peccato che anche Barbara Spinelli non abbia memoria di chi si alzo' in
PArlamento dopo l'intervento di Craxi.
tratto da "la stampa" del 13 maggio 2000
Editoriale Un paese senza memoria
di Barbara Spinelli
Antonio Di Pietro ha pagato duramente le parole dette al Senato contro il
governo Amato e la riabilitazione del socialismo craxiano, il 3 maggio. Forse
troppo duramente, a giudicare dalla maniera smemorata, insofferente, con cui
la classe politica lo ha ascoltato. Forse troppo precipitosamente, se si
guarda l'atmosfera di disfacimento morale che regna nelle istituzioni della
Repubblica attorno alla vicissitudine delle liste elettorali per il
referendum: per giorni e giorni i politici italiani hanno litigato attorno
all'opportunità o meno di depennare dagli elenchi le persone morte o
irreperibili, il cui numero ammonterebbe - secondo alcuni calcoli - a un
milione.
Per quasi una settimana si è assistito a uno spettacolo indigesto, se non
inverecondo: si è giocato con i morti e gli spettri, pur di far mancare il
quorum al voto del 21 maggio, ed evitare che passi lo scrutinio maggioritario.
Si trascurano le leggi elementari del buon senso e della moralità pubblica,
dentro la maggioranza come all'opposizione, pur di salvare la pelle di questo
o quel partitello minacciato dallo svanire della quota proporzionale.
Precisamente questo aveva prefigurato Di Pietro, con il suo attacco alla
coalizione: il ritorno esultante della Prima Repubblica, con la sua
partitocrazia e i suoi reciproci ricatti. Un netto arretramento morale, e nei
confronti di Mani Pulite non già una disposizione alla critica, al giusto
riequilibrio, ma l'azzeramento, l'oblio deciso all'unanimità, e senza
chiarimenti, dall'insieme della classe dirigente
Non si tratta qui di decidere se il senatore del Mugello abbia fatto bene o
male a votare - non senza capricciosità - contro il capo del nuovo governo. Si
tratta di sapere se quel che dice ha qualche fondamento di verità, se le sue
profezie corrispondono a pericoli effettivi. La punizione che gli è stata
inflitta non risponde a tale quesito. Né può esser considerata una risposta il
silenzio, di ghiaccio, che a Palazzo Madama ha fatto seguito alla sua
requisitoria. Pochi giorni dopo, i capi del suo movimento lo espellevano,
senza neppure rispettare le forme e convocare una commissione disciplinare.
Probabilmente Di Pietro ha sbagliato spesso, come parlamentare. E' stato
impetuoso senza dare spiegazioni, è stato avventato nelle condanne, e anche a
proposito del Presidente del Consiglio ha dato prova di contraddittorietà: non
fu sempre inflessibile con Amato, come lo è oggi. Ma la nemesi che si abbatte
su di lui non sembra meritata, e non è del tutto degna di un partito - la
formazione di Prodi e Parisi - che si dice Democratico e che applica
procedimenti leninisti per liquidare politici, e interrogativi, reputati non
solo scomodi ma obsoleti.
Gli interrogativi sono invece più che attuali, e Amato stesso sembra
riconoscerlo: con più modestia, più serietà dei Democratici che tanto
disinvoltamente si sono sbarazzati dell'ex magistrato. Non a caso ha voluto
ripubblicare sul questo giornale un testo - redatto nel '94 - in cui narra il
proprio distacco dai metodi di Craxi, quando diresse il governo nel '92-'93, e
gli sforzi compiuti per spezzare la dipendenza dell'esecutivo e delle imprese
statali dalle segreterie partitiche (La Stampa, 9 maggio).
Il Presidente del consiglio è stato evidentemente colpito, dal biasimo di Di
Pietro. Ha intuito che la questione morale non può esser messa a tacere così,
dissolvendola nella leggerezza della dimenticanza o del disdegno. Ha tenuto a
ricordare qual'è la sua valutazione di Tangentopoli e Mani Pulite: un episodio
considerato da alcuni fazioso, o sprecato, ma ai suoi occhi pur sempre un
tentativo di rigenerazione delle élite italiane. Un'"espressione dell'opinione
pubblica - scrive Amato - vendicatrice dei suoi diritti davanti a un potere
politico non più collocato in una sfera di rispettata sovraordinazione". Non è
tuttavia questo, lo stile con cui i socialisti fedeli a Craxi sono rientrati
nell'area di potere.
Non è l'esempio Amato, che essi paiono seguire. In genere, il loro rientro
avviene senza senso di umiltà, senza impegno a apprendere lezioni dal passato.
In genere tendono a riapparire come vendicatori senza macchia, che finalmente
possono prendersi la rivincita sul principale simbolo di Mani Pulite. E' il
tono prescelto da Ugo Intini, già portavoce di Craxi e oggi sottosegretario
agli Esteri: la sua soddisfazione è stata palese e non priva di ineleganza, di
fronte all'estromissione del senatore . "C'è un significato simbolico in
quello che è accaduto: noi che entriamo al governo e Di Pietro che sbatte la
porta", si è felicitato con i Ds.
Stando alle dichiarazioni di Di Pietro, Boselli avrebbe detto qualche mese fa
ai Democratici che una Casa Comune era realizzabile - fra Socialisti,
Popolari, movimento di Prodi - a condizione che il senatore fosse messo alla
porta. Boselli non ha smentito. Il suo partito non nasconde la propria gioia
maligna, la propria Schadenfreude, per come Mani Pulite è seppellita. Nessuna
autocritica ha accompagnato la sepoltura, nessun esame su come il socialismo
italiano fu certo trattato alla stregua di capro espiatorio, ma degenerò anche
per propria responsabilità e decadimento dei costumi. In Italia il passato è
archiviato in questo modo: a colpi di accetta, inventando biografie
immaginarie, e innocenti, sui propri trascorsi.
Esistono pagine nere nella sua storia, e regolarmente su di esse cade
l'amnesia prima ancora che l'amnistia: un'indulgenza collettiva, negoziata
sottobanco e fondata su vicendevoli ricatti che perpetuano i morbi anziché
curarli con vere fatiche di autocorrezione. L'immagine di Di Pietro a Palazzo
Madama non può non suscitare turbamento, da questo punto di vista. E' immagine
già vista, è un triste déjà vu. L'ex magistrato ha denunciato la partitocrazia
non sconfitta, e puntato il dito sui rischi dell'oblio.
E' seguita una pausa tacita e colma di fastidio, di repulsione. E' stato il
colmo della Nemesi: d'un tratto, sembrava di rivedere la figura di Craxi,
quando alla Camera pronunciò la sua chiamata di correo. Non è semplice
dimenticare quel che disse il capo socialista, il 3 luglio del '92: "Nessun
partito è in grado di scagliare la prima pietra sulla corruzione. (...) Non
credo che ci sia nessuno in quest'aula, responsabile politico di
organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in
senso contrario a quanto affermo: presto o tardi, i fatti si incaricherebbero
di dichiararlo spergiuro." Non è semplice dimenticare il mutismo che seguì:
nessuno si alzò dal sedile per difendere la propria innocenza. Così con il suo
antagonista Di Pietro, mercoledì: stesso mutismo, stesso imbarazzo.
L'espulsione della questione morale avveniva nel chiuso del Palazzo, senza che
una sola parola uscisse dalle bocche della maggioranza o dell'opposizione.
Sicuramente c'è molta ingiustizia, nella sua aggressività contro Amato. E
nessun socialista è personalmente sospettabile di corruzione, nel governo. Ma
è strano come la storia tenda a ripetersi, quando la norma diventa quella
dell'oblio o della connivenza. Il silenzio che accolse Craxi nacque dal
desiderio di sorvolare sulla corruzione di un'intera classe politica, compresi
i comunisti risparmiati dai giudici.
Il silenzio che ha accolto Di Pietro nasce da non dissimili voglie di
trascurare la disgregazione di cui soffre tuttora la politica, e la
Repubblica. La vicenda delle liste elettorali lo conferma. Una fame smisurata
di potere cattiva le menti, e pur di soddisfarla si ignorano regole basilari
della civiltà. Dovrebbe essere ovvio oltre che indiscusso, che i morti non
votino. Non si vede neppure perché si debba legiferare, su un compito che in
qualsiasi normale Paese è svolto da impiegati dei Comuni, senza grandi
pubblicità. Invece in Italia anche i morti diventano argomento di campagne
elettorali supremamente ostili. Berlusconi ha annunciato nei giorni scorsi che
non avrebbe fatto "regali" al governo, ha minacciato di bloccare
l'approvazione della legge facendo mancare il numero legale in Parlamento, e
ha lasciato intendere che questo sarà il suo contegno, quando andrà al
governo: questo spregio delle istituzioni, dei costumi civili.
Ma lo stesso è accaduto nei piccoli partiti della maggioranza di governo. Ed è
proprio qui che si vede come i socialisti e le varie schegge
post-democristiane abbiano imparato poco, dal passato. Fino all'ultimo, essi
hanno cercato di bloccare la legge: da Mastella dell' Udeur ai Popolari ai
Socialisti di Boselli. La legge che vieta di far votare i morti è passata
grazie a una minoranza di centro sinistra - Ds, Verdi, Democratici, Di Pietro
- appoggiata al Senato dal partito di Fini. Non è detto che Di Pietro abbia
ragione in tutto. La quarta assoluzione in appello di Berlusconi, per l'accusa
di tangenti alle guardie di finanza, creerà problemi ai moralizzatori. Ma
senza dubbio il suo dissenso è un rivelatore, un sintomo della malattia del
potere in Italia.
Quest'ultimo non riesce a divenire legittimo, perché le regole elementari
della legge e dell'amministrazione non vengono spontaneamente rispettate.
All'origine di simile mancanza di rispetto c'è uno scatenamento di appetiti
particolaristici di potere, una corsa sfrenata alle poltrone liberata da ogni
disciplina repubblicana. I piccoli partiti della maggioranza non pensano che
alla sopravvivenza, a qualsiasi costo. Berlusconi avendo vinto alle regionali
dichiara ogni giorno illegittime le istituzioni, senza saper aspettare la fine
legale della legislatura. E tutti si tengono prigionieri l'un l'altro,
aggredendosi con vocaboli che sembrano imprestati dalla distruttività dei
brigatisti.
Non si può non concordare con Emma Bonino, che nella sua battaglia per liste
elettorali pulite definisce la coalizione di governo un "aggeggio", ostaggio
dei propri equilibri interni. A meno che Amato non si imponga con forza e voli
molto alto, la situazione non promette rapide guarigioni. La sfrenatezza è
ormai divenuta congeniale a chi ha vinto alle regionali, come a chi sta
annegando. E' difficile che il centro-sinistra prevalga, se non scopre le
virtù dell'autolimitazione oltre che dell'unione. Ma è difficile anche
prepararsi a un'opposizione efficace, se il ricorso a qualsiasi mezzo per
farsi valere diventa un'usanza universalmente condivisa: comune al Polo di
Berlusconi e a buona parte del centro sinistra.
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--- MMMR v4.80reg * Gutta cavat lapidem