Discussione del disegno di legge: (4461) Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2, recante disposizioni urgenti per l'attuazione dell'articolo 2 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, in materia di giusto processo.MILIO. Signora Presidente, onorevoli senatori, signor Sottosegretario, non sono tra coloro che hanno brindato all'approvazione della norma costituzionale del cosiddetto giusto processo, come impropriamente definita, sia per ragioni di metodo che di merito.
Ho difficoltà a recepire, infatti, sotto il profilo del metodo l'idea di un processo giusto (quale ovvia antitesi ad un processo ingiusto) pur riconoscendo la necessità e la improrogabilità di un intervento legislativo che, finalmente, metta fine a interpretazioni - esse sì spesso non giuste, ossia non corrette sotto il profilo giuridico - fissando principi costituzionali essenziali e adeguando poi a tali principi le norme processuali del codice di rito con leggi ordinarie. Le ragioni di merito riguardano, invece, l'originalità dell'inserimento in un contesto »costituzionale di un articolato legislativo di tipo »ordinario , tali essendo le norme di natura processuale inserite nel testo approvato, quali sono quelle che attengono alla formazione della prova in dibattimento, all'informazione di reato, alla facoltà di esaminare e controesaminare chi accusa o di citare testi. Ma tant'è: a mali estremi, estremi rimedi, anche se per la confusione psico-legislativa non ci si è accorti che le »esigenze che sono sta
te costituzionalizzate esistevano già nel codice di rito, anche se spesso disattese e violate soprattutto da chi avrebbe dovuto rispettarle e farle rispettare, per cui solo una puntuale e severa applicazione di sanzioni potrebbe, se non evitare, almeno limitare gli abusi. Relegati nell'isolamento i magistrati »rivoluzionari e »lottatori ed isolate le loro posizioni, spesso sconfessate da quegli stessi esponenti governativi che le avevano osannate; modificate alcune norme processuali in senso »più garantista (pur tra mille compromessi); approvata, grazie all'apporto determinante dell'Avvocatura, la riforma costituzionale, il quadro di riferimento avrebbe indotto a far pensare ad un'inversione di tendenza rispetto agli anni passati, nel senso di una maggiore attenzione per il rispetto delle regole del processo penale. Eppure, paradossalmente, la legge che ci accingiamo a votare - e voi ad approvare -, sarà la negazione dei presupposti costituzionali. E tale paradosso sottolinea ancor di più come i positivi,
recenti cambiamenti non abbiano inciso in modo rilevante sulla struttura giudiziaria italiana e, soprattutto, sull'approccio culturale delle forze politiche in tema di giustizia che, senza eccezioni, dall'opposizione - che in Commissione dichiara il proprio voto »tacendo - alla maggioranza, è permeato di autoritarismo e indifferenza alle ragioni del processo inteso come strumento di accertamento della verità nel caso singolo (privilegiando, invece, la concezione totalitaria del processo penale inteso come strumento di difesa sociale). E, nella specie, non vi è chi non veda come essa sia orientata a »salvare - comunque - quei processi, quelle sentenze e quelle condanne politiche che sono sotto gli occhi di tutti e che si sono ottenute dal »silenzio e col »silenzio di chi ha accusato, protetto da certi pubblici ministeri. Non si pecca di »estremismo garantista se si rileva che nei »comuni processi (e dunque nella loro maggioranza) l'utilizzazione dei »pentiti continua ad essere spregiudicata e fuori da
ogni controllo, con la sola differenza che se molti sono stati turbati dal vedere personaggi illustri sul banco degli imputati, nessuna commozione provoca il vedervi qualcuno del tutto anonimo ma magari eventualmente, e allo stesso modo, innocente. E non è tutto: nonostante le riforme di facciata (quella del cosiddetto giudice unico ne è la prova) i giudici per le indagini preliminari continuano ad essere, a dispetto di ogni modifica legislativa e salvo lodevoli eccezioni, dei grotteschi »replicanti dei Pubblici ministeri, con inesistenti speranze, per il cittadino, di vedersi giudicato da un magistrato che sia davvero »terzo ed imparziale, e con buona pace del cosiddetto »giusto processo . In numerose sedi giudiziarie, giudici del dibattimento e Tribunali del riesame non sono che mere finzioni sceniche, avendo assunto il compito scientifico di ratificare acriticamente le attività e le prospettazioni dell'accusa. In talune parti del nostro Paese continuano a celebrarsi, in assoluto silenzio (salvo che non
vi sia per avventura coinvolto qualche imputato cosiddetto »eccellente ) processi da Tribunale speciale, a carico di centinaia di persone contemporaneamente, nei quali imputati che siano dei signor »Chiunque non hanno neppure la possibilità economica di ottenere la copia degli atti e nei quali la prova di responsabilità si fonda su dichiarazioni di pentiti sempre più padroni del »campo processuale e su intercettazioni telefoniche estrapolate liberamente da migliaia di conversazioni captate senza alcun limite e sulle quali, di fatto, la difesa non ha controllo alcuno. In tale perversa ottica, non importa come si fa un processo, ma quanti se ne celebrano; in tal modo non ha importanza se si sacrificano le garanzie del collegio (è singolare che quel contraddittorio che si dice di voler recuperare nel processo sia di fatto eliminato nel suo momento più alto, quello della decisione!), se l'interrogatorio di qualcuno avviene per videoconferenza (in tal modo mostrando disprezzo per i meccanismi psicologici e per
cettivi del controesame), o se - infine - la gestione quotidiana dei processi avviene con la consueta fretta e superficialità. Ricordiamoci che l'Italia nell'ultimo anno, in sede europea, è stata condannata quotidianamente per violazioni in materia di processi penali. L'argomento oggi sottoposto alla nostra valutazione ed approvazione ha, in effetti, iniziato il suo travagliato cammino parlamentare quasi all'inizio di questa XIII legislatura, ossia circa quattro anni or sono, subendo varie accelerazioni sull'onda di molteplici emergenze ed altrettanti rallentamenti in conseguenza di »spinte contrarie o di »interdizioni varie da parte di certa magistratura »etica maggiormente politicizzata che, nei recenti anni, ha basato le proprie indagini esclusivamente sulle delazioni a pagamento dei cosiddetti »pentiti che spesso hanno troncato carriere politiche e professionali sia di »colpevoli che di »innocenti agevolandone, invece, altre, in ogni regione d'Italia. Il testo oggi al nostro esame, frutto di ripetu
te manipolazioni ed aggiustamenti e prodotto tipico del »buonismo cooperativo che talvolta accomuna maggioranza ed opposizione con la partecipazione governativa, ma esclude chi rifugge dalle ammucchiate parlamentari avendo sensibilità istituzionale diversa, avrebbe dovuto essere il »supporto necessario alla modifica costituzionale che incide sulla »formazione della prova ossia su quelle regole processuali che devono presiedere alla ricerca delle prove ed alle modalità della loro assunzione ed applicazione. La necessità della »novella legislativa è conseguenza diretta del malgoverno nell'uso delle dichiarazioni dei cosiddetti »pentiti , negli eccessi interpretativi giurisprudenziali, sia di merito che di legittimità, che hanno finanche teorizzato la »convergenza del molteplice , categoria, questa, più che del diritto, del giustizialismo (secondo cui, sostanzialmente, due o più menzogne costituiscono una verità), surrogatoria e alternativa alla ricerca di riscontri oggettivi in ordine all'accertamento dell
e responsabilità penali, agevolato spesso dal cosiddetto »uso dinamico dei pentiti . Se l'uso del diritto negli ultimi anni (intendo dire dal maggio 1989, epoca del ritorno in Italia del pentito Contorno, dell'attentato all'Addaura al giudice Giovanni Falcone e delle cosiddette lettere del corvo e, segnatamente, dopo il 23 maggio 1992, giorno della strage di Capaci) fosse stato conforme alle leggi, non si sarebbero certamente potuti celebrare tanti processi storici, non si sarebbe offesa continuamente la giurisdizione, non si sarebbero ingiustamente stroncate tante storie personali, politiche, professionali e umane (stroncare quelle criminali, infatti, è un dovere e non un atto di eroismo), non si sarebbero ingiustamente favorite carriere inquietanti per storia, origine e comportamenti, e, soprattutto, non si sarebbero raggiunti quegli obiettivi politici che sono sotto gli occhi di tutti. E la costituzionalizzazione di princìpi ovvii quali il diritto al contraddittorio, ovverosia il diritto di chi, accusato
di controinterrogare non deve, comunque, indurre a facili ottimismi, perché bisognerà fronteggiare manovre interpretative che vanifichino i princìpi costituzionali: la vicenda della norma che disciplina le dichiarazioni dei pentiti, appunto l'articolo 192 del codice di procedura penale, chiarissima ed inequivoca nella sua stesura codicistica, costituisce un precedente da non sottovalutare ed è emblematico dei pericoli che la norma costituzionale novellata può tuttavia correre. Il diritto alla giustizia non è di parte né di partito: è un diritto del cittadino in quanto tale ed è un dovere dello Stato garantirlo a chiunque, vittime ed imputati, a prescindere dal colore della pelle, dal sesso, dalla religione e dal partito di appartenenza, come finora non è stato. (Applausi dai Gruppi AN e FI).