Intervento di Emma Bonino in Commissione di Vigilanza
Roma, 21 marzo 2000
PREMESSA
E' nota, signor Presidente, signori Commissari, la nostra profonda convinzione che da decenni, e negli ultimi anni in modo via via più incalzante, il comportamento della Rai-tv (come del resto quello del suo "concorrente privato") sia inequivocabilmente volto per un verso ad impedire ai cittadini italiani l'esercizio del loro diritto ad essere informati, a "conoscere per deliberare", e per altro verso ad impedire ad una parte politica operante secondo l'articolo 49 della Costituzione di godere dei diritti sanciti dall'articolo 21 della stessa Carta costituzionale.
Tutto questo, in aperta, continuata e flagrante violazione non solo delle leggi che regolano -o dovrebbero regolare- la vita e l'attività del servizio pubblico radiotelevisivo (e che, in particolare, gli impongono il puntuale obbligo di fornire un'informazione corretta e completa), ma anche della Convenzione, del Contratto di servizio, oltre che di reiterate e unanimi delibere di questa Commissione.
Questi comportamenti integrano una lunga serie di reati gravissimi (dall'attentato ai diritti politici del cittadino all'associazione a delinquere, dall'abuso d'ufficio all'omissione di atti d'ufficio, passando per la frode in pubbliche forniture), che abbiamo ripetutamente denunciato in tutte le sedi, dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (che ha dovuto riconoscere il mancato adempimento, da parte della Rai, delle delibere della Vigilanza, pur scegliendo poi, in modo a nostro avviso singolare, di non far discendere da questo riconoscimento alcuna richiesta di sanzioni) alla Procura della Repubblica di Roma, che (sia pure in modo tardivo, parziale, e per noi assolutamente insoddisfacente) ha deciso di formulare una prima richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dei membri del precedente CDA della Rai, accusati (sono parole testuali tratte dalla richiesta di rinvio a giudizio) di aver "intenzionalmente procurato un danno ingiusto" a Marco Pannella e ai candidati della Lista Pannella in occasio
ne delle elezioni amministrative del 1997.
Vi informiamo dunque che, dinanzi al proseguirsi e all'aggravarsi di questi comportamenti, giunti a un punto tale da aver ormai vanificato ogni dettame costituzionale, ogni certezza del diritto, ogni rispetto delle più elementari norme iscritte nel nostro diritto positivo, la nostra intenzione è quella di confermare ed aggravare le iniziative giudiziarie già assunte sul fronte italiano, e insieme di avviare anche in sedi di giustizia internazionale e comunitaria, nonché presso le altre istituzioni garanti del rispetto delle Convenzioni internazionali recepite nell'ordinamento italiano, tutte le iniziative politiche e giudiziarie necessarie alla denuncia del "caso Italia", alla sconfitta di quella che si conferma una vera e propria realtà criminale, e alla condanna di tutti i responsabili. Se è vero, infatti, che il nostro paese ha conquistato, in sede europea, un poco lusinghiero primato di condanne per ciò che produce in materia di giustizia, di "processo giudiziario", altrettanto -se non peggio- avverrà ne
l momento in cui le istituzioni internazionali saranno chiamate a pronunciarsi su quanto è accaduto e continua ad accadere in Italia sul fronte del "processo politico", sul ruolo dell'informazione nella vita democratica del paese, sullo stato delle libertà e dei diritti politici dei cittadini.
Questo ritenevo opportuno chiarire in apertura, non trascurando di far presente da subito che questo mosaico si è arricchito, nelle ultime settimane, di un'altra tessera di vergogna. Mi riferisco, come forse qualcuno immagina, alla questione della raccolta delle firme necessarie per la presentazione delle liste alle prossime elezioni regionali: nel mare magnum di illegalità nel quale ci siamo dovuti muovere, un ruolo non marginale è stato ancora una volta giocato dal servizio pubblico radiotelevisivo, chiamato da puntuali e perentori obblighi di legge -negli ultimi 20 giorni precedenti la data della presentazione delle liste- a fornire un'ampia informazione sulla necessità di firmare e sulle modalità della sottoscrizione, e invece sottrattosi a questi obblighi (costringendoci, ancora una volta, al ricorso all'arma nonviolenta, e per altro verso ad un impiego di risorse umane e finanziarie altrimenti non necessario) per la metà di questo tempo, per 10 giorni su 20. Anche questo formerà oggetto di un ampio dos
sier nel quale raccoglieremo le prove di violazioni ormai sistematiche delle leggi e dei diritti fondamentali dei cittadini, al punto da inficiare non solo la regolarità della prossima scadenza elettorale del 16 aprile, ma la stessa possibilità di tenere, in Italia, in queste condizioni, elezioni valide.
Detto questo, veniamo alla prossima scadenza referendaria.
REFERENDUM
Com'è noto, ai sensi di una serie di pronunce della Corte Costituzionale, i Comitati promotori dei referendum sono, ciascuno, "Potere dello Stato": è questo un dato di fondo dal quale, ovviamente, la disciplina di attuazione che la Commissione di vigilanza e l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni si apprestano ad elaborare non potrà in alcun modo prescindere.
I Comitati sono quindi chiamati a svolgere vere e proprie funzioni istituzionali, differentemente da quanti -partiti, comitati del "sì", del "no", del "forse" e del "chissà"- sono e restano espressioni, forme della iniziativa politica.
Conseguentemente, come abbiamo già avuto modo di spiegare agli stessi vertici della Rai nel corso di un incontro al quale ha avuto la cortesia di partecipare anche il Presidente Storace, e di ribadire in una memoria che abbiamo trasmesso nei giorni scorsi all'Authority, che oggi consegniamo a questa Commissione, e che invieremo nelle prossime ore anche al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio, i Comitati non possono in alcun modo accettare di "confrontarsi", di "dibattere" con altre entità che non siano, anch'esse, "Potere dello Stato".
Occorrerà quindi prevedere, per ciascun Comitato promotore, "tribune referendarie ad hoc" organizzate con il metodo della "conferenza stampa", e cioè stabilendo che gli esponenti dei Comitati rispondano alle domande di giornalisti selezionati in relazione al loro prestigio e a quello delle relative testate, e si facciano carico della vera e propria funzione istituzionale consistente nella illustrazione del contenuto e delle ragioni della proposta referendaria. Altra cosa -e cosa del tutto "altra", cioè diversa- saranno invece, com'è naturale, i dibattiti fra i sostenitori del "sì" e quelli del "no".
Da questo punto di vista, è bene sottolineare come la stessa legge sulla cosiddetta "par condicio", pur così discutibile per molti versi, apra la strada ad una soluzione piuttosto soddisfacente. La legge, infatti, parla, a proposito dei referendum, della necessità di garantire "parità di spazio tra i favorevoli e i contrari", ma non stabilisce che tutti gli spazi debbano essere assegnati ai favorevoli e ai contrari: nulla vieta, da questo punto di vista, di ritagliare una terza quota riservata al Comitato promotore e ai suoi già illustrati compiti di informazione istituzionale, ferma restando, ovviamente, nei loro spazi, la pariteticità dei "sì" e dei "no".
Mi avvio a concludere, svolgendo quattro brevi osservazioni a proposito del dibattito sviluppatosi in questa Commissione, nei giorni scorsi, in occasione dell'audizione del Garante Cheli, che ho potuto seguire grazie a Radio Radicale.
La prima. Ho sentito, in più di un intervento, echeggiare una pericolosissima confusione tra Comitato promotore ed eventuali Comitati del sì. Credo di avere già ampiamente chiarito come l'uno, nella sua veste di Potere dello Stato, si muova su un piano prettamente istituzionale, mentre gli altri appartengano in tutto e per tutto alla sfera dell'iniziativa politica in senso stretto. Ma siccome, in quella sede, gli svarioni -nonostante l'autorevolezza di chi audiva e di chi era audito- non sono mancati, tengo a ricordare che il Comitato promotore, differentemente dai Comitati per il sì, rappresenta istituzionalmente tutte quelle centinaia di migliaia di cittadini, che, sottoscrivendo il quesito, hanno scelto, per così dire, di "porre una domanda" al paese, rimettendo a tutti gli elettori la decisione su un certo tema: rappresenta, quindi, anche chi ha sottoscritto il quesito perché vuole che la questione sia sottoposta alla decisione di tutto l'elettorato, ma si riserva, personalmente, di votare "no". E' quest
o un caso, tutt'altro che di scuola, che è bene tenere presente.
La seconda. Ho anche -devo dire: con grande sorpresa- sentito parlare della possibilità di
mandare in tv i "comitati per l'astensione". Mi limito a ricordare a tutti che, nell'iter che ha portato all'approvazione della legge sulla par condicio, l'emendamento che prevedeva, accanto al "sì" e al "no", lo spazio dell'astensione, è stato bocciato dalla Camera.
Non solo: la Corte di Cassazione, nell'ammettere il nuovo referendum antiproporzionale, ha stabilito che "l'astensione non è un comportamento di voto". A che titolo, dunque, dovrebbe andare in tv il comitato per l'astensione?
E ancora: se va in tv il comitato per l'astensione, cosa farete, darete spazio anche al comitato contro l'astensione? E in quali spazi li collocherete?!
La terza. Da più parti si guarda, mi pare con qualche preoccupazione, alla parziale sovrapposizione tra la fase finale della campagna per le regionali e la fase iniziale della campagna per i referendum. Si tratta della classica tempesta in un bicchiere d'acqua. Questo accavallamento -a ben vedere, peraltro, di soli 10 giorni- può essere tranquillamente risolto con una partenza "lenta" della campagna referendaria televisiva, "spalmando" gli spazi sui successivi 30 giorni, e organizzando la campagna informativa secondo una logica, per così dire, di progressiva intensificazione.
Non vi è comunque nessuna valida ragione -e su questo mi pare che si sia formato un vasto consenso- per spostare in avanti la data del voto.
Piuttosto, occorre un controllo sull'audience, e sul fatto che siano previste trasmissioni sui referendum anche in prima serata: in altre parole, bisogna fare in modo -anche "proteggendo" gli spazi di informazione referendaria- che 45 milioni di italiani siano effettivamente raggiunti dall'informazione sui quesiti.
La quarta ed ultima, che mi consente di tornare -e quanto ci tengo- ai temi generali affrontati in apertura. Senatore Falomi, due anni fa, incorrendo quanto meno in un infortunio, Lei ebbe a spiegare in termini di "non notiziabilità" il feroce ostracismo del quale il movimento radicale era e continua anche oggi ad essere oggetto. Nel corso dell'audizione del professor Cheli, Lei si è reso protagonista -lo dico, mi creda, senza alcuna volontà polemica- di un episodio altrettanto significativo, e -direi- rivelatore. Esprimendosi -inutile dirlo: legittimamente- contro il riconoscimento di spazi ad hoc per i Comitati promotori, Lei ha detto testualmente: "Dare ai Comitati promotori uno status diverso, anche se oggettivamente lo hanno, mi pare complicato ".
Non se ne abbia a male, Senatore. In questa frase, nel processo logico che l'ha prodotta, c'è tutto intero il dramma di questo paese: il trionfo del sostanzialismo contro il rispetto delle forme; il capovolgimento, in termini pratici, nell'agire concreto, di ciò che pure si riconosce valido, e addirittura ineccepibile, in linea di principio; il ritorno ad una situazione degna di una monarchia assoluta, in cui il sovrano, il principe, è sottratto alla legge, ed è "legge" lui stesso. Mi auguro che anche questo possa formare oggetto della riflessione di tutti. Grazie.
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