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Conferenza Rivoluzione liberale
Radio Radicale Antonio - 27 aprile 2000
(segue)
Credo che chi ha seguito persino lÆesito elettorale o lo spoglio elettorale, Domenica sera, a cominciare dagli exit poll, ad esempio, può essere testimone di questa situazione.

Il Corriere della Sera, ad esempio, scriveva Domenica mattina, ma non è il solo ed è giusto rileggere attentamente quelle parole che: ôla campagna elettorale ha avuto alcuni protagonisti indiscussi, i radicali per esempio, prima invitati nella Casa delle Libertà del Polo, poi considerati alla stregua di mercanti nel tempio, una volta fallito lÆaccordo di programma. E infine corteggiatissimi insistentemente da DÆAlema, episodi che lasciamo giudicare ai lettori e agli elettori, con una postilla che dovrebbe preoccupare da prima gli stessi radicali: avvicinati dai due Poli, soprattutto per convenienza o per convenienze tattiche elettorali.

Tutto ciò la dice lunga su quanto poco di liberale vi sia nei due schieramenti e su quanta poca tensione concreta vi sia per la modernizzazione del paeseö.

Fin qui la citazione.

E questo riconoscimento di essere lÆago in qualche modo della bilancia, era confermato per esempio sullo stesso giornale, dalle straordinarie pagelle date dai suoi intellettuali commentatori - la Giuria, ve la ricordate? - ai programmi dei nostri candidati.

Quelle pagelle dicevano, in modo autorevole, come siamo stati gli unici a prospettare al paese il programma di modernizzazione liberale che il paese chiedeva, a partire dalle regioni.

Sicché non dimentichiamolo ora mentre stiamo riflettendo sul da farsi.

Ma certo, se vogliamo ancora capire meglio, io credo che un editoriale uscito sul ôFoglioö credo alla vigilia, smentito subito il giorno dopo, ma che vale la pena di rileggere, dice: per chi non sia troppo arrabbiato o troppo disgustato, il problema di votare e di votare chi cÆè.

Noi, per esempio, a lume di naso, potremmo votare per chiunque tranne che per i candidati di Berlusconi (che pure è nostro amico e ci da una mano per il giornale).

Eravamo per i referendum, sia quelli sociali, sia quelli sulla Magistratura, sia quelli per il maggioritario e pensavamo che si dovesse dare una limpida battaglia per il loro sostegno.

Niente, il Cavaliere ne diffida.

Eravamo per lÆaccordo con i Radicali e per lasciare aperta la strada a un dialogo post elettorale e si vede come è andata a finire.

Siamo contrari a tutto questo ribollire di gruppi politici del Centro in cerca di autore, per quanto ci sia piaciuta la legittimazione europea del moderatismo liberal rifondatore di un partito come Forza Italia e invece, rieccoci alla solita dialettica Buttiglione Casini, e cÆè da prevedere una bella pantomima post elettorale di questi cespugli in fregola permanente.

E andiamo avanti.

Insomma, ci sembra soprattutto utile votare e per chi, già lo sapete lo sappiamo anche noi, ma ne parliamo domani.

E il domani, inopinatamente, abbiamo scoperto che tutto questo non cÆentrava nulla e che bisognava votare per Berlusconi.

Benissimo.

Non accusatemi di girare il coltello nella piaga se vi propongo di cogliere in questo momento così amaro in cui mi sembra abbastanza vana ogni speranza di influenzare il panorama politico nellÆimmediato con le nostre sole forze, e in cui credo affrontiamo la nostra ennesima traversata del deserto per guardare bene in faccia la realtà.

Un vecchi amico sconsolato che è venuto a trovarmi dopo la batosta, che pure è stato dirigente del nostro partito osservava: le due grandi chiese politiche italiane, quella cattolica e quella marxista, hanno accettato e sdoganato tutto e tutti, fascisti, ex fascisti, ex repubblichini ex agenti sovietici, estimatori del socialismo reale, rifondatori del comunismo, secessionisti e post secessionisti; il sistema politico italiano, diceva questo amico, riesce ad assimilare e digerire tutto, offre il diritto di cittadinanza a tutti, meno che ai radicali e diceva questo con un tono che mi pareva insieme di fierezza e di disperazione.

E qui mi pare stia il punto, anchÆio sono fiera di essere radicale, ma non voglio divenire disperata di esserlo.

Tra le molte critiche, rilievi e anche sarcasmi che ci sono piovuti addosso in questÆora di sconfitta, ve ne sono alcuni che mi paiono non motivabili, non fondabili, cui sento di poter serenamente consigliare, pure nellÆu-miltà che mi dettano i numeri, una maggiore moderazione, una più attenta considerazione delle diverse responsabilità. Si tratta delle critiche ed osservazioni provenienti dalla platea dei liberals, dei liberali dellÆuno o dellÆaltro schieramento, ma soprattutto del Polo.

Io li considero amici ovviamente, anche idealmente vicini e tengo molto a mantenere con loro la massima apertura e collaborazione, ci mancherebbe, ma a me pare che essi abbiano torto quando, ad esempio sostengono, come fa lÆamico Martino, che oggi e prevedibilmente domani i Radicali sono e saranno ininfluenti o quando più o meno a mezza bocca, attaccano direttamente Marco Pannella.

In verità la posizione di quanti, in un modo o nellÆaltro, ci vengono da tempo suggerendo di fare anche noi la nostra scelta di campo, per assumersi la funzione di grandi suggeritori liberali della coalizione, per dire del centro destra, a me pare irrealista ed insostenibile ed è proprio la loro esperienza a confermarmelo.

Il centrodestra non manca certo di personalità di forte e limpido animo liberale, liberista e libertario, certamente sul piano tecnico hanno avuto ed avranno importanti incarichi, ma mi sembra di poter dire che, nella panoplia dei volti che formano, accanto a Berlusconi e lÆimmagine forte del Polo, nessuno ha mai visto quello di uno dei loro accanto ai Casini, ai Buttiglione, a Fini e ora a Bossi.

In questo periodo e anche nella campagna elettorale nella elaborazione stessa della politica, il loro peso è stato mi pare, men che zero.

E questo accade dopo che già nel 96 Berlusconi mise assieme una bella squadra di liberali o Radicali a vario titolo solo per giustificare la sostanziale caduta di Pannella e dei Radicali e per mostrare che anche Polo aveva in se unÆanima quanto meno cavuriana.

Di quella bella squadra di deputati e senatori non uno ha avuto funzioni di traino politico effettivo.

Saranno ottimi tecnici nei posti e nelle funzioni loro assegnate, ma nel quadro di una sostanziale emarginazione culturale e politica e di tollerata subalternità.

E poi, a quanti spendono troppe parole per rimproverarci di non fare quello che loro ci suggeriscono di fare, vorrei rispondere che se davvero sono convinti che facendo unÆaltra politica e dando unÆaltra interpretazione, sarebbe davvero possibile raccogliere più consenso e successi, vorrei dire che dovrebbero darcene loro, per primi, una convincente prova o un abbozzo di prova. Ma mai sino ad oggi questo è accaduto.

Noi siamo oggi certo sconfitti, dopo 40 anni di lotte e anche, se mi consentite, di successi. Mi pare che loro come soggetti politici e non come consiglieri del giorno dopo, non siano mai esistiti e sicuramente me ne dispiace, perché sarei io prontissima a seguire la strada da loro aperta, che possa portare alla vittoria di comuni ideali, quelli che sicuramente ci uniscono e potrebbero, forse come vorrei, portare, ancora domani, a costruire qualcosa di comune.

CÆè un altro punto che volevo elaborare un po' con voi, per fornire un dibattito che possa essere utile per tutti.

Certamente il grande soggetto della campagna politica che si è appena conclusa è stato il nord est, non vi è dubbio, e anche su questÆarea del Paese abbiamo noi stessi, da Monastier in poi, se non da prima, appuntato anche noi, perché non dirlo, molte speranze e nessuno può fare a noi il rimprovero che lÆamica Livia Turco ha rivolto alla sua coalizione, quello di non aver capito il nord o di non aver capito il mondo del lavoro.

Può darci che qualcosa o molto non abbiamo capito anche noi, ma certo da tempo avevamo puntato ogni attenzione sui problemi della regione.

Oggi, con il successo del Polo penso che molte delle richieste che essa avanza nel suo malcontento rispetto al centralismo romano, in qualche modo, nellÆimmediato, saranno forse affrontati. Ma è il come che desta in me qualche perplessità, non perché ci siano problemi sulle grandi opere pubbliche o il nord est ha certo bisogno di infrastrutture, ma noi pensiamo e pensavamo che ha bisogno anche e insieme di altro. Ed è qui che nascono i nostri dubbi. In fondo, la struttura di quella regione è nata sotto il segno della Democrazia cristiana, una Democrazia cristiana antiliberale, che ha costruito, non a caso, unÆeconomia certo espansiva, sostanzialmente familista, puntata su microstrutture familiari, evitando grandi concentrazioni di capitali. Io credo che il Veneto e il nord est continuerà probabilmente, con la sua spinta alla deregulation, ma immersa in un clima illiberale o antiliberale; per esempio avrà sempre più bisogno di manodopera extracomunitaria, ma non saprà rinunciare allÆantipatia contro gli alie

ni, gli estranei che è il DNA per esempio, di Bossi.

Noi abbiamo tentato di fornire a quella spinta anche uno sfondo liberale, legalitario, moderno certo, ma culturalmente europeo, istituzionalmente di stampo americano e abbiamo cercato anche di avvertire che lÆAmerica circonda la deregulation di picchetti e di barriere di tipo liberale che in Italia nemmeno ci sogniamo e che forse nemmeno si vuole.

Abbiamo sbagliato in questo? Personalmente, almeno in questo non provo alcun rimorso, nel senso che non è pensabile o non è accettabile, non è utile, non è neppure proficuo, pensare ad una deregulation, ad esempio, senza un assetto istituzionale di una responsabilità chiare e forti, senza una situazione di legalità ritrovata e rinnovata, senza un cambiamento profondo di alcune istituzioni ad esempio la Giustizia che esse sole possono dare il connotato non solo liberista in economia ma liberale della società.

Certo, questa sinistra preoccupa comunque per altri versi, con altre sfumature, ma non meno della destra, per ragioni opposte sicuramente. E in effetti, le prime reazioni che abbiamo sentito da quella parte sono veramente incredibili.

DÆAlema, nel suo discorso di addio, da Presidente del Consiglio ha detto che il centro sinistra dovrà ricostruire il legame verso parti della società che oggi guardano altrove; è stato però lÆunico, per quanto almeno abbia capito in questi giorni, che abbia detto una cosa del genere, per il resto ho avvertito solo unÆansia, anzi una furia, ad arroccarsi proprio su quelle posizioni che il Paese ha condannato.

Né è qui da rievocare se non da ricordare, gli errori singoli ma che sono le espressioni che sono le espressioni di un modo di concepire lo Stato che i ministri del Governo DÆAlema e DÆAlema hanno arrogantemente imposto su settori essenziali, come la Sanità o la Scuola, le loro visioni burocratiche e centraliste, ma politicamente devo invece dire che il centro sinistra reagisce in forme bertinottiane o cossuttiane, cioè cercando ancora un arroccamento sul peggio espresso da quella sinistra, in primo luogo dai Sindacati.

Mi pare che non riescano proprio ad accorgersi che a respingerle e a respingere la loro visione arretrata, sovietica dellÆeconomia è stato appunto il nord, ma lÆintero nord, con la sua classe operaia che era, fino a ieri il fiore allÆocchiello di Bertinotti e di Cofferati e che oggi, appunto, guarda da unÆaltra parte.

Ma sono convinta ed immagino che i Bertinotti e certamente domani anche Cofferati, continueranno a dire che il tentativo sbagliato in extremis di DÆAlema cui noi abbiamo maldestramente non saputo stoppare o aderito, è lÆaccordo ventilato ed eventuale con noi di qualche respiro, che è stata la causa della loro sconfitta.

Care amiche e cari amici, a parte che mi mancano dei fogli che adesso non so dove ho perso ma spero di ritrovare, noi siamo sempre stati e lo siamo stati anche in questa campagna, una forza di grandi ambizioni progettuali. Il nostro liberalismo viene da lontano, il nostro liberismo non va confuso con la deregulation, che questo paese del resto conosce da sempre e per la quale non cÆè bisogno di noi, anche perché non è quello che noi abbiamo posto al centro dellÆattenzione.

Faccio solo un accenno: per esempio sul tema della droga nonostante i moralismi di Casini e Buttiglione è la deregulation che impera e dilaga, solo per dar motivo al più tetro e vano proibizionismo che affligge il Paese.

Se cÆè una deregulation totale è certamente quella relativa al proibizionismo sulla droga. Sicché mi pare un esempio da tener presente.

E qui siamo in una situazione che è certamente difficile, ma vorrei solo ricordare ai vecchi e nuovi compagni e senza non sottolineare, come ho fatto in questa parte dellÆintervento, gli errori che mi competono e che mi assumo, vorrei però ricordare a tutti che siamo morti e risorti in questi 40 anni molte volte e che per avviare anche il dibattito che ci sta di fronte vorrei che tenessimo anche conto del molto che abbiamo seminato, delle cose che ci sono, piccole, grandi, medie, ma intanto non le dimentichiamo.

Intanto abbiamo un radicamento difficile ma certo, in termini di disobbedienza civile ed altro, della battaglia antiproibizionista; abbiamo una testa di ponte piccola o media al Consiglio regionale della Lombardia e al Consiglio regionale del Piemonte.

Abbiamo un progetto per tutte gli altri militanti non eletti che si trovano o si troveranno ad operare nelle altre regioni.

Abbiamo cioè una possibilità, per chi lo vorrà, di continuare questo tipo di progetto in altre sedi; abbiamo proposto e non vedo perché dovremmo oggi smentirla anzi, oggi a maggior ragione, un progetto americano anche per i Consigli regionali e sarà la prima scadenza delle Regioni nonché lo Statuto.

Abbiamo scritto tutti assieme che uno dei primi obiettivi facendo proprio il calcolo è una necessità assoluta per quanto riguarda le Regioni, di delegificazione. Abbiamo detto e studiato e ripetuto in tutte le Regioni, che almeno per quanto riguarda la Sanità, cÆè da rivedere dappertutto il sistema delle convenzioni e che cÆè la possibilità di promuovere pure a legge nazionale vigente, una maggiore competitività e concorrenza tra pubblico e privato. Pur rimanendo il ticket, il tariffario, tutto quello che volete, è possibile come per altro alcune regioni hanno fatto, spingere molto di più ad una concorrenza tra pubblico e privato se si rivede il sistema delle convenzioni, che possa garantire migliore concorrenza, migliore qualità dei servizi.

Abbiamo in ogni provincia addirittura, un dossier per quanto riguarda lÆillegalità delle firme e a mio avviso sarebbe un errore grave lasciar cestinare.

Abbiamo poi una postazione europea, più forte di quanto non abbiamo mai avuto, che è possibile e doveroso riattivare con un progetto che possa riprendere sia la battaglia antiproibizionista sia tante altre che non vedo fatte in una deriva sempre più governativa dellÆintera comunità europea.

Abbiamo Radio Radicale, abbiamo anche Internet, abbiamo in questo periodo rafforzato il dossier Caso Italia.

Insomma, credo che dobbiamo tenere altrettanto presente tutto questo prima di decidere, ognuno di noi, ognuno di voi individualmente o collettivamente, il che fare. Abbiamo anche dei debiti, certamente.

Insomma, penso che prima di gettare la spugna se volete, perché insomma, delle due lÆuna: o ci diciamo che non cÆè più niente da fare oppure si fa tesoro di quello che cÆè, degli errori che ci sono stati e chi se la sente, chi lo può, chi lo vuole, ricomincia dal molto che abbiamo seminato.

Vi dicevo, siamo morti e resuscitati tante volte in 40 anni, purché lo si voglia, con coraggio e determinazione, senza mai piegarsi a ritenere che in politica, per un proprio fine, si debba rinunciare a qualsiasi dignità, a qualsiasi forma di onestà, a qualsiasi convinzione, a qualsiasi idea.

Questo errore, almeno questo, non lÆho commesso e mi auguro che troverete la forza per non farlo voi, per non farlo mai, che troveremo la forza di non piegarci al vincere comunque, divenendo eredi anziché alternativa del sistema imperante, accorrendo, di volta in volta, alla corte di Arcore o alle messe di oltre Tevere.

Io vi ho condotti ad una disfatta, per questo ritengo che sia giusto assumerne la responsabilità e permettere ad altri che forse questi errori non avrebbero commesso, di assumerla.

Ma una cosa vi vorrei dire: abbiamo perso una battaglia, io non credo che abbiamo perso la guerra. E dico questo perché al di là delle citazioni del momento o dellÆagitazione politica del momento, se guardiamo a mente più fredda, dobbiamo pure dire, sottolineare con un certo orgoglio, se volete, che tutte le nostre idee, tutte le nostre iniziative sono oggi al centro del dibattito politico: e chi vuole le elezioni per rinviarli, e chi le vuole invece per continuare; ma insomma, non solo i 7 referendum che stanno lì, ma persino quelli cassati. Oggi, se vincesse il centro destra avrebbe, per uno o due anni, la possibilità di fare quelle riforme, per esempio sul mercato del lavoro, che noi abbiamo grandemente contribuito a far maturare nel paese e oggi, quelle stesse riforme sul lavoro indispensabili non susciterebbero, penso, la calata in piazza di un milione di persone guidate dai Sindacati, perché se anche scendessero, sono maturi altri a scendere per difenderli.

Sono di attualità e sul tappeto dellÆagenda politica, senza di noi, tutte le nostre intuizioni che abbiamo poi articolato, non genericamente nella rivoluzione liberale, ma compitando quello che si poteva con nomi, cognomi, numeri di legge e articoli da abrogare.

Io non so se senza di noi appunto, a destra o magari persino in qualche area di sinistra si riuscirà a tenere la barra di questo timone o se anche queste cose, che sono ormai così mature, non verranno...

... un lumicino, determinato, umile, testardissimo che sappia reindicare la strada.

Vedete, e per concludere, mi sento come un imprenditore politico che da tanti anni, prima deriso prova a dire dallÆEuropa da degli strumenti che aveva, dai referendum, da quello che vi pare, usando una metafora, che bisogna modernizzando il Paese nelle sue istituzioni e nel suo apparato economico; insomma, per usare questa metafora, bisogna mettersi in rete e quindi produce computer, li produce, e improvvisamente, perché appunto, come dato di modernizzazione e improvvisamente scopre che invece i cittadini che hanno capito e interiorizzato questo dato, invece di comprare il computer che è complesso, che ci vuole un po' ad impararlo, ma che è quello utile, preferiscono comprarsi un telefonino magari mezzo rotto, che è tanto modernista, non esattamente della modernità di cui parliamo.

Questo mi pare è successo, so anche, lo ripeto di non essere stata capace a vendere o a far comprare o a far capire che era necessario invece comprare uno strumento complesso perché solo questo ci garantisce.

Ma mi auguro che quando ce ne sarà bisogno e questo paese nella sua strada per la conquista liberale ancora avrà bisogno mi auguro che davvero che nello sconforto ritrovi presente il lumino radicale. Grazie.

 
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