Personalmente temo che le cose siano più complicate. A me sembra che le ispirazioni culturali interne ai partiti del Polo siano più articolate rispetto allo schema proposto da Petroni. Sono presenti senz'altro tendenze cattolico-liberali e componenti di destra religiosa non-statalista, ma anche molto moderatismo democristiano, istanze "comunitarian" della destra sociale, rappresentanza di interessi costituiti. Non mi sembra che tali componenti abbiano come denominatore comune certo e indiscutibile un'opzione netta a favore dell'autonomia del privato e della deregolamentazione. Settori consistenti dei ceti sociali di riferimento di quei partiti rincorrono protezioni corporative, come fanno molti elettori di centro-sinistra. Che quei settori siano minoritari oppure no, di fatto le classi dirigenti dei partiti del Polo, non so dire se per un ingiustificato timore o per un giusto calcolo, tendono ad assecondarne e rincorrerne le istanze "protezionistiche". Purtroppo è proprio quando si prendono in considerazione le politiche concrete che la lontananza fra radicali e vertici del Polo si evidenzia, e proprio su temi di liberalizzazione: privatizzazione di municipalizzate (centrale del latte a Roma), eliminazione o liberalizzazione delle licenze (tassisti romani), liberalizzazione degli orari dei negozi, riduzione dei dipendenti pubblici nel Mezzogiorno e così via. La natura composita e ambigua dell'alleanza di centro-destra si manifestò già con il tentativo di riforma pensionistica del 1994, fatta fallire da resistenze interne al Polo. Credo che oggi, peggio di allora, governare insieme al Polo sarebbe solo un continuo, estenuante compromesso al ribasso e una rinuncia costante a qualsiasi ipotesi di riforma incisiva e innovativa (naturalmente lo stesso vale per il centro-sinistra). Io concordo sul fatto che un'alleanza politica fra forze non omogenee può e deve fondarsi su pochi punti qualificati su cui vi sia pieno accordo. Ma, escluse (absit iniuria verbis!) le tematiche libertarie, incerte le convergenze su quel
le liberiste, ormai non vi è più accordo nemmeno su temi che quattro-cinque anni fa sembravano unire i radicali e Berlusconi (legge elettorale maggioritaria a turno unico, presidenzialismo americano, federalismo "serio", bipartitismo). Per completare il quadro, si aggiungano a tutto ciò i piccoli ma ripetuti comportamenti quotidiani che fanno di Berlusconi l'ennesimo esponente di quella "politique politicienne" più deteriore, indifferente ai contenuti e attenta solo agli accordi di potere, anche con l'avversario.
Credo che andare da soli alle regionali non sia espressione di una impolitica velleità da "duri e puri", ma il tentativo di tenere in piedi un progetto alternativo, di misurarne il consenso nel paese, e farne la base, se ve ne saranno le condizioni, per future convergenze politiche.