pubblica), il quale ha previsto (commi da 6 a 8) che l'accesso avvenga secondo
nuovi requisiti fissati nelle apposite tabelle allegate alla legge, e cioè:
1) tabella C, per i lavoratori dipendenti iscritti all'assicurazione generale obbligatoria ed
alle forme sostitutive della medesima;
2) tabella D, per i lavoratori iscritti alle forme esclusive dell'assicurazione generale
obbligatoria.
Per i lavoratori autonomi la più recente normativa richiede un'anzianità contributiva di almeno
35 anni nel concorso del compimento del 58 anno di età, con una deroga per il periodo dal 1
gennaio 1998 al 31 dicembre 2000 (nel quale resta fermo il requisito anagrafico dei 57 anni).
La legge in parola, nel prevedere, inoltre, in via generale, per tutti i lavoratori, l'accesso
al pensionamento di anzianità in base al solo requisito dei 40 anni di anzianità contributiva
(comma 6), ha confermato (comma 7), per talune categorie (lavoratori qualificati dai contratti
collettivi come operai o "equivalenti"; lavoratori dipendenti già iscritti a forme
pensionistiche obbligatorie per non meno di un anno in età compresa tra 14 e 19 anni;
lavoratori collocati in mobilità o cassa integrazione), i requisiti già previsti dalla tabella
B allegata alla legge n. 335 del 1995, dettando, infine, (comma 8), anche una nuova
regolamentazione delle date a decorrere dalle quali (c.d. "finestre") è possibile, nel corso
dell'anno, accedere al pensionamento di anzianità.
3. L'avvenuta modifica, con decorrenza dal 1 gennaio 1998, del "regime transitorio"
contemplato dalla legge n. 335 del 1995, da parte della nuova disciplina di accesso al
pensionamento di anzianità recata dall'art. 59 della legge n. 449 del 1997, si pone come
circostanza ostativa all'ammissibilità del quesito referendario.
Per un verso è evidente, infatti, che l'effetto abrogativo del referendum, verificandosi ex
nunc, non potrebbe mettere in discussione i diritti acquisiti sotto l'impero della legge n.
335 del 1995, in quanto legge destinata a regolare la fattispecie legale attributiva del
diritto a pensione di anzianità in presenza dei requisiti maturati durante la sua vigenza. Per
altro verso, è chiaro che la proposta abrogazione non sarebbe suscettibile di esplicare alcun
effetto sull'accesso al pensionamento di anzianità, quale risulta regolato, dal 1 gennaio
1998, da normativa che non costituisce oggetto dell'iniziativa referendaria.
Tutto ciò comporta la carenza di un effettivo contenuto abrogativo della proposta indirizzata
agli elettori, in quanto essa, benché dichiaratamente rivolta ad eliminare la disciplina
transitoria in tema di accesso al pensionamento di anzianità, in realtà verrebbe a sottoporre
alla volontà popolare una abrogazione apparente, priva di effetti in ordine alla materia sulla
quale si intende incidere.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dei commi 26, 27,
28, 29, 30 e 36 dell'art. 1 della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema
pensionistico obbligatorio e complementare), richiesta dichiarata legittima, con ordinanza del
7-13 dicembre 1999, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di
cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3
febbraio 2000
F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente
Massimo VARI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata il 7 febbraio 2000
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
SENTENZA N.38
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI Giudice
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Dott. Cesare RUPERTO "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Prof. Annibale MARINI "
- Dott. Franco BILE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge
costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per
l'abrogazione del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 29 luglio
1947, n. 804, recante "Riconoscimento giuridico degli Istituti di patronato e di
assistenza sociale", e successive modificazioni; giudizio iscritto al n. 124 del
registro referendum.
Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di
cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;
udito nella camera di consiglio del 18 gennaio 2000 il Giudice relatore Cesare Ruperto;
uditi l'avvocato Nicolò Zanon per i presentatori Daniele Capezzone, Mariano Giustino e Michele De Lucia e gli avvocati
Amos Andreoni e Vittorio Angiolini per la Federazione dei Verdi ed altri, Comitato per le libertà e i diritti sociali e Partito
della rifondazione comunista.
Ritenuto in fatto
1. - L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio
1970, n. 352, e successive modifiche e integrazioni, esaminata la richiesta di referendum popolare presentata in data 28
settembre 1999 da Daniele Capezzone e altri quattro cittadini elettori sul seguente quesito: "Volete voi che sia abrogato il
decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 29 luglio 1947, n. 804, recante "Riconoscimento giuridico degli
Istituti di patronato e di assistenza sociale", e successive modificazioni?", con ordinanza del 7-13 dicembre 1999 ha
dichiarato la richiesta stessa conforme alle disposizioni della legge n. 352 del 1970, stabilendone altresì la seguente
denominazione: "Istituti di patronato e di assistenza sociale: abolizione della disciplina speciale e del finanziamento
pubblico".
2. - Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato il giorno 13 gennaio 2000 per la
conseguente deliberazione in camera di consiglio, dandone comunicazione, a norma dell'art. 33, secondo comma, della
legge n. 352 del 1970, ai presentatori della richiesta di referendum e al Presidente del Consiglio dei ministri.
3. - I presentatori del referendum hanno depositato in data 5 gennaio 2000 una memoria, sostenendo le ragioni
dell'ammissibilità della richiesta referendaria sotto i profili dell'omogeneità, della chiarezza e dell'univocità del quesito,
e della mancanza di preclusioni che in tal senso possano farsi derivare dall'art. 75, secondo comma, della Costituzione.
4. - In data 10 gennaio 2000 hanno depositato tre memorie, di contenuto sostanzialmente identico: a) il "Comitato per le
libertà e i diritti sociali", costituitosi al fine di contrastare l'iniziativa referendaria; b) il "Partito della rifondazione
comunista", e c) la "Federazione dei Verdi", unitamente all'"Associazione nazionale per la Sinistra" e ad Alfiero Grandi
quale responsabile lavoro dei "DS - Democratici di sinistra". Nelle tre memorie, previa illustrazione delle ragioni del
"contraddittorio" così esercitato, si sostiene l'inammissibilità, tra altre, della richiesta referendaria in argomento.
5. - In data 12 gennaio 2000 i presentatori del referendum hanno depositato ulteriore memoria, con la quale hanno
eccepito l'irricevibilità o inammissibilità degli atti "di intervento, memorie e contributo istruttorio" depositati dai soggetti
indicati al punto precedente.
6. - La discussione, già fissata per la camera di consiglio del 13 gennaio 2000, è stata in tale data rinviata alla camera
di consiglio del successivo 18 gennaio, previa comunicazione ai presentatori e al Presidente del Consiglio dei ministri,
nonché ai soggetti che hanno depositato memorie; questi ultimi hanno depositato ulteriore atto in data 17 gennaio 2000.
7. - Nella camera di consiglio del 18 gennaio 2000 sono stati ascoltati: in rappresentanza dei presentatori, l'avvocato
Nicolò Zanon e, in rappresentanza dei soggetti indicati al punto 4, gli avvocati Amos Andreoni e Vittorio Angiolini, che
hanno rispettivamente illustrato e ribadito le argomentazioni svolte negli atti depositati in precedenza.
Considerato in diritto
1. - Preliminarmente, a scioglimento della riserva formulata nella camera di consiglio, relativamente alla possibilità di
dare ingresso nel presente procedimento alle memorie presentate da soggetti diversi da quelli - delegati o presentatori
della richiesta di referendum, e Presidente del Consiglio dei ministri - ai quali tale facoltà è espressamente riconosciuta
dall'art. 33 della legge 25 maggio 1970, n. 352, e di consentirne l'illustrazione in camera di consiglio da parte dei
rispettivi rappresentanti, questa Corte non può che richiamare quanto osservato e stabilito al riguardo in senso
affermativo nella sentenza n. 31 del 2000 di pari data.
2. - La richiesta di referendum abrogativo in esame è diretta all'abrogazione del decreto legislativo del Capo provvisorio
dello Stato 29 luglio 1947, n. 804 (oggetto di "ratifica" con la legge 17 aprile 1956, n. 561), il quale detta la disciplina
degli Istituti di patronato e di assistenza sociale.
3. - Tale richiesta non è ammissibile.
3.1. - Agli Istituti di patronato e di assistenza sociale - enti di diritto privato, secondo l'art. 1 della legge 27 marzo 1980,
n. 112 - costituiti e gestiti da associazioni nazionali di lavoratori che annoverino nei propri statuti finalità assistenziali e
diano prova di potervi provvedere con mezzi adeguati (art. 2, primo comma, del decreto n. 804 del 1947), spetta
l'esercizio dell'assistenza e della tutela dei lavoratori e dei loro aventi causa per il conseguimento in sede amministrativa
delle prestazioni di qualsiasi genere previste da leggi, statuti e contratti regolanti la previdenza e la quiescenza, nonché
la rappresentanza dei lavoratori davanti agli organi di liquidazione di dette prestazioni o a collegi di conciliazione (art.
1, primo comma). In sede giurisdizionale, gli Istituti di patronato e di assistenza sociale possono inoltre, a richiesta
dell'assistito, rendere informazioni e osservazioni orali nelle controversie in materia previdenziale e assistenziale (art.
446 cod. proc. civ., non compreso nel quesito referendario).
Il fatto di essere oggi emanazioni di associazioni di lavoratori non impedisce, come generalmente ritenuto, che in tali
Istituti continui a essere presente una connotazione pubblicistica, connessa alla natura dei compiti, connotazione che in
passato spiegava la possibilità che la loro fondazione fosse promossa da province, comuni o altri enti morali (secondo
l'espressione dell'art. 119 del regolamento per l'esecuzione del decreto-legge 23 agosto 1917, n. 1450, approvato con
decreto luogotenenziale 21 novembre 1918, n. 1889). Manifestazione evidente e, al tempo stesso, riprova di ciò è l'art. 3,
secondo comma, del decreto n. 804, di cui si chiede l'abrogazione referendaria, il quale impone che lo statuto degli
Istituti di patronato deve espressamente stabilire che la loro attività "è svolta gratuitamente nei confronti di tutti i
lavoratori, senza alcuna limitazione". Questa disposizione, chiave di volta dell'intera disciplina legislativa, è quella che,
collocando gli Istituti al di là dell'ambito di attività riconducibili esclusivamente all'autonomia dei lavoratori e
inserendoli in quello della cura di interessi generali, giustifica il sistema pubblico del loro finanziamento (artt. 4 e 5), la
sottoposizione a vigilanza ministeriale (artt. 6 e 7), nonché l'equiparazione alle Amministrazioni dello Stato ai fini
tributari (art. 8).
3.2. - Secondo la Costituzione, i diritti di natura previdenziale dei lavoratori la cui difesa nei procedimenti amministrativi
(e giurisdizionali) costituisce la finalità degli Istituti di patronato, sono garantiti dall'art. 38, secondo comma: "I
lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio,
malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria" e la garanzia, non solo per ragioni di logica costituzionale
dei diritti ma anche per ragioni testuali ("preveduti e assicurati"), presenta necessariamente, accanto all'aspetto
sostanziale, anche un aspetto procedimentale, tanto più rilevante in quanto si tratta di diritti previsti in relazione a
condizioni di difficoltà, e quindi di debolezza, che possono realizzarsi nella vita dei lavoratori, la cui effettività si scontra
con la farraginosa complessità del sistema previdenziale attuale.
Sempre secondo la Costituzione (art. 38, quarto comma), la protezione di tali diritti, poi, non è rimessa soltanto
all'eventuale e sempre possibile libera iniziativa dei lavoratori, singoli o associati, ma rientra tra i fini e i compiti
costituzionalmente assegnati allo Stato - fini e compiti ai quali "provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo
Stato" medesimo (ai quali ultimi, oltre agli Istituti preposti alla erogazione delle prestazioni previdenziali, sono
riconducibili gli Istituti in questione). I fini previdenziali, infatti, corrispondono a un interesse pubblico direttamente
riconducibile all'art. 3, secondo comma, della Costituzione il quale stabilisce ancora essere "compito della Repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione
politica, economica e sociale del Paese".
Dalla connotazione pubblicistica dell'interesse previdenziale, quale definito dalla Costituzione, deriva poi, in via
conseguenziale diretta e necessaria, che le prestazioni alle quali devono provvedere gli organi e gli istituti predisposti o
integrati dallo Stato (a) sono sottratte all'ambito delle attività lucrative, pur non dovendo necessariamente essere
gratuite; e che (b) devono essere fornite in posizione di uguaglianza a tutti i lavoratori, non assumendo alcun rilievo la
circostanza che si tratti di lavoratori iscritti o non iscritti al sindacato, iscritti a questo o quel sindacato. Il carattere non
di lucro dell'attività e l'indirizzo generalizzato delle prestazioni sono, in sostanza, il connotato essenziale della
previdenza pubblica prevista dalla Costituzione. Al contrario, lo scopo di profitto e la possibilità di selezione tra le
richieste dei lavoratori rientra in un quadro di attività assicurative e assistenziali ulteriori e accessorie che, pur non
vietate dalla Costituzione, non entrano a comporre il quadro della protezione dei diritti dei lavoratori che deve essere
predisposto tramite gli organi e gli istituti di cui parla l'art. 38 della Costituzione.
3.3. - La Costituzione, dunque, esige che vi sia una specifica organizzazione per le prestazioni previdenziali - sostanziali
e strumentali - cioè gli "organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato" di cui all'art. 38 e che le prestazioni offerte
da tali strutture non siano oggetto di attività lucrativa e siano disponibili dalla generalità dei lavoratori. Questo è il
nucleo costituzionale irrinunciabile, un nucleo che lascia largo spazio alla discrezionalità legislativa, nella disciplina
degli aspetti organizzativi, finanziari e funzionali della materia. Di contro, l'abrogazione referendaria del decreto n. 804
del 1947 contraddice puntualmente questo nucleo, eliminando strutture operanti nel campo previdenziale direttamente
riconducibili a quelle previste dall'art. 38, quarto comma, della Costituzione e finendo per trasferire le loro attività, oggi
non lucrative e garantite a tutti i lavoratori, al campo dell'autonomia privata, cioè delle libere scelte individuali. E', in
proposito, rivelatrice la richiesta di abrogazione referendaria dell'art. 3, secondo comma, già ricordato come quello che,
dal punto di vista dei caratteri delle prestazioni, rispecchia direttamente e senza possibilità di opzioni diverse per il
legislatore - quanto alla natura non di lucro dell'attività e alla generalità delle prestazioni - il senso della garanzia
previdenziale voluta dalla Costituzione.
4. - Deve dunque trovare applicazione, nella specie, il criterio di giudizio, consolidato nella giurisprudenza di questa
Corte (ad esempio, sentenze nn. 26 del 1981, 17 e 35 del 1997, che precisano e applicano il principio per la prima volta
esplicitato nella sentenza n. 16 del 1978), il quale esclude l'ammissibilità del referendum abrogativo di disposizioni che
non possono essere soppresse senza con ciò ledere principi costituzionali.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione del decreto legislativo del Capo provvisorio
dello Stato 29 luglio 1947, n. 804 (Riconoscimento giuridico degli Istituti di patronato e di assistenza sociale), e
successive modificazioni, dichiarata legittima, con ordinanza del 7-13 dicembre 1999, dall'Ufficio centrale per il
referendum costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 2000
F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente
Gustavo ZAGREBLESKY, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata il 7 febbraio 2000
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
SENTENZA N.39
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI Giudice
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Avv. Massimo VARI "
- Dott. Cesare RUPERTO "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Prof. Annibale MARINI "
- Dott. Franco BILE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11
marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 4 giugno
1973, n. 311, recante "Estensione del servizio di riscossione dei contributi associativi
tramite gli enti previdenziali" e successive modificazioni; giudizio iscritto al n. 129 del
registro referendum.
Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum
presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;
udito nella camera di consiglio del 18 gennaio 2000 il Giudice relatore Cesare Ruperto;
uditi l'avvocato Nicolò Zanon per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De
Lucia Michele e l'avvocato Pier Luigi Panici per la Federazione dei Verdi ed altri, Comitato
per le libertà e i diritti sociali e Partito della Rifondazione Comunista.
Ritenuto in fatto
1.- L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, in
applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni - esaminata la
richiesta di referendum popolare presentata in data 8 marzo 1999 da quattordici cittadini
italiani sul seguente quesito: "Volete che sia abrogata la legge 4 giugno 1973, n. 311, recante
"Estensione del servizio di riscossione dei contributi associativi tramite gli enti
previdenziali", e successive modificazioni?" - ha, con ordinanza del 7-13 dicembre 1999,
dichiarato la richiesta stessa conforme alle disposizioni di cui all'art. 27 della legge n. 352
del 1970, stabilendone altresì la seguente denominazione: "Trattenute associative e sindacali
tramite gli enti previdenziali: abolizione".
2.- Ricevuta la comunicazione dell'ordinanza, il Presidente della Corte costituzionale ha
fissato il giorno 13 gennaio 2000 per la conseguente deliberazione in camera di consiglio,
dandone comunicazione, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970, ai
presentatori della richiesta ed al Presidente del Consiglio dei ministri.
3.- I promotori del referendum hanno depositato in data 5 gennaio 2000 una memoria, sostenendo
le ragioni dell'ammissibilità della suddetta richiesta.
Con tre atti di contenuto sostanzialmente identico, depositati il 10 gennaio 2000, hanno
dichiarato di voler intervenire, chiedendo la declaratoria di inammissibilità della richiesta
medesima: il "Comitato per le libertà e i diritti sociali", in persona del presidente, Paolo
Cagna Ninchi; il "Partito della Rifondazione Comunista", in persona del segretario generale,
on. Fausto Bertinotti; la "Federazione dei Verdi", in persona del responsabile nazionale del
settore economia-lavoro, sen. Natale Ripamonti; l'"Associazione Nazionale per la Sinistra", in
persona del presidente, on. Andrea Sergio Garavini; nonché Alfiero Grandi, quale responsabile
lavoro dei "DS-Democratici di sinistra".
La discussione, già fissata per la camera di consiglio del 13 gennaio 2000, è stata in tale
data rinviata alla camera di consiglio del successivo 18 gennaio, previa comunicazione ai
presentatori e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché ai soggetti che hanno
depositato memorie.
Nella discussione, alla quale sono stati ammessi con riserva i soggetti diversi dai
presentatori del referendum, sia questi sia i presentatori hanno ribadito, attraverso i
rispettivi difensori, le conclusioni come sopra rassegnate.
Considerato in diritto
1.- A scioglimento della riserva in precedenza formulata da questa Corte, va preliminarmente
riconosciuta - per le ragioni svolte nella sentenza n. 31 del 2000 - la ritualità del deposito
e dell'illustrazione orale delle memorie presentate da soggetti diversi dai presentatori del
referendum.
2.- Quanto al giudizio d'ammissibilità previsto dall'art. 33, quarto comma, della legge 25
maggio 1970, n. 352, va premesso che il quesito referendario investe l'intero testo della legge
4 giugno 1973, n. 311, recante "Estensione del servizio di riscossione dei contributi
associativi tramite gli enti previdenziali", e successive modificazioni.
Tale legge è composta da un unico articolo, suddiviso in tre commi, di cui il primo sancisce in
termini generali che "L'Istituto nazionale della previdenza sociale, l'Istituto nazionale per
l'assicurazione contro le malattie e l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro possono essere autorizzati dal Ministro per il lavoro e la previdenza
sociale, su richiesta delle associazioni sindacali a carattere nazionale, ad assumere il
servizio di esazione dei contributi associativi dovuti dagli iscritti, nonché dei contributi
per assistenza contrattuale che siano stabiliti dai contratti di lavoro".
Il secondo e il terzo comma, poi, stabiliscono rispettivamente: a) che "I rapporti tra gli
istituti di cui al precedente comma e le organizzazioni sindacali saranno regolati da
convenzioni, da sottoporre all'approvazione del Ministero del lavoro e della previdenza
sociale, ai soli fini di accertare che il servizio di riscossione non sia pregiudizievole per
il corrente adempimento dei compiti di istituto, che siano rimborsate le spese incontrate per
l'espletamento del servizio e che gli istituti medesimi siano sollevati da ogni qualsiasi
responsabilità verso terzi derivante dall'applicazione della convenzione"; b) che "Nei casi in
cui l'esazione dei contributi avvenga a mezzo di ruoli esattoriali, per la riscossione dei
contributi di cui al presente articolo si applicano le disposizioni di cui all'articolo 3,
quarto comma, del testo unico delle leggi sui servizi della riscossione delle imposte dirette
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 15 maggio 1963, n. 858".
3.- La richiesta è ammissibile.
3.1.- Essa non riguarda le leggi per le quali l'art. 75, secondo comma, della Costituzione
espressamente esclude il referendum, né quelle altre da ritenersi ugualmente escluse secondo
l'interpretazione logico-sistematica che di tale norma ha ripetutamente dato questa Corte.
3.2.- Trattasi inoltre di richiesta abrogativa riguardante disposizioni tra loro intimamente
connesse, le quali formano un autonomo e definito sistema - tuttora integralmente operante,
come dimostrano le molteplici convenzioni stipulate, anche di recente, dalle varie associazioni
sindacali con gli enti previdenziali - di previsione e regolamentazione della possibile
assunzione, da parte dei menzionati enti previdenziali (cui vanno aggiunte le Casse marittime
Adriatica, Meridionale e Tirrena, ai sensi dell'art. 18, comma 1, della legge 5 dicembre 1986,
n. 856, che richiama la legge in esame), del servizio di esazione, per conto delle associazioni
sindacali a carattere nazionale, dei contributi associativi e di assistenza contrattuale dovuti
dai loro iscritti.
Sussiste dunque la necessaria omogeneità del quesito, che peraltro è analogo a quello - a suo
tempo proposto per l'abrogazione del secondo e terzo comma dell'art. 26 della legge 20 maggio
1970, n. 300, e dell'art. 594 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 - dichiarato
ammissibile da questa Corte con sentenza n. 13 del 1995.
Chiaro è l'intendimento abrogativo, che non tocca il diritto dei sindacati ad ottenere i
contributi dai propri iscritti, ma è volto esclusivamente a non rendere più possibile
attraverso l'attività d'intermediazione svolta dagli enti previdenziali, in quanto autorizzati,
la riscossione dei contributi medesimi. Ed il fine ispiratore della richiesta risulta
perfettamente oggettivato nella struttura del quesito, il quale prospetta un'alternativa netta
all'elettore, posto così in grado di percepire con immediatezza ed esattezza le conseguenze del
suo voto.
3.3.- E' appena il caso di aggiungere che sul presente giudizio di ammissibilità non incide la
pur constatata residuale permanenza del riferimento alle trattenute sindacali attualmente
contenuto in altre leggi (v., ad esempio, art. 11 della legge 12 marzo 1968, n. 334; art.
23-octies della legge 11 agosto 1972, n. 485; art. 2 della legge 27 dicembre 1973, n. 852,
richiamato anche dall'art. 18 della legge 23 luglio 1991, n. 223; art. 19 della legge 23
dicembre 1994, n. 724), poiché le relative discipline hanno matrici proprie o comunque
rationes diverse rispetto alla normativa oggetto del quesito in esame.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 4
giugno 1973, n. 311, recante "Estensione del servizio di riscossione dei contributi associativi
tramite gli enti previdenziali" e successive modificazioni; richiesta dichiarata legittima con
ordinanza 7-13 dicembre 1999 dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la
Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3
febbraio 2000
F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente
Cesare RUPERTO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata il 7 febbraio 2000
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
SENTENZA N.39
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI Giudice
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Avv. Massimo VARI "
- Dott. Cesare RUPERTO "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Prof. Annibale MARINI "
- Dott. Franco BILE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11
marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 4 giugno
1973, n. 311, recante "Estensione del servizio di riscossione dei contributi associativi
tramite gli enti previdenziali" e successive modificazioni; giudizio iscritto al n. 129 del
registro referendum.
Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum
presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;
udito nella camera di consiglio del 18 gennaio 2000 il Giudice relatore Cesare Ruperto;
uditi l'avvocato Nicolò Zanon per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De
Lucia Michele e l'avvocato Pier Luigi Panici per la Federazione dei Verdi ed altri, Comitato
per le libertà e i diritti sociali e Partito della Rifondazione Comunista.
Ritenuto in fatto
1.- L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, in
applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni - esaminata la
richiesta di referendum popolare presentata in data 8 marzo 1999 da quattordici cittadini
italiani sul seguente quesito: "Volete che sia abrogata la legge 4 giugno 1973, n. 311, recante
"Estensione del servizio di riscossione dei contributi associativi tramite gli enti
previdenziali", e successive modificazioni?" - ha, con ordinanza del 7-13 dicembre 1999,
dichiarato la richiesta stessa conforme alle disposizioni di cui all'art. 27 della legge n. 352
del 1970, stabilendone altresì la seguente denominazione: "Trattenute associative e sindacali
tramite gli enti previdenziali: abolizione".
2.- Ricevuta la comunicazione dell'ordinanza, il Presidente della Corte costituzionale ha
fissato il giorno 13 gennaio 2000 per la conseguente deliberazione in camera di consiglio,
dandone comunicazione, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970, ai
presentatori della richiesta ed al Presidente del Consiglio dei ministri.
3.- I promotori del referendum hanno depositato in data 5 gennaio 2000 una memoria, sostenendo
le ragioni dell'ammissibilità della suddetta richiesta.
Con tre atti di contenuto sostanzialmente identico, depositati il 10 gennaio 2000, hanno
dichiarato di voler intervenire, chiedendo la declaratoria di inammissibilità della richiesta
medesima: il "Comitato per le libertà e i diritti sociali", in persona del presidente, Paolo
Cagna Ninchi; il "Partito della Rifondazione Comunista", in persona del segretario generale,
on. Fausto Bertinotti; la "Federazione dei Verdi", in persona del responsabile nazionale del
settore economia-lavoro, sen. Natale Ripamonti; l'"Associazione Nazionale per la Sinistra", in
persona del presidente, on. Andrea Sergio Garavini; nonché Alfiero Grandi, quale responsabile
lavoro dei "DS-Democratici di sinistra".
La discussione, già fissata per la camera di consiglio del 13 gennaio 2000, è stata in tale
data rinviata alla camera di consiglio del successivo 18 gennaio, previa comunicazione ai
presentatori e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché ai soggetti che hanno
depositato memorie.
Nella discussione, alla quale sono stati ammessi con riserva i soggetti diversi dai
presentatori del referendum, sia questi sia i presentatori hanno ribadito, attraverso i
rispettivi difensori, le conclusioni come sopra rassegnate.
Considerato in diritto
1.- A scioglimento della riserva in precedenza formulata da questa Corte, va preliminarmente
riconosciuta - per le ragioni svolte nella sentenza n. 31 del 2000 - la ritualità del deposito
e dell'illustrazione orale delle memorie presentate da soggetti diversi dai presentatori del
referendum.
2.- Quanto al giudizio d'ammissibilità previsto dall'art. 33, quarto comma, della legge 25
maggio 1970, n. 352, va premesso che il quesito referendario investe l'intero testo della legge
4 giugno 1973, n. 311, recante "Estensione del servizio di riscossione dei contributi
associativi tramite gli enti previdenziali", e successive modificazioni.
Tale legge è composta da un unico articolo, suddiviso in tre commi, di cui il primo sancisce in
termini generali che "L'Istituto nazionale della previdenza sociale, l'Istituto nazionale per
l'assicurazione contro le malattie e l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro possono essere autorizzati dal Ministro per il lavoro e la previdenza
sociale, su richiesta delle associazioni sindacali a carattere nazionale, ad assumere il
servizio di esazione dei contributi associativi dovuti dagli iscritti, nonché dei contributi
per assistenza contrattuale che siano stabiliti dai contratti di lavoro".
Il secondo e il terzo comma, poi, stabiliscono rispettivamente: a) che "I rapporti tra gli
istituti di cui al precedente comma e le organizzazioni sindacali saranno regolati da
convenzioni, da sottoporre all'approvazione del Ministero del lavoro e della previdenza
sociale, ai soli fini di accertare che il servizio di riscossione non sia pregiudizievole per
il corrente adempimento dei compiti di istituto, che siano rimborsate le spese incontrate per
l'espletamento del servizio e che gli istituti medesimi siano sollevati da ogni qualsiasi
responsabilità verso terzi derivante dall'applicazione della convenzione"; b) che "Nei casi in
cui l'esazione dei contributi avvenga a mezzo di ruoli esattoriali, per la riscossione dei
contributi di cui al presente articolo si applicano le disposizioni di cui all'articolo 3,
quarto comma, del testo unico delle leggi sui servizi della riscossione delle imposte dirette
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 15 maggio 1963, n. 858".
3.- La richiesta è ammissibile.
3.1.- Essa non riguarda le leggi per le quali l'art. 75, secondo comma, della Costituzione
espressamente esclude il referendum, né quelle altre da ritenersi ugualmente escluse secondo
l'interpretazione logico-sistematica che di tale norma ha ripetutamente dato questa Corte.
3.2.- Trattasi inoltre di richiesta abrogativa riguardante disposizioni tra loro intimamente
connesse, le quali formano un autonomo e definito sistema - tuttora integralmente operante,
come dimostrano le molteplici convenzioni stipulate, anche di recente, dalle varie associazioni
sindacali con gli enti previdenziali - di previsione e regolamentazione della possibile
assunzione, da parte dei menzionati enti previdenziali (cui vanno aggiunte le Casse marittime
Adriatica, Meridionale e Tirrena, ai sensi dell'art. 18, comma 1, della legge 5 dicembre 1986,
n. 856, che richiama la legge in esame), del servizio di esazione, per conto delle associazioni
sindacali a carattere nazionale, dei contributi associativi e di assistenza contrattuale dovuti
dai loro iscritti.
Sussiste dunque la necessaria omogeneità del quesito, che peraltro è analogo a quello - a suo
tempo proposto per l'abrogazione del secondo e terzo comma dell'art. 26 della legge 20 maggio
1970, n. 300, e dell'art. 594 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 - dichiarato
ammissibile da questa Corte con sentenza n. 13 del 1995.
Chiaro è l'intendimento abrogativo, che non tocca il diritto dei sindacati ad ottenere i
contributi dai propri iscritti, ma è volto esclusivamente a non rendere più possibile
attraverso l'attività d'intermediazione svolta dagli enti previdenziali, in quanto autorizzati,
la riscossione dei contributi medesimi. Ed il fine ispiratore della richiesta risulta
perfettamente oggettivato nella struttura del quesito, il quale prospetta un'alternativa netta
all'elettore, posto così in grado di percepire con immediatezza ed esattezza le conseguenze del
suo voto.
3.3.- E' appena il caso di aggiungere che sul presente giudizio di ammissibilità non incide la
pur constatata residuale permanenza del riferimento alle trattenute sindacali attualmente
contenuto in altre leggi (v., ad esempio, art. 11 della legge 12 marzo 1968, n. 334; art.
23-octies della legge 11 agosto 1972, n. 485; art. 2 della legge 27 dicembre 1973, n. 852,
richiamato anche dall'art. 18 della legge 23 luglio 1991, n. 223; art. 19 della legge 23
dicembre 1994, n. 724), poiché le relative discipline hanno matrici proprie o comunque
rationes diverse rispetto alla normativa oggetto del quesito in esame.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 4
giugno 1973, n. 311, recante "Estensione del servizio di riscossione dei contributi associativi
tramite gli enti previdenziali" e successive modificazioni; richiesta dichiarata legittima con
ordinanza 7-13 dicembre 1999 dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la
Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3
febbraio 2000
F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente
Cesare RUPERTO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata il 7 febbraio 2000
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
SENTENZA N.40
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI Giudice
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Avv. Massimo VARI "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Prof. Annibale MARINI "
- Dott. Franco BILE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11
marzo 1953, n. 1, delle richieste di referendum popolare per l'abrogazione del testo unico
delle leggi recanti norme per l'elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi
recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), nel testo risultante dalle
modificazioni ed integrazioni ad esso successivamente apportate in particolare dalla legge 4
agosto 1993, n. 277 (Norme per l'elezione della Camera dei deputati), e dal decreto legislativo
20 dicembre 1993, n. 534 (Modificazioni al testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione
della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957,
n. 361), limitatamente alle seguenti parti:
Articolo 1, comma 2, limitatamente alle parole: "La ripartizione dei seggi attribuiti
secondo il metodo proporzionale, a norma degli articoli 77, 83 e 84, si effettua in sede di
Ufficio centrale nazionale."; comma 4, limitatamente alle parole: "in ragione proporzionale
mediante riparto tra liste concorrenti", nonché alla parola: ", 83";
Articolo 4, comma 2, n. 1), limitatamente alle parole: "per l'elezione del candidato nel
collegio uninominale" nonché alle parole: ", comma 1" e n. 2): "un voto per la scelta della
lista ai fini dell'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale, da esprimere su una diversa
scheda recante il contrassegno e l'elenco dei candidati di ciascuna lista. Il numero dei
candidati di ciascuna lista non può essere superiore ad un terzo dei seggi attribuiti in
ragione proporzionale alla circoscrizione con arrotondamento alla unità superiore.";
Articolo 14, comma 1, limitatamente alle parole: "o liste di candidati" e alle parole: "o le
liste medesime nelle singole circoscrizioni"; comma 2, limitatamente alle parole: "le loro
liste con"; comma 3, limitatamente alle parole: ", sia che si riferiscano a candidature nei
collegi uninominali sia che si riferiscano a liste,";
Articolo 16, comma 4, primo periodo, limitatamente alle parole: "e delle liste" e secondo
periodo, limitatamente alle parole: "e delle liste";
Articolo 17, comma 1, limitatamente alle parole: "e della lista dei candidati";
Articolo 18, comma 1, limitatamente alle parole: "i quali si collegano a liste di cui
all'articolo 1, comma 4, cui gli stessi aderiscono con l'accettazione della candidatura. La
dichiarazione di collegamento deve essere accompagnata dall'accettazione scritta del
rappresentante, di cui all'articolo 17, incaricato di effettuare il deposito della lista a cui
il candidato nel collegio uninominale si collega, attestante la conoscenza degli eventuali
collegamenti con altre liste. Nel caso di collegamenti con più liste, questi devono essere i
medesimi in tutti i collegi uninominali in cui è suddivisa la circoscrizione. Nell'ipotesi di
collegamento con più liste, il candidato, nella stessa dichiarazione di collegamento, indica il
contrassegno o i contrassegni che accompagnano il suo nome e il suo cognome sulla scheda
elettorale"; comma 2, limitatamente alle parole: ", nonché la lista o le liste alle quali il
candidato si collega ai fini di cui all'articolo 77, comma 1, n. 2). Qualora il contrassegno o
i contrassegni del candidato nel collegio uninominale siano gli stessi di una lista o di più
liste presentate per l'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale, il collegamento di cui
al presente articolo è effettuato, in ogni caso, d'ufficio dall'Ufficio centrale
circoscrizionale, senza che si tenga conto di dichiarazioni ed accettazioni difformi. Le
istanze di depositanti altra lista avverso il mancato collegamento d'ufficio sono presentate,
entro le ventiquattro ore successive alla scadenza dei termini per la presentazione delle
liste, all'Ufficio centrale nazionale che decide entro le successive ventiquattro ore";
Articolo 18-bis;
Articolo 19;
Articolo 20, comma 1, limitatamente alle parole: "Le liste dei candidati o"; comma 2,
limitatamente alle parole: "le liste dei candidati o", alle parole: "e della lista dei
candidati", nonché alle parole: "; alle candidature nei collegi uninominali deve essere
allegata la dichiarazione di collegamento e la relativa accettazione di cui all'articolo 18";
comma 3, limitatamente alle parole: "l'iscrizione nelle liste elettorali della circoscrizione,
e, per le candidature nei collegi uninominali,"; comma 5, limitatamente alle parole: "di
lista", nonché alle parole: "Le stesse disposizioni si applicano alle candidature nei collegi
uninominali."; comma 6, limitatamente alle parole: "più di una lista di candidati né"; comma
7, limitatamente alle parole: "della lista dei candidati o", nonché alle parole: "la lista o";
e comma 8: "La dichiarazione di presentazione della lista dei candidati deve contenere,
infine, la indicazione di due delegati effettivi e di due supplenti, autorizzati a fare le
designazioni previste dall'articolo 25.";
Articolo 21, comma 2, limitatamente alle parole: "e della lista dei candidati presentata",
nonché alle parole: "e a ciascuna lista";
Articolo 22, comma 1, limitatamente alle parole: "e delle liste dei candidati"; n. 1),
limitatamente alle parole: "e le liste"; n. 2), limitatamente alle parole: "e le liste"; n.
3), limitatamente alle parole: "e le liste" e alle parole: "riduce al limite prescritto le
liste contenenti un numero di candidati superiore a quello stabilito al comma 2 dell'art.
18-bis, cancellando gli ultimi nomi;"; n. 4), limitatamente alle parole: "e cancella dalle
liste i nomi"; n. 5), limitatamente alle parole: "e cancella dalle liste i nomi"; n. 6):
"cancella i nomi dei candidati compresi in altra lista già presentata nella circoscrizione;";
comma 2, limitatamente alle parole: "e di ciascuna lista" e alle parole: "e delle
modificazioni da questo apportate alla lista"; comma 3, limitatamente alle parole: "e delle
liste contestate o modificate";
Articolo 23, comma 1, limitatamente alle parole: "e di lista"; comma 2, limitatamente alle
parole: "di liste o" e alle parole: "e di lista";
Articolo 24, comma 1, n. 1), limitatamente alle parole: "e delle liste"; n. 2),
limitatamente alle parole: "e delle liste", nonché alle parole: "analogamente si procede per la
stampa delle schede e del manifesto delle liste e dei relativi contrassegni;"; n. 3),
limitatamente alle parole: "di lista e"; n. 4), limitatamente alle parole: "e le liste"; n.
5), limitatamente alle parole: "e delle liste";
Articolo 25, comma 1, limitatamente alle parole: "e all'art. 20", nonché alle parole: "o
della lista"; ultimo comma, limitatamente alle parole: "e di lista", alle parole: "e delle
liste dei candidati", alle parole: "e di lista", nonché alle parole: "e delle liste";
Articolo 26, comma 1, limitatamente alle parole: "e di ogni lista di candidati";
Articolo 30, comma 1, n. 4), limitatamente alle parole: "e tre copie del manifesto
contenente le liste dei candidati della circoscrizione", e n. 6), limitatamente alle parole:
"e di lista";
Articolo 31, comma 1, limitatamente alle parole: ", di tipo e colore diverso per i collegi
uninominali e per la circoscrizione", alla parola: ", C", alle parole: "e di tutte le liste",
nonché alle parole: "nella circoscrizione"; comma 2, limitatamente alle parole: "per
l'elezione dei candidati nei collegi uninominali" e alle parole: "Le schede per l'attribuzione
dei seggi in ragione proporzionale riportano accanto ad ogni contrassegno l'elenco dei
candidati della rispettiva lista, nell'ambito degli stessi spazi.";
Articolo 40, comma 3, limitatamente alle parole: "e di lista";
Articolo 41, comma 1, limitatamente alle parole: "e delle liste dei candidati"; comma 2,
limitatamente alle parole: "di liste";
Articolo 42, comma 4, limitatamente alle parole: "e di lista"; comma 7, limitatamente alle
parole: "due copie del manifesto contenente le liste dei candidati nonché";
Articolo 45, comma 8: "Le operazioni di cui ai commi precedenti sono compiute prima per le
schede per l'elezione dei candidati nei collegi uninominali e successivamente per le schede per
l'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale.";
Articolo 48, comma 1, limitatamente alle parole: "delle liste e" e alle parole: "o della
circoscrizione";
Articolo 53, comma 1, limitatamente alle parole: "di lista e";
Articolo 58, comma 1, limitatamente alla parola: "rispettive", nonché alle parole: "per
l'elezione del candidato del collegio uninominale e una scheda per la scelta della lista ai
fini dell'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale"; comma 2, limitatamente alle
parole: "per l'elezione del candidato nel collegio uninominale" nonché alle parole: "e, sulla
scheda per la scelta della lista un solo segno, comunque apposto, nel rettangolo contenente il
contrassegno ed il cognome e nome del candidato o dei candidati corrispondenti alla lista
prescelta"; comma 6: "Le disposizioni di cui ai commi terzo, quarto e quinto si applicano sia
per le schede per l'elezione del candidato nel collegio uninominale sia per le schede per la
scelta della lista ai fini dell'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale.";
Articolo 59, limitatamente alle parole: "Una scheda valida per la scelta della lista
rappresenta un voto di lista." e alle parole: "per l'elezione del candidato nel collegio
uninominale";
Articolo 67, comma 1, n. 2), limitatamente alle parole: "e delle liste dei candidati" e n.
3), limitatamente alla parola: "rispettive";
Articolo 68, comma 1, limitatamente alle parole: "per l'elezione del candidato nel collegio
uninominale"; comma 3: "Compiute le operazioni di scrutinio delle schede per l'elezione dei
candidati nei collegi uninominali, il presidente procede alle operazioni di spoglio delle
schede per l'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale. Uno scrutatore designato mediante
sorteggio estrae successivamente ciascuna scheda dall'urna contenente le schede per
l'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale e la consegna al presidente. Questi enuncia
ad alta voce il contrassegno della lista a cui è stato attribuito il voto. Passa quindi la
scheda ad altro scrutatore il quale, insieme con il segretario, prende nota dei voti di
ciascuna lista."; comma 3-bis: "Il segretario proclama ad alta voce i voti di lista. Un terzo
scrutatore pone le schede, i cui voti sono stati spogliati, nella cassetta o scatola dalla
quale sono state tolte le schede non utilizzate. Quando la scheda non contiene alcuna
espressione di voto, sul retro della scheda stessa viene subito impresso il timbro della
sezione."; comma 7, limitatamente alle parole: "La disposizione si applica sia con riferimento
alle schede scrutinate per l'elezione del candidato nel collegio uninominale sia alle schede
scrutinate per la scelta della lista ai fini dell'attribuzione dei seggi in ragione
proporzionale.";
Articolo 71, comma 1, n. 2), limitatamente alle parole: "dei voti di lista e"; comma 2,
limitatamente alle parole: "o per le singole liste per l'attribuzione dei seggi in ragione
proporzionale";
Articolo 72, comma 2: "Nei plichi di cui al comma precedente devono essere tenute
opportunamente distinte le schede per l'elezione del candidato nel collegio uninominale da
quelle per la scelta della lista ai fini dell'attribuzione dei seggi in ragione
proporzionale."; comma 3, limitatamente alle parole: "e di lista";
Articolo 73, comma 3, limitatamente alle parole: "e di lista";
Articolo 74, comma 1, limitatamente alle parole: "e delle liste"; comma 2, limitatamente
alle parole: "alle liste o";
Articolo 75, comma 1, limitatamente alle parole: "e delle liste";
Articolo 77, comma 1, limitatamente al n. 2): "determina la cifra elettorale
circoscrizionale di ogni lista. Tale cifra è data dalla somma dei voti conseguiti dalla lista
stessa nelle singole sezioni elettorali della circoscrizione, detratto, per ciascun collegio in
cui è stato eletto, ai sensi del numero 1), un candidato collegato alla medesima lista, un
numero di voti pari a quello conseguito dal candidato immediatamente successivo per numero di
voti, aumentati dell'unità e comunque non inferiore al venticinque per cento dei voti
validamente espressi nel medesimo collegio, sempreché tale cifra non risulti superiore alla
percentuale ottenuta dal candidato eletto; qualora il candidato eletto sia collegato a più
liste di candidati, la detrazione avviene pro quota in misura proporzionale alla somma dei voti
ottenuti da ciascuna delle liste suddette nell'ambito territoriale del collegio. A tale fine
l'Ufficio centrale circoscrizionale moltiplica il totale dei voti conseguiti nelle singole
sezioni del collegio da ciascuna delle liste collegate per il totale dei voti da detrarre, ai
sensi della disposizione del secondo periodo, alle liste collegate, e divide il prodotto per il
numero complessivo dei voti conseguiti da tali liste nel collegio; il numero dei voti da
detrarre a ciascuna lista è dato dalla parte intera dei quozienti così ottenuti;"; al n. 4),
limitatamente alle parole: "collegati ai sensi dell'articolo 18, comma 1, alla medesima lista",
nonché alle parole: "In caso di collegamento dei candidati con più liste, i candidati entrano a
far parte della graduatoria relativa a ciascuna delle liste con cui è stato dichiarato il
collegamento" e al n. 5): "comunica all'Ufficio centrale nazionale, a mezzo di estratto del
verbale, la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista nonché, ai fini di cui
all'articolo 83, comma 1, n. 2), il totale dei voti validi della circoscrizione ed il totale
dei voti validi ottenuti nella circoscrizione da ciascuna lista.";
Articolo 79, comma 5, limitatamente alle parole: "e delle liste dei candidati"; comma 6,
limitatamente alle parole: "e delle liste dei candidati";
Articolo 81, comma 1, limitatamente alle parole: "e di lista";
Articolo 83;
Articolo 84, comma 1, limitatamente alle parole: "Il presidente dell'Ufficio centrale
circoscrizionale, ricevute da parte dell'Ufficio centrale nazionale le comunicazioni di cui
all'articolo 83, comma 2, proclama eletti, nei limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha
diritto, i candidati compresi nella lista secondo l'ordine progressivo di presentazione. Se
qualcuno tra essi è già stato proclamato eletto ai sensi dell'articolo 77, comma 1, numero 1),
proclama eletti i candidati che seguono nell'ordine progressivo di presentazione. Qualora ad
una lista spettino più posti di quanti siano i suoi candidati,", alle parole: "spettanti alla
lista", nonché alle parole: ", che non risultino già proclamati eletti. Nel caso di graduatorie
relative a più liste collegate con gli stessi candidati nei collegi uninominali, si procede
alla proclamazione degli eletti partendo dalla lista con la cifra elettorale più elevata.
Qualora, al termine delle proclamazioni effettuate ai sensi del terzo e del quarto periodo,
rimangano ancora da attribuire dei seggi ad una lista, il presidente dell'Ufficio centrale
circoscrizionale ne dà comunicazione all'Ufficio centrale nazionale affinché si proceda ai
sensi dell'articolo 83, comma 1, numero 4), ultimo periodo.";
Articolo 85;
Articolo 86, comma 4, limitatamente alle parole: "nella lista", nonché alle parole: "di
lista"; comma 5: "Nel caso in cui una lista abbia già esaurito i propri candidati, si procede
con le modalità di cui all'articolo 84, comma 1, terzo, quarto e quinto periodo.";
giudizio iscritto al n. 115 del registro referendum.
Vista l'ordinanza del 7 dicembre 1999 - integrata da quella del 21 dicembre 1999 - con la
quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato conformi
alle disposizioni di legge le richieste suindicate, disponendone la concentrazione;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;
uditi gli avvocati Beniamino Caravita di Toritto e Federico Sorrentino per i presentatori
Segni Mariotto, Fini Gianfranco e Calderisi Giuseppe, e l'avvocato Giuseppe Morbidelli per i
presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano, De Lucia Michele e Stanzani Sergio.
Ritenuto in fatto
1.- In data 30 aprile 1999, dieci cittadini italiani, documentata la propria qualità di
elettori, dichiaravano nella cancelleria della Corte suprema di cassazione l'intento di
promuovere la raccolta delle firme per la richiesta di referendum popolare abrogativo di
articoli o parti di articoli del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico
delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati) nel testo risultante dalle
successive modificazioni ed integrazioni, apportate, in particolare, dalla legge 4 agosto 1993,
n. 277 (Norme per l'elezione della Camera dei deputati) e dal decreto legislativo 20 dicembre
1993, n. 534 (Modificazioni al testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione della
Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n.
361).
L'annuncio di tale iniziativa veniva pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 101 del 3 maggio
1999.
In data 28 settembre 1999 alcuni dei promotori depositavano presso la detta cancelleria i fogli
contenenti le firme dei sottoscrittori ed i relativi certificati elettorali.
Analoga dichiarazione da parte di altri ventisette cittadini italiani, muniti dei prescritti
certificati elettorali, dell'intento di promuovere la richiesta di referendum abrogativo
concernente la medesima materia veniva raccolta a verbale nella cancelleria della Corte di
cassazione in data 5 giugno 1999. Il relativo annuncio veniva pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 131 del 7 giugno 1999.
In data 9 settembre 1999 alcuni dei promotori di detta richiesta depositavano presso la stessa
cancelleria i fogli contenenti le sottoscrizioni, accompagnati dai certificati elettorali dei
sottoscrittori.
L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, con ordinanza
del 28 ottobre 1999, proponeva la concentrazione tra le due richieste, in quanto inerenti a
materia uniforme; quindi, con ordinanza del 7 dicembre 1999, ampiamente motivata e relativa
anche ad altri quesiti referendari, dichiarava le presenti richieste conformi alle disposizioni
di legge e ne disponeva la concentrazione sul seguente quesito (come riformulato a seguito
della successiva ordinanza dello stesso Ufficio centrale in data 21 dicembre 1999):
"Volete voi che sia abrogato il Testo Unico delle leggi recanti norme per l'elezione della
Camera dei Deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n.
361, nel testo risultante dalle modificazioni ed integrazioni ad esso successivamente apportate
in particolare dalla legge 4 agosto 1993, n. 277, e dal decreto legislativo 20 dicembre 1993,
n. 534, limitatamente alle seguenti parti:
Articolo 1, comma 2, limitatamente alle parole: "La ripartizione dei seggi attribuiti
secondo il metodo proporzionale, a norma degli articoli 77, 83 e 84, si effettua in sede di
Ufficio centrale nazionale."; comma 4, limitatamente alle parole: "in ragione proporzionale
mediante riparto tra liste concorrenti", nonché alla parola: ", 83";
Articolo 4, comma 2, n. 1), limitatamente alle parole: "per l'elezione del candidato nel
collegio uninominale" nonché alle parole: ", comma 1", e n. 2): "un voto per la scelta della
lista ai fini dell'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale, da esprimere su una diversa
scheda recante il contrassegno e l'elenco dei candidati di ciascuna lista. Il numero dei
candidati di ciascuna lista non può essere superiore ad un terzo dei seggi attribuiti in
ragione proporzionale alla circoscrizione con arrotondamento alla unità superiore.";
Articolo 14, comma 1, limitatamente alle parole: "o liste di candidati" e alle parole: "o le
liste medesime nelle singole circoscrizioni"; comma 2, limitatamente alle parole: "le loro
liste con"; comma 3, limitatamente alle parole: ", sia che si riferiscano a candidature nei
collegi uninominali sia che si riferiscano a liste,";
Articolo 16, comma 4, primo periodo, limitatamente alle parole: "e delle liste" e secondo
periodo, limitatamente alle parole: "e delle liste";
Articolo 17, comma 1, limitatamente alle parole: "e della lista dei candidati";
Articolo 18, comma 1, limitatamente alle parole: "i quali si collegano a liste di cui
all'articolo 1, comma 4, cui gli stessi aderiscono con l'accettazione della candidatura. La
dichiarazione di collegamento deve essere accompagnata dall'accettazione scritta del
rappresentante, di cui all'articolo 17, incaricato di effettuare il deposito della lista a cui
il candidato nel collegio uninominale si collega, attestante la conoscenza degli eventuali
collegamenti con altre liste. Nel caso di collegamenti con più liste, questi devono essere i
medesimi in tutti i collegi uninominali in cui è suddivisa la circoscrizione. Nell'ipotesi di
collegamento con più liste, il candidato, nella stessa dichiarazione di collegamento, indica il
contrassegno o i contrassegni che accompagnano il suo nome e il suo cognome sulla scheda
elettorale"; comma 2, limitatamente alle parole: ", nonché la lista o le liste alle quali il
candidato si collega ai fini di cui all'articolo 77, comma 1, n. 2). Qualora il contrassegno o
i contrassegni del candidato nel collegio uninominale siano gli stessi di una lista o di più
liste presentate per l'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale, il collegamento di cui
al presente articolo è effettuato, in ogni caso, d'ufficio dall'Ufficio centrale
circoscrizionale, senza che si tenga conto di dichiarazioni ed accettazioni difformi. Le
istanze di depositanti altra lista avverso il mancato collegamento d'ufficio sono presentate,
entro le ventiquattro ore successive alla scadenza dei termini per la presentazione delle
liste, all'Ufficio centrale nazionale che decide entro le successive ventiquattro ore";
Articolo 18-bis;
Articolo 19;
Articolo 20, comma 1, limitatamente alle parole: "Le liste dei candidati o"; comma 2,
limitatamente alle parole: "le liste dei candidati o", alle parole: "e della lista dei
candidati", nonché alle parole: "; alle candidature nei collegi uninominali deve essere
allegata la dichiarazione di collegamento e la relativa accettazione di cui all'articolo 18";
comma 3, limitatamente alle parole: "l'iscrizione nelle liste elettorali della circoscrizione,
e, per le candidature nei collegi uninominali,"; comma 5, limitatamente alle parole: "di
lista", nonché alle parole: "Le stesse disposizioni si applicano alle candidature nei collegi
uninominali."; comma 6, limitatamente alle parole: "più di una lista di candidati né"; comma
7, limitatamente alle parole: "della lista dei candidati o", nonché alle parole: "la lista o";
e comma 8: "La dichiarazione di presentazione della lista dei candidati deve contenere,
infine, la indicazione di due delegati effettivi e di due supplenti, autorizzati a fare le
designazioni previste dall'articolo 25.";
Articolo 21, comma 2, limitatamente alle parole: "e della lista dei candidati presentata",
nonché alle parole: "e a ciascuna lista";
Articolo 22, comma 1, limitatamente alle parole: "e delle liste dei candidati"; n. 1),
limitatamente alle parole: "e le liste"; n. 2), limitatamente alle parole: "e le liste"; n.
3), limitatamente alle parole: "e le liste" e alle parole: "riduce al limite prescritto le
liste contenenti un numero di candidati superiore a quello stabilito al comma 2 dell'art.
18-bis, cancellando gli ultimi nomi;"; n. 4), limitatamente alle parole: "e cancella dalle
liste i nomi"; n. 5), limitatamente alle parole: "e cancella dalle liste i nomi"; n. 6):
"cancella i nomi dei candidati compresi in altra lista già presentata nella circoscrizione;";
comma 2, limitatamente alle parole: "e di ciascuna lista" e alle parole: "e delle
modificazioni da questo apportate alla lista"; comma 3, limitatamente alle parole: "e delle
liste contestate o modificate";
Articolo 23, comma 1, limitatamente alle parole: "e di lista"; comma 2, limitatamente alle
parole: "di liste o" e alle parole: "e di lista";
Articolo 24, comma 1, n. 1), limitatamente alle parole: "e delle liste"; n. 2),
limitatamente alle parole: "e delle liste", nonché alle parole: "analogamente si procede per la
stampa delle schede e del manifesto delle liste e dei relativi contrassegni;"; n. 3),
limitatamente alle parole: "di lista e"; n. 4), limitatamente alle parole: "e le liste"; n.
5), limitatamente alle parole: "e delle liste";
Articolo 25, comma 1, limitatamente alle parole: "e all'art. 20", nonché alle parole: "o
della lista"; ultimo comma, limitatamente alle parole: "e di lista", alle parole: "e delle
liste dei candidati", alle parole: "e di lista", nonché alle parole: "e delle liste";
Articolo 26, comma 1, limitatamente alle parole: "e di ogni lista di candidati";
Articolo 30, comma 1, n. 4), limitatamente alle parole: "e tre copie del manifesto
contenente le liste dei candidati della circoscrizione", e n. 6), limitatamente alle parole:
"e di lista";
Articolo 31, comma 1, limitatamente alle parole: ", di tipo e colore diverso per i collegi
uninominali e per la circoscrizione", alla parola: ", C", alle parole: "e di tutte le liste",
nonché alle parole: "nella circoscrizione"; comma 2, limitatamente alle parole: "per
l'elezione dei candidati nei collegi uninominali" e alle parole: "Le schede per l'attribuzione
dei seggi in ragione proporzionale riportano accanto ad ogni contrassegno l'elenco dei
candidati della rispettiva lista, nell'ambito degli stessi spazi.";
Articolo 40, comma 3, limitatamente alle parole: "e di lista";
Articolo 41, comma 1, limitatamente alle parole: "e delle liste dei candidati"; comma 2,
limitatamente alle parole: "di liste";
Articolo 42, comma 4, limitatamente alle parole: "e di lista"; comma 7, limitatamente alle
parole: "due copie del manifesto contenente le liste dei candidati nonché";
Articolo 45, comma 8: "Le operazioni di cui ai commi precedenti sono compiute prima per le
schede per l'elezione dei candidati nei collegi uninominali e successivamente per le schede per
l'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale.";
Articolo 48, comma 1, limitatamente alle parole: "delle liste e" e alle parole: "o della
circoscrizione";
Articolo 53, comma 1, limitatamente alle parole: "di lista e";
Articolo 58, comma 1, limitatamente alla parola: "rispettive", nonché alle parole: "per
l'elezione del candidato del collegio uninominale e una scheda per la scelta della lista ai
fini dell'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale"; comma 2, limitatamente alle
parole: "per l'elezione del candidato nel collegio uninominale" nonché alle parole: "e, sulla
scheda per la scelta della lista un solo segno, comunque apposto, nel rettangolo contenente il
contrassegno ed il cognome e nome del candidato o dei candidati corrispondenti alla lista
prescelta"; comma 6: "Le disposizioni di cui ai commi terzo, quarto e quinto si applicano sia
per le schede per l'elezione del candidato nel collegio uninominale sia per le schede per la
scelta della lista ai fini dell'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale.";
Articolo 59, limitatamente alle parole: "Una scheda valida per la scelta della lista
rappresenta un voto di lista." e alle parole: "per l'elezione del candidato nel collegio
uninominale";
Articolo 67, comma 1, n. 2), limitatamente alle parole: "e delle liste dei candidati" e n.
3), limitatamente alla parola: "rispettive";
Articolo 68, comma 1, limitatamente alle parole: "per l'elezione del candidato nel collegio
uninominale"; comma 3: "Compiute le operazioni di scrutinio delle schede per l'elezione dei
candidati nei collegi uninominali, il presidente procede alle operazioni di spoglio delle
schede per l'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale. Uno scrutatore designato mediante
sorteggio estrae successivamente ciascuna scheda dall'urna contenente le schede per
l'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale e la consegna al presidente. Questi enuncia
ad alta voce il contrassegno della lista a cui è stato attribuito il voto. Passa quindi la
scheda ad altro scrutatore il quale, insieme con il segretario, prende nota dei voti di
ciascuna lista."; comma 3-bis: "Il segretario proclama ad alta voce i voti di lista. Un terzo
scrutatore pone le schede, i cui voti sono stati spogliati, nella cassetta o scatola dalla
quale sono state tolte le schede non utilizzate. Quando la scheda non contiene alcuna
espressione di voto, sul retro della scheda stessa viene subito impresso il timbro della
sezione."; comma 7, limitatamente alle parole: "La disposizione si applica sia con riferimento
alle schede scrutinate per l'elezione del candidato nel collegio uninominale sia alle schede
scrutinate per la scelta della lista ai fini dell'attribuzione dei seggi in ragione
proporzionale.";
Articolo 71, comma 1, n. 2), limitatamente alle parole: "dei voti di lista e"; comma 2,
limitatamente alle parole: "o per le singole liste per l'attribuzione dei seggi in ragione
proporzionale";
Articolo 72, comma 2: "Nei plichi di cui al comma precedente devono essere tenute
opportunamente distinte le schede per l'elezione del candidato nel collegio uninominale da
quelle per la scelta della lista ai fini dell'attribuzione dei seggi in ragione
proporzionale."; comma 3, limitatamente alle parole: "e di lista";
Articolo 73, comma 3, limitatamente alle parole: "e di lista";
Articolo 74, comma 1, limitatamente alle parole: "e delle liste"; comma 2, limitatamente
alle parole: "alle liste o";
Articolo 75, comma 1, limitatamente alle parole: "e delle liste";
Articolo 77, comma 1, limitatamente al n. 2): "determina la cifra elettorale
circoscrizionale di ogni lista. Tale cifra è data dalla somma dei voti conseguiti dalla lista
stessa nelle singole sezioni elettorali della circoscrizione, detratto, per ciascun collegio in
cui è stato eletto, ai sensi del numero 1), un candidato collegato alla medesima lista, un
numero di voti pari a quello conseguito dal candidato immediatamente successivo per numero di
voti, aumentati dell'unità e comunque non inferiore al venticinque per cento dei voti
validamente espressi nel medesimo collegio, sempreché tale cifra non risulti superiore alla
percentuale ottenuta dal candidato eletto; qualora il candidato eletto sia collegato a più
liste di candidati, la detrazione avviene pro quota in misura proporzionale alla somma dei voti
ottenuti da ciascuna delle liste suddette nell'ambito territoriale del collegio. A tale fine
l'Ufficio centrale circoscrizionale moltiplica il totale dei voti conseguiti nelle singole
sezioni del collegio da ciascuna delle liste collegate per il totale dei voti da detrarre, ai
sensi della disposizione del secondo periodo, alle liste collegate, e divide il prodotto per il
numero complessivo dei voti conseguiti da tali liste nel collegio; il numero dei voti da
detrarre a ciascuna lista è dato dalla parte intera dei quozienti così ottenuti;"; al n. 4),
limitatamente alle parole: "collegati ai sensi dell'articolo 18, comma 1, alla medesima lista",
nonché alle parole: "In caso di collegamento dei candidati con più liste, i candidati entrano a
far parte della graduatoria relativa a ciascuna delle liste con cui è stato dichiarato il
collegamento", e al n. 5): "comunica all'Ufficio centrale nazionale, a mezzo di estratto del
verbale, la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista nonché, ai fini di cui
all'articolo 83, comma 1, n. 2), il totale dei voti validi della circoscrizione ed il totale
dei voti validi ottenuti nella circoscrizione da ciascuna lista.";
Articolo 79, comma 5, limitatamente alle parole: "e delle liste dei candidati"; comma 6,
limitatamente alle parole: "e delle liste dei candidati";
Articolo 81, comma 1, limitatamente alle parole: "e di lista";
Articolo 83;
Articolo 84, comma 1, limitatamente alle parole: "Il presidente dell'Ufficio centrale
circoscrizionale, ricevute da parte dell'Ufficio centrale nazionale le comunicazioni di cui
all'articolo 83, comma 2, proclama eletti, nei limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha
diritto, i candidati compresi nella lista secondo l'ordine progressivo di presentazione. Se
qualcuno tra essi è già stato proclamato eletto ai sensi dell'articolo 77, comma 1, numero 1),
proclama eletti i candidati che seguono nell'ordine progressivo di presentazione. Qualora ad
una lista spettino più posti di quanti siano i suoi candidati,", alle parole: "spettanti alla
lista", nonché alle parole: ", che non risultino già proclamati eletti. Nel caso di graduatorie
relative a più liste collegate con gli stessi candidati nei collegi uninominali, si procede
alla proclamazione degli eletti partendo dalla lista con la cifra elettorale più elevata.
Qualora, al termine delle proclamazioni effettuate ai sensi del terzo e del quarto periodo,
rimangano ancora da attribuire dei seggi ad una lista, il presidente dell'Ufficio centrale
circoscrizionale ne dà comunicazione all'Ufficio centrale nazionale affinché si proceda ai
sensi dell'articolo 83, comma 1, numero 4), ultimo periodo.";
Articolo 85;
Articolo 86, comma 4, limitatamente alle parole: "nella lista", nonché alle parole: "di
lista"; comma 5: "Nel caso in cui una lista abbia già esaurito i propri candidati, si procede
con le modalità di cui all'articolo 84, comma 1, terzo, quarto e quinto periodo."?"
Con la predetta ordinanza del 7 dicembre 1999, veniva attribuita al referendum in oggetto la
seguente denominazione: "Elezione della Camera dei deputati: abolizione del voto di lista per
l'attribuzione con metodo proporzionale del 25% dei seggi".
L'ordinanza veniva comunicata e notificata a norma dell'art. 13 della legge 25 maggio 1970, n.
352.
2.- Ricevuta l'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato per la camera di consiglio
la data del 13 gennaio 2000, della quale è stata data regolare comunicazione, ai sensi
dell'art. 33, secondo comma, della predetta legge n. 352 del 1970.
3. - Nel procedimento innanzi alla Corte si sono costituiti, in data 28 dicembre 1999, gli
onorevoli Mariotto Segni, Gianfranco Fini e Giuseppe Calderisi, promotori del referendum in
esame, depositando, in qualità di promotori e presentatori del referendum, una memoria con la
quale ribadiscono l'ammissibilità del quesito proposto, e ricordano che l'Ufficio centrale per
il referendum presso la Suprema Corte di cassazione si è già pronunciato, con l'ordinanza del
13 dicembre 1999, nel senso della riproponibilità entro il quinquennio di un quesito che non
abbia raggiunto il quorum dei votanti, non residuando, pertanto - si osserva nella memoria -,
alcuno spazio per ulteriori valutazioni al riguardo.
In data 30 dicembre 1999, si sono altresì costituiti Daniele Capezzone, Marco Cappato e Sergio
Stanzani, dichiaratisi promotori e presentatori del referendum, i quali hanno chiesto di
essere uditi in camera di consiglio, ed hanno concluso per l'ammissibilità della richiesta,
sottolineando che il quesito proposto è identico a quello già esaminato e dichiarato
ammissibile dalla Corte con la sentenza n. 13 del 1999, e in relazione al quale, nella
precedente consultazione referendaria del 18 aprile 1999, non fu raggiunto il quorum dei
votanti richiesto dall'art. 75, quarto comma, della Costituzione.
4.- Il giorno 8 gennaio 2000, nell'imminenza della data fissata per la camera di consiglio,
Daniele Capezzone, Mariano Giustino e Michele De Lucia hanno depositato una nuova memoria-atto
di costituzione, nella qualità di "presentatori" del referendum, come previsto dall'art. 33
della legge n. 352 del 1970, ribadendo, altresì, le proprie conclusioni in ordine
all'ammissibilità del quesito referendario in oggetto, nonché la propria richiesta di essere
uditi in camera di consiglio.
5.- Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000, i rappresentanti dei predetti presentatori
hanno illustrato ulteriormente le ragioni dell'ammissibilità della richiesta di referendum.
6.- Successivamente, in data 19 gennaio 2000, largamente fuori termine - pertanto non
suscettibile di essere presa in considerazione - è stata depositata, dall'Avvocato Gustavo
Schiavello, in proprio, quale cittadino italiano iscritto nelle liste elettorali del Comune di
Roma, e nella asserita qualità di legale rappresentante del "Comitato per la democrazia
pluralista", una memoria per contestare la validità della proposta referendaria in questione.
Considerato in diritto
1.- Le richieste di referendum abrogativo - concentrate in unico quesito - sulla cui
ammissibilità questa Corte è chiamata a pronunciarsi riguardano alcuni articoli e parti di
articoli (indicati in epigrafe) del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico
delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati) nel testo risultante dalle
successive modificazioni ed integrazioni, apportate, in particolare, dalla legge 4 agosto 1993,
n. 277 (Norme per l'elezione della Camera dei deputati) e dal decreto legislativo 20 dicembre
1993, n. 534 (Modificazioni al testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione della
Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n.
361).
Al referendum è stata data dall'ordinanza 7 dicembre 1999 dell'Ufficio centrale presso la
Corte di cassazione la denominazione: "Elezione della Camera dei Deputati, abolizione del voto
di lista per l'attribuzione con metodo proporzionale del 25% dei seggi".
2.- Il quesito in esame è identico a quello già oggetto di pronuncia di ammissibilità della
richiesta di referendum con sentenza 28 gennaio 1999 n. 13, mentre non sussistono motivi per
discostarsi da detta pronuncia.
Pertanto, ai fini dell'ammissibilità, è sufficiente il richiamo alla predetta sentenza n. 13
del 1999 e ai principi, cui la sentenza stessa fa rinvio, quali individuati più volte dalla
Corte, relativi ai requisiti di matrice unitaria e di omogeneità dei quesiti referendari
(sentenze n. 26 del 1997; n. 47 del 1991 e n. 16 del 1978) e alle caratteristiche proprie della
materia elettorale (sentenza n. 429 del 1995; v. anche sentenza n. 107 del 1996), con
riferimento in particolare alla esigenza di poter disporre, in ogni tempo, di una normativa
operante (sentenza n. 26 del 1997; n. 32 del 1993 e n. 29 del 1987) e al dettato del testo
della Costituzione quale risulta dalla votazione finale 27 dicembre 1947 e dalla promulgazione
(sentenza n. 47 del 1991).
3.- Anche in questa occasione si può, altresì, escludere che il referendum in esame abbia
carattere surrettiziamente propositivo. Esso, infatti, abrogando parzialmente la disciplina
stabilita dal legislatore, per ciò che attiene alla ripartizione del 25% dei seggi, non la
sostituisce con un'altra disciplina assolutamente diversa ed estranea al contesto normativo -
disciplina che il quesito ed il corpo elettorale, si sottolinea ancora una volta, non possono
creare ex novo né direttamente costruire (sentenza n. 36 del 1997) -, "ma utilizza un criterio
specificamente esistente (sia pure residuale) e rimasto in via di normale applicazione nella
specifica parte di risulta della legge oggetto del referendum (art. 77, numero 3)" (sentenza
n. 13 del 1999).
In definitiva, caducati, come effetto della proposta abrogazione referendaria, le liste, il
voto di lista e la ripartizione del 25% dei seggi secondo il metodo proporzionale collegato
alle liste stesse, rimarrebbe, con il contenuto prescrittivo proprio, il criterio per
l'attribuzione dei seggi in base alla cifra individuale di ogni candidato, criterio che
continuerebbe ad applicarsi con le modalità consentite dal sistema residuo (sentenza n. 13 del
1999).
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibili le richieste di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti
indicate in epigrafe, del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361
(Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei
deputati), nel testo risultante dalle successive modificazioni ed integrazioni, apportate in
particolare dalla legge 4 agosto 1993, n. 277 (Norme per l'elezione della Camera dei deputati)
e dal decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 534 (Modificazioni al testo unico delle leggi
recanti norme per l'elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente
della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361), richieste dichiarate conformi a legge e concentrate in
un unico quesito con le ordinanze dell'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di
cassazione 7 e 21 dicembre 1999.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3
febbraio 2000
F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente
Riccardo CHIEPPA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata il 7 febbraio 2000
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
SENTENZA N.41
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI Giudice
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Avv. Massimo VARI "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Prof. Annibale MARINI "
- Dott. Franco BILE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge
costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, delle richieste di referendum popolare per
l'abrogazione della legge 3 giugno 1999, n. 157, recante "Nuove norme in materia di
rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie e abrogazione delle
disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti
politici", limitatamente agli articoli 1, 2 e 3; giudizio iscritto al n. 114 del
registro referendum.
Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il
referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato conformi a legge le
richieste;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Gustavo
Zagrebelsky;
udito l'avvocato Achille Chiappetti per i presentatori Daniele Capezzone e altri e
Gianfranco Fini e altri.
Ritenuto in fatto
1. - L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione,
in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modifiche e
integrazioni, esaminate due richieste di referendum popolare - presentate,
rispettivamente, il 9 settembre 1999 da Gianfranco Fini e altri ventidue cittadini
elettori e il 28 settembre 1999 da Rita Bernardini e altri sette cittadini elettori
- concernenti l'abrogazione parziale della legge 3 giugno 1999, n. 157, ha
verificato la regolarità delle richieste e, con ordinanza del 7-13 dicembre 1999, ne
ha dichiarato la legittimità, disponendone la concentrazione e stabilendo la
seguente denominazione del referendum: "Rimborso delle spese per consultazioni
elettorali e referendarie: Abrogazione".
Le richieste di referendum hanno per oggetto il seguente quesito: "Volete voi che
sia abrogata la legge 3 giugno 1999, n. 157 recante "Nuove norme in materia di
rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie e abrogazione delle
disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti
politici", limitatamente agli articoli 1, 2 e 3 ?".
2. - Ricevuta comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale, il Presidente di
questa Corte ha fissato, per la conseguente deliberazione, la camera di consiglio
del 13 gennaio 2000, dandone comunicazione ai presentatori delle richieste di
referendum e al Presidente del Consiglio dei ministri, a norma dell'art. 33, secondo
comma, della legge n. 352 del 1970.
3. - Nell'imminenza della camera di consiglio i presentatori delle due richieste di
referendum hanno depositato due memorie, di identico contenuto, sostenendo che il
quesito referendario si presenta chiaro e omogeneo, corrispondente all'effetto
abrogativo che ne deriverebbe in caso di esito positivo della consultazione:
eliminare i rimborsi pubblici per le spese elettorali e referendarie dei movimenti e
partiti politici, sì che essi sostengano le spese solo con mezzi propri o giovandosi
di erogazioni liberali private. I presentatori sottolineano inoltre che l'oggetto
del quesito è completo e unitario, e che nessuna incidenza possono avere i rinvii ad
altre fonti normative contenuti nell'art. 2 della legge n. 157 del 1999, trattandosi
di mere disposizioni di richiamo destinate a rimanere inoperanti una volta abrogato
l'istituto del rimborso stesso. Del resto, rilevano le memorie, norme analoghe di
contribuzione pubblica ai partiti politici sono state già oggetto in passato di due
richieste referendarie, entrambe dichiarate ammissibili (sentenze nn. 16 del 1978 e
30 del 1993); nessuna preclusione all'ammissibilità del referendum sussiste dunque,
concludono i presentatori.
4. - Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 è stato ascoltato, in
rappresentanza dei presentatori, l'avvocato Achille Chiappetti che ha ribadito gli
argomenti a favore dell'ammissibilità delle richieste referendarie.
Considerato in diritto
Le richieste di referendum abrogativo oggetto di esame sono dirette all'abrogazione
degli artt. 1, 2 e 3 della legge 3 giugno 1999, n. 157 (Nuove norme in materia di
rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie e abrogazione delle
disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti
politici). Le disposizioni indicate (artt. 1 e 2) contengono la disciplina del
rimborso per le spese elettorali sostenute da movimenti o partiti politici nelle
campagne per il rinnovo del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, del
Parlamento europeo e dei consigli regionali, nonché del rimborso delle spese
sostenute dai comitati promotori di referendum abrogativi e prescrivono (art. 3) la
destinazione di una quota parte delle somme ricevute alla promozione della
partecipazione politica delle donne. La restante parte della legge, non sottoposta
alle richieste di referendum abrogativo, contiene la previsione di agevolazioni per
le erogazioni liberali a favore di partiti e movimenti politici, nonché norme
transitorie per regolare le situazioni pendenti formatesi sotto la precedente legge
2 gennaio 1997, n. 2, e relative norme di copertura finanziaria.
Le disposizioni degli artt. 1, 2 e 3 costituiscono dunque un corpo normativo
omogeneo, all'interno della legge che li contiene, e si prestano quindi a essere
investite dalle richieste di referendum abrogativo parziale, la cui ammissibilità
risulta dall'inesistenza di limiti e impedimenti costituzionali - derivanti
esplicitamente dall'art. 75 della Costituzione o implicitamente dal sistema
costituzionale di cui esso fa parte - invocabili nella specie.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibili le richieste di referendum popolare per l'abrogazione degli
artt. 1, 2 e 3 della legge 3 giugno 1999, n. 157 (Nuove norme in materia di rimborso
delle spese per consultazioni elettorali e referendarie e abrogazione delle
disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti
politici), dichiarate legittime e concentrate in un unico quesito, con ordinanza del
7-13 dicembre 1999, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la
Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 3 febbraio 2000
F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata il 7 febbraio 2000
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
SENTENZA N.42
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI Giudice
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Avv. Massimo VARI "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Prof. Annibale MARINI "
- Dott. Franco BILE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di
referendum popolare per l'abrogazione del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, recante "Ordinamento giudiziario", e successive
modificazioni - ed in particolare di quelle recate dall'art. 29 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449 - , limitatamente a:
- articolo 190, comma 2: "Il passaggio dei magistrati dalle funzioni giudicanti alle requirenti e da queste a quelle può essere disposto,
a domanda dell'interessato, solo quando il Consiglio superiore della magistratura, previo parere del consiglio giudiziario, abbia
accertato la sussistenza di attitudini alla nuova funzione.";
- articolo 191;
- articolo 192, comma 6, limitatamente alle parole: ", salvo che per tale passaggio esista il parere favorevole del Consiglio superiore
della magistratura";
- articolo 198, limitatamente alle parole: "Tali destinazioni possono avvenire, a giudizio del Ministro, tanto con le funzioni giudicanti,
quanto con quelle requirenti, indipendentemente dalla qualifica posseduta dal magistrato.";
giudizio iscritto al n. 119 del registro referendum.
Viste l'ordinanza del 7 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato
conforme a legge la richiesta, e la successiva ordinanza di correzione di errore materiale del 21 dicembre 1999;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Valerio Onida;
uditi gli avvocati Federico Sorrentino e Giuseppe Frigo per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De Lucia
Michele e per i promotori Cappato Marco e Della Vedova Benedetto.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 7-13 dicembre 1999 l'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ha
dichiarato legittima la richiesta di referendum, presentata da oltre 500.000 elettori, sul seguente quesito:
"Volete voi che sia abrogato il r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, recante "Ordinamento giudiziario", e successive modificazioni, ed in
particolare l'art. 29 d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449, limitatamente a:
- articolo 190, comma 2: "Il passaggio dei magistrati dalle funzioni giudicanti alle requirenti e da queste a quelle può essere disposto,
a domanda dell'interessato, solo quando il Consiglio superiore della magistratura, previo parere del consiglio giudiziario, abbia
accertato la sussistenza di attitudini alla nuova funzione.";
- articolo 191;
- articolo 192, comma 6, limitatamente alle parole: ", salvo che per tale passaggio esista il parere favorevole del Consiglio superiore
della magistratura";
- articolo 198, limitatamente alle parole: "Tali destinazioni possono avvenire, a giudizio del Ministro, tanto con le funzioni giudicanti,
quanto con quelle requirenti, indipendentemente dalla qualifica posseduta dal magistrato."?".
Al quesito l'Ufficio centrale ha attribuito il seguente titolo: "Ordinamento giudiziario: separazione delle carriere dei magistrati
giudicanti e requirenti".
2.- Ricevuta comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale, il Presidente di questa Corte ha fissato per la conseguente
deliberazione la camera di consiglio del 13 gennaio 2000, disponendo che ne fosse data comunicazione ai presentatori della
richiesta e al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352.
Si sono avvalsi della facoltà di presentare memorie, ai sensi dell'art. 33, terzo comma, della legge n. 352 del 1970, solo i
presentatori della richiesta, chiedendo che il quesito sia dichiarato ammissibile.
Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 i difensori dei presentatori hanno illustrato la loro memoria, insistendo per la
dichiarazione di ammissibilità della richiesta.
Considerato in diritto
1.- La richiesta di referendum investe quattro disposizioni dell'ordinamento giudiziario di cui al r.d. n. 12 del 1941, e precisamente:
a) il comma 2 dell'art. 190 (Passaggio dalle funzioni requirenti alle giudicanti e viceversa), che, nel testo sostituito dall'art. 29
del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449 (Approvazione delle norme per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario al nuovo processo
penale ed a quello a carico degli imputati minorenni), facendo seguito all'affermazione del comma 1 secondo cui "la magistratura,
unificata nel concorso di ammissione, nel tirocinio e nel ruolo di anzianità, è distinta relativamente alle funzioni giudicanti e
requirenti", stabilisce che il passaggio dalle funzioni giudicanti alle requirenti o viceversa "può essere disposto, a domanda
dell'interessato, solo quando il Consiglio superiore della magistratura, previo parere del consiglio giudiziario, abbia accertato la
sussistenza di attitudini alla nuova funzione". Può ricordarsi che il testo originario dell'art. 190 disciplinava a sua volta il passaggio
dei magistrati dalle funzioni requirenti alle giudicanti o da queste a quelle, a domanda dell'interessato o per esigenze di servizio,
sottoponendo tale passaggio, durante la permanenza del magistrato nel medesimo grado, ad alcune condizioni procedurali, in
particolare al parere conforme del Consiglio superiore della magistratura (allora organo consultivo), e ad alcuni limiti sostanziali, fra
cui, nel caso di passaggio dalle funzioni giudicanti alle requirenti, la sussistenza di "speciali attitudini alle funzioni del pubblico
ministero" (quinto comma);
b) l'intero articolo 191 (Anzianità in caso di cambio di funzioni), il quale dispone che "i magistrati che, per la speciale loro
idoneità alle funzioni requirenti, ottengono la promozione nel pubblico ministero con anticipazione sui loro colleghi parimenti
classificati promossi nella magistratura giudicante, se successivamente fanno passaggio alle funzioni giudicanti, perdono l'anzianità
derivante dalla promozione anticipata ed è ad essi attribuita quella che sarebbe loro spettata se fossero stati promossi nella
magistratura giudicante. Se non è giunto il loro turno per tale promozione, essi non possono ottenere che il richiamo alle funzioni e
al grado anteriore alla promozione, ferma in ogni caso la classifica per effetto della quale conseguirono l'anticipata promozione";
c) un inciso contenuto nel sesto comma dell'articolo 192 (Assegnazione delle sedi per tramutamento), il cui testo recita: "Non
sono ammesse domande di tramutamento con passaggio dalle funzioni giudicanti alle requirenti o viceversa, salvo che per tale
passaggio esista il parere favorevole del consiglio superiore della magistratura". Il quesito propone l'abrogazione del solo inciso
"salvo che per tale passaggio esista il parere favorevole del consiglio superiore della magistratura", tendendo dunque a lasciare in
vita un disposto che si limiti a sancire la non ammissione di domande di tramutamento con passaggio dalle une alle altre funzioni;
d) il secondo periodo dell'art. 198 (Ricollocamento in ruolo di magistrati già destinati al Ministero): l'articolo prevede che "i
magistrati addetti con funzioni amministrative al Ministero di grazia e giustizia possono, anche di ufficio, essere ricollocati nel ruolo
organico della magistratura e destinati agli uffici giudiziari per esercitarvi le funzioni del loro grado"; il secondo periodo, del quale si
chiede l'abrogazione, prosegue stabilendo che "tali destinazioni possono avvenire, a giudizio del Ministro, tanto con le funzioni
giudicanti, quanto con quelle requirenti, indipendentemente dalla qualifica posseduta dal magistrato".
2.- Le disposizioni oggetto del quesito sono del tutto estranee alle categorie di leggi per le quali l'art. 75, secondo comma, della
Costituzione preclude il ricorso all'abrogazione referendaria: onde, sotto questo profilo, non sussistono ostacoli all'ammissibilità del
quesito.
3.- La proposta di abrogazione concerne, come si è visto, alcune disposizioni o parti di disposizioni, in tema di passaggio dei
magistrati dalle funzioni giudicanti alle requirenti o da queste a quelle, che disciplinano tale passaggio, in particolare in sede di
"tramutamento" a domanda, stabilendone modalità e condizioni; l'art. 191 dell'ordinamento giudiziario, di cui si chiede l'abrogazione
totale, a sua volta disciplina un aspetto particolare, concernente l'ordine di anzianità dei magistrati nel ruolo, nei casi di passaggio
alle funzioni giudicanti di magistrato già promosso anticipatamente nella magistratura requirente. Si può pertanto riconoscere nel
quesito - in base ai criteri adottati nella pregressa giurisprudenza di questa Corte (ad esempio, sentenze n. 41 del 1997, n. 13 del
1999) - un carattere effettivamente abrogativo e non "introduttivo". Parimenti si può convenire sulla sussistenza di una "matrice
razionalmente unitaria" che caratterizza il quesito, consentendo di ritenerlo conforme, sotto questo aspetto, alla logica del
referendum abrogativo come "strumento di genuina manifestazione della sovranità popolare" (cfr. sentenza n. 16 del 1978).
4.- Ciò non significa, peraltro, che l'eventuale abrogazione, che discenderebbe dalla approvazione del quesito referendario, appaia
in grado di realizzare, tanto meno in modo esaustivo, un ordinamento caratterizzato da una vera e propria "separazione delle
carriere" dei magistrati addetti alle funzioni giudicanti e rispettivamente a quelle requirenti, obiettivo, questo, che richiederebbe una
nuova organica disciplina, suscettibile di essere introdotta solo attraverso una complessa operazione legislativa, e non attraverso la
semplice abrogazione di alcune disposizioni vigenti. A questo riguardo, la Corte non può non rilevare che il titolo attribuito al quesito
dall'Ufficio centrale per il referendum - "Ordinamento giudiziario: separazione delle carriere dei magistrati giudicanti e requirenti"
- appare non del tutto adeguato, e in sostanza eccedente, rispetto alla oggettiva portata delle abrogazioni proposte, concernenti
piuttosto, come si è detto, l'attuale disciplina sostanziale e procedimentale dei passaggi dall'una all'altra funzione in occasione dei
trasferimenti dei magistrati a domanda.
Restano, in particolare, di per sé estranei al quesito il tema dei criteri per la iniziale assegnazione del magistrato, vincitore dell'unico
concorso, e a seguito dell'unico tirocinio, alle une o alle altre funzioni, nonché quello delle assegnazioni di funzioni che avvengano,
nei casi in cui ciò è consentito, d'ufficio (cfr., ad esempio, artt. 4 e 5 della legge 25 luglio 1966, n. 570, sulla destinazione dei
magistrati di Corte d'appello e rispettivamente sul conferimento a detti magistrati di uffici direttivi; art. 10 della legge 20 dicembre
1973, n. 831, sul conferimento delle funzioni di magistrato di Cassazione; art. 19 della stessa legge, sul conferimento degli uffici
direttivi superiori; art. 37, comma 4, del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, sulla destinazione d'ufficio dei magistrati già
titolari dei posti soppressi a seguito della istituzione del giudice unico di primo grado: ancorché poi il comma 5 stabilisca che le
eventuali nuove destinazioni "sono considerate come trasferimenti a domanda a tutti gli effetti"; artt. 2 e 21, sesto comma, del r.d.l.
31 maggio 1946, n. 511, sui trasferimenti d'ufficio disposti, rispettivamente, per incompatibilità o per soppressione di posti, e con
provvedimento disciplinare).
Tuttavia è la descritta portata oggettiva del quesito, e non già la corrispondenza ad essa del titolo attribuito, che costituisce
elemento decisivo per ritenere, da tale punto di vista, la ammissibilità della richiesta di referendum: ancorché debba auspicarsi -
nell'ambito della tante volte invocata revisione della legge di attuazione del referendum - un'attenta considerazione anche di
siffatti aspetti.
5.- Non può dirsi che il quesito investa disposizioni il cui contenuto normativo essenziale sia costituzionalmente vincolato, così da
violare sostanzialmente il divieto di sottoporre a referendum abrogativo norme della Costituzione o di altre leggi costituzionali (cfr.
ancora sentenza n. 16 del 1978, nonché, da ultimo, ad esempio, sentenze n. 18 e n. 19 del 1997). La Costituzione, infatti, pur
considerando la magistratura come un unico "ordine", soggetto ai poteri dell'unico Consiglio superiore (art. 104), non contiene alcun
principio che imponga o al contrario precluda la configurazione di una carriera unica o di carriere separate fra i magistrati addetti
rispettivamente alle funzioni giudicanti e a quelle requirenti, o che impedisca di limitare o di condizionare più o meno severamente il
passaggio dello stesso magistrato, nel corso della sua carriera, dalle une alle altre funzioni. Mentre ogni altra considerazione, pur
attendibile, sull'esigenza che, a seguito dell'eventuale abrogazione referendaria, si pongano in essere gli interventi legislativi
necessari per rivedere organicamente la normativa "di risulta", eliminandone disarmonie o incongruità eventualmente discendenti
dalla parzialità dell'intervento abrogativo o dall'assenza di discipline transitorie e conseguenziali, non è tale da pregiudicare
l'ammissibilità del referendum.
6.- Non ostandovi alcuna ragione di ordine costituzionale, la richiesta di referendum deve dunque essere giudicata ammissibile.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione delle seguenti disposizioni o parti di disposizioni del
regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), e successive modificazioni: articolo 190, comma 2: "Il passaggio dei
magistrati dalle funzioni giudicanti alle requirenti e da queste a quelle può essere disposto, a domanda dell'interessato, solo quando
il Consiglio superiore della magistratura, previo parere del consiglio giudiziario, abbia accertato la sussistenza di attitudini alla nuova
funzione"; articolo 191; articolo 192, sesto comma, limitatamente alle parole ", salvo che per tale passaggio esista il parere
favorevole del Consiglio superiore della magistratura"; articolo 198, limitatamente alle parole "Tali destinazioni possono avvenire, a
giudizio del Ministro, tanto con le funzioni giudicanti, quanto con quelle requirenti, indipendentemente dalla qualifica posseduta dal
magistrato."; richiesta dichiarata legittima dall'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, con
l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il il 3 febbraio 2000
F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente
Valerio ONIDA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata il 7 febbraio 2000
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
SENTENZA
N.43
ANNO
2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI Giudice
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Prof. Annibale MARINI "
- Dott. Franco BILE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'articolo 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, numero 1, della
richiesta di referendum popolare per l'abrogazione del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, recante "Conferimento alle
regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell'articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n.
59", limitatamente a: articolo 10, comma 3: "I soggetti di cui al comma 2 debbono avere quale oggetto sociale esclusivo l'attività di
mediazione tra domanda e offerta di lavoro."; comma 7, limitatamente alle parole: "devono: a) disporre di uffici idonei nonché di
operatori con competenze professionali idonee allo svolgimento dell'attività di selezione di manodopera; l'idoneità delle competenze
professionali è comprovata da esperienze lavorative relative, anche in via alternativa, alla gestione, all'orientamento, alla selezione
e alla formazione del personale almeno biennale; b) avere amministratori, direttori generali,
dirigenti muniti di rappresentanza e soci accomandatari, in possesso di titoli di studio adeguati ovvero di comprovata esperienza nel
campo della gestione, selezione e formazione del personale della durata di almeno tre anni. Tali soggetti"; comma 10: "Nei
confronti dei prestatori di lavoro l'attività di mediazione deve essere esercitata a titolo gratuito."; comma 12, lett. b), limitatamente
alle parole: "e 10", giudizio iscritto al n. 121 del registro referendum.
Vista l'ordinanza depositata il 13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha
dichiarato legittima la richiesta;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;
uditi gli avvocati Edoardo Ghera per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De Lucia Michele e l'avvocato
Piergiovanni Alleva per la Federazione dei Verdi ed altri, Comitato per le libertà e i diritti sociali e Partito della Rifondazione
Comunista.
Ritenuto in fatto
1. - L'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n.
352, e successive modificazioni, ha esaminato la richiesta di referendum popolare - presentata l'8 marzo 1999 da quattordici
cittadini italiani e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, serie generale, n. 57 del 10 marzo 1999 - sul seguente
quesito: "Volete voi che sia abrogato il D.Lgs. 23 dicembre 1997, n. 469, recante "Conferimento alle regioni e agli enti locali di
funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell'articolo 1 della L. 15 marzo 1997, n. 59", e successive
modificazioni, limitatamente a: articolo 10, comma 3: "I soggetti di cui al comma 2 debbono avere quale oggetto sociale esclusivo
l'attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro."; comma 7, limitatamente alle parole: "devono: a) disporre di uffici idonei
nonché di operatori con competenze professionali idonee allo svolgimento dell'attività di selezione di manodopera; l'idoneità delle
competenze professionali è comprovata da esperienze lavorative relative, anche in via alternativa, alla gestione, all'orientamento,
alla selezione e alla formazione del personale almeno biennale; b) avere amministratori, direttori generali, dirigenti muniti di
rappresentanza e soci accomandatari, in possesso di titoli di studio adeguati ovvero di comprovata esperienza nel campo della
gestione, selezione e formazione del personale della durata di almeno tre anni. Tali soggetti"; comma 10: "Nei confronti dei
prestatori di lavoro l'attività di mediazione deve essere esercitata a titolo gratuito."; comma 12, lett. b), limitatamente alle parole: "e
10"?".
2. - Con ordinanza depositata in data 13 dicembre 1999, l'Ufficio centrale per il referendum ha rilevato che nel quesito in
questione non sono specificate le "successive modificazioni" dei testi delle norme indicate e che esse non risultano essere
intervenute.
La richiesta di referendum è stata, quindi, dichiarata legittima sul seguente quesito, così riformulato:
"Volete voi che sia abrogato il D.Lgs. 23 dicembre 1997, n. 469, recante "Conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e
compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell'articolo 1 della l. 15 marzo 1997, n. 59", limitatamente a: art. 10, comma 3: "I
soggetti di cui al comma 2 debbono avere quale oggetto sociale esclusivo l'attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro.";
comma 7, limitatamente alle parole: "devono: a) disporre di uffici idonei nonché di operatori con competenze professionali idonee
allo svolgimento dell'attività di selezione di manodopera; l'idoneità delle competenze professionali è comprovata da esperienze
lavorative relative, anche in via alternativa, alla gestione, all'orientamento, alla selezione e alla formazione del personale almeno
biennale; b) avere amministratori, direttori generali, dirigenti muniti di rappresentanza e soci accomandatari, in possesso di titoli di
studio adeguati ovvero di comprovata esperienza nel campo della gestione, selezione e formazione del personale della durata di
almeno tre anni. Tali soggetti"; comma 10: "Nei confronti dei prestatori di lavoro l'attività di mediazione deve essere esercitata a
titolo gratuito."; comma 12, lett. b), limitatamente alle parole: "e 10"?".
L'Ufficio centrale ha infine stabilito che la denominazione del referendum in questione sia: "Collocamento al lavoro:
liberalizzazione".
3. - Ricevuta comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale per il referendum, il Presidente ha convocato questa Corte in
camera di consiglio per il 13 gennaio 2000, dandone comunicazione ai presentatori della richiesta referendaria ed al Presidente del
Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970.
I presentatori, avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 33, terzo comma, della citata legge, hanno depositato in data 7 gennaio
2000 una memoria per ribadire l'ammissibilità della richiesta.
Essi sostengono innanzitutto che le disposizioni oggetto della richiesta di abrogazione verterebbero su materie del tutto diverse da
quelle per le quali l'art. 75, secondo comma, della Costituzione esclude la possibilità di ricorso al referendum. In particolare, per
ciò che attiene al profilo della gratuità dell'attività di mediazione nei confronti dei prestatori di lavoro, la Convenzione
dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) n. 88 del 9 luglio 1948, ratificata dall'Italia a seguito della legge 30 luglio 1952,
n. 1089 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione n. 88, concernente l'organizzazione del servizio d'impiego, adottata a San
Francisco dalla Conferenza generale della Organizzazione internazionale del lavoro, il 9 luglio 1948), riguarderebbe il solo servizio
pubblico di collocamento e solo in riferimento a questo prevederebbe la gratuità dell'attività svolta a favore dei lavoratori, mentre la
richiesta di referendum in questione avrebbe ad oggetto la disciplina del collocamento privato, del quale non sarebbe affatto
vietato l'esercizio a titolo oneroso.
Né un ostacolo all'ammissibilità del referendum, sempre per il profilo della gratuità dell'attività di mediazione per i prestatori di
lavoro, potrebbe desumersi, ad avviso dei promotori, dalla Convenzione OIL n. 181 del 19 giugno 1997, in tema di Agenzie private
di collocamento, poiché la stessa non sarebbe stata ancora ratificata dall'Italia, riconoscerebbe, in ogni caso, il ruolo decisivo delle
agenzie private nel funzionamento del mercato del lavoro, e non escluderebbe, pur ribadendo il principio della gratuità, all'art. 7,
comma 2, eventuali costi della mediazione a carico dei lavoratori, a differenza di quanto avrebbe fatto il legislatore italiano ponendo
il divieto senza eccezioni oggetto del quesito referendario.
Quanto ai criteri di ammissibilità elaborati dalla giurisprudenza costituzionale, i presentatori rilevano che il quesito stesso avrebbe
natura meramente abrogativa, in quanto investirebbe specifiche disposizioni e sarebbe formulato senza far ricorso a tecniche
manipolative, ed ancora che la disciplina di cui si chiede l'abrogazione non avrebbe carattere costituzionalmente vincolato, dal
momento che la regolamentazione del collocamento non sarebbe prevista in Costituzione e sarebbe rimessa alla discrezionalità del
legislatore.
Il quesito, infine, risponderebbe anche ai criteri di omogeneità, chiarezza ed univocità, essendo evidenti la finalità intrinseca della
richiesta referendaria, di abrogare determinati vincoli posti a carico delle agenzie private di collocamento, l'intima connessione delle
disposizioni da abrogare, tutte volte a porre limitazioni, e l'effetto dell'eventuale accoglimento della richiesta, abrogativo di tali
limitazioni.
4. - Hanno depositato memorie e chiesto di poterle illustrare, per sostenere l'inammissibilità del quesito, il Comitato per le libertà
e i diritti sociali, il Partito della Rifondazione comunista, la Federazione dei Verdi, l'Associazione nazionale per la sinistra, e Alfiero
Grandi nella sua qualità di Responsabile lavoro dei D.S. (Democratici di sinistra).
5. - Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 sono stati ascoltati l'avv. Edoardo Ghera per i promotori e l'avv. Piergiovanni
Alleva per i soggetti indicati al precedente punto 4.
Considerato in diritto
1. - Questa Corte, sciogliendo la riserva formulata nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000, dichiara rituali, per le ragioni
esposte nella sentenza n. 31 del 2000, anche le memorie depositate e illustrate oralmente da soggetti diversi dai presentatori.
2. - La richiesta di referendum abrogativo, sulla cui ammissibilità la Corte è chiamata a pronunciarsi, investe l'articolo 10 del
decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, che regola l'attività privata di mediazione tra domanda e offerta di lavoro. Il quesito
referendario propone l'abrogazione di alcune disposizioni: il comma 3, a mente del quale i soggetti privati che svolgono attività di
mediazione tra domanda e offerta di lavoro devono avere tale attività quale oggetto sociale esclusivo; il comma 7, lettera a), il
quale stabilisce che essi devono disporre di uffici idonei nonché di operatori con competenze professionali idonee allo svolgimento
dell'attività di selezione di manodopera, soggiungendo che l'idoneità di tali competenze professionali è comprovata da esperienze
lavorative relative, anche in via alternativa, alla gestione, all'orientamento, alla selezione e alla formazione almeno biennale; il
comma 7, lettera b), limitatamente alla parte che prescrive che i predetti soggetti debbono avere amministratori, direttori generali,
dirigenti muniti di rappresentanza e soci accomandatari in possesso di titoli di studio adeguati, ovvero di comprovata esperienza nel
campo della gestione, selezione e formazione del personale della durata di almeno tre anni; il comma 10, che prevede che l'attività
di mediazione tra domanda e offerta di lavoro debba essere esercitata a titolo gratuito nei confronti dei prestatori di lavoro; infine, il
comma 12, lettera b), nella parte in cui, mediante rinvio al comma 10, prevede la revoca, anche su richiesta delle Regioni,
dell'autorizzazione allo svolgimento dell'attività di mediazione nell'ipotesi di violazione del dovere di gratuità nei confronti dei
lavoratori.
3. - Il quesito referendario è inammissibile, poiché con esso si chiede l'abrogazione di più disposizioni non omogenee tra loro, nei
confronti delle quali l'elettore deve essere lasciato libero di esprimere valutazioni autonome e anche potenzialmente divergenti.
I commi 3 e 7 dell'art. 10 del d.lgs. n. 469 del 1997 hanno infatti riguardo ai requisiti soggettivi dell'imprenditore o degli
amministratori (esclusività dell'oggetto sociale; professionalità degli amministratori, dei dirigenti e degli operatori), ovvero a
caratteristiche oggettive dell'azienda (disponibilità di uffici idonei). Il comma 10 non concerne requisiti soggettivi o aziendali ma
pone un limite all'attività negoziale dell'impresa (gratuità della mediazione nei confronti dei prestatori di lavoro).
Non vale sostenere che le disposizioni inserite nel quesito siano unificate tra loro dal fine di liberalizzare ulteriormente il mercato
del lavoro, rimuovendo ogni limite potenzialmente incidente sulla libertà dell'impresa. Ciascuno dei limiti ai quali le singole
disposizioni interessate dalla richiesta abrogativa mettono capo risponde a una diversa istanza legislativa. L'esclusività riguarda la
purezza dell'oggetto dell'impresa che la legge vuole indenne da qualsiasi contaminazione, anche la più lieve, al punto di precludere
in questo settore l'assunzione della qualità di imprenditore alla persona fisica per l'altrimenti inevitabile commistione con altre
attività negoziali del soggetto. I requisiti di professionalità specifica attengono ancora all'impresa nella sua globalità e non all'uno o
all'altro dei suoi rapporti contrattuali e mirano alla salvaguardia della qualità del servizio offerto. Con il vincolo di gratuità
dell'attività nei confronti dei lavoratori, il legislatore si propone di proteggere una soltanto delle parti dell'istituendo rapporto di
lavoro, quella parte che anche in un contesto di liberalizzazione del collocamento è valutata come la più debole, sia rispetto al
datore di lavoro che all'agente intermediario. Unificare questi eterogenei ordini di limiti sotto l'indistinta rubrica "liberalizzazione"
significa appunto precludere agli elettori l'opportunità di modulare la propria risposta sulla diversità dei valori legislativi sottesi alle
singole disposizioni che formano oggetto del quesito.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, dell'articolo 10 del
decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, recante "Conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di
mercato del lavoro, a norma dell'articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59", richiesta dichiarata legittima, con ordinanza
depositata in data 13 dicembre 1999, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 2000
F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata il 7 febbraio 2000
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
SENTENZA
N.44
ANNO
2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI Giudice
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Avv. Massimo VARI "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Prof. Annibale MARINI "
- Dott. Franco BILE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'articolo 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, numero 1, della
richiesta di referendum popolare per l'abrogazione del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447,
"Approvazione del codice di procedura penale", e successive modificazioni, limitatamente a: - articolo 303, comma 1, lettera a),
limitatamente alle parole: "senza che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio ovvero senza che sia stata
pronunciata una delle sentenze previste dagli articoli 442, 448, comma 1, 561 e 563" e alle parole: "o la pena della reclusione non
inferiore nel massimo a venti anni ovvero per uno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), sempre che per lo stesso
la legge preveda la pena della reclusione superiore nel massimo a sei anni", lettera b): "dall'emissione del provvedimento che
dispone il giudizio o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi i seguenti termini senza che sia stata pronunciata
sentenza di condanna di primo grado: 1) sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della
reclusione non superiore nel massimo a sei anni; 2) un anno, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena
della reclusione non superiore nel massimo a vent'anni, salvo quanto previsto al numero 1); 3) un anno e sei mesi, quando si
procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o la pena della reclusione superiore nel massimo a venti
anni;" lettera c): "dalla pronuncia della sentenza di condanna di primo grado o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono
decorsi i seguenti termini senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna in grado di appello: 1) nove mesi, se vi è stata
condanna alla pena della reclusione non superiore a tre anni; 2) un anno, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non
superiore a dieci anni; 3) un anno e sei mesi, se vi è stata condanna alla pena dell'ergastolo o della reclusione superiore a dieci
anni;", lettera d): "dalla pronuncia della sentenza di condanna in grado di appello o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia
sono decorsi gli stessi termini previsti dalla lettera c) senza che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna. Tuttavia,
se vi è stata condanna in primo grado, ovvero se la impugnazione è stata proposta esclusivamente dal pubblico ministero, si applica
soltanto la disposizione del comma 4.", comma 2 e comma 3, limitatamente alle parole: "relativamente a ciascuno stato e grado del
procedimento", comma 4: "La durata complessiva della custodia cautelare, considerate anche le proroghe previste dall'articolo 305,
non può superare i seguenti termini: a) due anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della
reclusione non superiore nel massimo a sei anni; b) quattro anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la
pena della reclusione non superiore nel massimo a venti anni, salvo quanto previsto dalla lettera a); c) sei anni, quando si procede
per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a venti anni."; - articolo
304, comma 6, limitatamente alle parole: "commi 1, 2, e 3 e i termini aumentati della metà previsti dall'articolo 303, comma 4,",
giudizio iscritto al n. 132 del registro referendum.
Vista l'ordinanza depositata il 13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha
dichiarato legittima la richiesta;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;
uditi gli avvocati Federico Sorrentino e Giuseppe Frigo per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De Lucia
Michele e per i promotori Cappato Marco e Della Vedova Benedetto.
Ritenuto in fatto
1. - L'ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n.
352, e successive modificazioni, ha esaminato la richiesta di referendum popolare - presentata l'8 marzo 1999 da quattordici
cittadini italiani e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, serie generale, n. 57 del 10 marzo 1999 - sul seguente
quesito: "Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, "Approvazione del
codice di procedura penale", e successive modificazioni, limitatamente a: - articolo 303, comma 1, lettera a), limitatamente alle
parole: "senza che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio ovvero senza che sia stata pronunciata una delle
sentenze previste dagli articoli 442, 448, comma 1, 561 e 563" e alle parole: "o la pena della reclusione non inferiore nel massimo a
venti anni ovvero per uno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), sempre che per lo stesso la legge preveda la
pena della reclusione superiore nel massimo a sei anni", lettera b): "dall'emissione del provvedimento che dispone il giudizio o dalla
sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi i seguenti termini senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna di
primo grado: 1) sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel
massimo a sei anni; 2) un anno, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non
superiore nel massimo a vent'anni, salvo quanto previsto al numero 1); 3) un anno e sei mesi, quando si procede per un delitto per
il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o la pena della reclusione superiore nel massimo a venti anni;", lettera c): "dalla
pronuncia della sentenza di condanna di primo grado o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi i seguenti termini
senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna in grado di appello: 1) nove mesi, se vi è stata condanna alla pena della
reclusione non superiore a tre anni; 2) un anno, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a dieci anni; 3) un
anno e sei mesi, se vi è stata condanna alla pena dell'ergastolo o della reclusione superiore a dieci anni", lettera d): "dalla pronuncia
della sentenza di condanna in grado di appello o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi gli stessi termini previsti
dalla lettera c) senza che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna. Tuttavia, se vi è stata condanna in primo grado,
ovvero se la impugnazione è stata proposta esclusivamente dal pubblico ministero, si applica soltanto la disposizione del comma 4.",
comma 2 e comma 3, limitatamente alle parole: "relativamente a ciascuno stato e grado del procedimento", comma 4: "La durata
complessiva della custodia cautelare, considerate anche le proroghe previste dall'articolo 305, non può superare i seguenti termini:
a) due anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei
anni; b) quattro anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel
massimo a venti anni, salvo quanto previsto dalla lettera a); c) sei anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge
stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a venti anni."; - articolo 304, comma 6, limitatamente alle
parole: "commi 1, 2, e 3 e i termini aumentati della metà previsti dall'articolo 303, comma 4,"?".
2. - Con ordinanza depositata in data 13 dicembre 1999, l'Ufficio centrale per il referendum ha dichiarato la legittimità della
richiesta, stabilendo come denominazione del referendum: "Termini massimi di custodia cautelare: contenimento".
3. - Ricevuta comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale per il referendum, il Presidente ha convocato questa Corte in
camera di consiglio per il 13 gennaio 2000, dandone comunicazione ai presentatori della richiesta referendaria ed al Presidente del
Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970.
4. - I presentatori, avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 33, terzo comma, della legge n. 352 del 1970, hanno depositato in
data 7 gennaio 2000 una memoria, per sostenere l'ammissibilità della richiesta. Essi hanno precisato che il quesito referendario
mira a rendere, attraverso una complessiva semplificazione della disciplina, la durata massima della custodia cautelare insensibile
alle vicende del processo penale e a produrre un rilevante abbassamento dei termini massimi di custodia cautelare.
La difesa dei promotori osserva che la attuale previsione di termini di custodia corrispondenti alle varie fasi del processo andrebbe
a discapito non solo del principio della presunzione di non colpevolezza sino alla condanna definitiva, sancito dall'art. 27 della
Costituzione, ma anche dell'esigenza di certezza circa la durata massima della custodia cautelare, espressa dall'art. 13, ultimo
comma, della Costituzione.
Nella memoria si rileva che il quesito incide principalmente sull'art. 303 del codice di procedura penale [parte della lettera a) del
comma 1; lettere b), c) e d) del comma 1 per intero; l'ultimo inciso del comma 2; lo stesso inciso del comma 3; l'intero comma 4],
mentre in relazione all'art. 304 dello stesso codice il ritaglio proposto svolgerebbe una mera funzione di "cosmesi normativa",
diretta ad eliminare il riferimento alle disposizioni alla cui abrogazione è in via primaria finalizzata la proposta referendaria, con il
risultato di lasciare una disciplina autosufficiente del computo dei termini massimi di custodia cautelare.
Il fine della proposta referendaria (e cioè l'impermeabilità del sistema di computo dei termini massimi della custodia cautelare alle
vicende processuali e il sensibile contenimento degli stessi) sarebbe raggiunto attraverso la generalizzazione della regola del
comma 1, lettera a) dell'art. 303, e attraverso la sua estensione - mediante l'abrogazione (oltre che delle espressioni che ne
limitano la portata alla prima fase del giudizio) del comma 4, e delle lettere b), c), e d) del comma 1 dello stesso art. 303 - a tutta
la durata del processo penale. Conseguentemente sono colpite dall'iniziativa referendaria parti del comma 2 e del comma 3
dell'art. 303, nonché del comma 6 dell'art. 304, strettamente collegate alle precedenti.
Il risultato di impedire che i termini ricomincino a decorrere nuovamente "all'inizio di ogni stato e grado del procedimento"
eviterebbe, secondo i promotori, il prolungamento indefinito della custodia anche quando l'esigenza cautelare derivante dal pericolo
di inquinamento delle prove non si giustifichi più, dato il lasso di tempo trascorso dall'inizio delle indagini, mentre alle altre esigenze
cautelari, legate al pericolo di reiterazione del reato ed al pericolo di fuga, si potrebbe far fronte con altrettanta efficacia con
misure meno afflittive.
La memoria si conclude sottolineando che il quesito, oltre ad essere rispettoso dei limiti contenuti nell'art. 75, secondo comma,
della Costituzione, avrebbe anche i necessari requisiti di chiarezza ed intelligibilità, ed evidenziando l'univocità del fine perseguito
dai promotori e la "matrice razionalmente unitaria" delle disposizioni di cui si chiede l'abrogazione, tale da non coartare la volontà
dell'elettore. Infine, i promotori rilevano che la normativa superstite risulterebbe pienamente autosufficiente e che l'inclusione nel
quesito di un frammento normativo dell'art. 304, comma 6, del codice di procedura penale, che rinvia ai commi dell'art. 303 di cui
si chiede l'abrogazione, sarebbe volta a soddisfare esigenze di omogeneità e completezza della proposta referendaria.
Nell'illustrare la memoria nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000, i difensori dei promotori hanno ribadito le argomentazioni
già svolte, precisando che con il quesito referendario non ci si proporrebbe di vanificare l'istituto della custodia cautelare quanto
piuttosto di promuovere l'attuazione del principio di ragionevole durata del processo, reso oggi cogente dal nuovo testo dell'articolo
111 della Costituzione.
Considerato in diritto
1. - La richiesta di referendum abrogativo, sulla cui ammissibilità la Corte è chiamata a pronunciarsi, investe la disciplina dei
termini della custodia cautelare. Tale disciplina è attualmente articolata in relazione alle singole fasi e ai diversi gradi del
procedimento penale (indagini preliminari, giudizio di primo grado, giudizio di appello, restante corso del procedimento), che
vengono assunti autonomamente l'uno dall'altro onde impedire che il termine di custodia cautelare non utilizzato in una fase o in un
grado precedente venga economizzato per essere utilizzato nelle fasi o nei gradi successivi. Per la fase delle indagini preliminari, ai
fini della durata della custodia cautelare, si ha riguardo all'inizio della esecuzione della misura. Per le fasi che seguono, il momento
iniziale è costituito rispettivamente dal rinvio a giudizio per il primo grado, dalla sentenza di primo grado per la fase d'appello e dalla
sentenza d'appello per la restante parte del procedimento, ovvero, in tutti i casi, dalla sopravvenuta esecuzione della custodia. La
perdita di efficacia è a sua volta collegata alla mancata pronuncia del provvedimento conclusivo della fase o del grado (decreto
che dispone il giudizio; sentenza non definitiva; sentenza irrevocabile) entro il termine rispettivamente stabilito.
Quanto all'entità dei termini, essa varia con le fasi e con la gravità dei reati. Per la fase delle indagini preliminari, il termine
massimo di custodia è di tre mesi quando si procede per delitti puniti con la reclusione non superiore nel massimo a sei anni, di sei
mesi per i delitti puniti con pena superiore nel massimo a sei anni, di un anno se la pena edittale è l'ergastolo o la reclusione non
inferiore nel massimo a venti anni ovvero se si procede per uno dei delitti indicati dall'art. 407, comma 2, lettera a), del codice di
procedura penale, sempre che la pena prevista sia superiore nel massimo a sei anni (articolo 303, comma 1, lettera a), cod. proc.
pen.).
Per il giudizio di primo grado, il termine massimo di custodia è di sei mesi per i delitti puniti con la reclusione non superiore nel
massimo a sei anni, di un anno se la pena prevista non è superiore nel massimo a venti anni, salve le ipotesi ora menzionate, e di un
anno e sei mesi se la pena prevista è l'ergastolo o la reclusione superiore nel massimo a venti anni (articolo 303, comma 1, lettera
b), cod. proc. pen.).
Per il giudizio di appello, i termini massimi di custodia cautelare sono di nove mesi se vi è stata condanna alla pena della reclusione
non superiore a tre anni, di un anno se la condanna alla pena della reclusione non è stata superiore a dieci anni, di un anno e sei
mesi se vi è stata condanna all'ergastolo o alla reclusione superiore a dieci anni (articolo 303, comma 1, lettera c), cod. proc. pen.).
Per il restante corso del procedimento, i termini sono uguali a quelli previsti per il giudizio di appello (articolo 303, comma 1, lettera
d), cod. proc. pen.).
Oltre ai termini stabiliti fase per fase, la durata della custodia cautelare incontra limiti che investono globalmente l'intera durata del
procedimento e che tengono in vario modo conto degli istituti della proroga (articolo 305 cod. proc. pen.), della sospensione dei
termini (articolo 304 cod. proc. pen.) e della cosiddetta "neutralizzazione" di periodi processuali all'interno delle singole fasi
(articolo 297, comma 4, cod. proc. pen.). L'articolo 303, comma 4, cod. proc. pen. stabilisce infatti che la durata complessiva della
custodia cautelare, considerate anche le proroghe previste dall'art. 305, non può superare i due anni quando si procede per un
delitto punito con la reclusione non superiore nel massimo a sei anni, i quattro anni quando si procede per un delitto punito con la
reclusione non superiore nel massimo a venti anni, salva l'ipotesi precedente, e i sei anni quando si procede per un delitto per il
quale è previsto l'ergastolo o la reclusione superiore nel massimo a venti anni. L'articolo 304, comma 6, cod. proc. pen., pur
consentendo il superamento del termine complessivo determinato ai sensi dell'articolo 303, comma 4, introduce un termine che
viene denominato "massimo dei massimi", assolutamente invalicabile, stabilendo che "la durata della custodia cautelare non può
comunque superare il doppio dei termini previsti dall'articolo 303, commi 1, 2 e 3 e i termini aumentati della metà previsti dall'art.
303, comma 4, ovvero, se più favorevole, i due terzi del massimo della pena temporanea prevista per il reato contestato o ritenuto
in sentenza".
Infine, i commi 2 e 3 dell'articolo 303 cod. proc. pen. prevedono il nuovo decorso dei termini stabiliti per ciascuna fase in caso di
regresso del procedimento o di rinvio ad altro giudice ovvero nel caso di evasione dell'imputato sottoposto a custodia cautelare.
2. - Il quesito referendario si propone di pervenire ad una disciplina dei termini di durata massima della custodia cautelare nel
senso che questa perda efficacia quando dall'inizio della sua esecuzione siano decorsi i seguenti termini: 1) tre mesi allorquando si
procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore a sei anni; 2) sei mesi quando si procede
per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione in misura superiore a sei anni, salvo quanto previsto dal
successivo numero 3; 3) un anno quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo. Si perviene
a questa disciplina di risulta attraverso il taglio di parti dell'originario testo (articolo 303: parte della lettera a) del comma 1; lettere
b), c), e d) del comma 1 per intero; l'ultimo inciso del comma 2; lo stesso inciso del comma 3; l'intero comma 4), così che i termini
attualmente previsti per la sola fase delle indagini preliminari divengano i limiti massimi di custodia cautelare per tutta la durata del
processo, indipendentemente dalle fasi e dai gradi in cui esso si articola. Il quesito incide anche sul comma 6 dell'articolo 304, nel
senso che il limite finale verrebbe fatto consistere esclusivamente nel doppio dei termini previsti dal riformulato articolo 303 o, se
più favorevole, nei due terzi del massimo della pena prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza.
Ne risulterebbe altresì, rispetto all'attuale disciplina, un diverso apprezzamento, in riferimento alla durata della custodia cautelare,
dei reati per i quali è stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a venti anni e di quelli indicati nell'articolo 407,
comma 2, lettera a), cod. proc. pen. per i quali sia prevista la pena della reclusione superiore nel massimo a sei anni. In relazione a
tali reati, che per la fase delle indagini preliminari il legislatore ha accomunato quanto a gravità, ai fini della determinazione dei
termini di custodia cautelare, a quelli per i quali è prevista la pena dell'ergastolo, il quesito referendario propone, attraverso la
tecnica del ritaglio, a questi fini, ma per l'intero procedimento, l'assimilazione a tutti gli altri delitti per i quali il massimo edittale è
superiore a sei anni.
3. - Il quesito trascende, inammissibilmente, i limiti segnati dall'articolo 75 della Costituzione, che consente il referendum
abrogativo totale o parziale di una legge o di un atto avente valore di legge, e non il referendum introduttivo di discipline legislative
completamente nuove.
L'effetto innovativo sulla disciplina vigente, connaturale alla abrogazione, non conseguirebbe, nella specie, alla fisiologica
espansione della sfera di operatività di una norma già presente, dotata, in ipotesi, di un suo ambito di applicazione più circoscritto,
riguardante i termini massimi della custodia cautelare riferibili direttamente all'intero procedimento penale, ma alla posizione di un
sistema di norme radicalmente nuovo che andrebbe a sostituirsi alle norme da eliminare grazie ad una operazione di taglio di parole
o di parti del testo e di ricucitura delle parole o delle parti residue, con sostanziale stravolgimento della struttura delle originarie
disposizioni e del loro significato normativo. Alcune parole impiegate dal legislatore per stabilire il limite massimo della custodia
cautelare nell'ambito della sola fase delle indagini preliminari verrebbero tenute ferme ("la custodia cautelare perde efficacia
quando "), estrapolandole dal contesto che conferisce ad esse significato; altre parole prive di un autonomo significato ("senza
che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio ") e intere proposizioni [parte del numero 3 dell'articolo 303,
comma 1, lettera a); le intere lettere b), c) e d) del medesimo comma] verrebbero eliminate, così che le parole e le proposizioni
residue assumerebbero, saldandosi tra loro, un significato totalmente diverso.
Si è qui in presenza non già di un quesito meramente abrogativo ma di un quesito introduttivo, teso a porre, per via referendaria,
norme che attualmente non esistono, in quanto in nessun caso nella disciplina vigente i termini massimi di custodia cautelare che
risulterebbero dall'abrogazione referendaria sono individuati come tali dal legislatore per l'intero procedimento.
Di fronte a un quesito siffatto, questa Corte non può non sottolineare la differenza dall'ipotesi considerata nella sentenza n. 13 del
1999, con la quale, nonostante la tecnica del ritaglio, non è stato negato il carattere puramente abrogativo del quesito referendario
in quanto ordinato a provocare, mediante una soppressione di una parte più o meno estesa del testo, l'espansione di una disciplina
già esistente, provvista di un suo proprio ambito di applicazione, ancorché originariamente residuale.
Al caso di specie si attagliano i rilievi già formulati da questa Corte con la sentenza n. 36 del 1997 nei confronti dei quesiti non
meramente abrogativi, ma espressivi di una potestà legislativa in positivo, estranea alla configurazione del referendum previsto
dell'articolo 75 della Costituzione. E' agevole individuare nella struttura del quesito, accanto al profilo di soppressione di locuzioni
verbali prive in sé di significato normativo, un profilo di sostituzione della norma abroganda con altra assolutamente diversa "non
derivante direttamente dall'estensione di preesistenti norme o dal ricorso a forme autointegrative ma costruita attraverso la
saldatura di frammenti lessicali eterogenei". E come nel caso risolto con la sentenza n. 36 del 1997, così nel caso presente non si
propone tanto al corpo elettorale una ablazione di contenuti normativi quanto una nuova norma direttamente costruita con una
tecnica di tagli e cuciture, per di più necessariamente condizionata dal limite di non poter calibrare la volontà innovativa attraverso
l'uso di parole e termini diversi da quelli presenti nel testo.
Si aggiunga che la nuova disciplina che con il quesito si intende porre avrebbe imponenti effetti di sistema, tali da far sì che, quali
che siano le finalità che possono essere legittimamente perseguite dal legislatore attraverso l'istituto della carcerazione preventiva
previsto dall'articolo 13, ultimo comma, della Costituzione, esse, nel contesto del vigente ordinamento processualpenale, non
potrebbero in alcun modo realizzarsi. Basti considerare che nel termine di sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la
legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a sei anni (ipotesi questa che, a seguito dell'abrogazione
referendaria, si riferirebbe anche a reati per i quali è stabilita la pena della reclusione fino a trenta anni, come ad esempio il
sequestro di persona a scopo di estorsione o talune ipotesi di omicidio aggravato), o nel termine di un anno, quando si procede per
un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo, si dovrebbero svolgere il processo di primo grado, quello di appello e
il giudizio di legittimità affinché la sentenza definitiva sia pronunciata nei confronti di un imputato in stato di custodia. Senza dire
che nei procedimenti a carico dei minorenni, ai sensi dell'articolo 23 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, gli anzidetti termini sono
ridotti della metà per i reati commessi dai minori degli anni diciotto e dei due terzi per quelli commessi da minori degli anni sedici.
Né la vanificazione delle finalità della carcerazione preventiva risulterebbe meno evidente a causa della possibilità, che il quesito
referendario fa salva, che il termine di custodia cautelare, nelle ipotesi di sospensione previste dall'articolo 304 cod. proc. pen.,
possa espandersi sino al doppio, termine massimo che comunque potrebbe essere in larga parte consumato già prima dell'inizio del
processo a causa delle proroghe concesse, durante le indagini, ai sensi dell'articolo 305, comma 2, cod. proc. pen., non toccato dal
quesito referendario.
A una diversa valutazione circa l'ammissibilità della richiesta non inducono le considerazioni svolte nella discussione dalla difesa
dei promotori, secondo cui l'intendimento sotteso al quesito non sarebbe la vanificazione dell'istituto della custodia cautelare, ma la
promozione del principio di ragionevole durata del processo. Si tratta di un intendimento riformatore che, pur rispondendo a una
esigenza generalmente avvertita ed anzi oramai costituzionalmente imposta dal nuovo testo dell'articolo 111, richiederebbe una
riforma complessiva del sistema della giustizia penale, non attuabile in via referendaria, tanto meno attraverso l'abrogazione
manipolativa della disciplina dei termini della custodia cautelare, che da quel sistema non può restare avulsa.
4. - Sotto un concorrente profilo, il quesito è inammissibile perché privo del carattere di omogeneità, individuato nella
giurisprudenza costituzionale, a tutela della libertà di scelta dell'elettore, quale requisito delle richieste di referendum abrogativo.
Non risponde ad alcuna necessità logica o giuridica che l'eventuale propensione negli elettori a ridurre anche drasticamente i
termini massimi di custodia cautelare significhi altresì, per ciascuno di essi, apprezzare diversamente la gravità di intere categorie di
reati, come suppone il quesito referendario là dove propone, attraverso l'abrogazione manipolativa dell'inciso contenuto
nell'articolo 303, comma 1, lettera a), cod. proc. pen. ["o la pena della reclusione non inferiore nel massimo a venti anni ovvero per
uno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), sempre che per lo stesso la legge preveda la pena della reclusione
superiore nel massimo a sei anni"], l'assimilazione di queste ipotesi, quanto alla durata del termine massimo della custodia
cautelare, a quelle meno gravemente valutate dal legislatore nel numero 2 del citato articolo 303, comma 1, lettera a).
Le norme che stabiliscono i termini massimi di custodia cautelare e quelle nelle quali si esprime l'apprezzamento del legislatore
circa la gravità dei reati, sia pure al fine di calibrare la durata della custodia stessa, corrispondono a scelte potenzialmente
autonome sulle quali gli elettori devono essere lasciati liberi di compiere scelte distinte. Fa dunque difetto quella matrice
razionalmente unitaria che sola può rendere ammissibile la proposta di un unico quesito.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, dei commi 1, 2, 3 e 4
dell'articolo 303 e del comma 6 dell'articolo 304 del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447,
"Approvazione del codice di procedura penale", e successive modificazioni, richiesta dichiarata legittima, con ordinanza depositata
in data 13 dicembre 1999, dall'Ufficio centrale per il referendum costituto presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 2000
F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata il 7 febbraio 2000
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
Presidente Giuliano Vassalli
Redattore Carlo Mezzanotte
SENTENZA N.45
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI Giudice
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Avv. Massimo VARI "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Prof. Annibale MARINI "
- Dott. Franco BILE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di
referendum popolare per l'abrogazione della legge 13 aprile 1988, n. 117 recante "Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio
delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati" e successive modificazioni, limitatamente alle seguenti parti:
- articolo 2, comma 1, limitatamente alle parole: "contro lo Stato";
- articolo 4;
- articolo 5;
- articolo 6;
- articolo 7;
- articolo 8;
- articolo 9, comma 1, limitatamente alle parole: "dalla comunicazione di cui al comma 5 dell'articolo 5";
- articolo 13, comma 1, limitatamente alle parole "costituente reato";
giudizio iscritto al n. 120 del registro referendum.
Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha
dichiarato conforme a legge la richiesta;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Fernanda Contri;
udito l'avvocato Giuseppe Morbidelli per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De Lucia Michele.
Ritenuto in fatto
1. - L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione in applicazione della legge 25 maggio 1970, n.
352, e successive modificazioni, ha esaminato la richiesta di referendum popolare abrogativo - presentata da Capezzone Daniele,
De Lucia Michele, Giustini Mariano, Bernardini Rita e Marzano Antonio - sul seguente quesito:
» Volete voi che sia abrogata la legge 13 aprile 1988, n. 117, recante "Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni
giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati" e successive modificazioni, limitatamente alle seguenti parti:
- articolo 2, comma 1, limitatamente alle parole: "contro lo Stato";
- articolo 4;
- articolo 5;
- articolo 6;
- articolo 7;
- articolo 8;
- articolo 9, comma 1, limitatamente alle parole: "dalla comunicazione di cui al comma 5 dell'articolo 5";
- articolo 13, comma 1, limitatamente alle parole "costituente reato" ?
1.2. - Con ordinanza del 7-13 dicembre 1999 l'Ufficio centrale, verificata la regolarità della richiesta, l'ha dichiarata legittima,
stabilendo la seguente denominazione del referendum in oggetto: "Responsabilità civile diretta dei magistrati: Abrogazione delle
norme contrarie".
2. - Ricevuta la comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale, il Presidente di questa Corte ha fissato il giorno 13 gennaio
2000 per le conseguenti deliberazioni.
Il Comitato promotore del referendum ha depositato memoria a sostegno dell'ammissibilità della richiesta referendaria.
3. - Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 è stato udito l'Avvocato Giuseppe Morbidelli, che ha illustrato le ragioni a
sostegno dell'ammissibilità della richiesta referendaria.
Considerato in diritto
1. - La richiesta di referendum abrogativo, sulla cui ammissibilità questa Corte è chiamata a pronunciarsi, ha ad oggetto molteplici
disposizioni della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e
responsabilità civile dei magistrati), di cui propone la soppressione di articoli o di parti di comma. Più precisamente la richiesta
investe:
- l'articolo 2, che prevede la responsabilità per dolo o colpa grave del magistrato, limitatamente alle parole "contro lo Stato", in
modo da consentire l'azione diretta per il risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie;
- l'intero articolo 4, che determina la competenza e stabilisce i termini per l'esercizio dell'azione di risarcimento del danno contro lo
Stato;
- gli interi articoli 5 e 6, che disciplinano l'ammissibilità della domanda risarcitoria contro lo Stato e l'intervento del magistrato nel
relativo giudizio;
- gli interi articoli 7 e 8, che prevedono rispettivamente l'azione di rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato, nonché la
competenza per la detta azione e la misura della rivalsa;
- l'articolo 9, limitatamente alle parole "dalla comunicazione di cui al comma 5 dell'articolo 5", in quanto il termine per l'esercizio
dell'azione disciplinare decorre dalla comunicazione del provvedimento di ammissibilità della domanda risarcitoria;
- l'articolo 13, limitatamente alle parole "costituente reato", poiché tale norma afferma il diritto del danneggiato al risarcimento dei
danni nei confronti sia del magistrato che dello Stato solo in conseguenza di un fatto "costituente reato".
2. - Le disposizioni oggetto dell'iniziativa referendaria non appartengono ad alcuna delle categorie di leggi espressamente sottratte
a referendum dall'art. 75, secondo comma, della Costituzione.
E' nondimeno necessario, in relazione alla struttura e alla formulazione del quesito, accertare "se non s'impongono altre ragioni,
costituzionalmente rilevanti, in nome delle quali si renda indispensabile precludere il ricorso al corpo elettorale, ad integrazione delle
ipotesi che la Costituzione ha previsto in maniera puntuale ed espressa" (sentenza n. 16 del 1978).
La domanda referendaria, benché formulata in termini parzialmente diversi rispetto a quella dichiarata inammissibile da questa
Corte con sentenza n. 34 del 1997, non si sottrae ad una serie di rilievi che ne precludono l'ammissibilità.
3. - Il quesito referendario investe una disciplina che, pur avendo ad oggetto gli atti o i comportamenti posti in essere da magistrati
nell'esercizio delle loro funzioni e la conseguente responsabilità, assegna la preminenza all'azione diretta contro lo Stato sia - come
questa Corte ha già avuto occasione di rilevare, con la menzionata sentenza n. 34 del 1997 - per garantire l'interesse del cittadino
alla riparazione risarcitoria; sia per determinare, in base ad una valutazione discrezionale, un punto di equilibrio tra tale interesse e
la costituzionale esigenza di salvaguardare l'indipendenza e l'indefettibilità della funzione giurisdizionale.
La domanda referendaria tende ad affermare una responsabilità civile dei magistrati piena e diretta, destinata a coesistere con la
perdurante possibilità di proporre un'azione rivolta contro lo Stato.
Si tratta di una modifica dell'impianto della speciale disciplina - delineata dal legislatore ai ricordati fini - perseguita tanto attraverso
la proposta di abrogazione popolare di interi articoli della legge oggetto della richiesta referendaria, quanto mediante la tecnica del
ritaglio, da singole disposizioni, di parole e locuzioni insuscettibili, isolatamente riguardate, di esprimere un qualsivoglia significato:
dall'art. 2, comma 1, della legge n. 117 del 1988, che disciplina le ipotesi tipiche di responsabilità per dolo o colpa grave,
prevedendo come unico rimedio l'azione contro lo Stato, si propone di sottrarre le parole "contro lo Stato" per far residuare un
"diritto di agire" non limitato sotto il profilo dei soggetti destinatari dell'azione; dall'art. 13, comma 1, norma speciale che disciplina
l'unica ipotesi - l'illecito penale - in cui è ammessa l'azione di responsabilità anche nei confronti del magistrato, si propone di
eliminare la locuzione "costituente reato", per far residuare una disposizione che ammette l'azione risarcitoria diretta nei confronti
del magistrato, oltre che dello Stato, da parte di chi abbia "subito un danno in conseguenza di un fatto", senza ulteriore
qualificazione, "commesso dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni".
In più di una occasione, questa Corte ha chiarito che con la tecnica del ritaglio non può essere perseguito l'effetto, proprio di un
referendum propositivo, di sostituire la disciplina investita dalla domanda referendaria "con un'altra disciplina assolutamente
diversa ed estranea al contesto normativo, che il quesito ed il corpo elettorale non possono creare ex novo né direttamente
costruire" (sentenza n. 13 del 1999); né può dirsi, con riguardo alla richiesta ora sottoposta allo scrutinio di ammissibilità, che
l'introduzione dell'azione diretta nei confronti del magistrato, accanto alla perdurante possibilità di proporre l'azione contro lo Stato,
possa realizzarsi grazie a meccanismi di riespansione o autointegrazione dell'ordinamento attivati dall'eventuale abrogazione
popolare.
Il risultato che i promotori si propongono di provocare, in altri termini, non deriverebbe "come effetto di sistema da un'operazione in
se stessa conforme alla natura abrogativa dell'istituto previsto dall'art. 75 della Costituzione" (sentenza n. 31 del 1997).
Invece il fine che i promotori si propongono e che risulta oggettivato nella domanda referendaria è perseguito in modo contrario
alla natura dell'istituto e pertanto inammissibile, poiché la proposta referendaria non si presenta come puramente ablativa, bensì
come innovativa e sostitutiva di norme.
Nel presente caso, in altri termini, il quesito assumendo carattere propositivo non può ricondursi allo schema dell'abrogazione
parziale, "perché non si propone tanto al corpo elettorale una sottrazione di contenuto normativo, ma si propone piuttosto una nuova
norma direttamente costruita" (sentenza n. 36 del 1997).
4. - Come questa Corte ha già avuto modo di sottolineare, quando l'abrogazione parziale venga perseguita mediante la
soppressione dal testo normativo di singole parole, "si accentua l'esigenza di garantire al popolo, nell'esercizio del suo potere
sovrano, la possibilità di una scelta chiara" (sentenza n. 39 del 1997).
Nel presente giudizio di ammissibilità, quanto al requisito della chiarezza, non si può omettere il rilievo di alcune gravi carenze. La
formulazione della domanda referendaria presenta infatti numerosi elementi idonei a ingenerare confusione nell'elettore.
4.1. - E' sufficiente enunciare, quale conseguenza automatica dell'eventuale abrogazione dell'art. 7, l'unificazione del regime di
responsabilità per tutti i soggetti che a vario titolo partecipano all'esercizio della funzione giudiziaria - dalla legge a seconda del
titolo differentemente considerati - e ancora, quale conseguenza dell'eventuale abrogazione degli artt. 7 e 8, la commistione
dell'azione di regresso con quella di rivalsa, ben distinte ed autonome nell'impianto della legge n.117 del 1988.
4.2. - Ancora e più specificatamente si consideri la richiesta di abrogazione della disposizione concernente il dies a quo per
l'esercizio dell'azione disciplinare, che deve essere esercitata entro due mesi dalla comunicazione del provvedimento di
ammissibilità della domanda risarcitoria, anche se persegue l'evidente finalità di eliminare ogni riferimento al giudizio di
ammissibilità della domanda di cui all'art. 5; una volta eliminata la previsione del termine iniziale, si potrebbe ritenere che l'azione
disciplinare debba essere esercitata entro due mesi dalla notizia del fatto, ovvero entro due mesi dalla proposizione dell'azione
risarcitoria. Ciò costituisce elemento di obiettiva incertezza, tanto più grave ove si consideri che la norma in esame pone l'obbligo,
non la mera facoltà, dell'esercizio dell'azione disciplinare, a differenza di quanto stabilito dalle disposizioni generali relative al
procedimento disciplinare dei magistrati.
4.3. - Un profilo particolarmente evidente di mancanza di chiarezza del quesito si ravvisa nella richiesta di abrogazione delle parole
"costituente reato", contenute nell'art. 13 della legge, che disciplina la responsabilità civile per fatti costituenti reato commessi dal
magistrato nell'esercizio delle sue funzioni, stabilendo in tal caso il diritto del danneggiato al risarcimento dei danni nei confronti sia
del magistrato che dello Stato come responsabile civile.
A seguito della eventuale abrogazione del menzionato inciso, il magistrato sarebbe chiamato a rispondere per qualunque "fatto"
commesso nell'esercizio delle sue funzioni: la eventuale abrogazione non potrebbe sensatamente accreditare una estensione della
responsabilità a qualsiasi "fatto" commesso dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni. Dall'abrogazione peraltro potrebbe
derivare l'effetto per cui, in assenza di qualunque riferimento alle fattispecie disciplinate dagli artt. 2 e 3 della legge, la disposizione
residua introdurrebbe ipotesi di responsabilità diverse e più ampie rispetto a quelle tipiche di cui ai citati articoli 2 e 3; ipotesi di
responsabilità che sarebbero poste a carico indistintamente di tutti coloro che partecipano all'esercizio della funzione giudiziaria. Si
tratta di un risultato evidentemente contraddittorio con la finalità oggettivata nello stesso quesito, che rappresenta un elemento di
grave incertezza e confusione, potenziata dalla permanenza nella rubrica del medesimo articolo della qualificazione del fatto come
reato.
5. - In conclusione, la rilevata natura propositiva e non meramente abrogativa della richiesta referendaria in esame e la
complessiva mancanza di chiarezza del quesito da sottoporre al corpo elettorale, inducono ad un giudizio di inammissibilità.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, della legge 13 aprile
1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), richiesta
dichiarata legittima con ordinanza del 7-13 dicembre 1999 dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di
cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il
3 febbraio 2000
F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente
Fernanda CONTRI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata il 7 febbraio 2000
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
SENTENZA N.46
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI Giudice
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Avv. Massimo VARI "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Prof. Annibale MARINI "
- Dott. Franco BILE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di
referendum popolare per l'abrogazione del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, recante "Ordinamento giudiziario", limitatamente
a:
- articolo 16, comma 2, limitatamente alle parole: ", senza l'autorizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura", e comma 3:
"In tal caso, possono assumere le funzioni di arbitro unico o di presidente del collegio arbitrale ed esclusivamente negli arbitrati nei
quali è parte l'Amministrazione dello Stato ovvero aziende o enti pubblici, salvo quanto previsto dal capitolato generale per le opere
di competenza del Ministero dei lavori pubblici, approvato con D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063.", come sostituiti dall'art. 14 della
legge 2 aprile 1979, n. 97;
giudizio iscritto al n. 126 del registro referendum.
Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha
dichiarato conforme a legge la richiesta;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Fernanda Contri;
udito l'avvocato Claudio Chiola per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De Lucia Michele.
Ritenuto in fatto
1. - L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352
e successive modificazioni, ha esaminato la richiesta di referendum popolare abrogativo - presentata da Capezzoni Daniele, De
Lucia Michele, Giustino Mariano, Stanzani Ghedini Sergio Augusto e Bernardini Rita - sul seguente quesito:
"Volete voi che sia abrogato il Regio Decreto 30 gennaio 1941, n. 12, recante "Ordinamento giudiziario" limitatamente a: - articolo
16, comma 2, limitatamente alle parole: ", senza l'autorizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura", nonché comma 3: "In
tal caso, possono assumere le funzioni di arbitro unico o di presidente del collegio arbitrale ed esclusivamente negli arbitrati nei
quali è parte l'Amministrazione dello Stato ovvero aziende o enti pubblici, salvo quanto previsto dal capitolato generale per le opere
di competenza del Ministero dei lavori pubblici, approvato con D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063."? ".
1.2. - Con ordinanza del 7-13 dicembre 1999, l'Ufficio centrale ha dichiarato legittima la richiesta, dopo averne verificato la
regolarità; inoltre, il medesimo Ufficio, rilevando che la proposta referendaria non faceva menzione delle modifiche apportate
dall'art. 14, commi 2 e 3, della legge 2 aprile 1979, n. 97, ha provveduto ad integrare il testo del quesito con la indicazione della
citata legge di modifica, ed ha infine stabilito per il referendum in esame la seguente denominazione: "Incarichi extragiudiziari dei
magistrati: Abolizione della possibilità per i magistrati di assumere incarichi al di fuori delle loro attività giudiziarie".
2. - Ricevuta la comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale, il Presidente di questa Corte ha fissato il giorno 13 gennaio 2000
per le conseguenti deliberazioni, dandone regolare comunicazione.
Il Comitato promotore del referendum ha depositato memoria a sostegno dell'ammissibilità della richiesta referendaria.
3. - Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 è stato udito l'avvocato Claudio Chiola, che ha illustrato le ragioni
dell'ammissibilità del referendum.
Considerato in diritto
1. - La richiesta di referendum abrogativo, sottoposta all'esame di ammissibilità di questa Corte, investe alcune disposizioni del
regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), e precisamente il secondo comma dell'art. 16, limitatamente alle
parole ", senza l'autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura", nonché l'intero terzo comma della medesima norma.
La proposta referendaria è diretta all'abrogazione delle disposizioni che prevedono la possibilità per i magistrati, previa
l'autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura, di accettare incarichi di qualsiasi specie e di assumere le funzioni di
arbitro.
2. - La richiesta di referendum in oggetto è ammissibile.
Deve anzitutto escludersi la sussistenza delle cause ostative espressamente indicate dall'art. 75, secondo comma, della
Costituzione, in quanto le disposizioni di legge che si intendono sottoporre a consultazione referendaria abrogativa sono del tutto
estranee alle materie ivi menzionate.
Il quesito risponde ai requisiti di chiarezza ed omogeneità; la possibilità per i magistrati di accettare incarichi estranei al loro ruolo
istituzionale e di assumere le funzioni di arbitro costituisce infatti un principio unitario, alla cui eliminazione è indirizzata la richiesta
referendaria, la quale propone appunto l'abrogazione delle disposizioni che detto principio contengono.
Alle stesse conclusioni, del resto, è pervenuta questa Corte con la sentenza n. 41 del 1997, dichiarando l'ammissibilità della
richiesta di referendum formulata nei medesimi termini di quella in esame.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, recante
"Ordinamento giudiziario", limitatamente alle seguenti parti: articolo 16, comma 2, limitatamente alle parole ", senza l'autorizzazione
del Consiglio Superiore della Magistratura", e comma 3: "In tal caso, possono assumere le funzioni di arbitro unico o di presidente
del collegio arbitrale ed esclusivamente negli arbitrati nei quali è parte l'Amministrazione dello Stato ovvero aziende o enti pubblici,
salvo quanto previsto dal capitolato generale per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici, approvato con D.P.R. 16
luglio 1962, n. 1063.", come sostituiti dall'art. 14 della legge 2 aprile 1979, n. 97; richiesta dichiarata legittima, con ordinanza del
7-13 dicembre 1999, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 2000
F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente
Fernanda CONTRI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata il 7 febbraio 2000
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
SENTENZA N.47
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI Giudice
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Avv. Massimo VARI "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Prof. Annibale MARINI "
- Dott. Franco BILE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge
costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare, iscritto
al n. 117 del registro referendum, per l'abrogazione:
a) della legge 23 aprile 1959, n. 189, recante "Ordinamento del Corpo della Guardia
di finanza" e successive modificazioni, limitatamente a:
articolo 1, secondo comma, limitatamente alle parole: "delle Forze armate dello
Stato e", nonché alle parole: "concorrere alla difesa politico-militare delle
frontiere e, in caso di guerra, alle operazioni militari;";
articolo 4, primo comma, limitatamente alle parole: "è scelto fra i generali di
Corpo d'armata dell'Esercito in servizio permanente effettivo ed" nonché alle
parole: "di concerto col Ministro per la difesa", secondo comma, limitatamente alle
parole: "Prende accordi con gli stati maggiori delle Forze armate per quanto è
necessario in relazione all'addestramento militare ed al concorso dei reparti del
Corpo alle operazioni militari in caso di emergenza.", e terzo comma, limitatamente
alle parole: "Assume la carica di Comandante in seconda il generale di divisione più
anziano della Guardia di finanza.";
articolo 5, primo comma, limitatamente alle parole: "possono esservi assegnati
ufficiali di altre Forze armate, ai sensi del successivo art. 7", e secondo comma:
"Per le esigenze addestrative di carattere militare e per il collegamento con lo
stato maggiore dell'Esercito è assegnato al Comando generale un generale di brigata
dell'Esercito in servizio permanente.";
articolo 7;
articolo 8, primo comma, limitatamente alla parola: "altre", e comma 2,
limitatamente alle parole: "non militari";
articolo 9, limitatamente alle parole: "sottufficiali e truppa";
articolo 10;
articolo 12;
b) del regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303, recante il codice penale militare di
pace, limitatamente all'articolo 2, limitatamente alle parole: "della Guardia di
finanza".
Vista l'ordinanza 7-13 dicembre 1999, come corretta con l'ordinanza 21 dicembre
1999, con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di
cassazione ha dichiarato legittima la richiesta;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Guido Neppi
Modona;
udito l'avvocato Claudio Chiola per i presentatori Daniele Capezzone, Mariano
Giustino e Michele De Lucia.
Ritenuto in fatto
1.- L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione,
in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni, ha
esaminato la richiesta di referendum popolare presentata il 28 settembre 1999 da
Daniele Capezzone, Michele De Lucia, Mariano Giustino, Sergio Augusto Stanzani
Ghedini e Rita Bernardini sul seguente quesito:
"Volete voi che siano abrogati la legge 23 aprile 1959, n. 189, recante "Ordinamento
del Corpo della Guardia di finanza" e successive modificazioni, limitatamente a:
articolo 1, comma 2, limitatamente alle parole: "delle forze armate dello Stato e"
nonché alle parole "concorrere alla difesa politico-militare delle frontiere e, in
caso di guerra, alle operazioni militari;"; articolo 2, come modificato
dall'articolo 75 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 199; articolo 4, comma
1, limitatamente alle parole: "è scelto fra i generali di Corpo d'armata
dell'Esercito in servizio permanente effettivo ed", nonché alle parole: "di concerto
col Ministro per la difesa"; comma 2, limitatamente alle parole: "Prende accordi con
gli stati maggiori delle Forze armate per quanto è necessario in relazione
all'addestramento militare e al concorso dei reparti del Corpo alle operazioni
militari in caso di emergenza." e comma 3, limitatamente alle parole: "Assume la
carica di Comandante in seconda il generale di divisione più anziano della Guardia
di finanza."; articolo 5, comma 1, limitatamente alle parole: "possono esservi
assegnati ufficiali di altre Forze armate, ai sensi del successivo articolo 7";
comma 2: "Per le esigenze addestrative di carattere militare e per il collegamento
con lo stato maggiore dell'Esercito è assegnato al Comando generale un generale di
brigata dell'Esercito in servizio permanente."; articolo 7; articolo 8, comma 1,
limitatamente alla parola: "altre"; comma 2, limitatamente alle parole: "non
militari"; articolo 9, limitatamente alle parole: "sottufficiali e truppa"; articolo
10; articolo 12; nonché il regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303, recante il codice
penale militare di pace, limitatamente all'articolo 2, limitatamente alle parole:
"della Guardia di finanza"?".
2. - Con ordinanza del 7-13 dicembre 1999, l'Ufficio centrale ha ritenuto che
dovesse essere escluso il riferimento all'art. 2 della legge 23 aprile 1959 n. 189,
in quanto l'art 27 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, prevede, al comma 3, che
con regolamento, da emanare ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto
1988 n. 400, venga determinata la nuova struttura ordinativa del Corpo della Guardia
di finanza in sostituzione di quella prevista dagli artt. 2, 3 e 6 della legge 23
aprile 1959 n. 189, con contestuale abrogazione delle citate norme e di ogni altra
contrastante con la nuova disciplina, e, al comma 4, che con il medesimo regolamento
vengano determinate le corrispondenze tra le denominazioni dei comandi e reparti
individuati e quelli previgenti: il 29 gennaio 1999 è stato quindi emanato, in
conformità a tale disposizione, il d.P.R. n. 34.
L'Ufficio centrale per il referendum - ritenuta conforme a legge la richiesta
referendaria e stabilitane la denominazione "Guardia di finanza: Abolizione del
carattere di corpo militare della Guardia di finanza" - con la ordinanza menzionata,
integrata dalla ordinanza di correzione di errore materiale del 21 dicembre 1999, ha
pertanto disposto che il quesito fosse così riformulato:
"Volete voi che siano abrogati:
- la legge 23 aprile 1959, n. 189, recante "Ordinamento del Corpo della Guardia di
Finanza" e successive modificazioni, limitatamente a: articolo 1, comma 2,
limitatamente alle parole: "delle forze armate dello Stato e" nonché alle parole:
"concorrere alla difesa politico-militare delle frontiere e, in caso di guerra, alle
operazioni militari;"; articolo 4, comma 1, limitatamente alle parole: "è scelto fra
i generali di Corpo d'armata dell'Esercito in servizio permanente effettivo ed",
nonché alle parole: "di concerto col Ministro per la difesa"; comma 2, limitatamente
alle parole: "Prende accordi con gli stati maggiori delle Forze armate per quanto e'
necessario in relazione all'addestramento militare e al concorso dei reparti del
Corpo alle operazioni militari in caso di emergenza." e comma 3, limitatamente alle
parole: "Assume la carica di Comandante in seconda il generale di divisione più
anziano della Guardia di Finanza."; articolo 5, comma 1, limitatamente alle parole:
"possono esservi assegnati ufficiali di altre Forze armate, ai sensi del successivo
articolo 7"; comma 2: "Per le esigenze addestrative di carattere militare e per il
collegamento con lo stato maggiore dell'Esercito è assegnato al Comando generale un
generale di brigata dell'Esercito in servizio permanente."; articolo 7; articolo 8,
comma 1, limitatamente alla parola: "altre"; comma 2, limitatamente alle parole:
"non militari"; articolo 9, limitatamente alle parole: "sottufficiali e truppa";
articolo 10; articolo 12;
- nonché il regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303, recante il codice militare di
pace, limitatamente all'articolo 2, limitatamente alle parole: "della Guardia di
Finanza"?".
3.- Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato
il giorno 13 gennaio 2000 per la deliberazione in camera di consiglio
sull'ammissibilità della richiesta, dandone comunicazione, ai sensi dell'art. 33,
secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352, ai presentatori della richiesta
ed al Presidente del Consiglio dei ministri.
4.- In prossimità della camera di consiglio, il Comitato promotore ha depositato una
memoria nella quale si insiste per l'ammissibilità del quesito referendario, di cui,
ad avviso dei presentatori, sussistono i necessari requisiti di
omogeneità-univocità, coerenza-completezza e idoneità al raggiungimento dello scopo
di abolire il carattere militare del Corpo della Guardia di finanza. In particolare,
nella memoria si sottolinea che la mancata richiesta di abrogazione di altre
disposizioni, contenute in leggi diverse da quella oggetto della richiesta
referendaria, che presuppongono il carattere militare della Guardia di finanza, non
determina incompletezza del quesito, in quanto a tali norme va assegnato un ruolo
meramente "derivato" rispetto a quelle di cui si chiede l'abrogazione.
5.- Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 è stato udito l'avvocato Claudio
Chiola, per i presentatori Daniele Capezzone, Mariano Giustino e Michele De Lucia.
Considerato in diritto
1. - La richiesta referendaria investe varie disposizioni della legge 23 aprile
1959, n. 189 (Ordinamento del Corpo della Guardia di finanza), le medesime che erano
già state oggetto del quesito dichiarato inammissibile con la sentenza n. 30 del
1997, salvo l'art. 2, in quanto abrogato (unitamente agli artt. 3 e 6) - come
rilevato dall'Ufficio centrale per il referendum della Corte di cassazione -
dall'art. 27, comma 3, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la
stabilizzazione della finanza pubblica). Il comma 3 dell'art. 27 della legge ora
citata ha inoltre previsto che, con regolamento da emanare a norma del comma 2
dell'art. 17 della legge n. 400 del 1988, venisse determinata la nuova struttura
ordinativa del Corpo della Guardia di finanza; regolamento poi emanato con d.P.R. 29
gennaio 1999, n. 34, che ha sostanzialmente riprodotto il contenuto degli articoli
abrogati della legge n. 189 del 1959. L'Ufficio centrale per il referendum della
Corte di cassazione ha poi ritenuto che nel quesito referendario non deve essere
compresa la norma primaria di delegificazione, in quanto nessuno dei criteri
contenuti nei commi 3 e 4 dell'art. 27 della legge n. 449 del 1997 coinvolge il
punto relativo alla natura militare del Corpo della Guardia di finanza.
In particolare, con la richiesta referendaria viene proposta la soppressione dei
seguenti articoli, commi o parti di comma:
- nell'art. 1, secondo comma, l'inciso "delle Forze armate dello Stato e", in modo
che la Guardia di finanza non farebbe più parte delle Forze armate dello Stato;
- nell'art. 1, secondo comma, l'inciso "concorrere alla difesa politico-militare
delle frontiere e, in caso di guerra, alle operazioni militari", in modo da
escludere tali funzioni da quelle attribuite alla Guardia di finanza;
- negli articoli 4 e 5, parti di vari commi, nonché l'intero secondo comma dell'art.
5, ove sono a vario titolo disciplinate forme di collegamento con le altre Forze
armate dello Stato, ai fini, ad esempio, della designazione del Comandante generale
della Guardia di finanza, che deve essere scelto tra i generali di Corpo d'armata
dell'esercito, dell'addestramento militare del Corpo della Guardia di finanza, per
il quale sono previsti accordi con gli stati maggiori delle Forze armate,
dell'assegnazione di ufficiali di altre Forze armate al Comando generale della
Guardia di finanza;
- l'intero art. 7, che prevede la possibilità di destinare ufficiali e sottufficiali
in servizio permanente effettivo dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica a
prestare servizio presso il Corpo della Guardia di finanza;
- nell'art. 8, primo comma, l'inciso "altre", nel contesto della disposizione che
prevede che "all'insegnamento nelle scuole e nei corsi di addestramento si provvede
con ufficiali della Guardia di finanza o di altre Forze armate", al fine di evitare
che la Guardia di finanza possa continuare ad essere ricompresa tra le Forze armate;
- nell'art. 8, secondo comma, l'inciso "non militari", al fine di eliminare la
distinzione tra le materie insegnate da ufficiali della Guardia di finanza e da
docenti di diversa estrazione;
- nell'art. 9, l'inciso "sottufficiali e truppa", al fine di escludere tali
categorie dall'aliquota del personale destinata al contingente di mare e alle varie
categorie di specializzazione;
- l'intero art. 10, ove è previsto che ai militari del Corpo della Guardia di
finanza si applicano il regolamento di disciplina militare per l'esercito e la legge
penale militare, nonché varie disposizioni, tra cui quelle sulle licenze, valevoli
per l'Arma dei carabinieri;
- l'intero art. 12, relativo alla disciplina dell'avanzamento ai gradi di
maresciallo capo e di brigadiere.
La richiesta referendaria investe, infine, l'art. 2 del codice penale militare di
pace, limitatamente all'inciso "della Guardia di finanza", al fine di escludere gli
appartenenti al Corpo dalle categorie dei militari cui si applica la legge penale
militare.
2. - Il referendum è dunque sostanzialmente identico a quello già presentato nella
tornata referendaria del 1997, e medesima è anche la denominazione identificativa
"Guardia di Finanza: Abolizione del carattere militare della Guardia di Finanza"
attribuita dall'Ufficio centrale per il referendum della Corte di cassazione.
Con riferimento alla formulazione letterale del quesito, l'unica differenza
riguarda, infatti, la mancata inclusione dell'art. 2 della legge n. 189 del 1959,
abrogato dall'art. 27, comma 3, della legge n. 449 del 1997, e sostituito dall'art.
1 del d.P.R. n. 34 del 1999, evidentemente sottratto, per il suo contenuto
regolamentare, allo strumento referendario.
Per quanto attiene, poi, al quadro legislativo complessivo dell'ordinamento della
Guardia di finanza, nel quale si inseriscono le specifiche norme oggetto del quesito
referendario, si deve tenere presente che, anche successivamente al 1997, una
copiosa produzione normativa ha inciso a vario titolo sull'ordinamento, sulla
struttura organizzativa e sullo status del personale delle Forze armate e dei corpi
armati organizzati militarmente, ivi compresa la Guardia di finanza, nell'ambito del
programma generale del nuovo modello di difesa.
Nonostante queste differenze, conservano piena validità le ragioni poste a
fondamento della sentenza di inammissibilità n. 30 del 1997.
3. - La richiesta di soppressione degli articoli compresi nel quesito referendario,
dopo l'abrogazione, disposta dall'art. 27, comma 3, della legge n. 449 del 1997, non
solo dell'art. 2 della legge n. 189 del 1959 - ove erano indicate le varie categorie
che compongono il personale militare della Guardia di finanza (ufficiali,
sottufficiali e truppa) -, ma anche degli artt. 3 e 6 - ove erano disciplinati altri
aspetti della struttura e dell'organizzazione militari del Corpo -, depurerebbe
certamente la legge che costituisce l'oggetto centrale del referendum dai più
significativi frammenti lessicali che evocano il carattere militare dell'ordinamento
della Guardia di finanza. Peraltro, a seguito dell'esame della legislazione in
materia, anche successiva al 1997, questa Corte non può che ribadire la convinzione
che il carattere militare della Guardia di finanza (su cui v. la sentenza n. 70 del
1976) è talmente compenetrato nella struttura, nell'organizzazione, nello status del
personale, nelle funzioni e nelle modalità di esercizio dei compiti istituzionali
del Corpo, che lo strumento referendario si presenta inidoneo a raggiungere
l'obiettivo della sua "smilitarizzazione".
4. - Anche dopo gli interventi abrogativi proposti su alcune delle norme contenute
nella legge n. 189 del 1959, il carattere militare della Guardia di finanza
continuerebbe, infatti, a connotare l'assetto normativo del Corpo, dal reclutamento
all'avanzamento in carriera del personale militare, dallo stato giuridico alla
disciplina e alla rappresentanza militare, dalle funzioni connesse a compiti di
difesa militare ad alcuni profili dello statuto penale, non toccati dal quesito
referendario.
Al riguardo, è sufficiente qui ricordare, in estrema sintesi:
- che per il reclutamento dei militari della Guardia di finanza destinati a fare
parte del contingente di mare, chiamato a svolgere anche fuori delle acque
territoriali funzioni tipicamente militari in collaborazione con la Marina militare,
sono previsti requisiti equipollenti a quelli richiesti per il reclutamento nella
Marina militare (artt. 4 della legge 31 maggio 1975, n. 191 - Nuove norme per il
servizio di leva -, e 38 della legge 24 dicembre 1986, n. 958 - Nuove norme sul
servizio militare di leva e sulla ferma di leva prolungata -);
- che le unità navali in dotazione della Guardia di finanza sono qualificate navi
militari, iscritte in ruoli speciali del naviglio militare dello Stato (art. 1,
primo comma, del d.P.R. 31 dicembre 1973, n. 1199 - Disciplina per l'iscrizione nel
quadro del naviglio militare dello Stato di unità dell'Arma dei Carabinieri, del
Corpo della Guardia di finanza, del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza e del
Corpo delle capitanerie di porto -); battono "bandiera da guerra" e sono assimilate
a quelle della Marina militare (artt. 63 e 156 del r.d. 6 novembre 1930, n. 1643 -
Approvazione del nuovo regolamento di servizio per la Regia Guardia di finanza -);
sono quindi considerate navi militari agli effetti della legge penale militare (art.
11 del codice penale militare di pace); quando operano fuori delle acque
territoriali ovvero in porti esteri ove non vi sia un'autorità consolare esercitano
le funzioni di polizia proprie delle "navi da guerra" (art. 200 del codice della
navigazione) e nei loro confronti sono applicabili gli artt. 1099 e 1100 del codice
della navigazione (rifiuto di obbedienza o resistenza e violenza a nave da guerra),
richiamati dagli artt. 5 e 6 della legge 13 dicembre 1956, n. 1409 (Norme per la
vigilanza marittima ai fini della repressione del contrabbando dei tabacchi);
- che il riordino della Guardia di finanza, nel quadro del programma generale del
nuovo modello di difesa militare, continua ad essere impostato sul presupposto del
carattere militare del Corpo (decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195 -Attuazione
dell'art. 2 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di procedure per
disciplinare i contenuti del rapporto di impiego del personale delle Forze di
polizia e delle Forze armate -, ove tra le forze di polizia a ordinamento militare è
compresa la Guardia di finanza; decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 199 -
Attuazione dell'art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di nuovo
inquadramento del personale non direttivo e non dirigente del Corpo della Guardia di
finanza -; legge 27 dicembre 1990, n. 404 - Nuove norme in materia di avanzamento
degli ufficiali e sottufficiali delle Forze armate e del Corpo della Guardia di
finanza; legge 25 maggio 1989, n. 190 - Disposizioni sulla revisione dei ruoli degli
ufficiali, sull'incremento degli organici e sull'impiego della Guardia di finanza,
nonché sulla durata in carica del comandante in seconda e sulla vigilanza e il
controllo in tema di distribuzione e vendita di generi di monopolio -; legge 1
febbraio 1989, n. 53 - Modifiche sullo stato giuridico e sull'avanzamento dei
vicebrigadieri, dei graduati e militari di truppa dell'Arma dei carabinieri e del
Corpo della Guardia di finanza -);
- che il Regolamento di disciplina militare, emanato con d.P.R. 18 luglio 1986, n.
545, a norma dell'art. 5, comma 1, della legge n. 382 del 1978, continua a dettare
specifiche disposizioni che presuppongono il carattere e la disciplina militare del
Corpo della Guardia di finanza, e che gli organi di rappresentanza militare,
istituiti dall'art. 18 della legge 11 luglio 1978, n. 382 (Norme di principio sulla
disciplina militare), e attuati dal d.P.R. 4 novembre 1979, n. 691 (Regolamento che
disciplina l'attuazione della rappresentanza militare), sono espressamente previsti,
nelle loro varie articolazioni a livello centrale, intermedio e di base, anche per
il personale militare della Guardia di finanza.
Da questa sia pure sommaria e non esaustiva elencazione emerge dunque che la
"militarità" caratterizza l'intera attuale disciplina del Corpo, tradizionalmente
appartenente, a differenza di altri corpi militari dello Stato, alle Forze armate:
anche in caso di esito positivo della consultazione referendaria, permarrebbero i
modelli militari ai quali si è storicamente uniformata - e continua ad uniformarsi -
la Guardia di finanza; modelli non suscettibili di essere modificati mediante mere
abrogazioni, in particolare della norma che sancisce l'appartenenza del Corpo alle
Forze armate ovvero delle norme che si richiamano alla tipica terminologia militare
adottata per definirne il personale o la struttura organizzativa.
Tanto è vero che - come già rilevato nella sentenza n. 30 del 1997 - la
"smilitarizzazione" di altri corpi militari dello Stato, quali il Corpo delle
guardie di pubblica sicurezza e il Corpo degli agenti di custodia, è stata attuata
mediante complessi interventi legislativi (rispettivamente, legge 1 aprile 1981, n.
121, e legge 15 dicembre 1990, n. 395), che ne hanno disposto l'espresso
scioglimento e che hanno contestualmente istituito la Polizia di Stato e il Corpo di
polizia penitenziaria e adottato una disciplina legislativa volta a regolamentare in
chiave civile struttura, organizzazione e stato giuridico del personale.
5. - Il presente referendum deve pertanto essere dichiarato inammissibile a causa
dell'incongruenza e dell'inidoneità del quesito a conseguire l'abolizione del
carattere militare del Corpo della Guardia di finanza.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle
parti indicate in epigrafe, della legge 23 aprile 1959, n. 189 (Ordinamento del
Corpo della Guardia di finanza), e dell'articolo 2 del codice penale militare di
pace, approvato con regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303, richiesta dichiarata
legittima, con ordinanza in data 7-13 dicembre 1999 dall'Ufficio centrale per il
referendum costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 3 febbraio 2000
F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata il 7 febbraio 2000
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
SENTENZA N.48
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI Giudice
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Avv. Massimo VARI "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Prof. Annibale MARINI "
- Dott. Franco BILE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge
costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare, iscritto
al n. 122 del registro referendum, per l'abrogazione:
a) del regio decreto 28 ottobre 1940, n. 1443, recante: "Approvazione del Codice di
procedura civile", e successive modificazioni, limitatamente a:
articolo 152, primo comma, limitatamente alle parole: "anche a pena di decadenza", e
secondo comma, limitatamente alle parole: "stabiliti dalla legge" e alle parole:
"ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente";
articolo 153;
articolo 154, rubrica, limitatamente alla parola: "ordinatorio", e primo comma,
limitatamente alle parole: "che non sia stabilito a pena di decadenza";
b) del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, recante:
"Approvazione del codice di procedura penale", e successive modificazioni,
limitatamente a:
articolo 173, comma 1, limitatamente alle parole: "soltanto nei casi previsti dalla
legge", e comma 2, limitatamente alle parole: "a pena di decadenza";
articolo 175, comma 1, limitatamente alle parole: "a pena di decadenza".
Vista l'ordinanza 7-13 dicembre 1999, come corretta con l'ordinanza 21 dicembre
1999, con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di
cassazione ha dichiarato legittima la richiesta;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Guido Neppi
Modona;
udito l'avvocato Gustavo Pansini per i presentatori Daniele Capezzone, Mariano
Giustino e Michele De Lucia.
Ritenuto in fatto
1. - L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione,
in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni, ha
esaminato la richiesta di referendum popolare presentata da Daniele Capezzone,
Mariano Giustino, Michele De Lucia, Sergio Augusto Stanzani Ghedini e Rita
Bernardini, sul seguente quesito:
"Volete voi che sia abrogato il Regio decreto 28 ottobre 1940, n. 1443, recante:
"Approvazione del Codice di procedura civile", e successive modificazioni,
limitatamente a: - articolo 152, comma 1, limitatamente alle parole: "anche a pena
di decadenza", e comma 2, limitatamente alle parole: "stabiliti dalla legge" e alle
parole: "ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente"; -
articolo 153; - articolo 154, rubrica, limitatamente alla parola: "ordinatorio", e
comma 1, limitatamente alle parole: "che non sia stabilito a pena di decadenza";
nonché il Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447,
recante: "Approvazione del codice di procedura penale" e successive modificazioni,
limitatamente a: - articolo 173, comma 1, limitatamente alle parole: "soltanto nei
casi previsti dalla legge", e comma 2, limitatamente alle parole "a pena di
decadenza"; - articolo 175, comma 1, limitatamente alle parole: "a pena di
decadenza"?".
2. - L'Ufficio centrale per il referendum, con ordinanza 7-13 dicembre 1999, ha
dichiarato che la richiesta è conforme alle disposizioni di legge.
Con successiva ordinanza di correzione del 21 dicembre 1999 l'iniziale denominazione
del referendum ("Termini processuali perentori: Abrogazione") è stata modificata
come segue: "Sistema dei termini processuali: Abrogazione parziale".
3. - Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato
il giorno 13 gennaio 2000 per la deliberazione in camera di consiglio
sull'ammissibilità della richiesta, dandone comunicazione, ai sensi dell'art. 33,
secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352, ai presentatori della richiesta e
al Presidente del Consiglio dei ministri.
4. - In prossimità della camera di consiglio, il Comitato promotore ha depositato
una memoria nella quale si insiste per l'ammissibilità del referendum, sotto i
profili della chiarezza e completezza del quesito, nonché della "individuabilità
delle conseguenze" in caso di voto favorevole.
5. - Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 è stato udito l'avvocato Gustavo
Pansini, per i presentatori Daniele Capezzone, Mariano Giustino e Michele De Lucia.
Considerato in diritto
1. - La richiesta referendaria investe alcune disposizioni del codice di procedura
civile (regio decreto 28 ottobre 1940, n. 1443, recante: "Approvazione del codice di
procedura civile") e del codice di procedura penale (decreto del Presidente della
Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, recante: "Approvazione del codice di procedura
penale"), che dettano, rispettivamente per la materia civile e per la materia
penale, la disciplina generale dei termini processuali.
In relazione al codice di procedura civile, viene proposta la soppressione dei
seguenti articoli e parti di comma:
- articolo 152, primo comma, limitatamente alle parole: "anche a pena di decadenza",
e secondo comma, limitatamente alle parole: "stabiliti dalla legge" e alle parole
"ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente";
- articolo 153;
- articolo 154, limitatamente alla parola: "ordinatorio", contenuta nella rubrica, e
primo comma, limitatamente alle parole: "che non sia stabilito a pena di decadenza".
In relazione al codice di procedura penale, viene proposta la soppressione delle
seguenti parti di comma:
- articolo 173, comma 1, limitatamente alle parole: "soltanto nei casi previsti
dalla legge", e comma 2, limitatamente alle parole: "a pena di decadenza";
- articolo 175, comma 1, limitatamente alle parole: "a pena di decadenza".
2. - La disciplina dei termini processuali (vale a dire, dei limiti di tempo
assegnati a un soggetto per il compimento di un atto processuale) è contenuta, per
il processo civile, negli artt. 152-155 cod. proc. civ. e, per il processo penale,
negli artt. 172-176 cod. proc. pen.
Per quanto interessa la presente decisione, i termini processuali civili sono
distinti in "ordinatori" e "perentori". Si considerano ordinatori tutti i termini
che la legge non dichiara espressamente perentori o che non sono stabiliti a pena di
decadenza dal giudice, quando la legge lo permette (art. 152 cod. proc. civ.). I
termini ordinatori possono essere abbreviati o prorogati dal giudice, prima della
scadenza, per una sola volta e per una durata non superiore al termine prorogato
(art. 154 cod. proc. civ.). Per contro, i termini perentori non possono essere
abbreviati o prorogati "nemmeno sull'accordo delle parti" (art. 153 cod. proc.
civ.).
Con riferimento al processo penale, i termini "si considerano stabiliti a pena di
decadenza soltanto nei casi previsti dalla legge" (art. 173, comma 1, cod. proc.
pen.). L'inosservanza dei termini comunemente definiti "ordinatori" non produce,
invece, l'effetto della decadenza, ma comporta eventuali conseguenze
extraprocessuali (ad esempio, la responsabilità disciplinare cui fa espresso
richiamo l'art. 124 cod. proc. pen.).
Nel processo penale, verosimilmente in considerazione del carattere pubblico
dell'azione penale e della natura degli interessi in gioco, non è in via generale
contemplato l'istituto della abbreviazione o della proroga dei termini assegnati
alle parti ex lege o per provvedimento del giudice. Sono invece espressamente
previsti la non prorogabilità dei termini stabiliti dalla legge a pena di decadenza,
salvo che la legge disponga altrimenti (art. 173, comma 2, cod. proc. pen.) e
l'istituto della restituzione nel termine per il caso fortuito o la forza maggiore
(art. 175 cod. proc. pen.).
3. - Emerge immediata ed evidente una duplice ragione di inammissibilità della
richiesta referendaria.
In primo luogo, la formulazione del quesito non rispetta il carattere meramente
abrogativo del referendum, ma mira piuttosto, attraverso la tecnica del "ritaglio"
di singole parole o gruppi di parole privi di autonomo significato normativo, a
creare, sia nel processo civile che in quello penale, discipline dei termini
processuali nuove e assolutamente diverse, sostituendole a quelle esistenti (v.
sentenza n. 36 del 1997).
Per quanto riguarda il processo civile, gli interventi soppressivi delle parole
"anche a pena di decadenza" operati sul primo comma dell'art. 152 cod. proc. civ.,
nonché delle parole "stabiliti dalla legge" e "ordinatori, tranne che la legge li
dichiari espressamente", operati sul secondo comma del medesimo articolo,
trasformerebbero tutti i termini in perentori. Viene peraltro proposta anche
l'abrogazione dell'intero art. 153 cod. proc. civ., ove si stabilisce che i termini
perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull'accordo delle
parti, nonché della parola "ordinatorio" nella rubrica dell'art. 154 cod. proc. civ.
e delle parole "che non sia stabilito a pena di decadenza" nel primo comma del
medesimo articolo, con la conseguenza che tutti i termini, ricondotti all'unica
categoria dei termini perentori, potrebbero essere abbreviati o prorogati, prima
della scadenza, dal giudice anche d'ufficio.
In caso di esito positivo del referendum verrebbe, quindi, introdotta
nell'ordinamento l'inedita categoria dei termini processuali perentori, ma nello
stesso tempo abbreviabili o prorogabili dal giudice anche d'ufficio, oltretutto in
contrasto con le esigenze di certezza e di uniformità che ineriscono alla natura
stessa dei termini perentori.
Anche per quanto concerne i termini processuali penali, la richiesta referendaria,
attraverso interventi ablativi di mere locuzioni verbali, operati sull'art. 173 (e
marginalmente sull'art. 175) del codice di procedura penale, tende a sostituire a
quella esistente una disciplina radicalmente diversa, che fa perno su un'unica
categoria di termini indiscriminatamente stabiliti a pena di decadenza, quale che
sia l'atto o l'attività cui ineriscono, e non prorogabili, salvo che la legge stessa
disponga diversamente.
4. - Sono altresì evidenti la disomogeneità e l'intrinseca contraddittorietà del
quesito referendario, che a loro volta si riflettono nella anodina e generica
formulazione dell'intitolazione "Sistema dei termini processuali: Abrogazione
parziale".
La pretesa di sottoporre a referendum discipline accomunate solo dal mero
riferimento nominalistico all'istituto dei termini processuali, ma operanti nei
diversi sistemi del processo civile e del processo penale, pone la libertà di scelta
dell'elettore di fronte a prospettive tra loro non conferenti. Inoltre con il
medesimo quesito si chiede, da un lato, di introdurre nell'ordinamento processuale
civile termini qualificati come perentori, ma in realtà sempre abbreviabili o
prorogabili anche d'ufficio dal giudice; dall'altro di sopprimere nell'ordinamento
processuale penale la categoria dei termini ordinatori e di trasformarli tutti in
termini sanzionati a pena di decadenza.
Risulta così disatteso proprio lo scopo, dichiarato dai promotori del referendum
nella memoria illustrativa, di conseguire l'accelerazione dei procedimenti,
imponendo anche al giudice il rigoroso rispetto dei nuovi termini processuali
perentori: al contrario, nel processo civile i termini diverrebbero tutti
abbreviabili o prorogabili sulla base di scelte discrezionali dello stesso giudice;
nel processo penale la sanzione della decadenza, prevista in caso di inosservanza
per tutti i termini, potrebbe addirittura determinare la paralisi dell'esercizio
della giurisdizione.
5. - Per le concorrenti ragioni sopra esposte, la richiesta referendaria va pertanto
dichiarata inammissibile.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle
parti indicate in epigrafe, degli artt. 152, 153 e 154 del regio decreto 28 ottobre
1940, n. 1443, recante "Approvazione del Codice di procedura civile", e degli artt.
173 e 175 del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447,
recante "Approvazione del codice di procedura penale", richiesta dichiarata
legittima, con ordinanza in data 7-13 dicembre 1999, dall'Ufficio centrale per il
referendum costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 3 febbraio 2000
F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente
Guido Neppi MODONA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata il 7 febbraio 2000
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
SENTENZA
N. 49
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI Giudice
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Prof. Annibale MARINI "
- Dott.. Franco BILE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di
referendum popolare per l'abrogazione del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito in legge, con modificazioni, dalla
legge 19 dicembre 1984, n. 863, recante: "Misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli occupazionali" e successive
modificazioni, limitatamente all'articolo 5, come modificato - quanto al comma 7 - dall'articolo 1, del decreto-legge 9 ottobre 1989,
n. 338, convertito dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389, e come integrato - quanto ai commi 9-bis e ter - dall'art. 2, del
decreto-legge 1 ottobre 1996, n. 510, convertito dalla legge 28 novembre 1996, n. 608, giudizio iscritto al n. 127 del registro
referendum.
Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha
dichiarato conforme a legge la richiesta;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;
uditi l'avvocato Edoardo Ghera per i presentatori Daniele Capezzone, Mariano Giustino e Michele De Lucia, l'avvocato Mario
Salerni per l'associazione Progetto Diritti ed altri, e l'avvocato Piergiovanni Alleva per la Federazione dei Verdi ed altri, Comitato
per le libertà e i diritti sociali e Partito della Rifondazione Comunista.
Ritenuto in fatto
1. L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n.
352, e successive modificazioni, ha esaminato la richiesta di referendum popolare previsto dall'art. 75 della Costituzione,
presentata l'8 marzo 1999 da quattordici cittadini italiani, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 10 marzo 1999, n. 57, sul seguente
quesito: <19 dicembre 1984, n. 863, recante "Misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli occupazionali" e successive modificazioni,
limitatamente all'articolo 5 ?>>.
2. L'Ufficio centrale per il referendum, con ordinanza in data 7-13 dicembre 1999, verificata la regolarità della richiesta, ha
provveduto ad integrare il quesito, in considerazione del fatto che la norma che ne costituisce oggetto è stata, in parte, modificata
dall'art. 1, del decreto legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito in legge 7 dicembre 1989, n. 389, nonché dall'art. 2, del decreto legge
1 ottobre 1996, n. 510, convertito in legge 28 novembre 1996, n. 608. L'Ufficio centrale ha quindi dichiarato legittima la richiesta
sul seguente quesito, così riformulato: <con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, recante "Misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli
occupazionali" e successive modificazioni, limitatamente all'articolo 5, come modificato - quanto al comma 7 - dall'art. 1, decreto
legge 9 ottobre 1989, n. 338, conv. dalla legge 7 dicembre 1989 n. 389, e come integrato - quanto ai commi 9 bis e ter - dall'art.
2, decreto legge 1 ottobre 1996, n. 510, conv. dalla legge 28 novembre 1996, n. 608 ?>>, stabilendo altresì che la denominazione
del referendum sia: <>.
3. Ricevuta comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale, il Presidente di questa Corte, ha fissato il giorno 13 gennaio 2000
per la conseguente deliberazione, dandone comunicazione ai presentatori della richiesta ed al Presidente del Consiglio dei ministri,
ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352.
Daniele Capezzone, Mariano Giustino e Michele De Lucia, quali presentatori della richiesta, hanno depositato memoria, ai sensi
dell'art. 33, terzo comma, della legge da ultimo citata, nella quale sostengono che il quesito non contrasterebbe con i limiti stabiliti
dall'art. 75 della Costituzione e neppure riguarderebbe una norma strumentale all'attuazione di trattati internazionali, dato che il
termine per il recepimento della direttiva n. 97/81/CE del 15 dicembre 1997 non è ancora scaduto e, comunque, l'abrogazione della
norma non violerebbe i principi da essa stabiliti. Il quesito avrebbe anche i previsti requisiti di omogeneità, univocità e chiarezza, in
quanto sarebbe palese l'intento di eliminare la disciplina vincolistica del rapporto di lavoro part-time, allo scopo di liberalizzarlo ed
assoggettarlo alle disposizioni generali sui contratti.
4. Hanno altresì presentato, in persona dei rispettivi legali rappresentanti, una memoria unica l'associazione Progetto Diritti, la
Federazione delle Rappresentanze Sindacali di Base, il Centro di ricerca ed elaborazione per la democrazia le quali deducono
l'inammissibilità della richiesta referendaria, in quanto il quesito sarebbe privo dei requisiti di univocità e chiarezza.
4.1. Tre distinte memorie, di contenuto sostanzialmente identico, sono state depositate il 10 gennaio 2000: la prima, dalla
Federazione dei Verdi, in persona del responsabile nazionale del settore economia, dall'Associazione nazionale per la sinistra, in
persona del presidente pro-tempore e da Alfiero Grandi, nella qualità di responsabile lavoro dei D.S.-Democratici di sinistra; la
seconda, dal Partito della Rifondazione comunista, in persona del segretario generale; la terza dal Comitato per le libertà e i diritti
sociali, in persona del presidente pro-tempore.
Nelle memorie, premessa la ritenuta ammissibilità del deposito degli atti, si sostiene che la richiesta referendaria violerebbe gli artt.
3, secondo comma, 4, 32 e 35 della Costituzione e sarebbe comunque inammissibile in quanto contrastante con gli obblighi della
direttiva comunitaria n. 97/81/CE.
5. Alla camera di consiglio del 13 gennaio 2000 hanno partecipato, per i presentatori della richiesta, gli avvocati Edoardo Ghera,
Sergio Magrini e Antonio Vallebona, illustrando e ribadendo le argomentazioni a sostegno del referendum.
Inoltre, sono stati ammessi ad illustrare le rispettive memorie, con riserva di ogni decisione in ordine all'ammissibilità della loro
partecipazione, gli avvocati Piergiovanni Alleva e Mario Salerni.
Considerato in diritto
1. La richiesta di referendum abrogativo, sulla cui ammissibilità la Corte è chiamata a pronunciarsi, a seguito dell'ordinanza
dell'Ufficio centrale per il referendum del 7-13 dicembre 1999, che ne ha dichiarato la legittimità, provvedendo all'integrazione del
quesito, investe l'art. 5 del decreto legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre
1984, n. 863 (Misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli occupazionali), come modificato ed integrato - quanto ai commi
7, 9-bis e 9-ter - dall'art. 1, decreto legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito in legge 7 dicembre 1989, n. 339, e dall'art. 2, decreto
legge 1 ottobre 1996, n. 510, convertito in legge 28 novembre 1996, n. 608, il quale disciplina il rapporto di lavoro subordinato
privato a tempo parziale.
2. In via preliminare va dichiarata, per le ragioni specificamente indicate da questa Corte nella sentenza n. 31 del 2000, la
ricevibilità delle memorie provenienti dai soggetti diversi dai presentatori del referendum ed è altresì ammissibile la loro
illustrazione orale, avvenuta nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000.
3. Il giudizio per l'ammissibilità della richiesta referendaria postula che si accerti se la stessa sia in contrasto con i limiti posti
dall'art. 75, secondo comma, della Costituzione, o con quelli desumibili, secondo la giurisprudenza di questa Corte, da
un'interpretazione logico-sistematica della Costituzione (ex plurimis: sentenza n. 33 del 1997). Il giudizio va in particolare esteso,
secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. sentenza n. 27 del 1997), a verificare la compatibilità del quesito con le prescrizioni
delle direttive comunitarie (sentenze n. 36 del 1997, n. 64 del 1990), qualora, come accade nella specie, queste siano idonee a
produrre effetti tali da inibire l'abrogazione delle norme interne, in quanto preclusiva del corretto adempimento degli obblighi
derivanti allo Stato italiano dal diritto comunitario derivato (sentenza n. 36 del 1997).
Sotto questo profilo va premesso che la disciplina recata dall'art. 5 della legge n. 863 del 1984 rientra nel campo di applicazione
della direttiva comunitaria 97/81/CE del 15 dicembre 1997, allo stato non ancora recepita nel nostro ordinamento, la quale è diretta
specificamente ad attuare l'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso il 6 giugno 1997 tra le organizzazioni
intercategoriali a carattere generale UNICE, CEEP e CES. Il predetto accordo, dopo avere stabilito, tra l'altro, il principio di non
discriminazione nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e il principio di agevolazione dello sviluppo del lavoro a tempo parziale,
in particolare prevede l'opzione di fondo per il principio "pro rata temporis" (clausola 4.2), nonché la tendenziale eliminazione degli
"ostacoli di natura giuridica o amministrativa che possono limitare le possibilità di lavoro a tempo parziale" (clausola 5.1, lett. a).
Premesso che, in forza dell'art. 11 della Costituzione, di fronte alla normativa comunitaria "l'ordinamento interno si ritrae e non è
più operante" (sentenza n. 285 del 1990), si può dire che gli indicati obiettivi comunitari trovano una sia pure parziale ed anticipata
conformazione nel vigente ordinamento interno, appunto nella disciplina recata dall'art. 5 della legge n. 863 del 1984. Ed infatti la
giurisprudenza ordinaria ha valorizzato la ratio legis di questo atto normativo individuandola nell'intento di agevolare, anche sul
piano previdenziale, il modulo lavorativo del tempo parziale e anche la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto che il
legislatore ha avuto di mira in questa legge "la "flessibilità" e l'occupazione nel loro complesso" (sentenza n. 202 del 1999). In
particolare si può ritenere che, nell'ambito di questa disciplina, siano sostanzialmente coerenti con la direttiva alcune disposizioni
della citata disciplina legislativa, poiché appaiono già di per sé stessi ispirati al principio "pro rata temporis" sia il comma 5 dell'art.
5, che regola il calcolo dei contributi, sia il comma 12, che stabilisce il criterio di computo dei lavoratori part-time ai fini del calcolo
del numero dei lavoratori dell'azienda. Mentre al principio della rimozione degli ostacoli di natura giuridica al lavoro a tempo
parziale appaiono ispirati sia la disposizione del comma 3-bis, che regola alcune situazioni di prelazione dei lavoratori a tempo
parziale in caso di assunzione di lavoratori con contratti a tempo pieno, sia il comma 11, che disciplina il trattamento pensionistico in
caso di trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale e viceversa.
Si può quindi ritenere che le predette disposizioni e, più in generale, la complessiva disciplina posta dallo stesso art. 5 abbiano già
realizzato, in una sorta di anticipazione della citata direttiva 97/81/CE, un nucleo minimo di regole che, da un lato, agevolano il
lavoro a tempo parziale e, dall'altro lato, costituiscono una forma di protezione del lavoratore part-time. Tale nucleo minimo
essenziale non può essere totalmente rimosso, nell'ordinamento interno, se non attraverso la contemporanea sostituzione con
disposizioni a loro volta conformi, proprio perché l'entrata in vigore della direttiva ha determinato il formarsi, durante la pendenza
del termine, di una situazione di pre-conformazione all'obbligo di adeguamento, che preclude l'adozione di atti collidenti con i
principi della direttiva.
E' invero pacifico, nella giurisprudenza comunitaria, che gli Stati membri hanno il dovere, ai sensi degli artt. 5 e 189 del Trattato, di
leale cooperazione, che impone, tra l'altro, di astenersi dall'adottare, nel periodo intercorrente tra l'entrata in vigore della direttiva ed
il termine assegnato per il suo recepimento, qualsiasi misura che possa compromettere il conseguimento del risultato prescritto
(Corte di giustizia, 18 dicembre 1997 in causa C-129/96). Ciò è tanto più vero, nel caso di specie, non solo perché il termine di
attuazione della direttiva è già scaduto il 20 gennaio 2000 rendendo così formalmente inadempiente lo Stato italiano, ma anche
perché sia il ventiduesimo "considerando" della direttiva sia la clausola 6.2 dell'allegato accordo quadro stabiliscono espressamente
che in ragione della direttiva non può essere giustificato alcun "regresso" rispetto alla situazione vigente in ciascuno Stato membro
per quanto riguarda il livello generale di protezione dei lavoratori nell'ambito coperto dall'accordo stesso. L'abrogazione, in via
referendaria, del citato art. 5 determinerebbe invece l'eliminazione pura e semplice della tutela contenuta nella vigente disciplina
specifica del rapporto di lavoro a tempo parziale, così da porre in essere una situazione tale da far sorgere la responsabilità dello
Stato italiano per inadempimento di uno specifico obbligo comunitario (cfr. sentenze n. 26 del 1993 e n. 64 del 1990), con
conseguente violazione dell'art. 75, secondo comma, della Costituzione.
Sotto questo profilo sussiste quindi una precisa ragione di inammissibilità del quesito referendario relativo all'art. 5 della legge n.
863 del 1984, il quale, peraltro, allo stato, è tuttora vigente, non risultando fino ad ora pubblicati ed efficaci preannunciati atti
legislativi, che, recependo la direttiva comunitaria, stabiliscano una differente disciplina.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dell'art. 5 e successive modificazioni del decreto
legge 30 ottobre 1984, n. 726 convertito in legge 19 dicembre 1984, n. 863 (Misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli
occupazionali), richiesta dichiarata legittima con ordinanza in data 7-13 dicembre 1999 dall'Ufficio centrale per il referendum
costituito presso la Corte di Cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 2000
F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente
Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata il 7 febbraio 2000
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
SENTENZA N.50
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI Giudice
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Prof. Annibale MARINI "
- Dott. Franco BILE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della
richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 18 dicembre 1973, n. 877, recante "Nuove norme per
la tutela del lavoro a domicilio" e successive modificazioni, limitatamente a:
- articolo 2, comma 2: "E' fatto divieto alle aziende interessate da programmi di ristrutturazione, riorganizzazione e di
conversione che abbiano comportato licenziamenti o sospensioni dal lavoro, di affidare lavoro a domicilio per la
durata di un anno rispettivamente dall'ultimo provvedimento di licenziamento e dalla cessazione delle sospensioni.",
comma 3: "Le domande di iscrizione al registro di cui all'art. 3 dovranno essere respinte quando risulti che la
richiesta di lavoro da eseguirsi a domicilio viene fatta a seguito di cessione - a qualsiasi titolo - di macchinari e
attrezzature trasferite fuori dell'azienda richiedente e che questa intenda in tal modo proseguire lavorazioni per le
quali aveva organizzato propri reparti con lavoratori da essa dipendenti.", nonché comma 4: "E' fatto divieto ai
committenti di lavoro a domicilio di valersi dell'opera di mediatori o di intermediari comunque denominati i quali,
unitamente alle persone alle quali hanno commesso lavoro a domicilio, sono considerati, a tutti gli effetti, alle
dipendenze del datore di lavoro per conto e nell'interesse del quale hanno svolto la loro attività.";
- articolo 3;
- articolo 4;
- articolo 5;
- articolo 6;
- articolo 7;
- articolo 8;
- articolo 9;
- articolo 10;
- articolo 11;
- articolo 12;
- articolo 13;
articolo 14;
giudizio iscritto al numero 131 del registro referendum.
Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di
cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Annibale Marini;
uditi l'avvocato Ghera Edoardo per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De Lucia Michele e
l'avvocato Alleva Piergiovanni per la Federazione dei Verdi, l'Associazione Nazionale per la Sinistra, Grandi Alfiero
nella sua qualità di responsabile lavoro dei D.S. -Democratici di Sinistra, il Comitato per le libertà e i diritti sociali e il
Partito della Rifondazione Comunista.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 7-13 dicembre 1999 l'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione
ai sensi dell'art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352 e successive modificazioni ed integrazioni, ha dichiarato
legittima la richiesta di referendum popolare, presentata l'8 marzo 1999 da quattordici cittadini elettori, sul seguente
quesito:
"Volete voi che sia abrogata la legge 18 dicembre 1973, n. 877, recante "Nuove norme per la tutela del lavoro a
domicilio" e successive modificazioni, limitatamente a: articolo 2, comma 2: "E' fatto divieto alle aziende interessate
da programmi di ristrutturazione, riorganizzazione e di conversione che abbiano comportato licenziamenti o
sospensioni dal lavoro, di affidare lavoro a domicilio per la durata di un anno rispettivamente dall'ultimo
provvedimento di licenziamento e dalla cessazione delle sospensioni.", comma 3: "Le domande di iscrizione al
registro di cui all'art. 3 dovranno essere respinte quando risulti che la richiesta di lavoro da eseguirsi a domicilio
viene fatta a seguito di cessione - a qualsiasi titolo - di macchinari e attrezzature trasferite fuori dell'azienda
richiedente e che questa intenda in tal modo proseguire lavorazioni per le quali aveva organizzato propri reparti con
lavoratori da essa dipendenti.", nonché comma 4: "E' fatto divieto ai committenti di lavoro a domicilio di valersi
dell'opera di mediatori o di intermediari comunque denominati i quali, unitamente alle persone alle quali hanno
commesso lavoro a domicilio, sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze del datore di lavoro per conto e
nell'interesse del quale hanno svolto la loro attività."; articolo 3; articolo 4; articolo 5; articolo 6; articolo 7; articolo
8; articolo 9; articolo 10; articolo 11; articolo 12; articolo 13; articolo 14 ?".
Al quesito l'Ufficio centrale ha attribuito il seguente titolo: "Lavoro a domicilio: abolizione delle norme di tutela
speciale".
2.- Ricevuta comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale, il Presidente di questa Corte ha fissato, per la
conseguente deliberazione, la camera di consiglio del 13 gennaio 2000, disponendo che ne fosse data comunicazione
ai presentatori della richiesta di referendum e al Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell'art. 33, secondo
comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352.
3.- Nell'imminenza della camera di consiglio hanno depositato memoria i Signori Daniele Capezzone, Mariano
Giustino e Michele De Lucia, presentatori del referendum, insistendo per la declaratoria di ammissibilità della
richiesta.
Rilevano innanzitutto i presentatori come le disposizioni che si intenderebbero abrogare non rientrino tra quelle per
le quali l'art. 75, secondo comma, della Costituzione esclude la possibilità di referendum abrogativo. Il quesito, infatti,
oltre ad essere estraneo alle materie elencate nella predetta norma costituzionale, non andrebbe neanche incontro ai
limiti posti da leggi strumentali all'attuazione di trattati internazionali in quanto, allo stato, l'Italia non ha ancora
provveduto a ratificare la convenzione OIL n. 177 del 22 giugno 1996 sul lavoro a domicilio. D'altronde, detta
convenzione si limiterebbe a stabilire un generale principio di non discriminazione o parità di trattamento in favore
dei lavoratori a domicilio, nonché ad impegnare gli Stati membri dell'OIL all'adozione di appropriate misure di
politica nazionale per controllare e monitorare il fenomeno del lavoro a domicilio, lasciando agli Stati ampia libertà di
scelta sugli strumenti e sulle norme protettive. Sicché, l'eventuale abrogazione delle norme speciali di tutela dei
lavoratori, attualmente vigenti, non potrebbe determinare una situazione di inadempienza rispetto agli obblighi che
deriverebbero dalla possibile ratifica della convenzione, i cui principi, in tal caso, potranno essere attuati dal
legislatore nell'ambito della sua discrezionalità. Sempre ad avviso dei presentatori, e conclusivamente sul punto, il
quesito, non incidendo sulla norma dell'art. 1 della legge n. 877 del 1973 concernente la definizione del lavoro a
domicilio, e lasciando comunque in vigore la norma generale di cui all'art. 2128 del codice civile (che estende al
lavoro a domicilio le disposizioni sul lavoro subordinato nell'impresa in quanto compatibili con la specialità del
rapporto), non si porrebbe in contrasto con i principi - peraltro generici - di detta convenzione.
Il quesito risulterebbe, poi, di natura semplicemente abrogativa, investendo l'intera legge con le sole eccezioni
dell'intero art. 1 e del primo comma dell'art. 2. Non sarebbe stata infatti adottata alcuna tecnica manipolativa
cosiddetta di ritaglio diretta a creare nuove norme, tant'è che all'esito abrogativo corrisponderebbe la naturale
espansione della disciplina generale prevista nell'ordinamento per il lavoro subordinato senza la creazione di alcuna
disciplina innovativa di risulta.
Non si sarebbe inoltre in presenza, proseguono i presentatori, di norme costituzionalmente necessitate, né a
contenuto costituzionalmente vincolato, poiché la disciplina del lavoro a domicilio non è prevista dalla Costituzione
ed è rimessa alla discrezionalità del legislatore ordinario. Ciò, anche per quel che riguarda la tutela previdenziale
garantita dall'art. 38, secondo comma, della Costituzione. Spetterebbe infatti al legislatore ordinario stabilire
discrezionalmente quali tipi di assicurazione sociale debbano essere previsti per i lavoratori a domicilio e quale debba
essere la misura della loro tutela previdenziale. In ogni caso, il quesito referendario, pur comprendendo
l'abrogazione dell'art. 9 che, al primo comma, richiama l'applicazione delle norme vigenti in materia di assicurazioni
sociali (ad esclusione della integrazione salariale), non determinerebbe alcuna riduzione degli attuali livelli di tutela.
In particolare, ai sensi dell'art. 37, secondo comma, del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, rimarrebbe
garantita l'assicurazione per i casi di invalidità e vecchiaia e per la tubercolosi nonché, ai sensi del secondo comma
dell'art. 4 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, l'assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
Infine, conclude la difesa dei presentatori, il quesito risponderebbe ai requisiti di omogeneità, chiarezza ed univocità.
Risulterebbe, infatti, evidente la finalità intrinseca della richiesta referendaria che consentirebbe agli elettori
l'espressione di un voto consapevole sul mantenimento o meno della vigente disciplina vincolativa del lavoro a
domicilio. L'effetto dell'eventuale accoglimento della richiesta referendaria sarebbe, dunque, chiarissimo,
conseguendone l'eliminazione della disciplina speciale del lavoro a domicilio subordinato, al quale rimarrebbe
applicabile la regola generale dell'art. 2128 del codice civile che estende al lavoro a domicilio le disposizioni sul
lavoro subordinato nell'impresa in quanto compatibili con la specialità del rapporto.
4.- Nell'imminenza della camera di consiglio hanno depositato memorie la Federazione dei Verdi in persona del
responsabile nazionale del settore economia-lavoro senatore Natale Ripamonti, l'Associazione Nazionale per la
Sinistra in persona del presidente onorevole Andrea Sergio Garavini, Alfiero Grandi nella sua qualità di responsabile
lavoro dei D.S. - Democratici di Sinistra, il Comitato per le libertà e i diritti sociali in persona del presidente Paolo
Cagna Ninchi, ed il Partito della Rifondazione Comunista in persona del segretario generale onorevole Fausto
Bertinotti, deducendo tutti l'inammissibilità della richiesta referendaria. Questa, infatti, da un lato sarebbe inidonea al
dichiarato fine di definitiva "liberalizzazione" del contratto di lavoro a domicilio, risolvendosi nella mera ablazione
della disciplina vigente; dall'altro, se intesa come introduttiva di un divieto di normazione limitativa di quel rapporto,
assumerebbe un non consentito carattere propositivo. L'iniziativa referendaria si porrebbe altresì in contrasto con
specifici obblighi internazionali derivanti dalla sottoscrizione della convenzione OIL n. 177 del 1996, che all'art. 4
indica espressamente i profili del rapporto di lavoro a domicilio che devono essere regolati onde realizzare la parità
di trattamento con gli altri lavoratori.
5.- Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 è stato ascoltato per i presentatori, l'avv. Edoardo Ghera, il quale
ha eccepito preliminarmente che le memorie e l'audizione della Federazione dei Verdi, dell'Associazione nazionale
per la Sinistra, di Alfiero Grandi, del Comitato per le libertà ed i diritti sociali e del Partito della Rifondazione
Comunista costituirebbero un inammissibile intervento in giudizio di soggetti non legittimati ed ha richiamato sul
punto la giurisprudenza di questa Corte che, secondo quanto sostenuto, sarebbe ostativa all'ammissibilità sia delle
memorie che dell'audizione dei soggetti sopra specificati. Nel merito, l'avvocato Ghera ha illustrato le
argomentazioni a sostegno dell'ammissibilità del referendum prospettate nella memoria difensiva.
Essendosi la Corte riservata di decidere in sentenza sull'ammissibilità delle memorie e dell'audizione, è stato
ascoltato per la Federazione dei Verdi, l'Associazione Nazionale per la Sinistra, Alfiero Grandi, il Comitato per le
libertà e i diritti sociali ed il Partito della Rifondazione Comunista, l'avvocato Piergiovanni Alleva il quale, ribadita la
ritualità delle memorie e dell'audizione dei soggetti dallo stesso rappresentati, ha illustrato le già dedotte ragioni di
inammissibilità della richiesta referendaria.
Considerato in diritto
1.- La richiesta di referendum investe l'intera legge 18 dicembre 1973, n. 877 (Nuove norme per la tutela del lavoro a
domicilio) e successive modificazioni, ad eccezione dell'articolo 1 e del primo comma dell'articolo 2.
Più precisamente essa riguarda:
A)le disposizioni contenute nei commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 2. La prima di tali disposizioni fa
divieto "alle aziende interessate da programmi di ristrutturazione, riorganizzazione e di conversione che
abbiano comportato licenziamenti o sospensioni dal lavoro, di affidare lavoro a domicilio per la durata di un
anno rispettivamente dall'ultimo provvedimento di licenziamento e dalla cessazione della sospensione".
Secondo la disposizione successiva le domande di iscrizione al registro dei committenti di cui all'art. 3 della
legge "dovranno essere respinte quando risulti che la richiesta di lavoro da eseguirsi a domicilio viene fatta a
seguito di cessione - a qualsiasi titolo - di macchinari e attrezzature trasferite fuori dell'azienda richiedente e
che questa intenda in tal modo proseguire lavorazioni per le quali aveva organizzato propri reparti con
lavoratori da essa dipendenti".
Il quarto comma dello stesso articolo vieta ai committenti di lavoro a domicilio di valersi dell'opera di
mediatori o di intermediari comunque denominati;
B)l'intero articolo 3, che istituisce presso l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione un
registro dei committenti nel quale devono iscriversi coloro che intendono commettere lavoro a domicilio e
impone al datore di lavoro che faccia eseguire lavoro al di fuori della propria azienda di tenere un apposito
registro "sul quale debbono essere trascritti il nominativo ed il relativo domicilio dei lavoratori esterni all'unità
produttiva, nonché l'indicazione del tipo e della quantità del lavoro da eseguire e la misura della retribuzione"
(comma quinto);
C)l'intero articolo 4, che istituisce presso ciascuna sezione comunale dell'ufficio provinciale del lavoro e della
massima occupazione un registro dei lavoratori a domicilio e stabilisce che l'impiego dei lavoratori a domicilio
avviene esclusivamente per il tramite delle sezioni comunali di collocamento. Ferma restando l'ammissibilità
della richiesta nominativa;
D)l'intero articolo 5, che prevede l'istituzione presso ogni ufficio provinciale del lavoro e della massima
occupazione di una commissione per il controllo del lavoro a domicilio definendone i relativi compiti;
E)l'intero articolo 6, che prevede la istituzione presso ogni ufficio regionale del lavoro e della massima
occupazione di una commissione regionale per il lavoro a domicilio disciplinandone la composizione, i compiti e
la durata in carica dei membri.
Occorre, peraltro, precisare che, ai sensi di quanto disposto dal comma 2 dell'art. 6 del d.lgs. 23 dicembre
1997, n. 469, "con effetto dalla costituzione della commissione provinciale di cui al comma 1 (e cioè della
commissione al livello provinciale per le politiche del lavoro) i seguenti organi collegiali sono soppressi e le
relative funzioni e competenze sono trasferite alla provincia:
a)(omissis)
b)(omissis)
c)commissione regionale per il lavoro a domicilio;
d)commissione provinciale per il lavoro a domicilio;
e)commissione comunale per il lavoro a domicilio".
F)l'intero articolo 7, che istituisce presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale la commissione
centrale per il lavoro a domicilio e ne disciplina la composizione, i compiti e la durata in carica dei membri;
G)l'intero articolo 8, che dispone che i lavoratori a domicilio debbono essere retribuiti sulla base di tariffe di
cottimo pieno;
H)l'intero articolo 9, che estende, nel primo comma, ai lavoratori a domicilio le norme vigenti per i lavoratori
subordinati in materia di assicurazioni sociali e di assegni familiari, fatta eccezione di quelle in materia di
integrazione salariale; mentre nel secondo comma si prevede che, con decreto del Ministro per il lavoro e la
previdenza sociale di concerto con il Ministro per il tesoro, siano stabilite, anche per singole zone territoriali,
tabelle di retribuzioni convenzionali ai fini del calcolo dei contributi previdenziali e assistenziali;
I)l'intero articolo 10, che dispone che il lavoratore a domicilio debba essere munito a cura dell'imprenditore di
uno speciale libretto personale di controllo;
L)l'intero articolo 11, che stabilisce nel primo comma che il lavoratore a domicilio "deve prestare la sua
attività con diligenza, custodire il segreto sui modelli del lavoro affidatogli e attenersi alle istruzioni ricevute
dall'imprenditore nell'esecuzione del lavoro".
Il divieto di svolgere attività lavorativa per conto proprio o di terzi in concorrenza con l'imprenditore è
disposto dal secondo comma dello stesso articolo ed è condizionato all'affidamento di una quantità di lavoro
atta a procurare al lavoratore una prestazione continuativa corrispondente all'orario normale di lavoro secondo
le disposizioni vigenti e quelle stabilite dal contratto collettivo di lavoro di categoria;
M)l'intero articolo 12, che affida la vigilanza sull'applicazione della legge al Ministero del lavoro e della
previdenza sociale per il tramite dell'ispettorato del lavoro;
N)l'intero articolo 13, che per il caso di inosservanza delle disposizioni contenute nella legge prevede a carico
del committente lavoro a domicilio un articolato sistema di sanzioni sia di carattere penale che amministrativo;
O)l'intero articolo 14, che dispone espressamente l'abrogazione della legge 13 marzo 1958, n. 264 per la tutela
del lavoro a domicilio.
2.- Va preliminarmente dichiarata - per tutte le considerazioni esposte nella sentenza n. 31 del 2000 - la ricevibilità
delle memorie depositate dai soggetti diversi dai presentatori e, conseguentemente, l'ammissibilità dell'illustrazione
orale delle memorie stesse effettuata nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000.
3.- Il referendum è inammissibile.
Va evidenziato come il lavoro a domicilio, avuto riguardo sia al luogo ed alle modalità di svolgimento della
prestazione lavorativa che ai criteri di retribuzione, costituisca una di quelle forme speciali di lavoro che la
Repubblica, secondo quanto dispone l'art. 35 della Costituzione, deve tutelare.
La doverosità, espressa da tale precetto, di una tutela del lavoro non già generica ed indistinta, ma articolata e
coerente con la specificità delle varie forme (ed applicazioni) del lavoro si pone, dunque, alla base di quella disciplina
speciale del lavoro a domicilio, già introdotta dal legislatore con la legge n. 264 del 1958, (poi sostituita appunto dalla
legge n. 877 del 1973) e che la proposta referendaria vorrebbe ora abrogare, così eliminando una specifica e diretta
attuazione di un principio costituzionale.
I modi e le forme dell'attuazione della tutela costituzionale sono ovviamente rimessi alla discrezionalità del
legislatore, cosicché le leggi attraverso le quali di volta in volta si realizza la tutela del lavoro, nelle sue diverse
manifestazioni, pur essendo costituzionalmente necessarie, non sono a contenuto vincolato. Esse, in quanto dirette a
rendere effettivo un diritto fondamentale della persona, una volta venute ad esistenza possono essere dallo stesso
legislatore modificate o sostituite con altra disciplina, ma non possono essere puramente e semplicemente abrogate,
così da eliminare la tutela precedentemente concessa, pena la violazione diretta di quel medesimo precetto
costituzionale della cui attuazione costituiscono strumento (si veda, sul punto, con specifico riferimento
all'abrogazione referendaria, la sentenza n. 35 del 1997, nonché le sentenze n. 134 del 1994 e n. 106 del 1992).
Tale limite si oppone all'abrogazione della vigente normativa di tutela speciale del lavoro a domicilio e determina
l'inammissibilità della proposta referendaria.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, della
legge 18 dicembre 1973, n. 877 (Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio) e successive modificazioni,
richiesta dichiarata legittima con ordinanza del 7-13 dicembre 1999 dall'Ufficio centrale per il referendum costituito
presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 2000
F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente
Annibale MARINI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata il 7 febbraio 2000
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
SENTENZA N.51
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI Giudice
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Prof. Annibale MARINI "
- Dott. Franco BILE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11
marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 18
aprile 1962, n. 230 recante "Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato" e
successive modificazioni limitatamente a:
- articolo 1, comma 1: "Il contratto di lavoro si reputa a tempo indeterminato, salvo le
eccezioni appresso indicate." e comma 2, come modificato dall'art. unico della legge 23 maggio
1977, n. 266 (il quale ha sostituito la lettera "e"), nonché come integrato dall'art. unico
della legge 25 marzo 1986, n. 84 (il quale ha aggiunto la lettera "f"), limitatamente alle
parole: "a) quando ciò sia richiesto dalla speciale natura dell'attività lavorativa derivante
dal carattere stagionale della medesima; b) quando l'assunzione abbia luogo per sostituire
lavoratori assenti e per i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto, sempreché
nel contratto di lavoro a termine sia indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa
della sua sostituzione; c) quando l'assunzione abbia luogo per la esecuzione di un'opera o di
un servizio definiti e predeterminati nel tempo aventi carattere straordinario od occasionale;
d) per le lavorazioni a fasi successive che richiedono maestranze diverse, per
specializzazioni, da quelle normalmente impiegate e limitatamente alle fasi complementari od
integrative per le quali non vi sia continuità di impiego nell'ambito dell'azienda; e) nelle
assunzioni di personale riferite a specifici spettacoli ovvero a specifici programmi
radiofonici o televisivi; f) quando l'assunzione venga effettuata da aziende di trasporto
aereo o da aziende esercenti i servizi aeroportuali ed abbia luogo per lo svolgimento dei
servizi operativi di terra e di volo, di assistenza a bordo ai passeggeri e merci, per un
periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di
quattro mesi per periodi diversamente distribuiti, e nella percentuale non superiore al 15 per
cento dell'organico aziendale che, al 1 gennaio dell'anno a cui le assunzioni si riferiscono,
risulti complessivamente adibito ai servizi sopra indicati. Negli aeroporti minori detta
percentuale può essere aumentata da parte delle aziende esercenti i servizi aeroportuali,
previa autorizzazione dell'ispettorato del lavoro, su istanza documentata delle aziende stesse.
In ogni caso, le organizzazioni sindacali provinciali di categoria ricevono comunicazione delle
richieste di assunzione da parte delle aziende di cui alla presente lettera.", comma 3:
"L'apposizione del termine è priva di effetto se non risulta da atto scritto.", comma 4: "Copia
dell'atto scritto deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore.", comma 5: "La
scrittura non è tuttavia necessaria quando la durata del rapporto di lavoro puramente
occasionale non sia superiore a 12 giorni lavorativi.", nonché comma 6: "L'elenco delle
attività di cui al secondo comma, lettera a), del presente articolo sarà determinato con
decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza
sociale, entro un anno dalla pubblicazione della presente legge. L'elenco suddetto potrà essere
successivamente modificato con le medesime procedure. In attesa dell'emanazione di tale
provvedimento, per la determinazione di dette attività si applica il decreto ministeriale 11
dicembre 1939 che approva l'elenco delle lavorazioni che si compiono annualmente in periodi di
durata inferiore a sei mesi.";
- articolo 2, come sostituito (quanto al comma 2) dall'art. 12 della legge 24 giugno 1997, n.
196;
- articolo 3;
- articolo 4;
- articolo 5;
- articolo 6;
- articolo 7, come sostituito dall'art. 14 del d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758;
- articolo 8;
- articolo 9;
- articolo 10;
- articolo 11;
nonché il decreto-legge 3 dicembre 1977, n. 876, convertito in legge, con modificazioni dalla
legge 3 febbraio 1978, n. 18, recante "Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato
nei settori del commercio e del turismo" e successive modificazioni, nonché la legge 28
febbraio 1987, n. 56, recante "Norme sull'organizzazione del mercato del lavoro" e successive
modificazioni, limitatamente all'articolo 23, come sostituito (quanto al comma 2) dall'art. 9
bis d.l. 20 maggio 1993, n. 148, convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236; giudizio iscritto
al n. 123 del registro referendum.
Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum
presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta e la successiva
ordinanza di correzione di errore materiale del 21 dicembre 1999;
Udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 1999 il Giudice relatore Franco Bile;
uditi l'avvocato Sergio Magrini per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De
Lucia Michele, l'avvocato Mario Salerni per l'associazione Progetto Diritti, per la Federazione
delle Rappresentanze Sindacali di Base e per il Centro di ricerca ed elaborazione per la
democrazia e l'avvocato Piergiovanni Alleva per la Federazione dei Verdi ed altri, Comitato per
le libertà e i diritti sociali e Partito della Rifondazione Comunista.
Ritenuto in fatto
1. - L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ai sensi
della legge 25 maggio 1970, n. 352, ha esaminato la richiesta di referendum popolare
depositata in data 8 marzo 1999 da Daniele Capezzone ed altri (pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale n. 57 del 10 marzo 1999), presentata sul seguente quesito: << Volete voi che sia
abrogata la legge 18 aprile 1962, n. 230, recante "Disciplina del contratto di lavoro a tempo
determinato" e successive modificazioni, limitatamente a:
- art. 1, comma 1: "Il contratto di lavoro si reputa a tempo indeterminato, salvo le eccezioni
appresso indicate."; comma 2, come modificato dall'articolo unico della legge 23 maggio 1977 n.
266 il quale ha sostituito la lett. "e"), nonché come integrato dall'articolo unico della
legge 25 marzo 1986, n. 84 (il quale ha aggiunto la lettera "f"), limitatamente alle parole:
"a) quando ciò sia richiesto dalla speciale natura dell'attività lavorativa derivante dal
carattere stagionale della medesima; b) quando l'assunzione abbia luogo per sostituire
lavoratori assenti e per i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto, sempreché
nel contratto di lavoro a termine sia indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa
della sua sostituzione; c) quando l'assunzione abbia luogo per la esecuzione di un'opera o di
un servizio definiti e predeterminati nel tempo aventi carattere straordinario od occasionale;
d) per le lavorazioni a fasi successive che richiedono maestranze diverse, per
specializzazioni, da quelle normalmente impiegate e limitatamente alle fasi complementari od
integrative per le quali non vi sia continuità di impiego nell'ambito dell'azienda; e) nelle
assunzioni di personale riferite a specifici spettacoli ovvero a specifici programmi
radiofonici o televisivi; f) quando l'assunzione venga effettuata da aziende di trasporto
aereo o da aziende esercenti i servizi aeroportuali ed abbia luogo per lo svolgimento dei
servizi operativi di terra e di volo, di assistenza a bordo ai passeggeri e merci, per un
periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di
quattro mesi per periodi diversamente distribuiti e nella percentuale non superiore al 15 per
cento dell'organico aziendale che, al 10 gennaio dell'anno a cui le assunzioni si riferiscono,
risulti complessivamente adibito ai servizi sopraindicati. Negli aeroporti minori detta
percentuale può essere aumentata da parte delle aziende esercenti i servizi aeroportuali,
previa autorizzazione dell'ispettorato del lavoro, su istanza documentata delle aziende stesse.
In ogni caso, le organizzazioni sindacali provinciali di categoria ricevono comunicazione delle
richieste di assunzione da parte delle aziende di cui alla presente lettera."; comma 3:
"L'apposizione del termine è priva di effetto se non risulta da atto scritto."; comma 4: "Copia
dell'atto scritto deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore."; comma 5: "La
scrittura non è tuttavia necessaria quando la durata del rapporto di lavoro puramente
occasionale non sia superiore a dodici giorni lavorativi."; nonché comma 6: "L'elenco delle
attività di cui al secondo comma, lettera a), del presente articolo sarà determinato con
decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza
sociale, entro un anno dalla pubblicazione della presente legge. L'elenco suddetto potrà essere
successivamente modificato con le medesime procedure. In attesa dell'emanazione di tale
provvedimento, per la determinazione di dette attività si applica il decreto ministeriale 11
dicembre 1939 che approva l'elenco delle lavorazioni che si compiono annualmente in periodi di
durata inferiore a sei mesi.";
- art. 2, come sostituito (quanto al comma 2) dall'art. 12 della legge 24 giugno 1997, n. 196;
- art. 3;
- art. 4;
- art. 5;
- art. 6;
- art. 7, come sostituito dall'art. 14 del d. lgs. 19 dicembre 1994, n. 758;
- art. 8;
- art. 9;
- art. 10;
- art. 11"
nonché il decreto legge 3 dicembre 1977, n. 876, convertito in legge, con modificazione, dalla
legge 3 febbraio 1978, n. 18, recante "Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato
nei settori del commercio e del turismo" e successive modificazioni, nonché la legge 28
febbraio 1987, n. 56, recante "Norme sull'organizzazione del mercato del lavoro" e successive
modificazioni, limitatamente all'art. 23, come sostituito (quanto al comma 2) dall'art. 9 bis
del decreto legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito in legge dalla legge 19 luglio 1993, n.
236?>>.
2. - L'Ufficio centrale per il referendum, con ordinanza pronunciata in data 7-13 dicembre
1999 - ritenuta la tempestività della presentazione della richiesta referendaria e dato atto
che le sottoscrizioni raccolte dai promotori avevano raggiunto il numero di cinquecentomila -
ha dichiarato che la richiesta è conforme alle disposizioni di legge.
Al quesito l'Ufficio centrale ha assegnato la seguente denominazione: "Contratti di lavoro
a tempo determinato: Liberalizzazione della stipulazione".
3. - Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente della Corte costituzionale ha fissato
il giorno 13 gennaio 2000 per la deliberazione in camera di consiglio sull'ammissibilità della
richiesta, dandone comunicazione, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge 25 maggio
1970, n. 352, ai presentatori della richiesta ed al Presidente del Consiglio dei ministri.
4. - In prossimità della camera di consiglio, i promotori hanno depositato una memoria nella
quale si chiede la dichiarazione di ammissibilità del referendum.
5. - Sono state presentate memorie dall'Associazione Progetto Diritti O.N.L.U.S., dalla
Federazione delle Rappresentanze Sindacali di Base e dal Centro di Ricerca ed Elaborazione per
la Democrazia, dal Comitato per le Libertà e i diritti sociali, dal Partito della Rifondazione
Comunista e, congiuntamente, dalla Federazione dei Verdi, dall'Associazione Nazionale per la
Sinistra e da Alfiero Grandi, nella dedotta qualità di responsabile lavoro dei D.S. -
Democratici di Sinistra.
6. - Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 sono stati uditi l'avv.Sergio Magrini per i
presentatori; l'avv.Mario Salerni per l'Associazione Progetto Diritti O.N.L.U.S., la
Federazione delle Rappresentanze Sindacali di Base e il Centro di Ricerca ed Elaborazione per
la Democrazia; e l'avv. Piergiovanni Alleva per il Partito della Rifondazione Comunista, la
Federazione dei Verdi, e l'Associazione Nazionale per la Sinistra.
Considerato in diritto
1. - Sciogliendo la riserva formulata dal Presidente della Corte nella camera di consiglio del
13 gennaio 2000, in via preliminare va dichiarata, per le ragioni specificamente indicate da
questa Corte nella sentenza n. 31 del 2000, la ritualità del deposito delle memorie provenienti
da soggetti diversi dai presentatori del referendum, nonché della loro illustrazione orale,
avvenuta nella camera di consiglio citata.
2. - Si può quindi passare all'esame della sussistenza dei requisiti per l'ammissibilità della
richiesta del referendum abrogativo - dichiarata legittima dall'Ufficio centrale per il
referendum, costituito presso la Corte di cassazione, con ordinanza 7/13 dicembre 1999 - al
fine di accertare se, riguardo all'oggetto della richiesta stessa, ricorra qualcuno dei limiti
espressamente previsti dall'art. 75, secondo comma, della Costituzione o comunque impliciti nel
sistema e se il quesito presenti struttura e caratteri conformi alla funzione che la
Costituzione assegna all'istituto del referendum abrogativo, che la Corte ha individuato fin
dalla sentenza n.16 del 1978.
3. - Si deve subito rilevare - quanto all'area della normativa costituzionalmente interdetta
all'iniziativa referendaria ratione materiae - che il quesito in esame concerne la disciplina
del rapporto di lavoro a tempo determinato e, quindi, certamente non riguarda alcuna legge
tributaria o di bilancio, né di amnistia o di indulto.
4. - Con riferimento all'ultimo dei limiti indicati nel secondo comma dell'art.75 della
Costituzione, il referendum non propone specificamente l'abrogazione di una legge di
autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Peraltro ai fini della decisione
sull'ammissibilità occorre tener conto delle precisazioni fornite dalla giurisprudenza
costituzionale.
Sotto tale profilo giova richiamare (ed ulteriormente ribadire) i princìpi ripetutamente
affermati da questa Corte fin dalla sentenza n. 30 del 1981 (e successivamente confermati dalle
sentenze n. 31 del 1981, n. 25 del 1987, n. 63 del 1990 e, più recentemente, dalla sentenza
n.27 del 1997). In base a tali principi, nella categoria delle leggi per cui l'art. 75 della
Costituzione esclude il ricorso al referendum abrogativo sono ricomprese - oltre alle leggi di
autorizzazione a ratificare trattati internazionali - anche "le disposizioni produttive di
effetti collegati in modo così stretto all'ambito di operatività" di queste leggi che "la
preclusione debba ritenersi sottintesa".
A siffatta conclusione la Corte è pervenuta considerando in primo luogo che dall'abrogazione di
tali norme deriverebbe l'esposizione dello Stato italiano a responsabilità nei confronti delle
altre parti contraenti a causa della violazione degli impegni assunti in sede internazionale; e
aggiungendo inoltre che la Costituzione "ha voluto riservare (tale responsabilità) alla
valutazione politica del Parlamento, sottraendo le norme in questione alla consultazione
popolare, alla quale si rivolge il referendum abrogativo previsto dall'art. 75 della
Costituzione" (sentenze n. 30 del 1981 e n. 27 del 1997, citate, nonché n. 28 del 1993).
5. - Tra le leggi di ratifica di trattati internazionali deve essere ricordata in particolare
quella concernente il trattato istitutivo della Comunità europea (legge 14 ottobre 1957, n.
1203, di ratifica ed esecuzione degli accordi internazionali firmati a Roma il 25 marzo 1957,
cui hanno fatto seguito la legge 3 novembre 1992, n. 454, di ratifica ed esecuzione del
trattato sull'Unione europea firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, e la legge 16 giugno
1998, n. 209, di ratifica ed esecuzione del trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997).
Questa Corte (a partire dalla sentenza n.170 del 1984) ha precisato che l'ordinamento
comunitario e quello statale si configurano come autonomi e distinti, secondo la ripartizione
di competenza stabilita dal trattato, ed ha ricondotto il coordinamento fra essi esistente
all'ambito dell'art.11 della Costituzione.
Il processo di progressiva integrazione degli ordinamenti giuridici nazionale e comunitario ha
comportato, pur a Costituzione invariata, delle profonde modifiche all'ordinamento interno.
Infatti - poiché nelle materie previste dal trattato la normativa regolatrice è quella emanata
dalle istituzioni comunitarie secondo le previsioni del trattato stesso (entro il quadro
precisato dalla ricordata sentenza n.170 del 1984) - di fronte a tale normativa, come ha
rilevato la sentenza n.285 del 1990, "l'ordinamento interno si ritrae e non è più operante".
Questa ritrazione per un verso consente la diretta applicabilità del diritto comunitario
derivato, nei termini riconosciuti dalla giurisprudenza di questa Corte e della Corte di
giustizia delle Comunità europee, e per altro verso attribuisce una posizione di preminenza
all'adempimento, da parte dello Stato italiano, degli obblighi comunitari, garantendolo con una
rete di protezione che - come emerge dalla giurisprudenza di questa Corte - incide, per vari
aspetti, sui poteri del legislatore, dei giudici e della pubblica amministrazione.
6. - Nel quadro fin qui delineato si colloca la giurisprudenza della Corte concernente i
rapporti fra ordinamento comunitario e referendum abrogativo.
Con specifico riferimento all'interferenza con il trattato di Roma, le sentenze n. 31 e n. 15
del 1997 hanno espressamente verificato se le abrogazioni oggetto delle richieste referendarie
rispettivamente esaminate avrebbero potuto comportare, in concreto, una violazione degli
obblighi posti allo Stato italiano dal trattato stesso.
7. - Anche l'obbligo - imposto dal trattato agli Stati membri, in vista dell'obiettivo di
conformazione degli ordinamenti interni - di ottemperare alle prescrizioni poste dalla
normativa comunitaria derivata, ha una precisa ricaduta - come già ritenuto dalla Corte - in
termini di inammissibilità del referendum che in ipotesi esponga lo Stato italiano al rischio
dell'inadempienza.
In particolare, le direttive comunitarie sono state espressamente considerate rilevanti ai fini
del giudizio di ammissibilità di richieste referendarie - sia pure per escludere che il
risultato del referendum confliggesse con le direttive che venivano in considerazione - dalla
sentenza n. 64 del 1990 e (congiuntamente a trattati internazionali) dalle sentenze n. 63 del
1990, n. 26 del 1993 e n. 36 del 1997.
8. - Si tratta allora di verificare se il quesito referendario si ponga, o meno, in contrasto
con la direttiva 1999/70/CE del Consiglio dell'Unione europea del 28 giugno 1999.
8.1. - La citata direttiva concerne specificamente il rapporto di lavoro a tempo determinato, e
recepisce l'accordo-quadro stipulato al riguardo dalle parti sociali.
Tale accordo richiede che il termine apposto al contratto di lavoro sia determinato da
condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito
specifico o il verificarsi di un evento specifico. E nel contempo dispone che gli Stati membri,
ove nella loro legislazione non abbiano già una normativa equivalente, debbano, non oltre il 10
luglio 2001, dettarne una diretta ad evitare l'abuso del contratto di lavoro a termine,
mediante l'adozione di misure idonee ad individuare le ragioni obbiettive che giustifichino la
sua rinnovazione, la durata massima dei contratti successivi, ed il numero di rinnovi
possibili; nonché a stabilire quando i contratti a termine debbano considerarsi "successivi" e
quando si convertano in contratti a tempo indeterminato.
8.2. - Ora - quando, come nel caso in esame, la direttiva prevede un termine per l'adeguamento
di ciascun ordinamento nazionale alle sue prescrizioni - l'obbligo di conformazione sorge come
tale a carico dello Stato fin dal momento dell'entrata in vigore della direttiva (ai sensi
dell'art. 254 del trattato, già art. 191), e quindi, anche durante la pendenza del termine, la
sopravveniente normazione interna dello Stato non può estrinsecarsi con contenuti confliggenti
con i principi della direttiva.
8.3. - La menzionata direttiva dispone che gli Stati membri debbano introdurre nei propri
ordinamenti misure idonee a prevenire abusi in tema di contratto di lavoro a tempo determinato,
solo "in assenza di norme equivalenti".
Pertanto negli Stati in cui tali norme esistano si determina una situazione di anticipata
conformazione dell'ordinamento interno a quello comunitario.
In tal caso, pur in pendenza del termine di recepimento, l'ordinamento interno - se può, nel
rispetto delle scelte di fondo della normativa comunitaria, modificare le garanzie esistenti -
sicuramente non può rimuoverle del tutto senza violare gli obblighi nascenti dalla direttiva.
A tale vincolo è in modo particolare assoggettato il referendum abrogativo, che non può, in
quanto atto-fonte di diritto interno (sentenza n.64 del 1990, citata), condurre ad un risultato
tale da esporre lo Stato italiano a responsabilità per violazione di impegni assunti in sede
comunitaria.
Pertanto non può ritenersi ammissibile un referendum che miri all'abrogazione di una normativa
interna, avente contenuto tale da costituire per lo Stato italiano il soddisfacimento di un
preciso obbligo derivante dall'appartenenza all'Unione europea, ove tale abrogazione lasci
quest'obbligo del tutto inadempiuto.
8.4. - Qualora si consideri la lettera e lo spirito della direttiva in questione (come
evidenziata in chiusura del precedente punto 8.1), l'ordinamento italiano risulta
anticipatamente conformato agli obblighi da essa derivanti.
Infatti, proprio la legge n.230 del 1962 assoggettata a referendum, come risultante dalle
successive modifiche e integrazioni, ha da molto tempo adottato una serie di misure
puntualmente dirette ad evitare l'utilizzo della fattispecie contrattuale del lavoro a tempo
determinato per finalità elusive degli obblighi nascenti da un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato, in particolare circondando di garanzie l'ipotesi della proroga o del rinnovo del
contratto e precisando i casi in cui il contratto prorogato o rinnovato si debba considerare a
tempo indeterminato (art.2 della stessa legge).
8.5. - La proposta referendaria mira per contro all'abrogazione di queste garanzie, lasciando
nella legge n.230 del 1962 unicamente l'affermazione della generale (e quindi indiscriminata)
liceità dell'apposizione del termine al contratto di lavoro.
Orbene, è vero che il legislatore nazionale mantiene una considerevole discrezionalità
nell'attuazione della direttiva nell'ordinamento interno, ma la liberalizzazione derivante
dall'eventuale abrogazione dell'art.2 comporterebbe non una mera modifica della tutela
richiesta dalla direttiva, ma una radicale carenza di garanzie in frontale contrasto con la
lettera e lo spirito della direttiva suddetta, che neppure nel suo contenuto minimo essenziale
risulterebbe più rispettata.
8.6. - I promotori affermano che un'eventuale abrogazione referendaria non escluderebbe
l'applicazione alla materia della disciplina generale dei contratti dettata dal codice civile.
Ma tale disciplina, limitandosi a sancire disposizioni meramente comminatorie della nullità del
contratto, appare assolutamente inidonea ad assolvere l'obbligo, imposto dalla direttiva, di
introdurre nell'ordinamento norme volte a regolamentare sia le ragioni ed i limiti del rinnovo
del contratto di lavoro a tempo determinato, sia le ipotesi di trasformazione di esso in
contratto a tempo indeterminato.
9. - Da quanto precede deriva l'inammissibilità del referendum, dovendo ancora una volta
escludersi che dall'abrogazione referendaria di norme interne possa derivare l'esposizione
dello Stato italiano a responsabilità nei confronti della Comunità europea.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 18
aprile 1962, n.230 (Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato), e successive
modificazioni, nelle parti indicate in epigrafe; del decreto legge 3 dicembre 1977, n.876
(Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato nei settori del commercio e del
turismo), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 3 febbraio 1978, n.18, e
successive modificazioni; e dell'art.23 della legge 28 febbraio 1987, n.56 (Norme
sull'organizzazione del mercato del lavoro), come sostituito, quanto al secondo comma,
dall'art.9 bis del decreto legge 20 maggio 1993, n.148, convertito in legge dalla legge 19
luglio 1993, n.236, dichiarata legittima dall'Ufficio centrale per il referendum costituito
presso la Corte di cassazione, con ordinanza 7-13 dicembre 1999.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3
febbraio 2000
F.to: Giuliano VASSALLI, Presidente
Franco BILE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata il 7 febbraio 2000
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA