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Conferenza Rivoluzione liberale
Galli Grazia - 19 marzo 2000
Il dono della messa alla prova
(Panorama, 2 marzo 2000)

Molti cattolici mi scrivono per invitarmi ad abbracciare la fede religiosa. Li ringrazio, ma non posso accogliere l'esortazione. E penso che il punto sia questo: nego che il senso e il valore della vita stiano nel dolore.

dl ADRIANO SOFRISono moltissime le lettere che ricevo e pochissime quelle cui riesco a rispondere: me ne scuso. Numerose sono le lettere di credenti che mi esortano a credere: è comprensibile, dato il mio indirizzo. "Ricordatevi dei carcerati" dice San Paolo "come se foste in carcere con loro". C'è una signora. il cui nome è fatidicamente Angela, la quale mi scrive da anni, con una costanza impressionante. Angela si propone di persuadermi alla fede e all'affidamento al Dio cristiano. Io non posso esaudirla e proverò a spiegarmi. E una caratteristica di certe fedi il proselitismo. Fino a un certo punto c'è stata una simmetria, cioè un proselitismo opposto. L'ateismo militante si è stancato. Ha perduto un po' della sua fede (fede infatti era, anche quella) nella scienza e nei linguaggi esclusivi della ragione, ha riconosciuto in sé moventi e sentimenti e debolezze simili a quelli che imputava alle credenze religiose e ha riconosciuto in esse un sostegno possibile, benchè altrimenti detto, alle cose cui lui

stesso teneva. Ha deciso che "fare come se Dio esistesse" non è una scommessa arbitraria, dal momento che Dio è esistito nel passato e nel presente del genere umano, e che le domande positive cui dava risposta, pochi comandamenti, non cessano di valere quando se ne sia lasciato il nome. Dunque, una miscredenza militante ha ceduto il passo, oltre che a nuove superstizioni e convemenze ipocrite di ogni risma a un assenza di fede positiva unita ai rispetto e all'interesse per chi ce l'ha. Nel mio caso, rispetto e interesse non vanno assieme al rimpianto e all'invidia che altri non credenti dichiarano per chi ha il dono della fede. Sto bene (o male) così. Appartengo così al mondo e non penso che senza una fede positiva le nostre scelte morali siano arbitrarie e prive di sostegno. Penso invece che la dichiarazione dell'indinspensabilità della fede religiosa alla morale sia una eredita' do dogmatismo e di possibile intolleranza. Ma non sto scrivendo per discutere dell'esistenza di Dio, nè per dire: "No, grazie" a

chi mi esorta alla conversione religiosa. Piuttosto, mi interessa scoprire quale differenza essenziale si stabilisca fra il mio modo di pensare, e di campare, e quello di altri che sono credenti. Ne ho accennato di recente qui a proposito dell'eutanasia, e della opinione che ci si fa della sofferenza. Sono lontano dall'idea che la sofferenza sia il pegno di un premio futuro. Penso però che sia una condizione all'intelligenza e alla condivisione della sofferenza altrui.

Questo è per me l'unico prezioso acquisto di un dolore che è peraltro solo perdita, dissipazione, deformazione. Ora mi pare che il punto sia nell'espressione: mettere alla prova. Chi potrebbe negare che la vita ci mette alla prova? Io però nego che il senso e anzi il valore della vita risiedono in questo esser messi alla prova: delle disgrazie, del dolore, delle persecuzioni, delle mortificazioni. Mi pare che molti credenti miei interlocutori pensino invece così. Questa espressione, mettere alla prova, tiene un posto decisivo nelle Scritture sacre, per quel po' che ne conosco. Nella protesta di Giobbe: "Che cos'é l'uomo che tu ne faccia tanto caso, che tu t'interessi a lui, lo visiti ogni mattina, e lo metta alla prova in ogni istante?". Il libro di Giobbe comincia proprio così. con una messa alla prova suggerita da Satana, il dannato pubblico ministero a Dio che accetta subito. Gli piace scommettere sul suo campione ed esporre lui e i suoi a tutte le sventure. Tra i primi cristiani la persecuzione e l'att

esa imminente del Giudizio rafforzarono l'idea della messa alla prova. La lettera di Giacomo si apre così: "Fratelli miei, considerate una grande gioia quando venite a trovarvi in prove svariate". Vedo bene che bisogno di consolazione e di nobilitazione si sente nella disgrazia, ma preferisco chiamarla col suo nome, e mettere ciò di cui si è mutilati e privati nel conto del fondo perduto. Abramo fu messo alla prova del sacrificio cruento del suo figlio unico e amato. L'ho riletto. La Scrittura non riferisce pensieri o sentimenti, li riduce ai fatti o ai detti messi a verbale. "Dio mise alla prova Abramo e gli disse: "Abramo!. Egli rispose: "Eccomi!"". Di Isacco sappiamo che è amato perché lo dice Dio nel suo ordine: "Prendi tuo figlio, il tuo unico, colui che ami...'>. Dopo l'ordine non c'è l'intervallo di una risposta o di un commento, di un pensiero. "Abramo si alzò la mattina di buon'ora...". Isacco, carico della legna per l'olocausto, capisce che cosa sta succedendo? Manca infatti l'agnello. "Padre mio!

" dice. Abramo risponde con un "Eccomi" affettuoso: "Eccomi qui, figlio mio!". E ripete poi: "Figlio mio", rispondendo che sarà Dio a provvedere all'agnello. Abramo lega Isacco e lo mette sulla legna, e non è detta una parola né dell'uno né dell'altro. Ifigenia aveva il morso alla bocca, perché non implorasse né maledicesse; e anche Giordano Bruno fu imbavagliato, perché non bestemmiasse e insultasse. Isacco no. Neanche una parola d'addio. Abramo ha già il coltello alzato a scannare quando l'angelo arriva a fermarlo. Né dopo si fa una sola parola. Niente di che cosa è passato nella mente e nel cuore dei due. Quando San Paolo ne scriverà, sentirà il bisogno di addolcire la storia: "Per fede Abramo, quando fu messo alla prova, offri Isacco... Eppure Dio gli aveva detto: E in Isacco che ti sarà data la discendenza". Abramo era persuaso che Dio è potente da risuscitare anche i morti; e riebbe Isacco come per una specie di risurrezione". Niente di tutto ciò in Genesi. Né il pensiero che Dio non vorrà smentirsi su

lla discendenza di Isacco, né la fiducia nella sua risurrezione. Paolo tramuta la prova di timore in prova di fede quasi affettuosa. Qui finisce la pagina. Continuerà. Quanto alla mia miscredenza, è al dono della messa alla prova che io non credo.

 
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